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Uno dei temi che maggiormente hanno affascinato il pubblico francese del XVIII secolo e su cui quasi tutti i viaggiatori in Levante non hanno mancato di offrire la loro testimonianza, è stata la concezione orientale dell’amore. Prima di storici e intellettuali, erano stati mercanti e marinai a raggiungere le Terre del Sole e a instillare, attraverso i resoconti delle loro avventure passionali, l’immagine di una popolazione dedita ad ogni forma di piacere. Essi, infatti, si erano arrogati il diritto di aggiungere alle loro descrizioni dettagli scabrosi che, proprio per la loro estraneità al modo di pensare e praticare l’amore in Occidente, avevano eccitato l’immaginazione dei lettori francesi. Inoltre, ad apportare un notevole contributo alla nascita di un vero e proprio immaginario attorno ai rapporti di forza fra uomini e donne all’interno degli harem, luoghi in cui era lecita ogni forma di dissolutezza, erano state le rappresentazioni pittoriche. La maggior parte degli artisti che, assetati di esotismo, si erano recati in Oriente, non avevano infatti resistito alla tentazione di dipingere i lussuosi interni di serragli decorati in modo stravagante e animati da sensuali odalische, nude o in abiti orientali, pronte a soddisfare in ogni momento la cupidigia del loro padrone. Queste scene di genere erano state, in realtà, alimentate dalla fantasia degli stessi autori dal momento che l’accesso agli harem era vietato agli stranieri. Fra i maggiori rappresentanti di questo immaginario pittorico si annovera Jean-Dominique Ingres (1780- 1867) che, pur non essendo mai stato in Oriente, non aveva esitato a sfruttare l’immagine di odalische voluttuose per dar forma al suo ideale di esotismo in opere quali Bain Turc o

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Fra le idee che resoconti scritti e opere pittoriche avevano contribuito ad alimentare nel pubblico francese vi erano, per esempio, quella che la religione islamica insegnasse che era peccato resistere all’amore, che fosse una pratica comune fra i persiani sposare bambine di cinque o sei anni e che la poligamia fosse la giusta consolazione per gli uomini dal momento che essi non potevano conoscere la loro moglie prima del matrimonio. Poiché le unioni matrimoniali non erano fondate su alcun sentimento d’amore, era quindi considerato lecito che gli uomini ricercassero altrove la soddisfazione dei loro desideri ricorrendo alle distrazioni offerte da ballerine e baiadere. Inoltre, dal momento che il matrimonio non era «autre chose qu’un contrat civil que les parties peuvent rompre»,266 un uomo poteva porvi fine in qualsiasi momento e riprendere in seguito la propria moglie fino a tre volte in caso di ripensamento. Oltre al marito e alle sue numerose mogli, ad abitare gli harem, vi era un’altra categoria di personaggi che aveva affascinato intere generazioni di lettori e attorno alla quale erano nate le leggende più stravaganti: gli eunuchi. Essi, per la loro sfortunata condizione, poiché privati delle facoltà virili, suscitavano nel pubblico pietà e riso allo stesso tempo. Era risaputo che provassero passioni molto violente e che, seppure armati di un’assoluta autorità sulle donne che dovevano controllare, erano da esse dominati e disprezzati. Le donne, dal canto loro, non potevano uscire dal serraglio se non accompagnate da un’ampia scorta e dovevano trascorrere lunghe giornate nelle loro camere, al riparo dagli sguardi indiscreti dei curiosi. Trascorrevano la loro esistenza nell’ozio e, talvolta animate da passioni smodate, interrompevano i loro divertimenti infantili per ordire intrighi all’insaputa dei mariti e degli eunuchi: «Ce ne sont pas des amourettes comme les notre qui n’ont que des aventures galantes et comiques ; elles sont toujours suivies de quelque chose d’horrible et de funeste.»267 Drammi di amore, di sangue

e di morte alimentavano l’idea nel pubblico francese che l’harem, oltre ad essere il luogo della débauche per eccellenza, fosse anche l’emblema della forza bruta e del dispotismo.

Fra gli scrittori del XVIII secolo che posero al centro delle loro opere i temi del regime autoritario e della concezione violenta dell’amore in Oriente vi fu Montesquieu il quale, nelle Lettres Persanes, riprendeva in larga parte l’immaginario trasmesso dalle opere pittoriche di Tavernier o di Chardin. Pur contribuendo ad accreditare la raffigurazione degli orientali come un popolo voluttuoso, il suo obiettivo era stato principalmente quello di denunciare la realtà lasciva della Parigi del suo tempo e il rapporto di sopraffazione fra il sovrano e i suoi sudditi. L’escamotage di sfruttare la caricatura esotica dell’organizzazione

266 M. Baudier, Histoire générale du sérail in P. Martino, L’Orient dans la littérature française, op. cit, p.68. 267 F. Bernier, Voyages in P. Martino, L’Orient dans la littérature française, op. cit, p.70.

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del serraglio era legato sia alla prudenza dell’autore che alla possibilità di denunciare, in tal modo, gli abusi del potere assoluto in tutte le sue forme, Ici come Ailleurs.

Quando Nerval scriverà il suo Voyage en Orient, il pubblico della prima metà del XIX secolo risentirà ancora notevolmente dell’immaginario trasmesso dalle opere dei secoli precedenti. Nella sezione Les Nuits du Ramazan, forte della sua posizione di testimone oculare e rivendicando nella sua opera una certa veridicità dei fatti osservati, egli si impegna a demistificare i cliché sulla condizione delle donne del sultano all’interno del serraglio.

Durante l’esplorazione di Costantinopoli, il protagonista, vedendo passare il sultano Abdul-Mejid, rimane colpito, oltre che dal suo abito occidentale, soprattutto dal suo sguardo in cui legge un vago sentimento di malinconia. L’espressione del sovrano riflette infatti il suo stato d’animo: seppure egli si distingua da tutti i suoi sudditi per la posizione autorevole che ricopre, non è assolutamente l’uomo più fortunato poiché è l’unico a non potersi unire legalmente in matrimonio. Un’unione simile assicurerebbe alle famiglie delle consorti un potere eccessivo e pertanto le sue sultane, che egli non ha diritto di chiamare spose, originariamente sono tutte schiave provenienti da paesi stranieri i cui governanti non intrattengono relazioni ufficiali con l’Impero turco: «Il est peut-être, en effet, le seul de tous les Turcs qui puisse se plaindre de l’inégalité des positions.»268

Non potendo sposare donne di libera condizione, i discendenti del sultano saranno sempre figli di una schiava, esattamente come lo è lui. Inoltre, anche il numero di donne del serraglio è molto ridotto rispetto a quello immaginato dagli europei -in tutto sono trentatré, divise in sultane-madri, cadine e odalische- ed il sultano non può coricarsi con più di loro contemporaneamente poiché, in tal caso esse avrebbero diritto di chiedere il divorzio e le schiave di lasciare il palazzo. In Voyage en Orient, Nerval giustifica l’elevato numero di donne all’interno del serraglio del sultano come conseguenza dell’importanza della perpetuazione della sua discendenza e non come segno della sua depravazione:

Voilà ce que j’ai pu saisir des habitudes intérieures du sérail. Tout s’y passe en général beaucoup plus simplement que ne le supposent les imaginations dépravées des Européens. La question du nombre des femmes ne tient chez les Turcs à aucune autre idée qu’à celle de reproduction.269

268 G. de Nerval, Voyage en Orient, op. cit, p.573. 269 Ibid.

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Si noti come il valore attribuito alla poligamia da Chateaubriand nell’Itinéraire de Paris

à Jérusalem sia completamente diverso: «[…] ce qu’on voit n’est pas un peuple, mais un

troupeau qu’un iman conduit et qu’un janissaire égorge. Il n’y a d’autre plaisir que la débauche, d’autre peine que la mort.»270 Per questo scrittore essa era la chiara

manifestazione della licenziosità del popolo turco e Costantinopoli era un’anti- Gerusalemme in cui soggiornare il meno possibile.

Nerval, al contrario, si impegna a sottolineare nella sua opera come il sultano stesso dovesse rispettare i dogmi imposti dalla sua religione e come il suo potere dispotico fosse ben più ridotto di quanto non si pensasse in Occidente. Pertanto quest’ultimo, non solo era vittima delle ingiuste calunnie degli occidentali, ma era anche “schiavo” del suo stesso ruolo: «-Pauvres Turcs! M’écriais-je, comme on les calomnie! Mais il s’agit simplement d’avoir ça et là des maîtresses, tout homme riche en Europe a les mêmes facilités.»271

L’interruzione dell’astinenza sessuale del Ramazan eccezionalmente prevista per il sovrano un giorno prima rispetto ai suoi sudditi, era volta esclusivamente alla procreazione. Rispettando questa tradizione egli adempieva ad un dovere sia religioso che politico per il bene del suo Paese: «Si l’on se rendait compte de la dignité et de la chastété même des rapports qui existent entre un musulman et ses épouses, on renoncerait à tout ce mirage voluptueux qu’ont créé nos écrivains du XVIII siècle.»272

Tuttavia, l’atteggiamento di Nerval che, attraverso un gioco di specchi cercava di comprendere l’Altro rimettendo in dubbio le sue idee aprioristiche sui rapporti di forza all’interno dell’harem, si colloca, come sottolineato da Sarga Moussa, in un più ampio movimento di rivalutazione del serraglio da parte di alcuni viaggiatori europei che, nel contesto di riforme della fine degli anni trenta del XIX secolo, già avevano sostenuto queste teorie in antitesi con i cliché dell’epoca. Fra questi, Alphonse Royer nelle sue

Aventures de voyage (1837) aveva denunciato lo stereotipo della reclusione della donna

orientale. Egli attribuiva alla pratica della segregazione dei sessi una nuova dignità e la sottraeva al contesto del dispotismo orientale al quale l’avevano associata, per esempio, un figlio dei Lumi come Volney o uno scrittore romantico come Hugo. Circa dieci anni dopo Royer, anche Maxime Du Camp in Souvenirs et paysages d’Orient (1848), mettendo l’accento sulla condizione di indigenza in cui versavano le donne in Oriente, aveva cercato di giustificare la poligamia e la schiavitù:

270 F.-R. de Chateaubriand, Itinéraire de Paris à Jérusalem, op. cit, p.258. 271 Ivi, p.278.

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En effet, quelle vie mèneront-elles dans leurs montagnes? Demi-nues, rongées de vermine, brûlant au soleil ou gelant sous la neige; battues par leurs pères, battues par leurs maris; faisant des enfants aussi misérables qu’elles […] Vendues à Constantinople, elles sont certaines d’être achetées par des hommes riches car leur prix est toujours élevé; elles seront sultanes, elles habiteront un beau harem, chaud l’hiver et froid l’été; des esclaves les serviront à génoux, elles seront peut-être la favorite du maître, leurs enfants grandiront riches et heureux sous leurs yeux.273

Nella stessa epoca anche il dottor Clot-Bey nel suo Aperçu général sur l’Egypte (1840) aveva cercato di offrire un’immagine positiva della considerazione che le donne orientali avevano della loro vita all’interno degli harem:

Les femmes musulmanes sont loin de se considérer comme malheureuses de la réclusion du harem. Nées la plupart dans son enceinte, elles y sont parvenues jusqu’à leur jeunesse sans savoir qu’il pût exister pour les personnes de leur sexe un autre séjour et une manière de vivre différente.274

Gli argomenti impiegati da Du Camp e da Clot-Bey per descrivere il serraglio erano in realtà diametralmente opposti, seppure entrambi non condividessero l’idea di prigionia ad esso associata dalla letteratura occidentale. Per il primo, le schiave conducevano una vita più dignitosa all’interno dell’harem che non fuori da esso; per il secondo, se le donne si rallegravano della loro condizione all’interno del serraglio era perché ignoravano la possibilità che esistesse un modo alternativo di poter condurre la propria vita. Ad ogni modo, entrambi gli autori, offrendo un’immagine positiva dell’harem, non più spazio claustrofobico bensì luogo di protezione, si prefiggevano di criticare indirettamente l’eurocentrismo.

Come loro, aderendo a questo movimento di rivalutazione del serraglio, Nerval ribaltava completamente l’immagine dispotica del sovrano turco che, secondo uno studio condotto da Jean-Claude Berchet, risalirebbe addirittura all’epoca di Aristotele. La relazione di dominio che in origine caratterizzava la natura del rapporto fra il padrone di casa e le sue schiave e che quindi riguardava soltanto l’ambito domestico, era stata trasposta dal filosofo greco in ambito pubblico. Il termine “dispotismo” era stato poi impiegato per indicare la forma di governo delle popolazioni “barbare” e i rapporti di forza fra il sovrano e i suoi sudditi. Come la tirannia, con cui nella Grecia del VII-VI secolo a.C. si indicava il regime dittatoriale imposto da chi si impadroniva del potere con un colpo di

273 M. Du Camp, Souvenirs et paysages d’Orient, Paris, 1848, p.175. 274 A. Clot-Bey, Aperçu général sur l’Egypte, Bruxelles, 1840, t.I, p.330.

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stato, anche il dispotismo era stato considerato una perversione della monarchia ma, rispetto al potere del tiranno, quello del despota era legittimato e trasmesso ereditariamente. Per spiegare come fosse possibile che il popolo turco accettasse una forma di governo così aberrante, Aristotele aveva allora supposto che per loro attitudine naturale gli orientali fossero più predisposti rispetto ad altri popoli ad accettare la schiavitù:

Une seconde espèce de royauté qu’on trouve établie chez quelques peuples barbares, a les mêmes pouvoirs à peu près que la tyrannie, bien qu’elle soit légitime et héréditaire. Des peuples poussés par un esprit de servitude, disposition beaucoup plus prononcée chez les Barbares que chez les Grecs, dans le caractère des Asiatiques que dans celui des Européens, supportent sans murmurer le joug du despotisme.275

Dal momento che, secondo questa definizione, gli Europei non disponevano della stessa “vocazione” dei popoli asiatici ad essere sottomessi al giogo di un despota, il timore che un regime di governo come quello ottomano si imponesse anche in Occidente, li aveva preoccupati fin dall’epoca delle crociate. Da quel momento essi avevano fatto ricorso alla nozione di dispotismo ogni qual volta avevano voluto screditare la civiltà orientale rispetto alla loro. In epoca rinascimentale un nuovo e animato dibattito sulle istituzioni politiche orientali si era riacceso in seguito alla conquista di Costantinopoli da parte dei Turchi nel 1453 e si era protratto nei secoli successivi. Soggiacente alla riflessione sul dispotismo ottomano vi era infatti un duplice obiettivo: da una parte la volontà di condannare un nemico ritenuto privo di ogni forma di civiltà; dall’altra il tentativo di idealizzare un anti- modello di governo al fine di scongiurarne l’attuazione in Occidente. Durante il secolo dei Lumi i philosophes non avevano mancato di esprimersi in proposito. Montesquieu nell’Esprit des Lois aveva fornito una sua definizione di dispotismo: «dans le gouvernement despotique, un seul, sans loi et sans règle, entraine tout par sa volonté et par ses caprices.»276 Secondo il filosofo a distinguere il regime dispotico da quello monarchico non era tanto chi deteneva il potere quanto piuttosto il modo in cui esso veniva esercitato. Per comprendere la natura di un’istituzione governativa, egli riteneva fondamentale partire dall’analisi del ruolo in essa riservato alla legge. La monarchia in tal senso rappresentava un regime misto poiché il monarca, pur essendo la massima autorità dello stato, non poteva applicare la legge a proprio piacimento. Inoltre, dal momento che secondo il principio monarchico i sudditi erano suddivisi gerarchicamente in base al loro livello sociale,

275 Aristotele, Politique in J.-C. Berchet, Chateaubriand et le despotisme oriental in Dix-huitième siècle,

n°26, 1994, p.391.

276 Montesquieu, De l’Esprit des lois, in J.-C. Berchet, Chateaubriand et le despotisme oriental, op. cit,

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ciascuno di essi per “amor proprio” era spinto ad eccellere e ad ascendere di grado. Al contrario, essendo un regime dispotico privo di leggi, chi deteneva il potere poteva esercitarlo arbitrariamente e, in assenza di gerarchie sociali, i sudditi erano tutti ridotti all’egualitario stato di schiavi. Da questa teorizzazione astratta, egli era poi passato a localizzare in Oriente questa forma di governo da lui condannata. Certamente queste idee non avevano incontrato l’approvazione di tutti gli intellettuali della sua epoca ma avevano notevolmente influenzato il modo di pensare “l’Altro orientale” di gran parte della generazione del XVIII secolo.

Un’evidente conferma delle idee di Montesquieu era stata offerta da Volney in Voyage

en Egypte et en Syrie le cui costatazioni erano avvalorate dall’obiettivo scientifico del suo

viaggio. L’autore si era infatti personalmente recato in Oriente per osservare ciò che il

philosophe aveva teorizzato attingendo per le sue formulazioni a fonti letterarie. Seppure

egli non condividesse la “teoria dei climi” di Montesquieu e ritenesse che, se ci sono popoli “indolenti”, questo è dovuto al modo sbagliato in cui essi vengono governati, il modo in cui descrive nella sua opera le caratteristiche del governo ottomano corrispondono esattamente a quelle del regime dispotico tratteggiato nell’Esprit des Lois. Volney si era concentrato soprattutto sugli aspetti economici del dispotismo evidenziando come esso fosse una delle prime cause della miseria del popolo turco dal momento che, non esistendo la proprietà privata, nessun suddito era spinto ad investire in attività proprie.

All’alba della Rivoluzione francese il temuto modello del governo assoluto orientale sembrava essersi fatto realtà in occidente: la corte di Luigi XVI appariva come un misterioso serraglio e solo liberandosi dal potere del “sultano” i francesi potevano affrancarsi dalla loro condizione di soggiogamento. Tuttavia le aspettative della generazione romantica saranno presto disilluse a causa del regime del Terrore imposto da Robespierre.

Gli eventi storico-politici avevano dimostrato come, alla stregua dell’Oriente musulmano, anche l’Occidente cristiano non fosse esente da manifestazioni di dominio assoluto e arbitrario. Ciononostante, i governi orientali rimanevano per molti intellettuali della generazione della prima metà del XIX secolo l’espressione del dispotismo per antonomasia. Un caso per tutti fu quello di Chateaubriand che, di ritorno dal viaggio in Oriente del 1806, il 4 luglio dell’anno seguente scrisse un articolo pubblicato sul Mercure

de France dove denunciava la desolazione in cui si era ridotto l’antico splendore del

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Dans ces pays jadis célèbres où les ruines vivantes détournent votre attention des ruines de marbre et de pierre, le cœur est flétri à chaque pas. En vain dans la Grèce on veut se livrer aux illusions: la triste vérité vous poursuit.277

In seguito, nell’Itinéraire de Paris à Jérusalem pubblicato nel 1811, riprese alcuni argomenti di Volney e, con maggiore fervore, si scagliò contro il governo dispotico della Sublime Porta in cui vedeva la causa della decadenza del popolo orientale: «j’étais sorti de la capitale des peuples civilisés, et j’allais entrer dans la capitale des peuples barbares.»278

Nel récit moltiplicò gli aneddoti e le descrizioni dei turchi incontrati sul suo cammino per confermare l’immagine della loro presunta disumanità. In tal modo egli si limitò ad avvalorare le sue idee aprioristiche su un intero popolo che incarnava a suo avviso il simbolo della violenza e dell’ottusità.

Nerval, al contrario, fa assumere al suo personaggio, disposto a mettere in dubbio le proprie certezze anche a costo di riconoscere che talvolta gli Orientali sono più “illuminati” degli europei, un atteggiamento diametralmente opposto a quello del predecessore. Per esempio, in un passaggio riportato nell’Appendice I di Voyage en Orient, egli cita, ponendo a confronto le religioni musulmana e cristiana, il seguente paragone avente per soggetto la donna:

Moïse établissait que l’impureté de la femme qui met au jour une fille et apporte au monde une nouvelle cause de péché doit être plus longue que celle de la mère d’un enfant mâle. Le Talmud excluait les femmes des cérémonies religieuses et leur défendait l’entrée du temple. Mahomet, au contraire, déclare que la femme est la gloire de l’homme ; il lui permet l’entrée des mosquées et lui donne pour modèles Asia, femme de Pharaon, Marie, mère de Jésus, et sa