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La pericolosità sociale tra misure di sicurezza e misure di prevenzione

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione

Capitolo I

La pericolosità sociale: profili storici

1. Il punto di vista della Scuola Classica e della Scuola Positiva

2. Il contributo della Scuola Eclettica e della Nuova Difesa Sociale

3. La pericolosità dei “folli” interessa anche la psichiatria

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Capitolo II

Il tramonto o una nuova alba delle misure di

sicurezza personali?

1. La natura e la funzione delle misure di sicurezza personali

2. Le misure di sicurezza a confronto con i principi costituzionali e l’abolizione delle presunzioni di pericolosità

3. Le misure di sicurezza personali

4. La crisi delle misure di sicurezza: il controllo del soggetto pericoloso attraverso la “pluralità di binari”

5. Il futuro delle misure di sicurezza nell’ordinamento italiano e negli ordinamenti degli Stati Europei

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7. Le garanzie per l’applicazione delle misure di sicurezza previste della Corte Costituzionale e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

8. La “riforma Orlando” e le proposte di modifica della disciplina delle misure di sicurezza

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Capitolo III

Misure di sicurezza e infermità mentale: tra cura e

custodia

1. Il trattamento dell’infermo di mente dai manicomi criminali al Codice Rocco

2. Gli Ospedali Psichiatrici Giudiziari e il vento di cambiamento della legge Basaglia

3. OPG e profili di costituzionalità

4. L’insufficiente scopo curativo degli OPG

5. I modelli teorici del trattamento dell’infermità mentale-pericolosità

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7. Il percorso legislativo per la chiusura degli OPG e la nascita delle REMS

8. I timori della dottrina all’indomani della legge n. 81 del 2014

9. La Corte Costituzionale chiarisce la ratio della legge n. 81 del 2014 sui criteri di accertamento della pericolosità sociale

10. La “riforma Orlando” per i soggetti non imputabili e e semi-imputabili

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Capitolo IV

Le misure di prevenzioni personali tra critica e

necessità preventiva

1. Lo sviluppo storico delle misure di prevenzione

2. L’entrata in vigore della Costituzione e i problemi di costituzionalità del sistema preventivo.

3. L’intervento della Corte Costituzionale

4. La legislazione delle misure di prevenzione e le sue criticità

5. La discussa natura delle misure di prevenzione

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7. Le perplessità sulla formulazione delle categorie preventive

8. Le misure di prevenzione personali

9. La tenuta delle misure di prevenzione all’interno del tessuto costituzionale

10. Le pronunce della CEDU riguardo il sistema preventivo

11. La sentenza De Tommaso: un auspicabile punto di partenza

(8)

Capitolo V

Il giudizio di pericolosità

1. Il problematico accertamento della pericolosità sociale

2. Metodi per la prognosi di pericolosità

3. Il giudizio di pericolosità e misure di sicurezza

4. La perizia psichiatrica nell’accertamento della pericolosità sociale

5. L’accertamento della pericolosità sociale e misure di prevenzione

6. Concludendo...

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Introduzione

Il presente lavoro affronta le problematiche questioni attinenti alla pericolosità sociale, come categoria giuridica sulla quale si fondano le misure di sicurezze e le misure di prevenzione.

Nella sua evoluzione storica la pericolosità sociale, che si è affacciata al diritto penale con le ideologie della Scuola Positiva, sostituiva il principio di responsabilità individuale basato, fino ad allora, secondo la concezione della Scuola Classica, sul rapporto diretto tra colpevolezza e pena.

La finalità del sistema penale doveva essere la risposta alle esigenze di difesa sociale della collettività, applicando ai soggetti considerati pericolosi le misure di sicurezza, e non più le pene, in quanto più adeguate allo scopo preventivo. L’autore di reato veniva valutato in relazione alla sua personalità e alle sue condizioni socio-ambientali, considerando la probabilità che potesse commettere ulteriori fatti criminosi nel futuro.

Il Codice Rocco del 1930, cercando un compromesso tra le due concezioni, imposta il sistema sanzionatorio sul “doppio binario”, affidando la funzione retributiva alla pena e la funzione preventiva alla misura di sicurezza.

Tale struttura ha conosciuto la crisi con l’entrata in vigore della Costituzione, ed infatti anche i progetti di riforma al codice penale hanno previsto la sopravvivenza del doppio binario solo nei confronti dei soggetti non imputabili, ritenendo che per i soggetti imputabili le

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finalità preventive possano essere ben assolte dalla pena, ecco perché si passa ad un sistema a “plurimi binari”.

Sembra che, in effetti, le misure di sicurezza vivano un momento di profonda crisi nel nostro ordinamento, come si riscontra dalla prassi applicativa; lo stesso non si può dire se si volge lo sguardo agli altri ordinamenti europei, nei quali, al contrario, tali misure stanno vivendo una rinascita.

Nel proseguo del presente lavoro si esamina la situazione dei soggetti non imputabili per infermità mentale e l’applicazione delle misure di sicurezza nei loro confronti, con particolare attenzione alla struttura degli ospedali psichiatrico-giudiziari. Questi ultimi vengono esaminati vagliando la loro funzionalità rispetto alle esigenze custodiali e terapeutiche.

La doverosa critica attorno a tali istituti, in quanto più segregativi e neutralizzanti che terapeutici per gli internati, ha condotto alla chiusura dei manicomi civili con la legge Basaglia, che si è certamente fatta portatrice di una mutata visione dell’infermo di mente non solo nel mondo del diritto e della psichiatria, ma anche per la società, così da spezzare quell’antico binomio tra malattia mentale e pericolosità sociale.

Di grande importanza è stata la “Commissione Marino”, che nel 2011, ha effettuato ispezioni negli ospedali psichiatrici giudiziari nazionali e ha portato alla luce una triste e vergognosa realtà riguardo le condizioni degli internati in tali strutture, in cui la dimensione umana e civile veniva sacrificata in nome della difesa della collettività attraverso la neutralizzazione degli stessi.

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Si è quindi arrivati all’emanazione della legge n. 81 del 2014, che ha previsto la chiusura degli OPG, sostituiti dalle REMS (residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza), e ha introdotto la previsione di una durata massima della misura di sicurezza, in modo da scongiurare il fenomeno degli “ergastoli bianchi”.

La dottrina e la giurisprudenza hanno ravvisato, in tale legge, la modifica ai criteri dell’accertamento della pericolosità sociale, smentita, però, dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 186 del 2015.

Si analizza la “Riforma Orlando”, legge n. 103 del 2017, in relazione alle modifiche alla disciplina delle misure di sicurezze personali per i soggetti imputabili e non imputabili, e le proposte presentate dai lavori del Tavolo 11, purtroppo rimaste sulla carta, in quanto non trasfuse in un decreto legislativo dal Governo, nonostante da più parti si richiedesse una revisione della materia delle misure di sicurezza personali.

Continuando, la tesi esamina il sistema delle misure di prevenzione, anch’esse fondate sulla pericolosità sociale del soggetto, attraverso le quali lo Stato tenta di dare risposte alle esigenze di difesa sociale, ma a discapito delle libertà individuali dei preposti.

Ci si interroga sulla compatibilità del sistema preventivo con i principi costituzionali, soprattutto considerando che l’applicazione di tali misure si fonda su responsabilità indiziarie fino ad arrivare, talvolta, al mero sospetto. Tale sistema non valuta il fatto, che comunque, a differenza di quanto accade per le misure di sicurezza, non costituisce un fatto di reato, ma guarda al soggetto e al suo

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comportamento rispetto alla volontà del legislatore e ai valori dell’ordinamento e della società; certo si sono abbandonate le categorie di prevenzione più obsolete, data l’evoluzione storico-culturale, ma rimane il fatto che le misure di prevenzione vengono utilizzate dal legislatore per dare risposta alle esigenze di sicurezza contingenti, sacrificando la compatibilità del sistema preventivo con i principi di tassatività e determinatezza, che dovrebbero sempre informare uno Stato civile, il cui scopo deve essere sì la sicurezza pubblica, ma anche la garanzia dei diritti di libertà del singolo, anche nei confronti dell’Autorità.

Il lavoro si conclude con l’analisi del difficoltoso accertamento della pericolosità sociale per l’applicazione delle misure di sicurezza e di quelle preventive.

In tale quadro il giudice certamente ha pochi riferimenti legislativi e ausili, con la conseguenza che su di lui incombe la responsabilità di accertare la pericolosità sociale e di applicare conseguentemente la misura, con il solo possibile aiuto della perizia psichiatrica, la quale, da sola, non può essere sufficiente ad eseguire un tale giudizio prognostico sul futuro comportamento di un soggetto.

Sarebbe auspicabile ancorare tale giudizio a criteri maggiormente rigorosi e certi, così da sollevare il giudice da tale, certo scomoda, incombenza.

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Capitolo I

La pericolosità sociale: profili storici

1. Il punto di vista della Scuola Classica e della Scuola Positiva.

La pericolosità sociale è stata, fin dalla sua nascita, una categoria giuridica equivoca e molto discussa in ambito penalistico e processuale-penalistico; il suo fondamento è legato alla possibilità di prevedere futuri comportamenti umani e in tal modo di difendere la collettività da condotte criminali.

Tale difesa sociale si scontra con il rispetto delle garanzie di libertà individuali di cui è titolare il soggetto destinatario dei provvedimenti che restringono tali libertà.

In questo difficile equilibrio da raggiungere si è sviluppato il dibattito tra varie dottrine penalistiche già nel XIX secolo, in particolare quelle della Scuola Classica e della Scuola Positiva.

La Scuola Classica1, nata nel ‘700, si faceva portavoce del pensiero

liberale, contrastando il sistema penale dell’epoca, ancorato a pene crudeli e torture.

1 Di tale Scuola, F. Carrara è stato uno degli esponenti; nella struttura del suo pensiero il diritto penale ha carattere trascendente, ritenendo che esista una legge eterna ed immutabile prestabilita da Dio, consegnata all’uomo i diritti necessari per giungere alla sua destinazione terrena e adempiere i doveri imposti dalla legge morale; vedi “Programma del corso di diritto criminale”, prefazione alla V edizione, Firenze, 1987.

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Essa affermava che l’uomo era un essere dotato di libero arbitrio e perciò capace di libere scelte; partendo da tali concetti, affermava che il criminale fosse uguale a tutti gli altri uomini e che la pena avesse funzione etico-retributiva del male commesso, in particolare poi doveva essere commisurata alla gravità del reato e ancorata alla colpevolezza.

Inoltre, con il concetto della predeterminata quantificazione della pena si fronteggiava qualsiasi abuso di autorità, nel pieno rispetto del principio di legalità, poiché il trattamento è uguale per tutti. Questo scenario non lasciava spazio ad alcuna misura di carattere preventivo, né a misure riabilitativo-sociali.

La Scuola Positiva o Scuola Italiana di Antropologia Criminale, sorta nella seconda metà dell’800, che aveva tra i suoi sostenitori, tra gli altri, Garofalo e Ferri, negava il libero arbitrio ponendo l’attenzione sul soggetto in quanto criminale e non sul fatto in quanto reato. Essa sosteneva che il delitto fosse una manifestazione necessitata, che il delinquente commette in forza di un principio di causalità naturale, e non invece una scelta libera del soggetto. Quest’ultimo non doveva essere trattato genericamente come autore di reato, piuttosto si doveva considerare la sua personalità e la pericolosità che essa poteva esprimere a discapito dell’intera società. In questa prospettiva, veniva scavalcato il principio di responsabilità individuale e il legame diretto tra pena e colpevolezza, per accogliere il concetto di difesa sociale e di pericolosità sociale. É infatti nel periodo del Positivismo che quest’ultima fa il suo ingresso nel diritto penale, intesa come un giudizio prognostico sulla capacità

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dell’individuo di commettere nuovi reati, dunque un giudizio basato sulla necessità di poterli prevenire.

In questo quadro si collocano le idee di Cesare Lombroso2, secondo

il quale l’uomo commette necessariamente reati in quanto la sua morfologia, i suoi caratteri ereditari e le sue devianze patologiche ne determinano la condotta in senso anti-sociale.

Egli arrivò a sostenere l’equazione tra delitto e malattia mentale, perciò la pena per il criminale non era sufficiente perché quest’ultimo avrebbe potuto commettere nuovi reati e pertanto si rendeva necessaria l’applicazione di misure di sicurezza.

Anche Ferri sosteneva che non avesse senso punire il reo con la pena “perché fatalmente spinto da forze che agiscono dentro e fuori di lui”3.

Nella dottrina dei Positivisti la pericolosità sociale è quindi uno stato soggettivo di una determinata persona, una sua qualità particolare, determinata da vari fattori personali, socio-ambientali e organici, ed è sostanzialmente la stessa da cui deriva il reato.

Tale stato soggettivo implicava un’anormalità psichica, che si poteva concretizzare non solo in una malattia mentale, ma anche nel modo di pensare. Questi concetti portarono alla redazione di un progetto di un nuovo codice penale, formulato da Ferri nel 19214; in esso si

focalizzava l’attenzione sulla personalità del reo, sulla realtà che lo

2 Cesare Lombroso, ritenuto il fondatore dell’antropologia criminale, studiò la personalità del delinquente e affermava che le componenti biologiche e patologiche fossero alla base del comportamento criminale.

3 E. Ferri, “Sociologia criminale”, Utet, Torino, 1884.

4 Ferri venne incaricato di redigere il nuovo codice penale, tale progetto si fondava sulla responsabilità legale o sociale e sulla pericolosità sociale e conteneva tipi criminologici di delinquenti tra cui infermi di mente, per tendenza, recidivi abituali, occasionali, politico-sociali, destinatari di provvedimenti sanzionatori. Il progetto rimase, però, a tale fase.

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circonda e sulla pericolosità sociale. Così facendo la Scuola Positiva ha incentrato il diritto penale sulla pericolosità del soggetto, costruendo tipologie criminologiche di autori di reato, focalizzandosi sull’autore del reato piuttosto che sul reato stesso.

In questo modo, però, puntando sulla pericolosità del reo, egli veniva deresponsabilizzato, anche a causa dell’uso di categorie e generalizzazioni; tutto ciò poneva a rischio quelle garanzie quei principi di legalità così fortemente propugnati dai sostenitori della Scuola Classica.

2. Il contributo della Scuola Eclettica e della Nuova Difesa Sociale.

Il dibattito intorno alle idee della Scuola Classica e della Scuola Positiva hanno condotto ad una visione di uomo né totalmente libero né totalmente determinato da fattori da lui incontrollabili. L’uomo è libero di volere e di autodeterminarsi, ma le sue azioni possono essere condizionate da fattori extra-volontari. La responsabilità penale viene dunque messa in relazione con lo studio della personalità del reo.

È con la Scuola Eclettica, o Terza Scuola, che pone in contatto gli elementi delle divergenti ideologie della Scuola Positiva e della Scuola Classica, che va delineandosi il sistema che verrà conosciuto “doppio binario”: da una parte l’idea di un uomo pericoloso, condizionato da fattori sociali, ambientali e psicologici, da

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controllare con misure di sicurezza; dall’altra un uomo libero e responsabile da punire con pena retributiva.

Questa concezione mantiene i postulati classici della responsabilità penale del fatto commesso con volontà colpevole, dell’imputabilità e della pena, rivolta agli imputabili, ma ammette anche la pericolosità sociale di certi soggetti e quindi la difesa sociale contro questi ultimi attraverso le misure di sicurezza.

Un altro movimento che ha realizzato una sintesi tra le opposte concezioni di responsabilità-pericolosità è la Nuova Difesa Sociale5,

un’ideologia che non nega la responsabilità penale, né la pena, ma fonda la difesa sociale sulla responsabilità individuale, che diventa il fulcro della risocializzazione.

Perciò responsabilità e pericolosità non sono più contrapposte ma espressione di una concreta personalità, e così anche la pena e la misura di sicurezza sono due varianti di un’unica sanzione da applicarsi a seconda della personalità del reo.

Il merito della Nuova Difesa Sociale fu il tentativo di sostituire il concetto di pena con quello di trattamento individualizzato a scopo rieducativo e terapeutico e l’introduzione dello studio della personalità del criminale sia nel processo di cognizione che di esecuzione.

5 All’interno della difesa sociale si vi erano due rami, il primo della Grammatica, più radicale, e il secondo, riformista, ecco perché quest’ultimo ha adottato l’aggettivo “nuova”, proprio per differenziarsi dal primo.

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Secondo alcuni, tra cui Bettiol6, la Nuova Difesa Sociale, più che

sintetizzare le diverse posizioni delle sue Scuole, ha rivisitato i principi del Positivismo per la difesa sociale dai reati.

3. La pericolosità dei “folli” interessa anche la psichiatria.

Le teorie positiviste non riguardarono solo la materia di diritto penale, ma anche la psichiatria. I soggetti, autori dei reati più gravi e incomprensibili, apparentemente immotivati, hanno destato la curiosità dei cultori di tale scienza.

“Come da un secolo si ammise, contro le opinioni medievali, che la pazzia non dipende dalla nostra libera volontà, così ora bisogna riconoscere che non ne dipende nemmeno il delitto. Delitto e pazzia sono due sventure: trattiamoli entrambi senza rancore, ma difendiamoci da entrambi”, così Ferri scrisse nel 18927,

sintetizzando l’idea che il crimine e la follia dovessero essere affrontate sulla base di dati empirici e con un criterio razionale, neutrale, eliminando qualsiasi emotività.

L’Ottocento è conosciuto come “secolo dei manicomi” perché si assistette ad un rapido diffondersi di tali istituti in Europa tra il 1810 e il 1840, e alla nascita della follia come categoria a sé stante e della psichiatria come scienza medica.

6 Giuseppe Bettiol è stato un giurista, docente universitario di diritto e procedura penale, politico nel gruppo parlamentare della Democrazia Cristiana, fino al 1976; fece parte dell’Assemblea Costituente e fu presidente della Commissione Giustizia della Camera dei Deputati nella prima legislatura. 7 E. Ferri, “Sociologia criminale”, Utet, Torino, 1884.

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La visione più ampia di questo cambiamento è stata sviluppata dal filosofo francese Michel Foucault8, il quale riteneva che la reclusione

dei “pazzi” in istituti non specifici, ma in ospedali generali, insieme ad altri tipi di devianti ed emarginati, non avesse alcuna finalità curativa, ma solo segregativa e la nascente psichiatria avvallò tale pratica di internamento attraverso una copertura medica e scientifica. I nuovi saperi introdussero una concezione della pericolosità come categoria antropologica, in cui rientravano sia i folli che i criminali, accomunati da tratti degenerativi e di arresto evolutivo. Proprio l’affermazione di contiguità tra crimine e follia, conseguenza di una diversità psichica e organica, consolidò lo stereotipo del folle e quindi, la necessità di un suo controllo permanente.

É in questo quadro che si colloca il tentativo organico di Lombroso di indagare sulla personalità del delinquente per individuare le cause del delitto. L’osservazione delle anomalie organiche lo portarono ad affermare la “natura atavica” del delitto e lo stretto legame tra follia e criminalità. Con l’applicazione delle categorie antropologiche dell’evoluzionismo darwiniano, il criminale è considerato un individuo affetto da anomalie e da una primitiva impulsività, che lo portano in conflitto con la società.

La psichiatria del tempo, in Italia, si rifaceva principalmente alle scuole mediche tedesche; lo psichiatra riteneva che il malato psichico fosse potenzialmente pericoloso e andava allontanato dagli altri. I manicomi erano, dunque, gli istituti tesi a tale scopo e la loro istituzione fu certamente appoggiata da Lombroso e dai sostenitori

8 M. Foucault è stato un filosofo, sociologo e storico francese; ha scritto sull’argomento “Storia della follia nell’età classica”, nel 1961.

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delle sue idee; il metodo sperimentale, così fortemente propugnato dal positivismo, veniva qui applicato per lo studio e l’osservazione dei corpi dei folli criminali, a discapito, certamente, dell’emotività di questi come esseri umani.

In questo clima impregnato dalle idee della Scuola Positiva e in particolare lombrosiane, si guardava al criminale, non tanto come ad un soggetto imputabile o meno, ma come un soggetto comunque pericoloso, e in quanto tale, da allontanare dal resto della società e da neutralizzare.

4. La nascita del “doppio binario” e la sua crisi.

Il Codice Rocco del 1930 ha cercato di conciliare i principi della Scuola Classica e della Scuola Positiva, arrivando ad un sistema penale che non è riuscito a concepire un’unica sanzione che potesse assolvere più funzioni, quella retributiva (della Scuola Classica) e quella preventiva indeterminata, basata sulla pericolosità dell’autore del reato (della Scuola Positiva), approdando dunque al doppio binario: da una parte le pene con funzione retributiva, determinate nella durata e proporzionate alla gravità del fattore alla colpevolezza del soggetto; dall’altra le misure di sicurezza con funzione preventiva basate su un giudizio di pericolosità sociale effettuato sulla personalità del soggetto, di durata non predeterminata ma destinate a proseguire con la persistenza della pericolosità.

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All’interno del Codice Rocco gli articoli 202 e 203 definiscono che è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, la quale ha commesso un fatto preveduto dalla legge come reato o quasi reato, quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reato.

La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanza indicate nell’art.133 c.p. Nonostante l’art. 202 c.p. ponesse la regola generale in base alla quale l’applicazione delle misure di sicurezza dovesse avvenire solo in presenza della pericolosità sociale accertata del soggetto, in realtà era la stessa legge a prevedere presunzioni di pericolosità, in specifici casi tassativamente indicati dall’art. 204 c.p. L’origine di quest’ultima norma si comprende guardando al rapporto tra pericolosità e “capacità a delinquere”. Nella Relazione al Progetto definitivo al codice penale, era stato eliminato l’accenno al criterio sussidiario della pericolosità, che il giudice, in base al Progetto preliminare, avrebbe potuto utilizzare per la commisurazione della pena, poiché si riteneva già presa in considerazione la pericolosità dell’autore nella “capacità a delinquere”; per cui, per evitare che, in presenza di concetti così elastici, il giudice esercitasse un eccessivo arbitrio, ritenne più consono prevedere presunzioni pericolosità.

Tali presunzioni, quindi, non ammettevano prova contraria ed erano legate a status personali, gravità del reato commesso e reiterazione del reato. Inoltre l’irrazionalità dell’art. 204 c.p. si evinceva anche in riferimento ai termini minimi necessari per effettuare l’accertamento sulla sussistenza e attualità della pericolosità sociale del reo. Quindi,

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per i soggetti non imputabili ne risultava una limitazione della libertà personale ben più ampia rispetto alla pena che si sarebbe dovuta scontare se si fosse trattato di soggetti imputabili; mentre, per questi ultimi, la conseguenza era ancor più dannosa, perché la misura prefissata dal legislatore, che avrebbero dovuto scontare, era come una pena aggiuntiva a quella già da scontare, e non una misura complementare ad essa.

La disciplina originaria del Codice del ‘30 conosce la crisi con l’entrata in vigore della Costituzione ed insieme ad essa delle garanzie individuali. Anche il legislatore mise mano all’impostazione originaria del codice penale con la c.d. legge Gozzini, legge n. 663/1986, che con l’art. 31 ha abrogato l’art. 204 c.p. e quindi le presunzioni di pericolosità sociale in essa presenti.

Tale legge è stata il frutto di un percorso maturato a seguito di alcune pronunce della Corte Costituzionale, quale, tra le altre, (sent. 139 del 1982 e sent. 249 del 1983) la sentenza n. 110 del 1974 della C. Cost. Veniva spostata la competenza, dal Ministro di Grazia e Giustizia al Giudice di Sorveglianza, del potere di revocare la misura di sicurezza, così andando a scardinare i termini minimi di durata delle stesse, passando ad un accertamento affidato al magistrato che valutava concretamente la sussistenza della pericolosità.

In questo scenario, con l’abolizione delle presunzioni di pericolosità sociale, ad opera della l. n. 663/1986, la quale statuisce che le misure di sicurezza possono essere applicate previo accertamento della pericolosità sociale, e a seguito delle pronunce della Corte Costituzionale, si è affievolita quella dicotomia tra pene e misure di

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sicurezza sul quale si fondava il doppio binario: come già detto, da un lato la pena a carattere retributivo e dall’altro la misura di sicurezza a carattere preventivo.

Tale netta distinzione è entrata in crisi sotto due profili: sia perché la misura di sicurezza non era più la sola a rispondere ad una funzione preventiva, sia perché alcuni aspetti garantistici della pena sono stati estesi alle misure di sicurezza.

Sotto il primo profilo, l’art. 27, 3° comma Cost., riconoscendo il fine rieducativo della pena, implica che anche quest’ultima contiene una finalità special-preventiva e di attenuazione della pericolosità del reo impedendo la ricaduta nel reato; sotto il secondo profilo, anche per le misure di sicurezza era prevista una durata massima coincidente col limite edittale della pena a cui si aggiungeva l’avvenuta abrogazione delle figure di pericolosità presunta.

In seguito anche la dottrina italiana ha progressivamente abbandonato la visione della pena come retribuzione per una funzione di prevenzione generale e speciale di essa. In questo clima i successivi progetti di riforma della parte generale del codice penale, a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, hanno proposto la riduzione del ricorso alle misure di sicurezza: esse dovrebbero essere utilizzate solo per i soggetti non imputabili, mentre per i soggetti imputabili dovrebbero essere applicabili solo le pene, e i rei semi-imputabili dovrebbero essere soggetti a percorsi penitenziari che accorpino le esigenze di difesa sociale e quelle di cura.

Ancora, il fatto che le misure di sicurezza abbiano un carattere esclusivamente preventivo è smentito nella prassi, in quanto la loro

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applicazione comporta la privazione della libertà personale, e questo è certamente un aspetto afflittivo che le avvicina alla pena.

In conclusione, la netta distinzione originaria tra pena e misure di sicurezza, che costituiva il doppio binario, si è nel tempo affievolita e ha portato alla ricerca di soluzioni alternative all’interno della pena, per rispondere alle esigenze di controllo della pericolosità sociale.

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Capitolo II

Misure di sicurezza personali.

1. La natura e la funzione delle misure di sicurezza

In astratto, il duplice dualismo presente nel codice Rocco, con la sanzione punitiva sotto forma di pena e la misura preventiva sotto forma di misura di sicurezza, era netto e preciso.

Le misure di sicurezza si differenziavano dalla pena anche per la loro natura, infatti erano qualificate come amministrative, proprio per distinguerle dalle sanzioni penali propriamente dette.

Nonostante questa distinzione, le due misure erano certamente accomunate dal fatto che entrambe avessero la propria ragion d’essere nel reato; inoltre, la pericolosità sociale, posta a fondamento delle misure di sicurezza, si valutava in riferimento alla “capacità a delinquere”, che viene utilizzata anche per la commisurazione della pena secondo l’art. 133 c.p.

Come già detto nel precedente capitolo, l’inclusione in entrambe le misure di caratteri punitivi e preventivi ha portato le misure di sicurezza a svolgere funzioni special-retributive, oltre che ovviamente preventive; è per questo che, ad oggi, la maggioranza della dottrina ha abbandonato la concezione amministrativa delle

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stesse, poiché esse spesso sono più afflittive delle pene e vengono applicate anch’esse con un procedimento giurisdizionale.

Le misure di sicurezza si dividono in personali e patrimoniali; in questa sede mi riferirò unicamente a quelle personali, che qui interessano maggiormente.

I presupposti per l’applicazione delle misure di sicurezza sono due: uno oggettivo, la commissione di un reato o quasi reato, e uno soggettivo, essere una soggetto socialmente pericoloso. Per quanto riguarda il primo presupposto, con il termine “quasi-reato” si intende il reato impossibile (art.49 c.p.), l’accordo per commettere un reato (art. 115 c.p. comma 1 e 2), l’istigazione non accolta a commettere un delitto e il caso di accordo per commettere un reato (art. 115 c.p.), in queste ipotesi, anche se il reato non si è concretizzato, il fatto è così prossimo a commetterlo che si ritiene rappresenti un indizio di pericolosità. Per quanto attiene al presupposto soggettivo, la persona socialmente pericolosa, viene descritta dall’art. 203 c.p., e si guarda sia al passato, in relazione alla commissione del reato o quasi-reato, sia al futuro, con un giudizio prognostico basato sulla probabilità che il soggetto commetta nuovi reati; alla base di tale giudizio ci sono gli indici dell’art. 133 c.p., che sono gli stessi utilizzati per la commisurazione della pena, come detto sopra.

Pertanto, il giudizio riguarda una “pericolosità generica”, ma il legislatore del 1930 ritenne di dover definire per legge alcuni casi di “pericolosità specifica”: il delinquente abituale, il delinquente per tendenza e il delinquente professionale. In questi casi, la pericolosità

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era presunta o accertabile dal giudice; oggi, questi tipi legali non sono più ritenuti validi.

2. Le misure di sicurezza a confronto con i principi costituzionali e l’abolizione delle presunzioni di pericolosità

Come detto nel primo capitolo, il sistema sanzionatorio venne valutato alla luce della Carta Costituzionale e dei suoi principi. All’art. 25, 3° comma Cost., vennero menzionate le misure di sicurezza, non perché si volesse esprimere il favore per il doppio binario, ma per sottoporre anche le misure a carattere preventivo al principio di legalità, così come avveniva per le pene. Anche l’art. 27, 3° comma Cost., affermando che le pene dovessero avere finalità di risocializzazione del reo, ha reso sempre più labile la differenza di queste con le misure di sicurezza. Ma il contrasto più forte con la Costituzione era certamente rappresentato dalle presunzioni legali di pericolosità; difatti, poiché in tali casi, si venivano ad equiparare situazioni diverse vi era contrasto con l’art. 3 Cost., e con l’art. 25, 2° e 3° comma Cost., poiché ci si riferiva alla gravità del reato, più che alla pericolosità del soggetto. A seguito degli interventi della Corte Costituzionale, è con la legge n. 663 del 1986 (c.d. legge Gozzini), che vengono espulse le presunzioni legali di pericolosità abrogando l’art.204 c.p. Secondo l’interpretazione che ne è stata data, il testo della legge si riferirebbe non solo alle presunzioni di esistenza della pericolosità, ma anche alle presunzioni di persistenza di quest’ultima,

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al momento dell’esecuzione della misura di sicurezza. Come detto in precedenza, le presunzioni di pericolosità vengono degradate ad indizi della presenza della stessa, ma spetta, comunque, al giudice valutarne la sussistenza. La Corte Costituzionale, pronunciatasi sull’argomento, ha ritenuto espulse dall’ordinamento le presunzioni di esistenza della pericolosità e non quelle di persistenza. Riguardo a queste ultime, l’art. 619 c.p.p., riferendosi alle misure di sicurezza afferma che spetta al Magistrato di Sorveglianza verificare la persistenza della pericolosità del reo, quindi, al momento dell’esecuzione della misura.

Dopo la legge Gozzini, l’impianto del doppio binario è entrato ancora più in difficoltà e i Progetti di riforma al codice penale degli anni Novanta, (come quelli di Grosso, Pisapia), proposero una maggiore specificazione degli indici per valutare la pericolosità sociale del reo, rispetto a quelli generici dell’art 133 c.p. ed inoltre ritenevano che le misure di sicurezza dovessero essere applicabili esclusivamente ai soggetti non imputabili, mentre per i soggetti semi-imputabili si ritenevano applicabili percorsi penitenziari che rispondessero alle esigenze di cura e di difesa sociale.

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3. Le misure di sicurezza personali

Le misure di sicurezza9 si distinguono in detentive e non detentive.

Le prime sono:

l’assegnazione a colonia agricola o casa di lavoro, nella quale la scelta tra le due strutture è presa discrezionalmente dal giudice. Tale misura è rivolta ai soggetti imputabili e pericolosi e ha durata minima di un anno, che può essere elevata fino a quattro nelle ipotesi di delinquenza qualificata.

Il ricovero in casa di cura e custodia, oggi REMS, (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza), è rivolto ai soggetti semi-imputabili, che hanno subito una condanna con pena ridotta a causa di “infermità psichica o di cronica intossicazione da alcool o da sostanza stupefacenti, ovvero per ragioni di sordomutismo”10. Tale

misura ha durata minima di sei mesi, che diventa un anno, “laddove il soggetto abbia commesso un delitto non colposo punito con la reclusione non inferiore a cinque anni, e tre anni, laddove sia punito con l’ergastolo”11. Date tali durate, sembra che la finalità di cura sia

legata alla gravità del reato commesso e non all’effettiva e accertata pericolosità del soggetto.

Il ricovero in ospedale psichiatrico-giudiziario, oggi REMS, è riservato ai soggetti non imputabili prosciolti per infermità psichica, per intossicazione cronica da alcool o sostanze stupefacenti o per sordomutismo; o se i soggetti non imputabili hanno commesso un

9 A. Martini, “Essere pericolosi. Giudizi soggettivi e misure personali”, Giappichelli, Torino, 2017.

10 Art. 219, 1° e 2° comma, c.p.

11 A. Martini, “Essere pericolosi. Giudizi soggettivi e misure personali”, pag. 39, Giappichelli, Torino, 2017.

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delitto punito con pena edittale della reclusione superiore nel massimo a due anni.

Gli OPG, sotto questa denominazione dal 1975, sono figli dei manicomi criminali per i “rei folli” sviluppatisi già nell’Ottocento, il cui ruolo sarà messo giustamente in dubbio dalla nuova visione del malato di mente, non più come problema da segregare, ma come essere umano da curare. Con la legge n. 180 del 1978, legge Basaglia, che imponeva la chiusura dei manicomi criminali e l’istituzione dei servizi di igiene mentale pubblici, il binomio pericolosità-infermità mentale, tanto caro ai Positivisti, venne definitivamente abbandonato. Anche per gli OPG, è arrivata la fine, con la legge n. 9 del 2012, che convertiva il decreto legge n. 211 del 2011, in seguito all’indagine parlamentare scolta dalla Commissione Marino, che diede riscontri orribili e di estremo degrado in cui versavano questi istituti.

Il ricovero in comunità terapeutica, (o riformatorio giudiziario) è riservato ai minori; si applica ai minori non imputabili che abbiano commesso un delitto e siano considerati socialmente pericolosi; ai minori condannati a pena diminuita e ai minori condannati per un delitto commesso durante l’esecuzione di una misura di sicurezza precedentemente inflitta.

Le misure non detentive sono:

la libertà vigilata ha senz’altro particolare rilevanza ed è una misura limitativa della libertà personale, in quanto comporta obblighi comportamentali, che non sono indicati tassativamente dal codice, per cui il giudice ha ampio spazio di discrezionalità riguardo le

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condizioni personali, familiari, ambientali. I soggetti sottoponibili a tale misura sono vari: tutti gli autori di delitto, autori di reato impossibile per inesistenza dell’oggetto o inidoneità della condotta, i protagonisti di un accordo per commettere un delitto, se non seguito dalla commissione di un reato, gli istigatori alla commissione di un delitto, se l’istigazione non è stata accolta, alcuni contravventori12. I

soggetti sottoposti a libertà vigilata sono affidati al servizio sociale per il reinserimento nella società. La misura ha durata minima di un anno.

Il divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più province ha durata non superiore ad un anno e prevede che alla persona socialmente pericolosa sia inibita la possibilità di stare in determinati luoghi indicati dal giudice; si tratta di allontanare il reo da determinati luoghi dove si trova il bene protetto che è stato offeso con il reato; si applica in caso di delitti contro la Personalità dello Stato, delitti contro l’ordine pubblico, delitti per motivi politici o per motivi “ambientali” legate ad un determinato luogo. Questa misura ha natura vicina alle misure personali di prevenzione, ma in una logica successiva al reato, quale è quella delle misure di sicurezza, non sembra efficace. La durata minima è di un anno.

Il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche si applica ai soggetti che hanno commesso contravvenzione o delitto in stato di ubriachezza abituale. Ad oggi, questa misura è un relitto storico.

12 A. Martini, “Essere pericolosi. Giudizi soggettivi e misure personali”, pag. 45 Giappichelli, Torino, 2017.

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L’espulsione o allontanamento dello straniero dal territorio nazionale si applica agli stranieri, anche cittadini dell’Unione Europea, che abbiano commesso un delitto punito con la reclusione superiore a due anni. È certamente una misura che si avvicina alle misure di prevenzione, quindi ante delictum, e a misure di carattere amministrativo.

4. La crisi delle misure di sicurezza: il controllo del soggetto pericoloso attraverso la “pluralità di binari”

Abbiamo visto come, le funzioni delle misure di sicurezza e quella della pena si siano sempre più amalgamate. Infatti, da più parti, ci si domanda se le misure di sicurezza abbiano ancora un futuro o se invece siano misure che non fanno altro che infliggere una limitazione della libertà più simile alla pena. Tutto ciò, ricopre grande importanza soprattutto se riferito ai soggetti imputabili, ai quali potendo applicare, sia pene che misure di sicurezza, si finisce per far subire, nella pratica, una “doppia” punizione, dato che, la misura di sicurezza, spesso è più afflittiva della pena stessa. In realtà, quei trattamenti rieducativi e risocializzativi, promessi sulla carta, non sono stati attuati, e il soggetto sottoposto alla misura si ritrova limitato nella sua libertà, spesso in carcere, così come un soggetto sottoposto alla pena, in quanto le strutture specifiche non sono mai state adibite in modo adeguato.

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La difesa della collettività è affidata maggiormente alla pena piuttosto che alla misura di sicurezza. Si risponde alle esigenze di controllo della pericolosità sociale, attraverso più modalità, sia precedenti alla pena, come la custodia cautelare in carcere (275 c.p.p.), sia al di là della pena, con le misure di prevenzione personali, applicabili se il soggetto è pericoloso e a prescindere dalla commissione di un fatto illecito; altre modalità di prevenzione del pericoloso consistono in percorsi penitenziari diversificati secondo il reato commesso e la pericolosità del suo autore, quindi, in questo caso, ci troviamo all’interno della pena (ad es. per i reati sessuali e per i reati riguardanti la criminalità organizzata). In tali differenziazioni di percorsi penitenziari, si osserva la personalità degli autori di reati per escludere il pericolo di commissione degli stessi reati. Spesso il compimento del reato nasce dalla personalità del reo più che da una patologia mentale; tale è il caso dei reati sessuali. Si riscontra quindi un passaggio dal “doppio binario” ad una “pluralità di binari”.

Analizziamo meglio: all’interno della pena il controllo del soggetto pericoloso avviene attraverso il trattamento dei recidivi e, come detto, la pluralità dei percorsi penitenziari. Sotto il primo profilo, con la legge n. 251 del 2005 si è inasprito il regime sanzionatorio per coloro che tornano a delinquere dopo una precedente sentenza di condanna; infatti, è aumentata ancor di più la misura della pena, sono diminuite le circostanze attenuanti e sono certamente minori i benefici penitenziari ottenibili; ancor peggiore la situazione per i recidivi reiterati. Sotto il secondo profilo, assistiamo ad una

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diversificazione dei trattamenti penitenziari; da una parte per i reati di criminalità organizzata, è previsto un aumento delle pene, un accesso ai benefici penitenziari solo in caso di collaborazione con la giustizia e il “carcere duro” ex art. 41 bis ord. Pen.; dall’altra per i reati sessuali, si prevede una limitazione, anche in questo caso, dell’accesso ai benefici penitenziari; questi ultimi potranno essere concessi solo a seguito dello studio della personalità dell’autore del reato per escludere che commetta nuovamente reati della stessa specie.

Prima della pena, la prevenzione della pericolosità sociale può essere svolta dalla custodia cautelare in carcere, quando sussiste il rischio che il soggetto commetta reati della stessa specie di quello già commesso. Talvolta, tale misura cautelare, viene utilizzata più che come misura preventiva della pericolosità del soggetto, come misura per prevenire i timori della società in relazione al fatto che i tempi processuali per vedere applicata la pena sarebbero troppo lunghi per rispondere alle esigenze di difesa sociale.

Per quanto riguarda i possibili binari al di fuori della pena, è aumentato il ricorso alle misure di prevenzione personali, applicabili a prescindere dalla commissione di un reato, bastando il semplice sospetto che il soggetto l’abbia commesso o possa commetterlo in futuro. Anche queste misure si fondano sulla pericolosità sociale, dando risposta alle esigenze di controllo per i destinatari più disparati.

In tale prospettiva, si passa, in effetti, come abbiamo anticipato, da un “doppio binario” ad una “pluralità di binari”, anche all’interno del

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trattamento penitenziario, quindi all’interno della pena. È certo che il legislatore non deve mai dimenticare la funzione rieducativa di quest’ultima, che, come afferma la Corte Costituzionale, “non è una mera generica tendenza riferita solo al trattamento, indica invece proprio una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue”13, quindi anche nei percorsi penitenziari differenziati, in

quei plurimi binari all’interno della pena, per rispondere alla difesa sociale dai soggetti pericolosi.

Da tale pronuncia della Corte Costituzionale si evince che la funzione rieducativa e special-preventiva della pena deve essere tenuta in primo piano in quei plurimi binari, in quei percorsi penitenziari differenziati, perché i soggetti pericolosi possano essere rieducati e possano accedere agli eventuali benefici penitenziari, che potrebbero essere semmai limitati (pensiamo ai rei per crimini di associazione mafiosa), ma mai essere preclusi; l’osservazione della personalità dei soggetti pericolosi aiuta a percepirne il possibile sviluppo verso un loro recupero, verso la loro rieducazione appunto.

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5. Il futuro delle misure di sicurezza nell’ordinamento italiano e negli ordinamenti degli Stati Europei

La dottrina più avvertita ritiene che per dare un futuro alle misure di sicurezza bisognerebbe renderle alternative rispetto alla pena e applicarle ai soli soggetti non imputabili.

In Italia, si assiste ad una riduzione dell’applicazione delle misure di sicurezza in favore, come appena detto, dei diversi percorsi legati alla pena, ma soprattutto, un aumento dell’uso di misure preventive, quindi ante delictum. Negli altri Paesi Europei14, si registra, al

contrario, una tendenza all’aumento delle misure di sicurezza detentive; così è avvenuto in Germania e in Svizzera, che come il nostro Paese, hanno una tradizione di sistema a doppio binario; anche nel sistema francese che non discende dal “doppio binario”, il controllo preventivo del soggetto non imputabile è passato dall’apparato amministrativo a quello penale. Questi Paesi15 hanno

sviluppato la loro politica penale sicuritaria e hanno potenziato i sistemi di prevenzione e controllo dei soggetti pericolosi. La società attuale, una società dove sempre più forte è sentito il timore della criminalità e del pericolo, viene definita come “società del rischio”, nella quale il primo pericolo che si avverte è l’altro, il diverso, lo straniero, spesso, più per la diffusione con cui questi timori si propagano nella società, piuttosto che per un più concreto maggior pericolo rispetto al passato. In questo tipo di società, il senso di

14 M. Pelissero, “Pericolosità sociale e doppio binario. Vecchi e nuovi

modelli di incapacitazione”, Giappichelli, Torino, 2008.

15 M. Pelissero, “Il controllo dell’autore imputabile pericoloso nella

prospettiva comparata. La rinascita delle misure di sicurezza custodiali”, in

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insicurezza si diffonde per la frequenza del reato, e non tanto per la sua gravità. Si avverte un “rischio sociale”, non solo perché si avverte il pericolo di diventare autori di reato, ma anche e soprattutto di divenire vittima di reato. In un certo senso, guardando con timore e sospetto determinati soggetti, autori di reato, si finisce per demonizzare l’intera categoria sociale alla quale essi appartengono, quasi ricordando quelle categorizzazioni criminologiche, care al Positivismo, che venivano fatte discendere da fattori biologici. Si arriva a pensare che, tali soggetti, non possano essere riabilitati o comunque, che non siano meritevoli di una possibilità; così l’unica soluzione è la loro neutralizzazione.

In questa prospettiva, il neoretribuzionismo o neoclassicismo, che aveva avuto la sua ascesa negli anni Sessanta, soprattutto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, riapre i battenti, con la concezione che non si deve giustificare o attenuare la responsabilità del reo in base ad influenze sociali o personali che hanno segnato la sua vita, ma deve essere responsabilizzato; si ritiene che gli autori di reati non possano essere recuperati dalla e nella società, ma siano destinatari esclusivamente dell’internamento nelle carceri, valutando, quindi, inadeguate le misure volte alla loro rieducazione; questi tipi di approcci ai soggetti pericolosi, esaltando la funzione del carcere come unico metodo rispondente alla necessità di segregazione, danno, forse, un maggiore senso di sicurezza alla società, ma è una sicurezza che risulta effimera, temporanea, più rispondente a manovre politiche di carattere populista, che, stigmatizzano i reati più eclatanti per il sentire comune, ma che, in realtà, non fanno

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diminuire i reati che più frequentemente si consumano nella società. Questa soluzione, dunque, non è rispondente né alle esigenze di difesa sociale, né ad un sistema penale garantista.

In altri Paesi (Francia, Svizzera, Germania), come detto sopra, le misure di sicurezza vivono una rinascita, con la previsione di nuove misure di sicurezza sia detentive che non detentive, e l’individuazione dei destinatari delle stesse, i quali devono aver compiuto un reato grave, il quale deve essere l’effetto di un disturbo della personalità, che non escluda la capacità di intendere e volere dell’autore del fatto.

Più in particolare, la Germania ha un sistema penale a doppio binario; le misure di sicurezza dopo un iniziale ruolo di neutralizzazione dei soggetti pericolosi, svolsero una funzione di prevenzione positiva nei confronti dei soggetti affetti da disturbi della personalità. Ci fu però un inasprimento delle fattispecie di prevenzione con la “Sicherungsverwahrung”, la custodia di sicurezza. Tale misura, poteva essere applicata già in fase di condanna, anche se in quel momento non poteva essere accertata la pericolosità sociale del soggetto, quando fosse terminata l’esecuzione della pena. Tale misura ha visto un aumento della sua applicazione in risposta ad un più forte allarme sociale e non a causa di un aumento dei reati. Inoltre, venne introdotta la custodia di sicurezza postuma, quando il giudice avesse eseguito una prognosi di recidiva successiva alla sentenza di condanna, fondata su elementi emersi nel corso dell’esecuzione della pena.

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Come anticipato, anche in Francia, un Paese che non ha una tradizione di sistema a “doppio binario”, con alcune riforme, il legislatore francese ha introdotto, nella sostanza, vere e proprie misure di sicurezza, limitative della libertà personali, rifacendosi alla “Sicherungsverwahrung” tedesca. È stata introdotta una misura custodiale nei confronti dei recidivi autori di resti sessuali, con la previsione di misure assistenziali per il loro reinserimento nella società, in più, nei confronti dei soggetti affetti da disturbi della personalità o dipendenti da sostanze alcoliche o stupefacenti, trattamenti di cura. Dunque, tutto ciò perché la sola pena non aveva portato ad un’effettiva difesa sociale dal soggetto pericoloso, e si sentiva più forte il bisogno di controllo di tali soggetti, soprattutto di coloro che commettevano reati gravi, spesso a sfondo sessuale. In Svizzera, già portatrice di un sistema a “doppio binario”, le misure per il controllo dei soggetti pericolosi, sono state influenzate dal modello tedesco. La “Verwahrung”, misura custodiale svizzera, era già prevista nel codice penale svizzero degli anni Trenta, ma non aveva trovato grande riscontro nella prassi, fino agli anni Novanta, quando questa misura visse una rinascita; poteva essere applicata ai soggetti imputabili con recidiva qualificata, ma si ampliò il novero dei destinatari anche a coloro che non fossero recidivi, mentre si restrinse la serie di reati a quelli più gravi (anche qui quelli a sfondo sessuale), richiedendosi l’accertamento della pericolosità specifica. La misura della custodia postuma, di derivazione tedesca, anche qui, prevede che se durante l’esecuzione della pena emergono nuovi fatti o mezzi di prova dai quali risulti che già al momento della sentenza

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di condanna, poteva già applicarsi tale misura nonostante il giudice non ne potesse avere conoscenza.

Le richieste di neutralizzazione del soggetto pericoloso, giunte dalla società, hanno portato ad una misura di internamento a vita, nei confronti di soggetti che presentino disturbi psicotici della personalità, che abbiano commesso reati con una condotta particolarmente efferata o reati sessuali, e che si ritiene siano particolarmente pericolosi e sia forte il rischio di una ricaduta nel reato e non siano inclini a seguire terapie. Le ipotesi in cui è possibile riacquistare la libertà sono remote, in quanto, sulla base di nuove conoscenze scientifiche, deve essere possibile effettuare nuove perizie psichiatriche che possano affermare che il soggetto può essere curato e che non sia più un pericolo per la società. Tale misura è stata molto discussa in relazione all’art. 5 della CEDU, poiché la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, afferma che la privazione della libertà personale è legittima se è prevista la possibilità di riacquistarla nel momento in cui si riesamini la pericolosità del soggetto in base alla sua personalità.

Il legislatore svizzero ha smussato alcuni aspetti della misura, ma certo rimane un suo forte carattere afflittivo, che può essere mitigato solo dalle “nuove conoscenze scientifiche”16, che possono curare il

soggetto col risultato di renderlo innocuo per la società e di poter sostituire la misura con altre modalità esecutive.

In conclusione, i diversi sistemi penali, hanno aumentato il ricorso alle misure di sicurezza; hanno trovato una maggiore applicazione

16 M. Pelissero, “Pericolosità sociale e doppio binario. Vecchi e nuovi

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anche le misure di sicurezza non detentive, che prevedono prescrizioni più o meno afflittive della libertà personale.

I destinatari li vediamo accomunati dal punto di vista oggettivo, del reato commesso, per i reati contro la vita, l’integrità fisica, la libertà sessuale; e dal punto di vista soggettivo, poiché si guarda a soggetti affetti da disturbi della personalità, i quali devono essere alla base della genesi del reato, senza però escludere la capacità di intendere e di volere.

6. La pericolosità sociale nella “società del rischio”

Come anticipato nel precedente paragrafo, nella “società del rischio” il legislatore si sente di dare una risposta alle esigenze di difesa della collettività, sentite così forti, anche a causa del timore di divenire vittime di reati, che spesso crescono con le allarmanti notizie dei mass media e con una politica populista che spesso cavalca l’onda di tali paure.

Il ruolo dei mass media è sicuramente importante nella rappresentazione del reato: sia per l’identificazione con la vittima17,

sia per la demonizzazione18 dell’autore del reato. Nel pubblico i due

elementi si confondono, ci si identifica come vittime e contemporaneamente si identifica come un mostro il soggetto che è

17 M. Pelissero, “Pericolosità sociale e doppio binario. Vecchi e nuovi

modelli di incapacitazione”, pag. 19, Giappichelli, Torino, 2008.

18 M. Pelissero, “Pericolosità sociale e doppio binario. Vecchi e nuovi

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stato capace di reati così efferati, il quale non viene giudicato, da chi guarda, come meritevole di diritti.

La percezione soggettiva della pericolosità dell’autore di reati, la ritroviamo anche in quella che è definita “criminologia dell’altro”. Questa si differenzia dalla criminologia della vita quotidiana, che vede il reato come qualcosa di abituale all’interno della società e il reo come un soggetto potenzialmente uguale alle sue vittime. Infatti la “criminologia dell’altro”, sottolinea la differenza tra l’autore del reato e gli altri consociati, in particolare le vittime. L’altro19 è

considerato un soggetto diverso, pericoloso, da cui bisogna difendersi e soprattutto, non recuperabile; sembra che ci siano delle affinità con l’impostazione originaria della Scuola Positiva, con la differenza di focalizzarsi ora, più che sui profili psico-fisici dei soggetti, sul profilo sociale, portando a stigmatizzare non solo il reo, ma l’intera categoria sociale alla quale egli appartiene.

Certo è auspicabile che questi indirizzi non portino ad una rinascita dell’idea pericolosità-malattia mentale, che, fortunatamente, già da tempo, ancor di più nel nostro sistema, abbiamo abbandonato.

19 D. W. Garland, “La cultura del controllo. Crimine e disordine sociale

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7. Le garanzie per l’applicazione delle misure di sicurezza previste dalla Corte Costituzionale e dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

La Corte Costituzionale non ha posto in dubbio il sistema del doppio binario, proprio in forza del fatto che le due misure, pena e misure di sicurezza, rispondevano ad esigenza diverse; sicuramente i suoi interventi sono stati ispiratori delle riforme intervenute nel tempo per mantenere in piedi il doppio binario.

La Corte ha stabilito due principi relativi all’applicazione delle misure di sicurezza: il principio di sussidiarietà, per quanto riguarda le misure custodiali, infatti l’OPG deve essere considerato come extrema ratio, e il principio di flessibilità, in quanto le misure di sicurezza devono essere rispondenti alle esigenze terapeutiche del soggetto sottoposto ad esse. Tali principi sono stati ben recepiti anche dal legislatore, infatti anche i progetti di riforma del codice penale, Pisapia, Grosso, Nordio, ritenevano che le misure di sicurezza detentive dovrebbero applicarsi solo in ultima istanza.

Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, si è pronunciata sulle misure di sicurezza; la Corte20 si è occupata della misura di sicurezza

detentiva tedesca, la Sicherungsverwhrung, e ha ritenuto fondato il ricorso di un cittadino tedesco che, nel 1986, è stato condannato a 5 anni di reclusione per tentato omicidio e rapina, ma avrebbe dovuto

20 F. Rocchi, “La decisione della Corte di Strasburgo sulla misura di sicurezza

detentiva tedesca della Sicherungsverwahrung e i suoi riflessi sul sistema del ‘doppio binario’ italiano”, panorama internazionale-decisioni delle Corti

Europee, in Cassazione Penale, fasc. 9 del 2010, pag. 3276, Giuffrè, Milano, 2010.

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essere rilasciato, in base alla norma vigente al momento della commissione del reato e della condanna, che prevedeva una durata massima, per il primo ordine di custodia di sicurezza, di dieci anni, è stata invece applicata retroattivamente la modifica di quest’ultima disposizione, avvenuta con legge successiva, che consente al giudice dell’esecuzione di prolungare a tempo indeterminato la custodia di sicurezza, dopo che è già stata eseguita la pena, se il detenuto è considerato pericoloso per la sicurezza pubblica.

La CEDU ha ritenuto che un prolungamento, retroattivo, della misura di sicurezza detentiva, oltre il termine massimo previsto al momento della condanna, costituisce un’illegittima privazione della libertà personale del cittadino, in contrasto con l’art. 5 § 1 della CEDU. La Corte ha ritenuto che un tale prolungamento non avesse sufficienti connessioni causali con la condanna e non era giustificato dalla pericolosità del detenuto qualora fosse stato rilasciato.

Inoltre si evinceva un contrasto con l’art. 7 § 1 CEDU, che vieta che venga “inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso”. Tale pronuncia ha avuto riflessi anche sul doppio binario italiano; le misure di sicurezza entrano in contrasto con la CEDU se hanno durata indeterminata che comporta una privazione senza tempo della libertà personale.

Le misure di sicurezza detentive di durata indeterminata sono legittime, secondo la CEDU, solo se vengono rispettati determinati principi e garanzie: il principio di proporzione, che funge da limite alle esigenze preventive statuali; deve essere rispettata la dignità del soggetto, prevedendo percorsi riabilitativo-terapeutici, che possano

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consentire di riacquistare la libertà; ed inoltre deve non si può applicare una misura di sicurezza detentiva solo in ragione della funzione preventiva che svolge, se la sua esecuzione non si differenzia da quella di una pena.

Il principio di proporzione, quindi, delimita il ricorso alle misure di sicurezza come ultima istanza per il controllo della pericolosità sociale; è necessario delimitare il ricorso alle misure di sicurezza detentive ai soli casi in cui si ravvisi una pericolosità specifica, legata a reati particolarmente gravi.

Le esigenze preventive devono essere soddisfatte dalle misure di sicurezza, sempre tenendo presente il principio di proporzione, o, all’interno delle pene, come è accaduto nel sistema italiano, ma non devono mai, nascondendosi dietro il controllo dell’autore pericoloso, arrivare a far scricchiolare le basi su cui si fonda uno Stato di diritto.

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8. La “riforma Orlando” e le proposte di modifica della disciplina delle misure di sicurezza

La c.d. “riforma Orlando”, dopo oltre due anni di lavori parlamentari è composta da un unico articolo con 95 commi, nel quale sono stati trasfusi tre progetti di legge approvati dalla Camera e i risultati della Commissione Canzio. Tale riforma21 ha toccato, tra gli

altri, anche la disciplina delle misure di sicurezza e dell’imputabilità, anche se, purtroppo, la legge n. 103 del 2018, che contemplava la revisione della definizione di infermità e della materia delle misure di sicurezza, non ha trovato alla fine attuazione.

La riforma, certamente, risente degli indirizzi della giurisprudenza nazionale e internazionale, e si propone di dare risposte alle esigenze di efficienza, alleggerimento del carico penale, semplificazione delle forme processuali, in funzione del principio di ragionevole durata del processo, più come garanzia oggettiva che come garanzia soggettiva. L’idea riformista di un efficiente processo penale ha portato a muoversi in uno spazio che ha tenuto ben poco in considerazione le garanzie processuali dell’individuo, anziché, come sarebbe opportuno, riconsiderare le fattispecie penali e quelle processuali, coniugando il nuovo volto degli illeciti penali e dei beni giuridici da proteggere con un giusto processo, che segua i principi e le garanzie di una visione moderna dell’ordinamento penale.

A seguito della delega parlamentare il Ministro della Giustizia Orlando, ha istituito una Commissione con l’incarico di redigere uno

21 G.L. Gatta, “La delega in materia di misure di sicurezza personali. Verso un

ridimensionamento del doppio binario”, in Dirittopenalecontemporaneo.it,

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schema di decreto legislativo per modificare la disciplina delle misure di sicurezza e di assistenza sanitaria. I testi di tali lavori, conclusi nel dicembre 2017, sono stati tenuti riservati.

Nella legge delega il Parlamento ha formulato direttive molto vaghe e imprecise, senza individuare principi chiari e senza indicare i mezzi adeguati per raggiungere gli obiettivi.

Già da tempo, da più parti, si chiedeva un cambiamento radicale del sistema penale italiano, nel momento dell’esecuzione penale, (pensiamo al sovraffollamento carcerario), senza mai trovare soluzioni complessive, che partissero dalla riorganizzazione dell’apparato delle pene, presupposto per una migliore riforma dell’esecuzione. Anche la grave situazione all’interno degli OPG, evidenziata dalla Commissione Marino, era un’emergenza affrontata in modo superficiale dal legislatore, affrettando la chiusura di tali strutture, senza che ancora esistessero alternative strutture per la cura e la custodia degli infermi di mente.

Il Ministro della Giustizia ha predisposto l’organizzazione dei lavori degli “Stati Generali dell’Esecuzione Penale”, in 18 tavoli, tra i quali sono stati divisi i temi da affrontare. Il testo relativo alle misure di sicurezza e alla nuova definizione di imputabilità non è stato riportato in uno schema di decreto legislativo.

Il tavolo 11 degli Stati Generali22 ha proposto quattro interventi: il

primo riguarda i soggetti imputabili e vuole il superamento della casa di lavoro, che emargina i soggetti e non risponde alle esigenze

22 Tale Tavolo è stato coordinato dal Prof. Nicola Mazzamuto, presidente del Tribunale di Sorveglianza di Messina. Il gruppo di lavoro era composto da Desi Bruno, Alessandro De Federicis, Ugo Fornari, Michele Miravalle, Francesco Patrone, Daniele Piccione, Angela Anna Bruna Piarulli, Nunziante Rosania, Massino Ruaro ed Emilio Santoro.

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trattamentali. Nel caso di reati gravi e se c’è il pericolo di ricommettere reati di particolare gravità per i quali è previsto l’arresto in flagranza, viene applicata la libertà vigilata con un contenuto rivisitato, che possa essere personalizzata in base alla situazione soggettiva e oggettiva concreta. Solo nell’ipotesi di più violazioni delle prescrizioni, tale misura diverrebbe detentiva, da eseguirsi in strutture per la semilibertà o in ambito lavorativo e/o agricolo, ma per periodi di tempo limitati.

I criteri per l’accertamento della pericolosità sociale per i soggetti non imputabili vengono utilizzati anche per i soggetti imputabili. Infine si prevede l’eliminazione degli istituti di pericolosità qualificata della professionalità e della tendenza a delinquere, e l’abitualità a delinquere viene modificata, legandola a parametri più significativi. Inoltre viene abolita la misura di sicurezza per i fatti non preveduti dalla legge come reati.

Un’altra proposta riguarda i soggetti non imputabili, ritenendo che ci siano troppe valutazioni di non imputabilità e auspicando che queste ultime si riducano, per essere limitate a quei soggetti che soffrono di disturbi psicotici e di gravi disturbi della personalità, che necessitano di cura e terapie a breve e medio termine.

Il ricovero detentivo del soggetto non imputabili avviene solo in casi eccezionali; in tutti gli altri casi sono previste distinte aree di trattamento, in relazione alla gravità del reato commesso, improntate alle esigenze terapeutiche del soggetto, chiamate “misure giudiziarie di cura e controllo”.

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