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Diffusione e levitazione radiativa in modelli stellari di piccola massa

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Academic year: 2021

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Contents i

1 Fisica della diffusione microscopica 5

1.1 La diffusione . . . 5

1.2 Il formalismo di Burgers . . . 7

1.3 Incertezze ed errori . . . 12

1.4 L’accelerazione radiativa . . . 14

1.4.1 Inserimento nelle equazioni diffusive . . . 18

1.4.2 Incertezze sui calcoli radiativi . . . 19

2 Effetti della diffusione nelle stelle 23 2.1 Effetti generali della diffusione . . . 23

2.1.1 Effetti sul Sole . . . 25

2.1.2 Effetti in fase di HB . . . 27

2.2 La levitazione radiativa . . . 28

2.2.1 Effetti in fase di HB . . . 32

2.2.2 Il problema del litio. . . 34

3 Fisica stellare e codice evolutivo 37 3.1 Le equazioni di struttura stellare . . . 37

3.2 Il codice FRANEC . . . 40

3.3 L’evoluzione chimica . . . 41

3.3.1 Le reazioni nucleari . . . 41

3.3.2 La routine di diffusione . . . 42

3.4 Aggiornamento della composizione chimica . . . 44

4 Calcoli di accelerazione radiativa 47 4.1 Uso del database OPAL . . . 47

4.2 Uso del database OP . . . 52

4.3 Inserimento della levitazione radiativa nel nostro codice . . . 53

4.3.1 Pacchetti numerici di calcolo . . . 54

4.3.2 Primi test di levitazione radiativa . . . 55

4.3.3 Il problema dei tempi di calcolo . . . 56

5 La diffusione microscopica nel codice evolutivo 67 5.1 Il problema degli strati superficiali. . . 67

(2)

5.2 Il nuovo schema diffusivo . . . 69

5.2.1 Le equazioni diffusive . . . 72

5.2.2 Implementazione dello schema numerico . . . 73

5.2.3 Metodo di risoluzione . . . 74

5.2.4 Confronto tra vecchia e nuova routine . . . 76

5.3 Previsioni sulle abbondanze superficiali . . . 79

5.4 La diffusivit`a radiativa . . . 88

5.4.1 Inserimento nel codice FRANEC . . . 91

5.4.2 Controversie sull’interpretazione fisica della diffusivit`a ra-diativa . . . 91

5.5 Test di diffusivit`a radiativa . . . 92

5.6 Confronti con il codice MESA per la diffusivit`a radiativa . . . 96

6 Calcolo di modelli con accelerazione radiativa 103 6.1 La levitazione radiativa in stelle di sequenza principale superiore . . 104

6.2 Levitazione radiativa in stelle di sequenza principale inferiore . . . . 112

7 Modelli con rimescolamento turbolento e confronto con le osser-vazioni 131 7.1 Il problema osservativo . . . 131

7.2 Mescolamenti extra rispetto alla diffusione . . . 132

7.3 Il caso osservativo ed analisi preliminari. . . 136

7.3.1 Modelli con levitazione radiativa. . . 141

7.4 Analisi su NGC 6752 . . . 143

8 Conclusioni 153

A La media di Rosseland 157

B Il criterio di Schwarzschild 159

C Fasi evolutive stellari ed isocrone 161

(3)

Lo studio delle abbondanze superficiali osservate nelle stelle `e essenziale per capire i meccanismi fisici interni. Le variazioni chimiche nelle stelle sono dovute a reazioni nucleari e a meccanismi di trasporto; questi ultimi comprendono la convezione (che rimescola la materia su tempi scala molto minori di quelli evolutivi) e la diffusione microscopica (che agisce su tempi scala pi`u lunghi, oltre la decina di milioni di anni).

La diffusione microscopica `e un processo di trasporto degli elementi efficiente nelle stelle, dovuto alla presenza di gradienti chimici, di pressione, di concentrazione e di temperatura. Storicamente, l’inclusione della diffusione nei modelli evolutivi `e iniziata quando le misurazioni eliosismologiche, aggiungendo ulteriori osservabili di cui i modelli evolutivi dovevano tenere conto, hanno evidenziato la necessit`a di includere tale fenomeno per ottenere accordo teoria-osservazioni sui valori di abbondanza originale di elio e di profondit`a della base della zona convettiva del Sole. Le osservazioni indicano quindi che la diffusione microscopica `e efficiente nel Sole mentre la sua piena efficienza in stelle di ammasso globulare `e ancora oggetto di dibattito. La diffusione `e comunque contrastata dalla presenza di inviluppi convettivi profondi (i quali, come accennato, rimescolano la materia azzerando i gradienti chimici) e da tempi evolutivi brevi (essendo la diffusione un processo lento).

Nell’ultimo ventennio si `e cominciato ad includere il contributo diffusivo dovuto alla levitazione radiativa, originata dal flusso di fotoni che dal centro della stella si propaga verso l’esterno. Questo fenomeno `e importante per le stelle pi`u calde e quindi ad esempio stelle di sequenza principale superiore e stelle calde di ramo orizzontale. Diversi autori hanno inserito la levitazione radiativa nei modelli evolu-tivi, valutandone gli effetti in stelle di sequenza principale e di ramo orizzontale; da questi test `e emerso che diversi elementi pesanti possono aumentare la loro abbon-danza superficiale rispetto al caso non levitativo. Il confronto con le osservazioni sembra per`o indicare che siano efficienti ulteriori meccanismi fisici che rimesco-lano la materia nelle regioni superficiali delle stelle, inibendo gli effetti diffusivi, ad esempio fenomeni di turbolenza. Da qui nasce il problema (tuttora aperto) di comprendere e modellizzare correttamente questi meccanismi di mescolamento aggiuntivo.

(4)

Il confronto teoria-osservazione per le abbondanze superficiali stellari, costituisce quindi ancora un problema aperto; cito solo come esempio lo studio delle ab-bondanze superficiali in stelle in ammasso globulare nelle diversi fasi evolutive, l’analisi dell’abbondanza superficiale di litio e berillio in stelle di ammasso aperto e dell’abbondanza superficiale di litio nelle stelle di alone etc.

Tutti queste ricerche richiedono, per poter essere affrontate in maniera consistente, un trattamento il pi`u preciso possibile dei fenomeni fisici che influenzano le ab-bondanze superficiali. Lo scopo della mia tesi `e stato quindi di introdurre questi meccanismi nel nostro codice evolutivo stellare (Frascati RAphson Newton Evolu-tionary Code, FRANEC), tenendo conto delle attuali conoscenze sull’argomento. Nella parte finale della tesi utilizzo i meccanismi fisici introdotti nel codice per un confronto teoria-osservazione per abbondanze superficiali di stelle in ammasso globulare.

Il trattamento della diffusione microscopica era gi`a presente nel codice FRANEC ma questa non era estesa sufficientemente verso l’esterno della stella da poter valutare le abbondanze superficiali. Innanzitutto ho quindi aggiornato la routine di diffusione ed ho successivamente introdotto la levitazione radiativa ed alcuni meccanismi di rimescolamento turbolento sotto la base dell’inviluppo convettivo esterno. La tesi `e strutturata come segue.

Nel capitolo 1 tratto la fisica generale della diffusione, spiegando gli input fisici e le incertezze associate; illustro inoltre il meccanismo della levitazione radiativa. Nel capitolo 2 illustro in generale gli effetti dei precedenti meccanismi sulle ab-bondanze superficiali stellari nelle diverse fasi evolutive, cos`ı come descritti in letteratura, per evidenziare l’importanza del problema.

Nel capitolo 3 descrivo brevemente le equazioni su cui si basa l’integrazione di una struttura stellare e le caratteristiche principali del nostro codice evolutivo. Analizzo poi in dettaglio il funzionamento della pre-esistente routine di diffusione, che `e alla base del lavoro svolto.

Nel capitolo 4 descrivo l’utilizzo di una subroutine per il calcolo della levitazio-ne radiativa da inserirsi levitazio-nel codice evolutivo. Successivamente mostro i risultati del calcolo di accelerazioni radiative in casi specifici e discuto le problematiche riscontrate.

Nel capitolo 5 descrivo le variazioni da me apportate alla routine di diffusione per estendere l’efficienza del meccanismo diffusivo alle zone pi`u esterne della stel-la. Introduco inoltre una prima possibile parametrizzazione di un meccanismo di mescolamento turbolento, cos`ı come suggerito da Morel & Thevenin (2002), va-lutandone gli effetti. I risultati dei modelli sono confrontati con quelli del codice evolutivo MESA (Paxton et al. 2011).

Nel capitolo 6 eseguo il calcolo di modelli evolutivi completi inserendo la levitazione radiativa e la turbolenza inserita nel capitolo precedente. Lo studio avviene per masse di sequenza principale superiore ed inferiore, osservando i risultati nei vari casi e confrontandoli con quanto ottenuto col codice evolutivo di confronto.

(5)

Nel capitolo 7 illustro il problema del confronto teoria-osservazione per le abbon-danze superficiali nel caso concreto di un ammasso globulare noto in letteratura, NGC 6752. Descrivo ed introduco nel codice un secondo possibile meccanismo di turbolenza, largamente utilizzato in letteratura, valutandone gli effetti sulle ab-bondanze superficiali, a confronto anche con quanto ottenuto introducendo nei modelli solo il meccanismo di accelerazione radiativa. Successivamente confronto i risultati ottenuti con le abbondanze osservate di ferro e litio nell’ammasso.

(6)
(7)

Fisica della diffusione

microscopica

1.1

La diffusione

La diffusione `e un meccanismo di trasporto della materia che consiste nello spo-stamento di particelle (atomi o molecole) di una data sostanza verso altre regioni, quando sono presenti gradienti di concentrazione, di temperatura e di pressione, nonch´e forze radiative. Il primo contributo, quello da gradiente di concentrazione, `

e descritto dalla legge di Fick, secondo cui il flusso diffusivo Fdiff (ossia il numero

di particelle per unit`a di superficie e di tempo) di una sostanza che si genera quan-do la sua concentrazione c (numero di particelle per unit`a di volume) presenta un gradiente `e data da

Fdiff =−D∇c (1.1)

dove il fattore D (delle dimensioni di una lunghezza al quadrato diviso per un tempo) `e detto coefficiente di diffusione, ed in generale `e una funzione di den-sit`a, temperatura e concentrazione; essendo tali grandezze variabili spazialmente allora anche il coefficiente di diffusione non `e in generale costante nello spazio. Dall’equazione di continuit`a

∂c

∂t =−∇ · Fdiff (1.2)

si perviene all’equazione di diffusione:

∂c

∂t =∇ · (D∇c) . (1.3)

Tale equazione pu`o anche essere espressa in funzione della velocit`a di diffusione w: poich´e Fdiff = cw (1.4) allora ∂c ∂t =−∇ · (cw) (1.5) 5

(8)

`

E utile scriverla in coordinate sferiche ed in condizioni di simmetria sferica, visto che sar`a usata in strutture stellari (modellizzate appunto in simmetria sferica):

∂c ∂t = 1 r2 ∂r ( r2cw). (1.6)

Un plasma stellare `e composto da diversi elementi, ed il processo diffusivo tende a portare ciascun elemento verso le zone in cui `e presente in minor quantit`a; al-l’interno di una stella si ha, in fase di sequenza principale, la produzione di elio nella zona centrale mentre altrove rimane idrogeno, dunque l’effetto da gradiente di concentrazione `e quello di portare idrogeno verso il centro ed elio verso l’esterno della zona di combustione. L’equazione (1.3) descrive la diffusione dovuta escu-sivamente a gradienti di concentrazione; la situazione `e complicata dall’aggiunta dei sopracitati gradienti di pressione e di temperatura, oltre che dalla presenza di accelerazioni radiative, il che comporta opportune modifiche all’equazione di cui sopra. Il gradiente di pressione `e legato alla presenza di gravit`a, ed `e dunque responsabile della sedimentazione gravitazionale, che tende a portare gli elemen-ti pi`u pesanti verso l’interno della stella; in presenza di elementi di diverso peso atomico, se pienamente efficiente porterebbe alla stratificazione con elementi pi`u pesanti nelle regioni centrali e quelli pi`u leggeri nelle zone esterne. Nel caso di una stella di sequenza principale, dunque, l’effetto `e di portare l’elio ed i metalli verso il centro e l’idrogeno verso la superficie, in contrasto con il meccanismo dovuto al gradiente di concentrazione.

Il gradiente di temperatura provoca diffusione attraverso il gradiente di velocit`a termica delle particelle; la velocit`a termica media `e proporzionale a T1/2, e la

sezione d’urto per collisioni contro le altre particelle del mezzo `e costante per atomi neutri mentre varia come T−2 per atomi ionizzati. Questo implica che, in linea generale, gli atomi neutri tenderanno a migrare verso le regioni pi`u fredde e quelli ionizzati verso le regioni pi`u calde. La situazione reale `e tuttavia pi`u complicata in quanto dipende in modo non banale dalla carica e dalla massa degli atomi (Cox et al., 1983).

La diffusione radiativa, infine, `e dovuta ad un flusso di radiazione, i cui fotoni trasmettono impulso alle particelle cariche del mezzo; il suo effetto aumenta al-l’aumentare della temperatura ed alla carica degli ioni, e le particelle vengono sistematicamente spinte verso la periferia della struttura.

La predominanza di un termine rispetto agli altri dipende dalle condizioni fisiche e dalle fasi evolutive; per esempio, all’interno del sole domina la sedimentazione gravitazionale, mentre il termine di gradiente termico `e non trascurabile ma di minore entit`a, ed i termini diffusivi dovuti all’accelerazione radiativa ed ai gradienti di concentrazione sono trascurabili (Thoul et al., 1994).

(9)

1.2

Il formalismo di Burgers

Consideriamo una miscela composta di diverse specie, ognuna delle quali `e carat-terizzata da una funzione di distribuzione Fi(x, v, t) dove x `e la posizione e v

la velocit`a. Poniamoci nella situazione di equilibrio termico ed idrostatico, poich´e i tempi diffusivi sono molto maggiori dei tempi scala di equilibrazione termica e meccanica. La velocit`a media di ogni specie `e data da

ui =

vFidv. (1.7)

Se ρ `e la densit`a totale e ρi la densit`a della i-esima specie allora la velocit`a di

insieme del fluido `e

u = 1

ρ

i

ρiui. (1.8)

mentre la velocit`a di diffusione `e dunque definita come

wi = ui− u. (1.9)

La diffusione degli elementi in un gas `e descritta dal formalismo di Chapman & Co-wling (1970) e dalle equazioni di Burgers (Burgers 1969); in accordo con altri autori (ad esempio Hu et al., 2011) nel nostro codice adottiamo il secondo formalismo. Il formalismo di Chapman & Cowling assume che la funzione di distribuzione di ogni singola specie sia esprimibile come una serie convergente di termini, ciascuno dei quali costituisce una successiva approssimazione della funzione di distribuzione medesima; le quantit`a fisiche di trasporto sono calcolate dai momenti di velocit`a dell’approssimazione al prim’ordine della funzione di distribuzione (Paquette et al. 1986). Si costruiscono dunque diverse approssimazioni successive f(i) alla funzione di distribuzione della velocit`a; la prima approssimazione f(0) ha la stessa forma di

una gaussiana per un gas uniforme, la seconda approssimazione f(1)tiene conto dei termini di gradiente e cos`ı via. Nel caso di un gas misto la funzione f(1) include,

oltre alla combinazione dei gradienti delle componenti della velocit`a, anche i gra-dienti di concentrazione, di pressione e le forze esterne che agiscono sulle molecole del mezzo.

Il metodo di Burgers costituisce la ”seconda approssimazione” di Chapman & Co-wling (1970). Rispetto all’approccio di Chapman & CoCo-wling pone maggiore enfasi sul calcolo dei momenti di pi`u alto ordine dell’equazione di Boltzmann, ed `e pi`u conveniente per il trattamento di gas a multicomponenti, consentendo una valuta-zione pi`u diretta delle quantit`a fisiche rispetto al formalismo C&C. Le equazioni di Burgers sono ricavate assumendo certe ipotesi di lavoro valide per la maggioranza delle stelle; in particolare si assume che le particelle abbiano una distribuzione di velocit`a maxwelliana con uguale temperatura per tutte le specie chimiche, che le velocit`a termiche siano molto maggiori di quelle diffusive e i campi magnetici siano trascurabili. Come abbiamo visto, una stella pu`o essere approssimata come un sistema a simmetria sferica, dunque le equazioni della diffusione possono esse-re trattate in modo unidimensionale assumendo dipendenza dalla sola coordinata

(10)

radiale.

Supponiamo che ciascuna specie abbia densit`a numerica ni e carica nucleare qe,i.

Le equazioni di Burgers adottano tre ulteriori ipotesi: 1. neutralit`a di carica ∑iqe,ini = 0;

2. neutralit`a di corrente ∑iqe,iniwi = 0;

3. conservazione della massa ∑iminiwi = 0.

Notare che l’ultima condizione `e legata alla scelta di risolvere le equazioni nel sistema di riferimento del plasma e dunque della medesima struttura stellare. Per includere anche gli effetti della diffusione termica Burgers ha introdotto il cosiddetto “vettore flusso di calore residuo” cos`ı definito:

ri = mi 2kBTFi(v− u) |v − u|2dv 5 2wi. (1.10)

dove v `e la velocit`a. Il significato fisico `e quello del trasporto di energia termica ad opera della diffusione. L’inclusione di questo termine pu`o avere effetti concreti an-che nell’evoluzione stellare: ad esempio, Thoul et al. (1994) hanno osservato come il termine termico conduca ad un sensibile incremento della velocit`a di diffusione dell’idrogeno (fino al 30%).

Le equazioni di Burgers vengono solitamente trattate e risolte secondo il formali-smo di Thoul et al. (1994), che `e l’autore cui facciamo riferimento per l’inserimento della diffusione nel nostro codice e per i coefficienti di diffusione che adottiamo. Le equazioni da risolvere punto per punto nella stella sono:

{ dpi dr + ρig− ρe,iE =t̸=iKit[(wt− wi) + 0.6 (xitri− yitrt)] 5 2nikB dT dr = ∑ t̸=iKit {3 2xit(wi− wt)− yit[1.6xit(ri+ Rt) + Yitri− 4.3xitrt] } (1.11) che sono rispettivamente le equazioni di conservazione dell’impulso e dell’energia.

E e g sono rispettivamente il campo elettrico e gravitazionale locali, mentre le

altre grandezze sono cos`ı definite:

µit =

mimt

mi+ mt

`

e la massa ridotta, mentre

xit = µit/mi, yit = µit/mt, Yit = 3yit+ 1.3xitmt/mi

(Thoul et al. 1994). I termini Kij sono detti coefficienti di resistenza, e descrivono

gli effetti delle collisioni tra le particelle delle specie i e j; infatti la propagazione di tipo diffusivo `e determinata dalle collisioni tra le particelle delle diverse specie nucleari. Il calcolo dei coefficienti di resistenza richiede di fissare il potenziale di interazione tra le particelle del mezzo; il potenziale qui usato `e quello coulombiano

(11)

con taglio alla lunghezza di Debye λD (Michaud & Proffitt, 1993). Ciascun

coef-ficiente `e proporzionale al logaritmo di Coulomb lnΛij, un fattore che tiene conto

del contributo degli incontri binari in cui il parametro di impatto sia inferiore o uguale alla lunghezza di Debye. Le routine di Thoul et al. (1994) usano l’integrale di Coulomb efficace ottenuto da Iben & MacDonald (1985): in unit`a cgs abbiamo

lnΛij = 1.6249 2 ln [ 1 + 0.18769 ( 4kBT λ ZiZje2 )] (1.12) dove λ = min(λD, a0) e a0`e la distanza interionica. L’uso di tale formula previene

il pericolo di ottenere valori negativi dell’integrale di Coulomb per i termini di collisione tra elementi pesanti, nel caso di plasmi non sufficientemente caldi e rarefatti (evento che pu`o verificarsi anche per gli interni solari). I coefficienti di resistenza sono legati alle grandezze precedenti dalla relazione

Kij = 2 3µij ( 2kBT µij )1/2 ninjσij (1.13)

essendo σij la sezione d’urto di scattering coulombiano fra le particelle delle specie

i e j. Questa a sua volta `e data da

σij = 2 πe4 ( ZiZj kBT )2 lnΛij. (1.14)

Una volta ottenute le velocit`a diffusive si risolve l’equazione di continuit`a al fine di aggiornare le abbondanze chimice:

∂ni ∂t + 1 r2 ∂r ( r2niwi ) = ( ∂ni ∂t ) nucl . (1.15)

Caratteristica fondamentale delle equazioni di Burgers1.11`e quello di formare un sistema lineare, prestandosi dunque ad una notevole semplificazione nella soluzio-ne. Se il numero di specie chimiche presenti `e s allora le incognite del sistema sono 2s + 2: abbiamo le velocit`a diffusive ed i flussi di calore{wi, ri}i=1,...,s, poi il campo

elettrico ed il campo gravitazionale (o meglio, delle grandezze ad essi proporziona-li, Thoul et al. 1994). Nelle equazioni di Burgers, infatti, anche il campo elettrico e gravitazionale sono grandezze incognite; una volta risolto il sistema di equazioni si pu`o confrontare il valore del campo gravitazionale ottenuto con quello ricavato dalla modellistica stellare, e l’accordo `e dell’ordine di 10−7 nel caso di modellistica solare (Thoul et al. 1994).

Scriviamo le equazioni di Burgers in una forma adimensionale comoda per i cal-coli, che `e solitamente quella adoperata nei programmi evolutivi. Le grandezze di riferimento sono normalizzate ai valori solari: il raggio r in unit`a di R, la densit`a

ρ in unit`a di 100 g/cm3, la temperatura T in unit`a di 107 K, il tempo in unit`a

di τ = 6× 1013 anni (tempo scala di diffusione all’interno del sole). Includendo i

(12)

(e dunque il suo gradiente) tramite il vincolo di neutralit`a di carica dlnC2 dr = sj=1,j̸=2,e ZjCj Z2C2 dlnCj dr , (1.16)

si ottiene che le equazioni sono scrivibili nella forma

P K0 ( αi dlnP dr + νi dlnT dr + sj=1,j̸=e,2 γij dlnCj dr ) = 2s+2j=1ijWj (1.17)

dove Wi `e il vettore delle incognite

Wi =        wi i = 1, ..., s ri−s i = s + 1, ..., 2s K0−1neeE i = 2s + 1 K0−1nem0g i = 2s + 2 (1.18)

e le altre grandezze sono cos`ı definite (Thoul et al. 1994): la concentrazione elettronica Ci di ciascuna specie `e definita come il rapporto fra la densit`a numerica

dell’elemento e quella elettronica

Ci = ni ne = ∑ Xi/Ai kZkXk/Ak , (1.19)

Posto ∑sCs = C, per le altre grandezze si ha (in unit`a cgs, tranne che per le

grandezze precedentemente adimensionalizzate):

K0 = 1.144× 10−40 n2 e T3/2, (1.20) P K0 = 2.00T 5/2 ρ Cs AsCs (1.21) αi = { Ci C per i = 1, 2, ..., s 0 per i = s + 1, ..., 2s + 2 (1.22) νi = { 2.5CiC−s per i = s + 1, ..., 2s 0 per i = 1, ..., s e i = 2s + 1, 2s + 2 (1.23) γij = { Ci C [( δij Cj C ) (δi2−CC2 ) CjZj C2Z2 ] per i = 1, s 0 per i = s + 1, ..., 2s + 2 (1.24)

(13)

ij =                k̸=ikik per j = i kij per j = 1, ..., s e j ̸= ik̸=i0.6kikxik j = i + s

−0.6ki,j−syi,j−s per j = s + 1, ..., 2s e j ̸= i + s

ZiCi per i = 2s + 1 −AiCi per i = 2s + 2 (1.25) per i = 1, ..., s,ij =            ∑ k̸=j1.5ki−s,kxi−s,k per j = i− s −1.5ki−s,jxi−s,j per j = 1, ..., s e j ̸= i − s

k̸=iki−s,kyi−s,k(1.6xi−s,k+ Yi−s,k)− 0.8ki−s,i−s per j = i

2.7ki−s,j−syi−s,j−sxi−s,j−s per j = s + 1, ..., 2s e j ̸= i 0 per j = 2s + 1, 2s + 2 (1.26) per i = s + 1, ..., 2s,ij = { ZjCj per j = 1, ..., s 0 per j = s + 1, ..., 2s + 2 (1.27) per i = 2s + 1,ij = { AjCj per j = 1, ..., s 0 per j = s + 1, ..., 2s + 2 (1.28) per i = 2s + 2.

Qualche autore (per esempio Hu et al. 2011) usa una versione modificata della formulazione di Thoul, in cui l’elio viene esplicitamente trattato nelle equazioni invece di essere eliminato tramite la 1.16, conducendo a espressioni modificate delle grandezze γij, mentre i coefficienti ∆ij (equazione 1.17) vengono modificati

dall’uso dei coefficienti di resistenza di Paquette (Paquette et al. 1986).

Data la linearit`a delle equazioni rispetto alle incognite, la generica soluzione sar`a esprimibile come combinazione lineare dei termini a sinistra nella (1.17); essendo

P/K0 proporzionale a T5/2/ρ (sempre in unit`a adimensionali) possiamo dunque

scrivere

wi =

T5/2

ρ ξi (1.29)

dove si `e definita la funzione di diffusione ξi dell’elemento i-esimo:

ξi = Ap(i) ∂lnP ∂r + AT(i) ∂lnT ∂r + ∑ j̸=e,2 Aj(i) ∂lnCj ∂r . (1.30)

(14)

vettori colonna che compaiono nel sistema α =   α...1, α2s+2 , ν =   ν...1, ν2s+2 , gC =         ∂lnC1/∂r ... ∂lnCs/∂r 0 ... 0         (1.31)

mentre sia γ la matrice di elementi γij. Avremo dunque

P K0 ( dlnP dr α + dlnT dr ν + γ· gC ) = ∆· W (1.32) da cui W = P K0 ∆−1· ( dlnP dr α + dlnT dr ν + γ· gC ) = = P K0 ( dlnP dr−1· α + dlnT dr−1· ν +[−1· γ]gC)= = P K0 ( dlnP dr AP + dlnT dr AT + A· gC ) (1.33)

I coefficienti di diffusione sono quindi identificati dai termini AP = ∆−1· α

AT = ∆−1· ν

A =[∆−1· γ]

(1.34)

Una volta ottenute, dalla soluzione del sistema, le velocit`a diffusive wi, le si

mol-tiplica per R/τ in modo da tornare alle unit`a fisiche dimensionali. In figura1.1

vediamo un esempio di calcolo di velocit`a diffusive nel caso solare.

Operativamente, nel nostro codice evolutivo, il sistema lineare (1.17) viene risolto utilizzando un’opportuna routine scritta da Thoul et al. (1994), che inverte la matrice ∆ e calcola i coefficienti di diffusione secondo la (1.34), dai quali si trova la velocit`a diffusiva finale per ciascun elemento. Da notare che, in tal modo, si quantificano i diversi contributi (gravitazionale, radiativo, termico e di pressione) alle varie velocit`a diffusive.

1.3

Incertezze ed errori

Come abbiamo detto, le equazioni di Burgers costituiscono un certo livello di approssimazione delle equazioni di Chapman & Cowling (1970); l’uso di tale ap-prossimazione induce un livello di errore del 10% nelle velocit`a diffusive indipen-dentemente dall’accuratezza dei coefficienti di diffusione.

(15)

Nel caso di stelle di tipo solare Thoul et al. (1994) stimano al 15% l’errore sul rate di sedimentazione gravitazionale. Turcotte et al. (1998) stimano in tali stelle al 40% il contributo della diffusione termica e al 30% l’incertezza su di essa; dunque la velocit`a di diffusione termica introduce un’incertezza di circa il 12% in stelle di tipo solare (Montalban et al. 2006). Sempre Turcotte et al. valutano che l’assunzione di materia completamente ionizzata causi una sottostima delle velocit`a diffusive (20% per il ferro, 9% per l’ossigeno). Montalban et al. (2004) hanno mostrato che, nei loro modelli, un raddoppio delle velocit`a diffusive conduce ad un maggiore accordo tra teoria ed osservazioni per i valori di posizione della base della zona convettiva e di velocit`a del suono nel caso del sole; d’altra parte, anche un aumento del 10% in

Z/X consente un buon accordo limitando al 50% l’aumento delle velocit`a diffusive. Le principali fonti di incertezza nel trattamento di Burgers sono il valore da asse-gnare al logaritmo di Coulomb e di conseguenza i valori dei coefficienti di resistenza

Kij. La formulazione delle equazioni di Burgers che adottiamo assume poi

comple-ta ionizzazione degli elementi; Schlattl et al. (2003) considerano anche la parziale (e non totale) ionizzazione degli elementi, e includono la correzione quantistica dovuta alla degenerazione elettronica. Possono essere aggiunte ulteriori correzioni di tipo quantistico tenendo conto del termine di spin delle particelle e delle di-verse funzioni di distribuzione che caratterizzano bosoni e fermioni (Hahn et al, 1971); nel caso solare tali correzioni crescono verso il centro ma rimangono in ogni caso modeste (l’errore per ogni quantit`a `e inferiore all’1%). Inoltre quando le correzioni quantistiche diventano importanti si ha comunque che la maggior parte degli elementi `e praticamente ionizzata, dunque non si commette un grande errore prendendo una carica media per ione invece di considerare i diversi stati di ioniz-zazione. Le correzioni quantistiche aumentano in situazioni di maggiore densit`a rispetto al sole, tipo nane bianche e stelle di ammassi globulari al turnoff, ma non sono comunque fondamentali nei casi che tratteremo noi.

Come accennato, l’approccio di Thoul et al. (1994) assume un potenziale di in-terazione pari a quello coulombiano tagliato alla lunghezza di Debye. Si possono anche considerare diversi potenziali, necessari per la variet`a di condizioni fisiche cui vanno incontro i plasmi stellari; per esempio maggiore precisione nel calco-lo dei coefficienti di resistenza si ottiene usando un potenziale alla Debye-Huckel (Schlattl et al. 2003, Thoul et al. 1994)

Vij(r) =

ZiZje2

r e

−r/λD. (1.35)

I coefficienti di diffusione saranno in genere una funzione della frazione in massa degli elementi, delle cariche, della densit`a e della temperatura. Diverse approssi-mazioni conducono a diversi valori dei coefficienti e dunque delle velocit`a diffusive. Bahcall & Loeb (1990) hanno assunto un valore del logaritmo di Coulomb costante e pari a 2.2 (valore significativo nel sole) e hanno trascurato i termini di calore; il coefficiente termico `e inoltre ricavato per fit dai dati di Aller & Chapman (1960)e Montmerle & Michaud (1976), conducendo ad un errore anche del 70% (non ne-cessariamente significativo, almeno nel caso del sole dove il termine di velocit`a

(16)

Figura 1.1: Confronto tra le velocit`a diffusive nel Sole. Le linee solide si riferiscono ai risultati esatti (vedi testo), le linee a tratto breve ai risultati di Bahcall & Loeb, le linee a tratto lungo ai risultati di Michaud & Proffitt. a)

idrogeno, b) ossigeno, c) ferro. Figura tratta da Thoul et al. (1994).

diffusiva dovuto al gradiente termico `e minore rispetto agli altri contributi). Mi-chaud & Proffitt (1993) hanno risolto le equazioni di Burgers con e senza i termini di calore, usando un valore del logaritmo di Coulomb ricavato nell’approssimazione di ioni completamente ionizzati, collisioni solo tra H ed He e trascurabilit`a delle specie pi`u pesanti.

1.4

L’accelerazione radiativa

Sia Fν il flusso uscente di energia radiativa per unit`a di frequenza e di tempo

all’in-terno di una stella, e sia σν(l) la sezione d’urto di interazione radiazione-materia

(con trasferimento di impulso all’atomo) per un generico atomo dell’elemento i. L’impulso trasferito all’atomo per unit`a di tempo (e dunque la forza radiativa agente su di esso) `e dato da

ξ(i) = 1 c

0

Fνσν(i)dν (1.36)

e dunque, se M (i) `e la massa dell’atomo, l’accelerazione radiativa `e data da

g(i) = ξ(i)

(17)

Sia fi l’abbondanza numerica frazionaria di ciascun elemento:

fi =

ni

ntot

(1.38) dove ni `e la densit`a numerica dell’elemento i e ntot la densit`a numerica totale. La

sezione d’urto totale di interazione radiazione-materia `e dunque data da (Seaton et al., 1994, 2004, 2005, 2007) σν(op) = Ni=1 fiσν(i). (1.39)

La relazione che lega opacit`a e sezione d’urto `e

kνρ = nσν(op) (1.40) da cui = n ρσν(op)≡ σν(op) ⟨M⟩ (1.41)

dove si `e introdotta la massa molecolare media ⟨M⟩. Negli interni stellari, dove la profondit`a ottica assume valori elevati, l’equazione del trasporto radiativo pu`o essere risolta nell’approssimazione di diffusione (Mihalas 1978), fornendo come risultato = 3 1 kνρ dBν dT dT dr, (1.42)

essendo Bν la funzione di Planck:

= 2h c2 ν3 exp ( kBT ) − 1. (1.43)

Integrando in frequenza si ottiene il flusso radiativo totale

F = 0 Fνdν =− 3 1 ρkR dB dT dT dr (1.44) essendo B =0∞Bνdν = 4

15c2h3(kBT )4, e kR l’opacit`a media di Rosseland definita

dalla relazione 1 kR dB dT = ∫ 0 1 dBν dT dν. (1.45)

Dal confronto tra la (1.42) e la (1.44) si ha

= kR fνF (1.46) essendo = h kBT 15 4 ( kBT )4 exp ( kBT ) ( 1− exp(− kBT ) )−2 (1.47)

(18)

Tenendo conto della (1.41) si pu`o infine scrivere l’accelerazione radiativa nella forma grad(i) = 1 c ⟨M⟩ M (i)kRγ(i)F (1.48)

dove γ(l) `e la quantit`a adimensionale

γ(i) = 0 σν(i) σν(op) fνdν. (1.49)

Un modo equivalente di esprimere l’accelerazione radiativa `e (Richer et al., 1998)

grad(i) = Lrad 4πr2c kR Xi 0 ku ku(total) f (u)du. (1.50)

dove Lrad `e la luminosit`a dovuta alla sola radiazione, ku l’opacit`a monocromatica

di ciasun elemento e ku(total) l’opacit`a totale. Nel limite di piccola abbondanza

dell’elemento i, il flusso `e circa indipendente dall’abbondanza i-esima Xi; nella

(1.49) diventa trascurabile il contributo dell’elemento a denominatore, rimanendo dunque la sola dipendenza a numeratore; poich´e kνi ∝ Xi si pu`o vedere dalla (1.50)

che in tal limite l’abbondanza dell’elemento si semplifica: l’accelerazione radiativa assume quindi un valore costante, che rappresenta il massimo per quell’elemento. All’aumentare di Xi si ha che i fotoni devono distribuirsi su un pi`u alto numero di

atomi dell’elemento in esame, dunque grad(i) diminuisce. In generale una grande

abbondanza delle specie conduce ad un grande aumento dell’opacit`a, conducendo ad un pi`u piccolo flusso monocromatico e dunque alla diminuzione delle grad. Nel

limite in cui l’elemento i diventa molto abbondante, esso tende a fornire tutta l’opacit`a del mezzo e dunque la frazione nella (1.50) (e la (1.49)) tende ad assumere valore unitario; in tal caso grad(i)∝ Xi1 (saturazione del flusso, Cox et al., 1983).

Ogni elemento possiede diversi stati di ionizzazione, ciascuno dei quali caratteriz-zato da un diverso grado di interazione con la radiazione e dunque da una propria accelerazione radiativa. La procedura adottata `e dunque quella di mediare le accelerazioni radiative tra i vari stati di ionizzazione:

grad(i) =

kNkDkgrad,k

kNkDk

(1.51) essendo Dk e Nk rispettivamente il coefficiente di diffusione e l’abbondanza

nu-merica relativo al k-esimo stato di ionizzazione. Il coefficiente di diffusione di uno ione di carica Zk varia circa come Zk−2, e il coefficiente di diffusione dell’atomo

nello stato neutro `e ≈ 102 volte quello dello ione ionizzato una volta. g

rad(i)

di-pende non solo dall’abbondanza dell’elemento i-esimo, ma anche dall’opacit`a delle altre specie presenti, le quali hanno effetto anche sul flusso radiativo; l’accelera-zione radiativa ha dunque andamento nonlineare rispetto all’abbondanza di ogni elemento, oltre che dalla temperatura.

Un’altra correzione da apportare `e data dalla fotoionizzazione, in quanto l’impulso posseduto dallo ione fotoionizzato deve esser corretto tenendo conto dell’impulso dell’elettrone espulso. Tale correzione richiede pure complessi calcoli di meccanica

(19)

Figura 1.2: Accelerazione radiativa del ferro in un modello stellare con Teff =

9800 K per diverse abbondanze di ferro rapportate al caso solare. Figura tratta da LeBlanc (2010).

quantistica; per i nostri scopi, comunque, gli effetti della fotoionizzazione sono tenuti in considerazione nelle opacit`a monocromatiche che ci sono fornite. La di-stribuzione di impulso tra elettrone espulso e ione `e dovuta alla “memoria” che conserva il sistema della direzione del fotone incidente; essendo i fotoni diretti radialmente, la distribuzione di emissione del fotoelettrone non `e esattamente iso-tropa. Tale effetto `e dell’ordine di v/c (essendo v la velocit`a dell’elettrone), ma il rapporto tra impulso dell’elettrone e del fotone `e dell’ordine di c/v, rendendo non trascurabile la correzione da impulso ceduto al fotoelettrone. Richer et al. (1997) hanno mostrato che, per la shell n di uno ione idrogenico, la frazione fion

di impulso del fotone presa dallo ione `e

fion= 1 8 5 ( 1−νn ν ) (1.52) essendo hνn l’energia di ionizzazione della shell. In certe condizioni di

tempera-tura e densit`a tipiche degli interni stellari tale rinculo pu`o far s`ı che lo ione sia spinto verso l’interno invece che verso l’esterno (caso del litio, Richer et al. 1997); l’elemento dunque va soggetto ad un’accelerazione radiativa negativa. In questi casi, comunque, l’accelerazione radiativa `e trascurabile rispetto alla gravit`a, per cui non si commette un grosso errore trascurando il fenomento di rinculo.

L’accelerazione radiativa `e funzione anche della profondit`a nella stella: a seconda della coordinata radiale r in considerazione si ha infatti una diversa temperatura, e dunque una diversa distribuzione dei possibili stati di ionizzazione degli elementi, ciascuno dei quali caratterizzato dalla propria opacit`a monocromatica. L’accele-razione radiativa mostra un calo laddove l’elemento assume la configuL’accele-razione da gas nobile (figura 1.2).

(20)

1.4.1

Inserimento nelle equazioni diffusive

L’inserimento della levitazione radiativa nelle equazioni di Thoul et al. (1994) ri-chiede di aggiungere un termine, per ogni elemento, proporzionale all’accelerazione radiativa, secondo il seguente schema (Hu et al., 2011):

P K0 ( αi dlnP dr + νi dlnT dr + sj=1,j̸=e,2 γij dlnCj dr αimigrad,i kBT ) = 2s+2j=1ijWj (1.53)

Si definisce dunque il vettore brad contenente le accelerazioni radiative (equazione

(1.53)): brad = 1 kBT   α1m...1grad,1 α2s+2m2s+2grad,2s+2 = − 1 kBT         α1m1grad,1 ... αsmsgrad,s 0 ... 0         = 1 kBT VR

dove si `e tenuto conto che ci sono s elementi, dunque sono nulli i termini del vettore di posto k ={s + 1, ... , 2s + 2}. Se le equazioni di Thoul et al. erano scrivibile come

P K0

b = ∆· w (1.54)

dove b rappresenta la somma dei termini standard (equazione (1.17)), ora si ha

P K0 (b + brad) = ∆· w. (1.55) Si ha dunque w = P K0 ∆−1· (b + brad) = P K0 ∆−1· b + P K0

−1· brad = wThoul+ wrad. (1.56)

Quindi la velocit`a diffusiva `e data dalla somma della velocit`a standard di Thoul e dal termine radiativo. Inoltre

wrad = P K0 ∆−1· brad = P K0 ( 1 kBT−1VR ) = P K0 AR kBT (1.57) essendo AR il coefficiente di diffusione radiativa. La funzione di diffusione

modi-ficata `e

ξi = ξT houl(i) + ξ(i)rad = Ap(i)

∂lnP ∂r + AT(i) ∂lnT ∂r + ∑ j̸=e,2 Aj(i) ∂lnCj ∂r + AR(i) kBT . (1.58)

Le accelerazioni radiative vengono dunque passate alla routine risolutiva di Thoul, modificata in modo da aggiungere la costruzione del vettore VR e da richiedere la

(21)

soluzione dell’equazione aggiuntiva

VR=−∆ · AR. (1.59)

1.4.2

Incertezze sui calcoli radiativi

Le sezioni d’urto σ(ν) necessarie a valutare le accelerazioni radiative richiedono opportuni calcoli di meccanica quantistica; ci sono dunque, in primis, incertezze legate agli input fisici ed alle tecniche di calcolo utilizzate per ricavare tali se-zioni d’urto. Poich´e l’opacit`a e il flusso sono dominati da righe atomiche strette `

e richiesto un fitto campionamento in frequenza della funzione integranda nella

1.49; l’irregolarit`a e variabilit`a dell’integrando pongono, poi, un problema di tipo computazionale, in cui il risultato finale `e affetto da errore di tipo numerico. Gli autori che forniscono i dati e le routine di elaborazione non indicano i valori delle incertezze associate, se non qualche valore generico relativo alla bont`a di alcune grandezze e di alcuni risultati numerici. Per esempio, i dati atomici di Opacity Project (Seaton 1997, da noi usati in questo lavoro) relativi alle transizioni coin-volte nei processi di assorbimento fotonico sono affetti da errori dell’ordine del 10% o pi`u, mentre gli integrali necessari a calcolare le accelerazioni radiative (formule

1.48 e 1.49) sono calcolati con precisione dell’1-2% (Seaton 1997). Ma questi nu-meri non ci permettono comunque di conoscere i livelli di errore delle accelerazioni radiative.

Un tipo di controllo che si pu`o fare `e quello di confrontare i valori delle accelerazioni radiative ottenute usando dati e routine forniti da gruppi diversi. Il problema della non dichiarazione delle incertezze non investe solo il calcolo delle accelerazioni radiative: le opacit`a radiative, per esempio, servono a calcolare le grad ma ancor

prima sono necessarie per risolvere le equazioni di struttura stellare. Anche in tal caso si pu`o solo confrontare i valori derivanti da database diversi (Valle et al. 2012, Seaton et al. 2004). Come vedremo in seguito esistono due database di opacit`a monocromatiche che consentono di calcolare le accelerazioni radiative: OPAL (Iglesias et al. 1996) e OP. La differenza nei calcoli e negli input fisici che caretterizza i due sistemi si traduce necessariamente in una differenza dei valori di grad che si ottengono usando uno o l’altro. I vari gruppi non forniscono

informazioni sui valori di incertezza cui `e soggetta grad a causa delle incertezze

fisiche e delle approssimazioni di calcolo; `e tuttavia possibile confrontare i risultati ottenuti dai vari lavori. In figura 1.3 vediamo un esempio di questi confronti. Delahaye et Pinsonneault (2005) hanno effettuato altri confronti fra le accelerazioni ottenute coi due sistemi, adoperando le opacit`a monocromatiche di OPAL quando disponibili e usando i dati pubblicati in altri lavori negli altri casi. Nel caso del carbonio, `e stato trovato che le differenze di valore in opacit`a media di Rosseland tra OPAL e i dati recenti OP sono entro il 12%, ed inferiori al 30% nel confronto tra i dati OP attuali (quelli di cui facciamo uso in questo lavoro) e quelli antecedenti all’inclusione degli effetti di transizioni da shell interna (Delahaye et al., 2005). Le accelerazioni radiative ottenute coi dati OP recenti differiscono fino al 17% rispetto

(22)

Figura 1.3: Accelerazioni radiative ricavate da OPAL (linee piene) e da OP (linee puntate) per un modello stellare con Teff = 10000 K e logR =−3. Figura

da Michaud et al. (2008).

ad OPAL e fino al 30% rispetto ad OP prima dell’inclusione delle transizioni inner-shell. Allargando il piano ρ− T di analisi la discrepanza coi dati OP vecchi arriva al 40%, salendo per elementi pi`u pesanti al 60% per il Si, 65% per S e Fe. Il confronto `e stato eseguito anche su calcoli di modellistica stellare. Altre analisi sulla differenza tra i dati OPAL e OP si trovano in Valle et al. 2012, e sono riportati in figura 1.4.

Le discrepanze, sia tra i valori che dai risultati dei modelli, possono essere dovuti a diversi fattori: diverse assunzioni e approssimazioni fisiche, diverso codice di evoluzione stellare, campionamento della funzione integranda (che si ripercuote pi`u sulla funzione γ che su kR), e quindi per il momento sono da considerarsi

come incertezze sistematiche intrinseche al calcolo dei coefficienti di accelerazione radiativa.

(23)

Figura 1.4: Plot nel piano (logT, logR) della quantit`a (kOP ALr −krOP)/krOP AL,

essendo kr l’opacit`a radiativa, per diverse composizioni chimiche. Sono riportati

i cammini evolutivi di diverse parti della stella, identificate dalla frazioni in massa indicate nei riquadri. Figura tratta da Valle et al. (2012).

(24)
(25)

Effetti della diffusione nelle stelle

La composizione chimica nei modelli di evoluzione stellare varia rispetto alla com-posizione originaria innanzitutto a causa delle reazioni nucleari, che bruciano ele-menti leggeri producendone altri pi`u pesanti, su tempi scala nucleari, molto mag-giori dei tempi scala termodinamici. Nelle zone in cui `e presente convezione la materia viene rimescolata ed omogeneizzata su tempi scala meccanici, general-mente molto minori di quelli termodinamici (appendice B). A questi processi si aggiungono i fenomeni di diffusione microscopica. Storicamente si `e iniziato ad includere la diffusione nei modelli quando studi eliosismologici, che aggiungevano nuove osservabili di cui i modelli dovevano tener conto, hanno mostrato la ne-cessit`a di includere tale fenomeno per accordare teoria ed osservazioni sui valori di abbondanza superficiale di elio e di profondit`a della base della zona convetti-va nel Sole (Bahcall, 1995). In questo capitolo illustro gli effetti della diffusione microscopica nelle stelle.

2.1

Effetti generali della diffusione

La diffusione `e un fenomeno che modifica la distribuzione interna degli elementi (e quindi la struttura interna della stella) su tempi scala del miliardo di anni, dunque i suoi effetti saranno non trascurabili per stelle di piccola massa, le quali hanno lunghi tempi evolutivi in fase di combustione di idrogeno centrale; gli ammassi globulari galattici costituiscono dunque un buon campione per lo studio degli effetti diffusivi. La diffusione determina inoltre, su tempi scala minori (107÷ 108 anni), variazioni delle abbondanze superficiali degli elementi: tipicamente, per stelle di sequenza principale, l’abbondanza superficiale di idrogeno aumenta mentre quella degli elementi pi`u pesanti diminuisce a causa della sedimentazione gravitazionale. Osservativamente possiamo determinare solo la composizione superficiale di una stella; in assenza di fenomeni di bruciamento e di rimescolamento che coinvolgono gli strati superficiali ci attendiamo che l’abbondanza degli elementi sia uguale a quella della nube originaria. In realt`a possiamo osservare delle discrepanze tra le abbondanze attese e quelle osservate: questo spinge a studiare eventuali fenomeni

(26)

interni di trasporto e/o di creazione/distruzione degli elementi, fra cui appunto il fenomeno diffusivo. Elementi che rivestono particolare importanza in questo sce-nario sono gli elementi leggeri, Li, Be, B, che bruciano a temperature relativamente basse (qualche milione di Kelvin) e la cui abbondanza rilevata `e dunque indice dei processi di trasporto all’interno delle stelle (come la convezione) che possono por-tarli in regioni pi`u calde dove vengono bruciati. Da notare che le stelle, tranne rare eccezioni, consumano tali elementi leggeri senza produrli.

La diffusione viene contrastata dai rimescolamenti convettivi di materia, che si verificano in condizioni di elevata opacit`a della materia stellare e/o elevato flusso energetico. Al diminuire della massa stellare aumentano i tempi evolutivi, consen-tendo ai meccanismi diffusivi di agire con maggiore efficienza, ma aumenta anche l’estensione della zona convettiva; dai modelli evolutivi si `e visto che la diffusione microscopica, per metallicit`a tipiche di ammasso globulare (Z ∼ 10−4), massi-mizza i suoi effetti attorno a 0.8 M (Castellani et al. 1997). Da notare che la metallicit`a pure influenza gli effetti della diffusione: maggiore metallicit`a impli-ca maggiore opacit`a, quindi maggiore estensione della zona convettiva e dunque maggiore contrasto del trasporto diffusivo. Come spiegato in appendice C, una stella in fase di bruciamento centrale di idrogeno inverte ad un certo punto il suo cammino nel diagramma HR, portandosi a minore temperatura efficace (Turnoff); la base dell’inviluppo convettivo comincia ad affondare rimescolando la materia, ripristinando cos`ı le abbondanze superficiali originarie.

La situazione `e pi`u articolata in quanto, anche a parit`a di massa stellare, l’esten-sione della zona convettiva non `e costante nel tempo. Nelle fasi iniziali di pre-sequenza, ad esempio, le stelle sono completamente convettive, mentre per stelle non troppo piccole (orientativamente M ≥ 0.3 M) col passare del tempo la con-vezione diminuisce la sua estensione e, nel corso dell’evoluzione, si avranno zone radiative e convettive all’interno della stella (ad esempio in sequenza principale si avr`a nuclero radiativo ed inviluppo convettivo per le stelle di sequenza princi-pale inferiore, viceversa per le stelle di sequenza principrinci-pale superiore). La fase di sequenza principale rappresenta la fase pi`u lunga dell’evoluzione stellare, dunque in tale lasso di tempo si attendono i pi`u importanti effetti diffusivi. La diffusione tende principalmente a portare idrogeno in superficie ed elementi pi`u pesanti verso il centro (sedimentazione gravitazionale); cos`ı aumenta il peso molecolare medio nelle zone centrali dove avvengono le reazioni nucleari, e dunque (per la legge dei gas perfetti, valida con buona approssimazione in fase di sequenza principale) la temperatura deve aumentare per supportare meccanicamente la struttura, incre-mentando il rate delle reazioni nucleari. La diminuzione dell’abbondanza di elio nelle regioni esterne causa un aumento dell’opacit`a nell’inviluppo, con conseguen-te aumento del raggio della struttura e quindi con diminuzione della conseguen-temperatura efficace Teff (Chaboyer et al. 2001).

Il trattamento della diffusione `e importante anche ai fini della determinazione di et`a e distanze stellari. In appendice C viene spiegato cosa `e un’isocrona e la procedura di determinazione dell’et`a di un ammasso stellare. In figura 2.2 viene mostrato un esempio di confronto tra alcune isocrone, calcolate per diverse et`a con e senza diffusione microscopica; come si pu`o vedere, a parit`a di et`a l’isocrona

(27)

Figura 2.1: Confronto tra le tracce evolutive con e senza diffusione per una 0.8 M, Z = 4× 10−4. ND `e la traccia senza diffusione, in M1 diffonde solo l’elio e in M2 la diffusione `e trattata in modo completo. Figura tratta da

Degl’Innocenti (2010).

calcolata senza diffusione giace a maggiori temperature efficaci, e la sua luminosit`a di Turn Off `e maggiore rispetto a quella non diffusiva. Fissato dunque il diagramma colore-magnitudine di un ammasso, il fitting tramite isocrone calcolate includendo la diffusione richiede di diminuire l’et`a rispetto al caso senza diffusione. Nel caso di ammassi globulari galattici, la diminuzione nell’et`a calcolata `e di circa 1 Gyr. Le incertezze associate all’efficienza della diffusione causano inoltre un’incertezza nella calibrazione della luminosit`a di Turn Off, ed in termini di et`a il Turn Off diventa incerto a livello di 0.5÷0.7 Gyr quando l’et`a `e di 10 Gyr; la situazione peggiora ulteriormente all’aumentare dell’et`a.

2.1.1

Effetti sul Sole

Il Sole `e la stella pi`u vicina a noi, e per questo possiamo studiarne le caratteristiche fisiche e chimiche con particolare dettaglio; essendo inoltre una stella di piccola massa e trovandosi a circa met`a dalla propria fase di sequenza principale, con un’et`a di circa 5 Gyr, gli effetti diffusivi hanno avuto il tempo di agire fino ad oggi.

(28)

Figura 2.2: Isocrone con e senza diffusione microscopica, calcolate a Z=0.0006, Y=0.23. Figura tratta da Degl’Innocenti (2010).

Il Sole presenta moti di oscillazione dovuti ai moti convettivi interni; l’eliosismolo-gia `e la scienza che studia tali moti e che permette di dedurre preziose informazioni sulla struttura interna, non altrimenti disponibili in altri modi. In particolare, dal-le misurazioni eliosismologiche `e stato possibile ricavare l’andamento della velocit`a delle onde sonore all’interno della stella, e da questa sono determinabili, tramite opportuni modelli, i valori di estensione della zona convettiva e di abbondanza su-perficiale di elio (quest’ultima non `e direttamente ricavabile dallo spettro solare in quanto le righe dell’elio nello stato fondamentale cadono nell’ultravioletto). Prima dell’avvento dell’eliosismologia, i modelli solari richiedevano di riprodurre, all’et`a attuale del Sole, i valori odierni di abbondanza superficiale (pi`u precisamente il rapporto Z/X fra l’abbondanza frazionaria in massa di metalli e quella di idro-geno), di luminosit`a (determinata dall’abbondanza originaria di elio) e di raggio (regolato dalla lunghezza di rimescolamento, vedere appendice B); le informazio-ni dispoinformazio-nibili grazie all’eliosismologia hanno aggiunto dunque ulteriori vincoli che devono essere rispettati dai modelli solari. Questo ha richiesto di includere nei modelli la diffusione microscopica, che fino ad allora era stata ritenuta trascura-bile in quanto processo lento ma che si `e dimostrata necessaria per poter ottenere accordo coi dati osservativi.

Nel Sole si verifica il gi`a citato effetto di sedimentazione gravitazionale dell’elio e dei metalli (nel Sole domina infatti la sedimentazione gravitazionale, mentre `e di minore entit`a l’effetto da gradiente termico, Thoul et al. 1994), con conseguente

(29)

aumento dell’opacit`a nelle regioni esterne e dunque maggiore estensione della zona convettiva; varia di conseguenza, rispetto al caso non diffusivo, il profilo della velocit`a del suono all’interno della stella.

Negli ultimi anni sono stati sviluppati nuovi modelli tridimensionali di atmosfera (es. Asplund et al. 2005, 2009); i valori solari di abbondanza di CNO e di al-tri elementi pesanti, ricavati dallo spettro solare con l’ausilio dei nuovi modelli, sono diminuiti rispetto alle stime del passato. Di conseguenza, usando le nuove abbondanze per calcolare i modelli `e emersa discrepanza tra il profilo teorico di velocit`a del suono e quello osservativo, soprattutto alla base della zona convetti-va (fino all’1%, Bahcall et al. 2005). Il raggio della base della zona convetticonvetti-va

RCZ = 0.726 R⊙ ricavato dai modelli solari standard (es. Bahcall et al. 2004) si

trova in disaccordo col valore misurato RCZ = 0.713± 0.001 R⊙ (es. Basu 1998)

Il problema rimane tutt’ora aperto: sono state proposte diverse soluzioni (aumen-to dell’efficienza diffusiva che possa ripristinare le abbondanze metalliche esterne senza influenzare quelle esterne osservate, variazione dell’opacit`a alla base della zona convettiva etc), ma nessuna delle soluzioni proposte finora elimina tutte le discrepanze.

2.1.2

Effetti in fase di HB

La fase di HB (Horizontal Branch, stelle che bruciano elio al centro) ha una durata relativamente breve rispetto alla vita stellare (∼ 108 anni); poich´e la diffusione richiede (almeno in fase di sequenza principale) tempi assai maggiori non ci si attenderebbe, a prima vista, un effetto importante della diffusione atomica durante tale fase evolutiva. Tuttavia la grande densit`a del nucleo impone di non escludere a priori l’importanza della diffusione microscopica, ed effettivamente secondo alcuni autori (Michaud et al. 2007, 2008b-c-d) la diffusione ha effetti non trascurabili. Come vedremo nei prossimi paragrafi, secondo questi autori anche la levitazione radiativa ha effetto, data anche l’alta temperatura (Teff ∼ 104 K). Secondi i

calcoli di Michaud et al. la diffusione porta la shell di combustione dell’idrogeno a migrare verso il nucleo; la diffusione, infatti, tende ad azzerare il gradiente chimico derivante dalla presenza di zone in cui gli elementi sono presenti in concentrazione diversa. Il mescolamento tra idrogeno e carbonio (quest’ultimo essendo prodotto dalla combustione di elio nel nucleo) causa l’innesco di un ciclo CN, inizializzato dalla reazione

12C + p13 N + γ

In tal modo si incrementa la luminosit`a di ZAHB rispetto al caso non diffusi-vo. Ci`o ha ripercussioni sulle stime di distanza in quanto la luminosit`a in fase di ZAHB, essendo circa costante al variare dell’et`a nel range di et`a degli ammassi globulari galattici, costituisce dunque un buon indicatore di distanza. In figura

2.3 `e riportata la definizione del parametro ∆V usato per stime di et`a, mentre in figura 2.4 possiamo osservare la variazione di ∆V in relazione a varie assunzioni sull’efficienza diffusiva. Proffitt & Vanderberg (1991) hanno suggerito che la di-minuzione di abbondanza superficiale di elio provocata dalla diffusione causa una

(30)

Figura 2.3: Definizione del parametro ∆V . Figura tratta da Degl’Innocenti 2010.

minor luminosit`a di HB; un modello che tiene conto di tale effetto implica dunque, in sede di confronto con le osservazioni, una diminuzione della distanza rispetto a quella ricavata in assenza di diffusione. I risultati di Michaud et al. di cui sopra indicano che, una volta in fase di HB, l’azione della shell di idrogeno compensa parzialmente questo effetto (la riduzione di luminosit`a di ZAHB diventa circa la met`a di quella trovata da Proffitt & Vanderberg).

2.2

La levitazione radiativa

Nel capitolo 1 `e stato spiegato che la diffusione microscopica ha origine da gra-dienti di pressione, temperatura e densit`a; un ulteriore termine diffusivo `e dovuto alla spinta radiativa esercitata dai fotoni che, prodotti nell’interno stellare, si pro-pagano verso l’esterno. Un fotone di frequenza ν, come noto, trasporta un impulso pari a hν/c. Propagandosi in un mezzo (nel nostro caso il gas stellare) i fotoni subiscono collisioni con le particelle del mezzo stesso, trasferendo loro impulso. Durante l’evoluzione stellare la levitazione radiativa agisce su ciascun elemento del plasma, in misura diversa a seconda dell’elemento (e quindi della sua configu-razione elettronica) e della sua densit`a; si ha dunque un effetto diffusivo, in cui

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Figura 2.4: Andamento del parametro ∆V = VTO− VHB in funzione dell’et`a,

al variare dell’efficienza diffusiva. Figura tratta da Degl’Innocenti 2010.

ogni elemento tende a migrare all’interno del gas in conseguenza dell’accelerazio-ne radiativa agente su di esso. Come abbiamo visto dell’accelerazio-nel capitolo 1 al paragrafo 1.4, l’accelerazione radiativa agente su ogni elemento `e quantificata dalla sezione d’urto σν o, equivalentemente, dall’opacit`a kν, legate tra loro dalla relazione 1.40.

Sebbene sia possibile dare una stima dell’opacit`a in alcune situazioni particolari, in generale tale grandezza sar`a una funzione complicata di densit`a e temperatura ottenibile solo con rigorosi calcoli di meccanica quantistica; le opacit`a vengono calcolate da appositi gruppi di ricerca e rese disponibili in forma tabulare, per un grigliato di temperature e densit`a su cui agire tramite opportune interpolazioni (capitolo4). Questi dati vengono poi inseriti in un codice di evoluzione stellare per calcolare le accelerazioni radiative (essendo dati i profili delle grandezze fisiche in un modello stellare) e, in seguito, le conseguenti velocit`a diffusive, come illustrato nel capitolo 1.

Ancor prima di ogni calcolo dettagliato ci si attende ovviamente che l’accelerazione radiativa cresca all’aumentare della temperatura della stella, e quindi divenga effi-ciente per strutture di maggior massa. Inoltre l’effetto diffusivo da essa prodotto, come i termini diffusivi standard, viene inibito dalla convezione; ricordando che quest’ultima `e tanto pi`u efficiente quanto maggiore `e la metallicit`a si deduce che la diffusione radiativa `e maggiormente efficiente in stelle di minore metallicit`a.

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Secondo i calcoli di alcuni autori (es. Richard et al. 2002), nelle stelle di popo-lazione II (stelle pi`u vecchie caratterizzate da minore metallicit`a) l’accelerazione radiativa diviene significativamente efficiente per le abbondanze esterne di metalli in masse non troppo piccole (M > 0.7M) a bassa metallicit`a ([Fe/H] <−2.3) in fase di sequenza principale, con Teff > 6000 K. L’effetto `e maggiormente marcato

verso il Turnoff, a causa della maggiore temperatura e della minore estensione della zona convettiva. In queste stelle la levitazione radiativa contribuisce a causare ab-bondanze superficiali di elementi discordanti da quanto previsto nei modelli senza levitazione. L’accelerazione radiativa che agisce su ogni elemento pu`o spingerlo ad entrare nella regione convettiva, e da l`ı sar`a trasportato in superficie. Come si pu`o vedere dalla figura (2.5), relativa ad una massa di 0.8 M e [Fe/H] =−2.3 (tipici valori di ammasso globulare) in fase di sequenza principale, l’accelerazione radiativa pu`o essere maggiore o minore di quella gravitazionale, a seconda dell’e-lemento ma anche della profondit`a nella stella. Dal momento che, per una stella in fase di sequenza principale, la convezione regredisce verso l’esterno col passare del tempo, per i vari elementi cambia nel tempo il rapporto grad/g alla base della

medesima, dando dunque origine a variazioni della composizione superficiale va-riabili nel tempo (figura2.6). Laddove l’accelerazione radiativa domina si avranno risalite dell’elemento in questione, quindi sovrabbondanze superficiali; comunque anche quando l’accelerazione radiativa non `e di molto inferiore alla gravit`a si ha un effetto di rallentamento della sedimentazione gravitazionale, originando variazioni delle abbondanze osservate.

Le simulazioni di altri autori (Chaboyer et al. 2001, Ramirez & Cohen 2003) hanno evidenziato che, in assenza di accelerazione radiativa, la sedimentazione gravita-zionale porta ad una diminuzione di 0.2-0.3 dex in [Fe/H] superficiale per ammassi globulari (tale risultato non `e tuttavia univocamente accettato in letteratura); per contro, l’inclusione dell’accelerazione radiativa non solo riduce la sedimentazione ma sviluppa addirittura sovrabbondanze (come nel caso del ferro) al turn off. Il confronto con le osservazioni produce risultati contraddittori: alcuni autori non riscontrano differenze di abbondanze tra il TO e il ramo delle giganti per diversi ammassi globulari (Gratton et al. 2001, Thevenin et al. 2001), altri s`ı (Korn et al. 2007, Lind et al. 2008). Inoltre il significato da attribuire a tali risultati non `e universalmente accettato: alcuni autori ipotizzano una inibizione della diffusione nelle regioni esterne delle stelle (pur rimanendo efficiente nel caso del Sole), altri asseriscono che l’abbondanza di ferro ed altri elementi pu`o essere conciliata con le osservazioni inserendo nei modelli accelerazione radiativa e meccanismi di diffu-sione turbolenta, oltre che tenendo conto delle incertezze in temperatura efficace e degli errori osservazionali (Richard et al. 2001).

In stelle di Popolazione I (stelle giovani dotate di metallicit`a pi`u alte) e di massa

M ≥ 1 M si ha, secondo alcuni autori (Richard et al. 2001, Turcotte et al. 1998), un ulteriore effetto strutturale consistente nella comparsa di una zona di cosiddetta “convezione del ferro”, soprattutto nelle stelle a metallicit`a solare e massa maggiore di ∼ 1.5 M. A temperatura T ∼ 105 K il ferro fornisce il maggior contributo all’opacit`a; l’elemento viene spinto dall’accelerazione radiativa nelle regioni pi`u superficiali dove grad(Fe) comincia a decrescere, e si ha dunque

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Figura 2.5: Accelerazioni radiative e gravitazionali per diversi elementi in una stella di 0.8 Me [F e/H] =−2.3, a diverse epoche indicate nella seconda figura. Le linee verticali indicano la posizione della base della zona convettiva, ∆M `e la massa della shell sferica esterna al raggio r. Figura tratta da Richard et al.

(2002)

origine ad una zona di convezione (Richer et al. 2000, Richard et al. 2001). Nelle zone dove la temperatura `e leggermente superiore a 2×105 K si ha che He, Ca e K

sedimentano, mentre gli elementi del gruppo del ferro vengono spinti verso l’esterno dalla levitazione radiativa, portando ad anomalie nelle abbondanze superficiali simili a quelle rilevate nelle stelle AmFm (Richer et al. 2000); per ottenere accordo fra teoria ed osservazioni viene introdotto nei modelli un ulteriore rimescolamento superficiale di materia (in una regione di 10−6÷ 10−5 M) a carattere turbolento che inibisce opportunamente gli effetti diffusivi.

In generale, comunque, come vedremo anche pi`u avanti, le osservazioni suggeri-scono la presenza di meccanismi idrodinamici che inibiscuno la diffusione nelle regioni esterne delle stelle. Il problema dell’efficienza della diffusione (e dunque anche della levitazione radiativa) rimane quindi tuttora aperto.

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Figura 2.6: Abbondanze superficiali per diversi elementi in stelle di Popola-zione II con masse 0.5-0.9 M e metallicit`a [F e/H] = −2.3. Figura tratta da

Richard et al. (2002)

2.2.1

Effetti in fase di HB

Le stelle in fase di HB con temperatura efficace Teff < 11000 K mostrano

abbon-danze superficiali compatibili con quelle riscontrate nel ramo delle giganti (Behr et al. 1999, 2000, Behr 2003), mentre quelle con Teff maggiore mostrano notevoli

sovrabbondanze di metalli rispetto al calcolo in assenza di diffusione radiativa; il ferro, per esempio, pu`o avere sovrabbondanze di 50− 100 volte il valore iniziale (l’elio, invece, sedimenta a causa della forte gravit`a; da ricordare infatti che l’ac-celerazione radiativa che agisce su un elemento dipende anche dalle caratteristiche atomiche dell’elemento stesso ed aumenta con il numero atomico). Inoltre ci sono indicazioni per cui alcune stelle di HB di minore temperatura efficace sembrano essere rotatori veloci (Behr, 2003), e la rotazione `e un meccanismo che pu`o in-fluire sulle abbondanze osservate; poich´e le stelle che mostrano sovrabbondanze sono invece rotatori lenti (e con maggiore temperatura efficace) si pensa che per queste stelle possano essere attivi meccanismi di trasporto di levitazione radiativa, responsabili delle sovrabbondanze osservate.

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Figura 2.7: Abbondanze degli elementi in una stella HB di 0.61 M a 30 Myr

dalla ZAHB (X0abbondanza in ZAHB). La scala radiale `e lineare, la coordinata

in massa `e indicata a sinistra dalla variabile log(∆M/M⋆) essendo ∆M la massa

della shell sferica esterna punto considerato. Figura tratta da Michaud et al. (2008).

al. 2008, con le abbondanze interne illustrate tramite la scala di colori spiegata nella legenda; possiamo vedere come la levitazione radiativa agisca soprattutto sui metalli, determinandone l’accumulo nelle regioni superficiali. L’inclusione nei mo-delli della diffusione atomica comprensiva della levitazione radiativa produce un certo grado di accordo con le osservazioni (figura2.8). Rimangono tuttavia alcune discrepanze, come visibile dalla stessa figura 2.8; alcune abbondanze teoriche pos-sono essere superiori a quanto effettivamente osservato. Per ridurre le discrepanze Michaud et al. 2008 introducono nei modelli un rimescolamento turbolento di ma-teria nelle regioni esterne della stella (circa 10−7 M⋆); con questa calibrazione si

ottengono in generale buoni risultati in termini di accordo tra abbondanze teoriche ed osservate (soprattutto per diversi metalli), indicando la plausibilit`a dei modelli proposti; tuttavia permangono alcune discrepanze, per spiegare le quali si ipotiz-zano ulteriori meccanismi (effetti di rotazione anche nei rotatori lenti, scostamenti dall’equilibrio termodinamico in atmosfera che condurrebbero a sottoabbondanze di alcuni elementi minori di quelle calcolate).

La turbolenza viene inclusa nei modelli ma senza che sia ancora chiara la ragione fisica per cui si genera; effetti di overshooting, di moti convettivi e di rotazione sono i principali candidati per l’origine della turbolenza. Il problema della turbolenza sar`a trattato con maggiore dettaglio pi`u avanti nel lavoro (capitoli5, 6, 7).

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