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L’accertamento della pericolosità sociale e misure di prevenzione

Il giudizio di pericolosità

5. L’accertamento della pericolosità sociale e misure di prevenzione

Se si riscontra incertezza nel giudizio di pericolosità delle misure di sicurezza, a maggior ragione si ravvede indeterminatezza e arbitrarietà in quello relativo alle misure di prevenzione.

Infatti, poiché le misure di sicurezza sono comunque ancorate alla commissione di un fatto di reato, che certamente svolge un ruolo importante nella valutazione della pericolosità del soggetto, in relazione a quelli che potranno essere i suoi comportamenti futuri e la sua eventuale recidiva, le misure di prevenzione sono sganciate anche da questo elemento, in quanto misure ante o praeter delictum, che vengono utilizzate nei confronti dei soggetti ritenuti pericolosi per l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica. La conseguenza è che

la schiera di questi soggetti sia molto variegata e che vengano inseriti soggetti che, in un determinato momento o per un allarmismo sociale, siano considerati pericolosi.

Come detto nel precedente capitolo, il sistema delle misure di prevenzione è pervaso da una congenita indeterminatezza, in quanto già dalla loro nascita e nel corso della loro storia, sono state applicate dal legislatore per punire i soggetti che si ritenevano pericolosi, o talvolta scomodi, per l’ordine costituito o comunque contrari ai valori sociali, culturali o religiosi del momento.

Si ritiene che i comportamenti dei soggetti ritenuti pericolosi siano indicativi di segnali che li facciano ritenere tali, richiamando ad “elementi di fatto”, “indizi” o “atti preparatori”. In presenza di tali condotte, lo Stato interviene per prevenire la commissione di reati, valutando, anche qua, la pericolosità del soggetto.

Anche le misure di prevenzione comportano, come le misure di sicurezza una giudizio bifasico: il soggetto deve poter essere inquadrato in una fattispecie di sicurezza o di prevenzione, ed essere accertata la sua pericolosità.

Gli elementi che fanno riscontrare la pericolosità sociale del soggetto, concorrono a formare il patrimonio probatorio su cui si fonda il giudizio di prevenzione.

Il giudice deve garantire, nel contraddittorio tra le parti, che vengano accertate le fattispecie di prevenzione, attraverso la valutazione dell’idoneità degli “elementi di fatto” su cui è fondata la domanda di applicazione della misura di prevenzione.

Tali elementi, anche se considerati non solo come sospetti, ma come circostanze di fatto vere e proprie, oggettive e controllabili, non presentano, certo, non possono avere la validità delle prove, così come avviene nel processo per valutare la responsabilità penale, che attraverso il procedimento logico-indiziario consente al giudice di arrivare ad un convincimento “oltre ogni ragionevole dubbio”, quindi, un convincimento non arbitrario.

Tutto ciò perché è proprio diverso l’oggetto del giudizio: quello del processo penale è la responsabilità penale dell’imputato in relazione al reato commesso, quello del giudizio di prevenzione è la pericolosità sociale di un soggetto che ha tenuto un comportamento del quale si deve valutare il potenziale pregiudizio verso l’ordine pubblico e la sicurezza pubblica.

Questa diversità è stata affermata anche dalla Corte Costituzionale, nella sentenza n. 270 del 2011, in cui evidenzia “le profonde differenze, di procedimento e di sostanza, tra le due sedi, penale e di prevenzione: la prima collegata ad un determinato fatto di reato oggetto di verifica nel processo, a seguito dell’esercizio dell’azione penale; la seconda riferita a una complessiva notazione di pericolosità espressa, espressa attraverso condotte che non necessariamente costituiscono reato”.

Nel processo di prevenzione, promosso dal Questore o dal Direttore DIA, o dal Pubblico Ministero, la competenza spetta al Tribunale di Sorveglianza, ma si deve sottolineare che la garanzia giurisdizionale per l’applicazione delle misure è più di facciata che concreta, in quanto non si gode degli stessi strumenti previsti nel procedimento

penale, pensiamo ai tempi ristretti per l’instaurazione del contraddittorio, così anche per la presentazione di memorie, il preposto può essere sottoposto ad interrogatorio, se non detenuto, il provvedimento conclusivo del processo è un decreto motivato e si prevede l’impugnazione, anch’essa entro tempi ristretti (10 giorni dalla comunicazione del provvedimento), escludendo, in tal caso, la sospensione del provvedimento, che diviene immediatamente esecutivo. Si deve riferire di un passo in avanti fatto in merito alla pubblicità del giudizio, infatti, dopo condanne da parte della CEDU, per violazione dell’art.6 della Convenzione, il legislatore ha previsto al 1° comma dell’art. 7 del decreto legislativo n. 159 del 2011 (Codice delle leggi Antimafia), la possibilità per il proposto di richiedere l’udienza pubblica.

Questo quadro desta perplessità sull’effettivo rispetto delle garanzie giurisdizionali, sembra che una volta accertata l’appartenenza del soggetto ad una delle fattispecie di pericolosità, ne consegua la sua pericolosità, che “si sottrae ad ogni verifica in sede di legittimità”79.

Tra le misure di sicurezza e di prevenzione si evince una differenziazione nel metodo dell’accertamento della pericolosità, infatti le prime, come abbiamo visto, sono legate ad un fatto di reato e si prendono in considerazione i criteri dell’art. 133 c.p., mentre per le seconde si prescinde dalla commissione di un reato, e ci si rifa a indici, per i quali non esiste una definizione giuridica o un criterio che possa aiutare il giudice, per cui egli deve fare ricorso ad un criterio intuitivo.

79 A. Martini, “Il mito della pericolosità. Alla ricerca di un senso compiuto del sistema della prevenzione personale”, in Rivista italiana di Diritto e Procedura Penale, pag. 555, fasc. 2 del 2017, Giuffrè, Milano, 2017.

La valutazione in concreto della pericolosità sociale, deve essere fondata su elementi sintomatici, quali i precedenti penali del prevenuto, informative dell’autorità di pubblica sicurezza, sentenze del giudice penali, e sulla personalità del soggetto nel suo complesso e sulla sua condotta.

Purtroppo, però, la giurisprudenza ha effettuato, spesso, richiami al sospetto, a presunzioni o, addirittura, a supposizioni relativamente a determinati fatti. Sembra quindi evincersi, ancora una volta, una certa arbitrarietà del giudicante.

Questo ha destato perplessità, soprattutto nella dottrina, che ha sottolineato la sua contrarietà ad un tale modalità di giudizio; pronunciandosi così sul sistema preventivo: “un sistema che appare oggi più che mai in stridente contraddizione con le tradizionali categorie ideali del liberalismo giuridico; e ciò non solo perché (e non è certo poca cosa) contiene misure coercitive indefinite sia nei presupposti applicativi che nei contenuti, e dunque sostanzialmente esposte all’arbitrio giudiziale, ma anche per i suoi risvolti processuali: l’inflizione di quelle misure presuppone infatti un rito che, più che inquisitorio, è sommario, e che appare ancor più iniquo se si pensa che, […] le garanzie processuali dovrebbero essere tanto più solide e robuste quanto più il presupposto di applicazione di una misura afflittiva e limitativa della libertà personale diventa vago ed evanescente”80.

Un aspetto da sottolineare è, inoltre, la mancanza, rispetto allo scopo di difesa dal pericoloso, di non aver predisposto alcuna proposta,

80 M. Catenacci, “Le misure personali di prevenzione fra ‘critica’ e

‘progetto’: per un recupero dell’originaria finalità preventiva”, pag. 526, fasc.

misura o trattamento per il soggetto che si ritiene abbia adottato un comportamento contrario ai dettami dell’ordinamento, col risultato di non offrirgli una via d’uscita per rivedere le scelte effettuate e modulare in maniera diversa il suo comportamento.

In effetti è a questo che dovrebbe tendere un sistema preventivo, così come avviene per le misure di sicurezza, almeno provandoci, dovrebbe farsi per le misure di prevenzione, che avrebbero, sicuramente, una maggiore ragion d’essere se presentassero una finalità di recupero del soggetto nella compagine sociale, una sua “rieducazione”.

Il processo di prevenzione deve rispettare, comunque, le norme sul “giusto processo” e il giudice dovrebbe raggiungere una ragionevole certezza che il preposto sia pericoloso.

I dati indiziari devono essere esenti da vizi, in quanto comunque si potrebbe incidere su diritti di libertà del soggetto.

Il problema è il fatto che il legislatore si sia, fondamentalmente, sottratto dal tracciare una strada precisa da utilizzare per accertare la pericolosità e questo dà vita a possibili abusi, arbitri ed errori nel giudizio prognostico.

Soltanto fatti ed elementi certi dovrebbero fondare il giudizio di pericolosità e un sistema probatorio e il contraddittorio, che fondano un idoneo accertamento, possono permetterlo. Tutto ciò per evitare che possa ritenersi già scontata la pericolosità del soggetto solo per il fatto che rientra in una delle categorie di prevenzione.

In conclusione, possiamo affermare che l’incertezza che connota il giudizio di prevenzione, che comporta una possibile arbitrarietà del

giudice nella valutazione della pericolosità, è esattamente la stessa che si riscontra nell’indeterminatezza e nella scarsa precisione delle fattispecie preventive descritte dal legislatore.

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