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Il giudizio di pericolosità e misure di sicurezza

Il giudizio di pericolosità

3. Il giudizio di pericolosità e misure di sicurezza

Il giudizio di pericolosità è il punto problematico nell’applicazione delle misure di sicurezza. Si distingue dal giudizio sulla responsabilità penale perché quest’ultimo è un giudizio diagnostico, cioè si fonda sulla valutazione di dati noti, mentre il giudizio di pericolosità è un giudizio prognostico, in quanto i dati che possono

essere valutati, assumendo una veste indiziante, per predire un dato sconosciuto, vale a dire, la condotta futura del soggetto.

Per applicare una misura di sicurezza, quindi, è necessaria una valutazione della personalità del reo completa, cui dovrà seguire la valutazione della persistenza, dell’attualità e della misura della pericolosità sociale. Questa valutazione deve prendere in esame sia i fattori interni all’individuo e ambientali, sia il disvalore sociale causato dalla commissione del reato.

La norma a cui ci si deve riferire per la prognosi della pericolosità è l’art. 203 c.p., che statuisce che è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, che “è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati”. La sua pericolosità si fonda “sulle circostanze indicate nell’art. 133” (c.p.). Quest’ultimo articolo non dà certo indicazioni chiare e univoche per far fronte all’incertezza che anima il giudizio prognostico, dato che è una norma utilizzabile, principalmente, per la commisurazione della pena. Vengono presi in considerazione la gravità del reato e la capacità a delinquere.

La prima attiene ad elementi relativi al reato, che vengono valutati in base a parametri ampiamente condivisi. Sicuramente, la gravità del reato e le modalità in cui si è svolto offrono elementi importanti, così come anche l’intensità del dolo o il grado della colpa; il resto si pone come condizione necessaria ma non sufficiente, è necessario avere un quadro più completo che deve essere integrato da altri fattori riguardanti la personalità, l’ambiente e il comportamento del reo, al fine di effettuare il giudizio.

Più incertezza presenta la seconda, prevista al 2° comma dell’art. 133 c.p., che contempla: i motivi a delinquere e il carattere del reo; i precedenti penali e giudiziari e la condotta e la vita del reo, antecedenti al reato; la condotta contemporanea o susseguente al reato; le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo. Tali fattori sono certamente influenzabili dalle idee del soggetto giudicante, ma hanno grande rilevanza nel formulare una valutazione predittiva.

La condotta di vita di un soggetto può infatti assumere una veste positiva o negativa a seconda dei convincimenti personali del giudice; così anche le condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo possono essere valutate in modo contrastante anche dallo stesso giudicante in relazione al contesto in cui i soggetti vivono.

Uno dei fattori, che svolge un ruolo importante, di cui il giudice deve tener conto sono i motivi a delinquere e il carattere del reo, che possono portare tanto ad un convincimento sulla sussistenza della pericolosità quanto alla sua negazione; spesso si può arrivare ad una soluzione piuttosto che ad un’altra se si valorizza un solo aspetto del soggetto sacrificandone altri.

È molto importante analizzare la condotta passata del soggetto per comprendere le eventuali scelte che potrà intraprendere nel futuro. Poiché anche lo stesso art. 203 c.p. invita ad una valutazione che tenga conto di tutti i fattori, sia che questi vengano a modularsi tra loro, perché, a volte, contrastanti, sia che sia rafforzino l’un l’altro nella stessa prospettiva.

Nel giudizio sulla pericolosità, che, come si è più volte detto, è un giudizio prognostico, sicuramente, i motivi e il carattere del reo, e, quindi, le ragioni che hanno condotto il soggetto a compiere il reato rappresentano un’indicazione del probabile comportamento futuro del soggetto. Tali elementi valutati nel loro legame col fatto, possono indurre il giudice a ravvisare la pericolosità del soggetto, se questi non ha saputo modulare il proprio comportamento già nel passato, nel compimento del reato, non lo farà neppure nel futuro; se egli non è riuscito a controllarsi nel passato, non cambiando le condizioni, si comporterà nello stesso modo nel futuro, per cui si conclude con il riscontro della sua pericolosità sociale.

Si giunge a tale conclusione soprattutto quando non si riesce a darsi una spiegazione delle ragioni che hanno portato il reo a comportarsi in quel modo; soluzione inversa, nel senso di negare la pericolosità, si avrà se il giudicante si pone in una prospettiva di maggiore comprensione verso l’autore del reato; questo può essere influenzato anche dal contesto storico e socio-culturale in relazione al comportamento del reo, che può essere condiviso o capito dagli altri consociati.

Bisogna, poi, valutare il peso che questi elementi potranno svolgere in futuro; questa valutazione dà al giudice non pochi problemi, per il motivo, già detto sopra, che dare risposte certe sul comportamento nel futuro non può che comportare ipotesi, più che certezze.

“Solo considerando le motivazioni a delinquere, il carattere del reo, la sua storia penale, la sua condotta di vita antecedente, contemporanea o susseguente al reato e le sue condizioni

individuali, familiari e sociali, è possibile impostare una prognosi che, per quanto non scientificamente certa, appare socialmente condivisibile”75.

Il giudizio di pericolosità si incardina nel processo penale, quando si tratta di applicare una misura di sicurezza. Nei confronti del soggetto del quale deve essere valutata la pericolosità sono, ovviamente, previste garanzie processuali. Deve essere rispettato il principio del “giusto processo”, previsto dall’art. 111 Cost. e dall’art. 6 della CEDU.

Così come avviene nel giudizio sulla responsabilità penale per l’irrogazione della pena, il soggetto è garantito dalla presunzione di innocenza, che si ritiene venga estesa anche al giudizio di pericolosità, infatti la parte pubblica deve dimostrare la pericolosità del soggetto; in caso contrario si porrebbe su quest’ultimo l’onere di provare la propria non pericolosità contrariamente ai principi del “giusto processo” e sacrificando i suoi diritti di difesa, che si evincono anche nella scelta del soggetto di non partecipare al processo o di parteciparvi in silenzio.

Per quanto attiene al grado di certezza espresso dall’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, previsto per la verifica della responsabilità penale e l’irrogazione della pena, nel giudizio di pericolosità non si può pretendere questo grado di certezza, in quanto, abbiamo detto, non si tratta di valutare dati certi e oggettivi, esclusi i precedenti

75 A. Martini, “Essere pericolosi, giudizi soggettivi e misure personali”, pag. 176, Giappichelli, Torino, 2017.

penali e giudiziari, per cui si potrà dare significato a tale espressione intendendola come “fermo convincimento personale del giudice”76.

Quando deve essere applicata provvisoriamente una misura di sicurezza competente è il giudice delle indagini preliminari, in caso di impugnazione della stessa, il Tribunale della libertà; il giudice di cognizione nel momento in cui giudica il reato commesso, e nei casi previsti dalle fattispecie di sicurezza, quando giudica la pericolosità del soggetto; il magistrato di Sorveglianza, quando accerta la sussistenza o la persistenza della pericolosità, e il Tribunale di Sorveglianza, nel caso in cui venga impugnata la sentenza di condanna o di proscioglimento relativa all’applicazione della misura di sicurezza, da parte del Pubblico Ministero o dell’imputato. In base al codice di rito, è di regola il giudice di cognizione che, avendo accertato la pericolosità del soggetto, applica la misura di sicurezza con la sentenza di condanna o di proscioglimento al termine del processo nel quale ha valutato il fatto di reato; in tal caso, per l’esecuzione della misura il Pubblico Ministero trasmette gli atti al magistrato di Sorveglianza che formula il proprio giudizio di pericolosità; se invece il giudice di cognizione non si è pronunciato sulla pericolosità sociale, in magistrato di Sorveglianza può, anche d’ufficio, applicare la misura di sicurezza.

Nel caso in cui il giudice di cognizione ha ritenuto che la pericolosità sociale non sussistesse, il magistrato di Sorveglianza non può pronunciarsi in modo contrario se la sentenza diviene definitiva,

76 A. Martini, “Essere pericolosi, giudizi soggettivi e misure personali”, Giappichelli, Torino, 2017.

dovrà essere il Pubblico Ministero ad impugnare il provvedimento davanti al Tribunale di Sorveglianza.

Per quanto attiene al giudizio di cognizione, il giudice si focalizza sulla prova della sussistenza del fatto di reato e sull’accertamento della responsabilità penale, relegando, in un secondo piano, la sua attenzione all’accertamento della pericolosità sociale.

Nel giudizio di sorveglianza, il giudice deve valutare la sussistenza della pericolosità se non è stata accertata prima, deve verificare la sua persistenza ed in base ad essa rivalutarla ed eventualmente predisporre un’altra misura se sono venuti alla luce elementi ulteriori non valutati, o perché sono emersi dopo il provvedimento divenuto definitivo, o perché non presi in considerazione. Egli decide con ordinanza motivata; alla base delle sue valutazioni può servirsi della sentenza di condanna o proscioglimento, che dà conto di tutti i fattori valutati in base al 1° comma dell’art. 133 c.p.; ecco perché il magistrato di Sorveglianza si concentrerà sulla capacità a delinquere del reo, fondandola su dati certi, quali il suo passato penale e giudiziario, e sui motivi, il carattere e le condizioni di vita, ricostruendole, se non è stato già fatto dal giudice della cognizione. Come anticipato, il magistrato di Sorveglianza deve accertare e riesaminare la pericolosità in fase esecutiva per l’applicabilità, il mantenimento e l’idoneità della misura di sicurezza. L’accertamento deve sempre precedere il momento esecutivo della misura, in quanto la pericolosità sociale deve persistere per l’esecuzione della stessa. Il magistrato di Sorveglianza, inoltre, può, se sono cambiate o cessate le esigenze che avevano portato all’applicazione della misura in fase

di cognizione, sostituire o modificare la misura di sicurezza personale detentiva o può revocarla.

Il procedimento di revisione della misura di sicurezza si colloca alla scadenza della durata minima della stessa prevista dal giudice di cognizione, per stabilire quale esito ha avuto la misura e valutare la persistenza della pericolosità; se tale valutazione sarà negativa, il magistrato di Sorveglianza fissa un termine per ulteriori accertamenti, che comunque egli può compiere quando ritenga che si siano presentati dei cambiamenti. Si deve ricordare per quanto attiene la durata minima della misura di sicurezza, che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 110 del 1974, ha dichiarato illegittimo il divieto di revoca della misura prima che scadesse il termine di durata minima, traslando, inoltre, la competenza di revoca dal Ministro della Giustizia al magistrato di Sorveglianza.

Se il soggetto, durante il riesame, risulta ancora pericoloso, il giudice, quindi, fissa un nuovo termine per un altro esame, così come può fare, come detto sopra, anche se cessa la pericolosità. La legge, inoltre, dà delle indicazioni per orientare la scelta della specifica misura di sicurezza personale da applicare, quando ve ne siano più disponibili.

Abbiamo visto nel terzo capitolo che al 1°comma, lett. b) dell’art. 1 del decreto legge n. 52 del 2014 che modifica il 4° comma dell’art. 3- ter del decreto legge n. 211 del 2011, è previsto che, accertata la pericolosità sociale dell’infermo di mente, il giudice deve valutare se può applicare altre misure di sicurezza, diverse dal ricovero in una REMS, in passato OPG o CCC, che siano ugualmente adatte al

trattamento del soggetto non imputabile. Per tale valutazione è necessario considerare le qualità soggettive della persona e non tenere conto dei criteri previsti dall’art. 133, 2° comma, n. 4 c.p., e “non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali”.

Come già detto nel capitolo richiamato, la Corte Costituzionale ha chiarito, nella sentenza n. 186 del 2015, che non vengono modificati i criteri per valutare la pericolosità sociale, ma si è voluto prevedere che per i soggetti non imputabili, ai quali fosse riconosciuta la pericolosità sociale e fosse applicabile l’OPG o la CCC, potessero essere applicate misure di sicurezza diverse, che comunque rispondessero all’esigenza di trattamento e di cura del soggetto e alle esigenze difensive, in modo da incidere il meno possibile sulla loro libertà. Anche in questo disposto normativo, come in tutto il giudizio di pericolosità, si respira incertezza.

In ogni caso, siamo sempre di fronte ad un giudizio che, da una parte guarda al passato, e dall’altra si volge verso il futuro.

Il giudice potrebbe, quindi, fidarsi maggiormente per questo tipo di accertamento al proprio convincimento piuttosto che alle perizie, che non hanno una scientificità certa.

La dottrina più attenta, da tempo, richiede che venga rivista la struttura del processo, in modo da non sacrificare l’attenzione alle diverse valutazioni che il giudice deve compiere, da una parte dovrebbe esserci la fase dell’istruzione e della decisione, dall’altra

quella della commisurazione della pena, in cui dovrebbe collocarsi anche l’accertamento della pericolosità sociale.

Gli approcci pensati dalla dottrina per un diverso metodo di accertamento della pericolosità sono: individuare legislativamente elementi indicativi della pericolosità sociale, questo consentirebbe di eliminare la discrezionalità del giudice con maggiore certezza e uniformità nella valutazione della stessa, ma presenterebbe il rischio di un non augurabile ritorno a presunzioni legislative; un’altra soluzione prospettata è stata l’indagine della pericolosità utilizzando la perizia criminologica individualizzata attraverso un collegio di esperti in vari settori, che presenterebbe il vantaggio di poter fondare la valutazione su una maggiore scientificità, sacrificherebbe la certezza e l’eguaglianza; il terzo metodo prospetta una determinazione legislativa dei fattori indizianti della pericolosità sociale, verrebbero indicati, attraverso la prognosi criminale, indici e parametri della pericolosità sociale, che garantirebbero l’uniformità applicativa, e si preserverebbe il diritto di difesa e la libertà discrezionale di decisione del giudice. Quest’ultimo metodo sembrerebbe quello più consono per la compatibilità con i generali valori dell’ordinamento.