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La Corte Costituzionale chiarisce la ratio della legge n 81 del 2014 sui criteri di accertamento della pericolosità sociale

Misure di sicurezza e infermità mentale

9. La Corte Costituzionale chiarisce la ratio della legge n 81 del 2014 sui criteri di accertamento della pericolosità sociale

La modifica normativa apportata dalla legge n. 81 del 2014, incidendo sull’accertamento della pericolosità sociale dell’infermo di mente, ha fatto registrare reazioni diverse: alcuni l’hanno accolta come una “scelta doverosa” per ricondurre la pericolosità nei parametri di legittimità costituzionale, altri hanno invece ritenuto che rappresentasse una forma di pericolosità presunta.

La magistratura si è trovata impreparata rispetto al cambiamento introdotto dal legislatore; questo si evince se prendiamo in considerazione la richiesta di illegittimità costituzionale promossa dal Tribunale di Sorveglianza di Messina, con ordinanza 247 del 2014, che accusava la nuova normativa di aver inciso “in modo determinante e profondamente distorsivo nel giudizio di pericolosità sociale, impedendo una valutazione compiuta della concreta pericolosità sociale del soggetto interessato e del suo grado attuale”. La vicenda giudiziaria36 riguardava un soggetto maggiorenne, di

origine tunisina, condannato con sentenza definitiva a 4 anni e 8 mesi di reclusione dalla Corte d’Appello di Palermo per tentato omicidio ai danni di un connazionale; l’imputato venne riconosciuto seminfermo di mente e socialmente pericoloso, e gli venne applicata la misura di sicurezza della casa di cura e di custodia per 2 anni; durante l’esecuzione della pena e della misura di sicurezza il soggetto

36 La Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale con sent. n. 186 del 2015; cfr. E. Porceddu, “Accertamento sulla pericolosità sociale dell’infermo e del seminfermo di mente, ai fini dell’applicazione della misura di sicurezza personale detentiva all’esame della Corte Costituzionale”, in Cassazione Penale, fasc. 11 del 2015, pag. 4028, Milano, Giuffrè 2015.

aveva tenuto un comportamento regolare, così da concedergli il beneficio penitenziario del lavoro all’esterno (ex art. 21 Ord. Penitenziario) e il suo difensore chiese la revoca anticipata della misura segregante, ma non venne concessa nonostante il giudizio favorevole dell’equipe della struttura, motivando la decisione per la mancanza di un progetto concreto che ne consentisse la presa in carico dal servizio sanitario territoriale. La domanda di revoca venne ripresentata con atto d’appello anche per permettere al tunisino di rientrare nel Paese d’origine e chiese in via subordinata la libertà vigilata.

Su questa richiesta l’organo giudicante ha sospeso il giudizio e ha trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale, ritenendo che la nuova normativa aveva reso impossibile la valutazione della pericolosità sociale in concreto del soggetto.

Il giudice a quo, riteneva che una valutazione che non prendesse in considerazione i criteri dell’art. 133, 2° comma, n. 4 c.p., limitando l’indagine alle sole qualità soggettive dell’interessato, non potrebbe portare a conclusioni adeguate sulla pericolosità sociale, e che la novella avrebbe sacrificato eccessivamente le istanze di difesa della società, considerando il fatto che era stata la stessa Corte Costituzionale con la sent. n. 253 del 2003, a ribadire l’equilibrio tra cura e tutela dell’infermo di mente, e contenimento della sua pericolosità sociale.

Secondo il Tribunale di Sorveglianza sarebbero sacrificati l’art. 1 e 4 Cost., sul diritto al lavoro, in quanto la mancanza di rilevanza delle condizioni del soggetto non permette di valutare se svolga o meno un’attività lavorativa, vista come fattore deterrente del crimine; l’art. 2 Cost., come diritto inviolabile del soggetto interessato dal giudizio di pericolosità sociale a vedere valutata la sua condizione di vita, sia come singolo, sia nella società in cui si esprime la sua personalità; l’art. 3 Cost., in quanto la novella, poiché non permetterebbe un

giudizio prognostico globale, potrebbe far rimettere in libertà soggetti destinati ad una sorte diversa, sacrificando il contenimento della pericolosità sociale, ed anche il minimo di cure che i soggetti potrebbero avere nella struttura custodiale verrebbe sacrificato, per la mancanza di assistenza all’esterno; gli artt. 25 e 27 Cost., in quanto la responsabilità penale personale e la finalità rieducativa della pena e delle misure di sicurezza non verrebbero rispettate se si trasferisse sulla collettività il rischio della messa in libertà di soggetti che non lo sarebbero su un giudizio globale, ed inoltre lo stesso soggetto infermo di mente verrebbe esposto ai rischi di un reinserimento in ambienti familiari e sociali impreparati o non pronti ad accoglierlo; ancora, gli artt. 29, 30, 31 Cost., relativi ai diritti della famiglia, che sarebbero lesi se nel giudizio di pericolosità sociale non venisse preso in considerazione il rapporto con la famiglia, che, invece, risulta essere uno degli elementi più importanti nel trattamento terapeutico, risocializzativo e rieducativo del reo; l’art. 32 Cost. sarebbe leso in quanto la liberazione di soggetti che non hanno una famiglia che possa seguirli o in mancanza di un percorso terapeutico individuale, predisposto dal servizio sanitario nazionale, rischia di essere lesiva per il soggetto che potrebbe avere comportamenti auto lesivi e sarebbe pregiudicato il suo diritto ad essere curato adeguatamente; l’art. 34 Cost., verrebbe sacrificato perché non si potrebbe più valutare la frequenza scolastica; l’art. 77 Cost., perché si è inserito in un decreto legge che disponeva la proroga della chiusura degli OPG, la modifica di una categoria giuridica storica, che sarebbe dovuta essere oggetto di un dibattito parlamentare; l’art. 117 Cost., in quanto la nuova normativa non rispetterebbe i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, in specie, l’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e l’art. 5 della CEDU, dato che la nuova valutazione della pericolosità sociale minerebbe le esigenze di difesa sociale.

La Corte Costituzionale, con sentenza 186 del 2015, ha salvato la legge n. 81 del 2014, dall’incostituzionalità, dichiarando la questione infondata. La decisione di infondatezza, ha carattere interpretativo delle norme in esame, contestando direttamente il presupposto interpretativo da cui è partito il magistrato di Sorveglianza: la modifica del giudizio di pericolosità sociale dei soggetti non imputabili e semi-imputabili.

Secondo la Consulta, a differenza di quanto sostenuto dal giudice a quo, la legge non avrebbe modificato i criteri da utilizzare per il giudizio prognostico di pericolosità sociale degli infermi di mente, la quale rimane legata a tutti i fattori previsti, comprensivi delle condizioni individuali, familiari e sociali, come anche dei percorsi terapeutici, ma assumerebbe un carattere più ristretto, legato alle sole qualità soggettive, soltanto quando venga utilizzata come presupposto per applicare misure custodiali all’infermo e al semi- infermo di mente, quali l’OPG e la casa di cura e di custodia.

È un intervento restrittivo dei soli criteri di scelta tra le misure di sicurezza e delle condizioni per applicare quelle detentive. Il giudice quando deve applicare una misura di sicurezza, naturalmente, deve utilizzare i criteri generalmente previsti; se, ritenendo sussistente la pericolosità, decida di applicare una misura detentiva, dovrà verificare se ogni altra misura di sicurezza diversa non sia idonea a rispondere al bisogno di cure del soggetto e al controllo della sua pericolosità sociale, “senza tener conto delle condizioni di cui all’art. 133, 2° comma, n. 4, c.p. “L’applicazione della misura di sicurezza estrema, pertanto, non può mai essere sganciata dalle condizioni mentali della persona, che restano le sole a poterla giustificare”37.

37 M. T. Collica, “La riformata pericolosità sociale degli infermi non imputabili o semimputabili al vaglio della Corte Costituzionale: una novità da ridimensionare”, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, b) Giurisprudenza Costituzionale, fasc. 1 del 2016, pag. 416, Milano, Giuffrè, 2016.

La sentenza della Corte Costituzionale è stata di grande importanza per rimediare alla preoccupazione che destava la legge n. 81 del 2014, riguardo il giudizio di pericolosità, mantenendo ancora in vita i criteri esterni di valutazione della stessa.

Persistono però, nonostante l’interpretazione della Consulta, delle lacune nella nuova disciplina; quest’ultima persegue il fine di basare l’internamento nelle strutture custodiali su motivazioni legate alle condizioni del soggetto o ai suoi comportamenti, e non a fattori esterni, quali l’incapacità delle strutture sanitarie a prendersene cura. In sede applicativa, però, la soluzione del Giudice delle leggi potrebbe risultare meno efficace di quanto sembri. Difatti nel caso in cui il giudice decidesse di applicare la misura di sicurezza non detentiva, potrebbe prendere in considerazione tutti i fattori relativi al giudizio di pericolosità; questo, però, potrebbe essere controproducente sulla prognosi di pericolosità sociale, facendo propendere per la sua sussistenza, proprio nel momento in cui il giudice vorrebbe optare per una misura extra-detentiva. Ed è infatti proprio davanti a tali situazioni che i giudici si ritrovano ad optare per la misura custodiale come soluzione inevitabile.

Se, invece, il giudice volesse applicare la misura custodiale, come detto sopra, non potrebbe servirsi dei fattori esterni o situazionali per valutare la pericolosità sociale ma, esclusivamente, dello stato mentale dell’interessato; tale stato mentale però è stato preso in considerazione nel giudizio “precedente” sull’esistenza della pericolosità sociale, nel quale il giudice potrebbe essersi fatto influenzare anche dall’eventuale assenza di assistenza sanitaria o sociale, cioè i fattori situazionali, per cui non è difficile immaginare che possa prenderli in considerazione di fatto anche nella valutazione di quale misura di sicurezza applicare, giustificandola, però, solo con lo stato mentale dell’infermo, così come dice la normativa.

10. La “riforma Orlando” per i soggetti non imputabili e