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Il percorso legislativo per la chiusura degli OPG e la nascita delle REMS

Misure di sicurezza e infermità mentale

7. Il percorso legislativo per la chiusura degli OPG e la nascita delle REMS

Il lungo percorso che ha portato alla definitiva chiusura degli OPG, previsto dall’art. 3-ter, del decreto legge n. 211 del 2011, convertito in legge n. 9 del 2012, è il risultato della riforma psichiatrica del 1978, che ha avuto il merito di spezzare il binomio malattia mentale- pericolosità, degli interventi della Corte Costituzionale che avevano stabilito la possibilità per il giudice di applicare la misura più adatta per l’infermo di mente, escludendo il ricorso all’internamento in OPG, ove fosse stato possibile, ribadendo il suo uso come extrema ratio; la Corte auspicava una revisione della materia adeguata ai parametri di legittimità costituzionali, infatti un intervento del legislatore adeguato ai parametri di legittimità costituzionali in una materia in cui era necessario l’intervento del legislatore e non, in sua sostituzione, la prassi giudiziaria, così da rendere il trattamento dei soggetti non imputabili rispettoso dei diritti della persona.

Un primo richiamo agli OPG si trova nel DPCM del 1° aprile 2008, che trasferisce le funzioni sanitarie relative ad essi alle Regioni in cui si trovavano ubicati gli stessi, che sarebbero dovuti essere superati da strutture regionali con autonomia organizzativa, dotate di un sistema di vigilanza non invasivo.

Per gli infermi di mente il mantenimento del legame col proprio territorio comporta, certo, “una netta inversione di rotta rispetto al marcato sradicamento degli internati conseguente all’impiego dei meccanismi sino ad allora operanti”31.

Successivamente la Commissione Marino, come detto sopra, ha portato alla luce le gravi carenze degli OPG. Ecco che la legge n. 9 del 2012, di conversione del decreto legge n. 211 del 2011, il quale

31 F. Della Casa, “Basta con gli OPG! La rimozione di un ‘fossile vivente’

quale primo passo di un arduo percorso riformatore”, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, pag. 64, fasc. 1 del 2013, Milano, Giuffrè, 2013.

recava “interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffollamento delle carceri”, c.d. “svuota carceri”, all’art. 3-ter prevedeva disposizioni per il definitivo superamento degli OPG e fissava nel 1° febbraio 2013 il termine per il definitivo superamento.

La legge ha confermato la scelta di affidare la gestione di strutture, a limitato numero di posti letto, sostitutive degli OPG al servizio sanitario, e che queste abbiano carattere e funzioni terapeutiche piuttosto che contenitive. Queste strutture sono chiamate REMS, residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza e sostituiscono gli OPG e le case di cura e custodia (o CCC).

Il decreto legge n. 24 del 2013, ha introdotto modifiche all’art 3-ter, e ha prorogato fino al 31 marzo 2014 la chiusura degli ospedali psichiatrico giudiziari; inoltre prevede misure per evitare il ricovero in OPG, attraverso il rafforzamento dei servizi di salute mentale sul territorio. L’art 3-ter del decreto legge n. 211 del 2011, prevedeva il passaggio definitivo alla gestione sanitaria regionalizzata e la presa in carico degli internati da parte dei dipartimenti di salute mentale. La legge n. 57 del 2013, che converte il decreto legge n. 24 del 2013, ha, in sostanza sollecitato le autorità competenti, in modo da non lasciare sulla carta la chiusura degli OPG, e prevede la dimissione dei soggetti per i quali è già stata esclusa dall’autorità giudiziaria la pericolosità sociale, con l’obbligo per le ASL di prendere in carico tali soggetti per costruirne un percorso terapeutico e riabilitativo. Con la legge n. 81 del 2014, che ha convertito, con modificazioni, il decreto legge n. 52 del 201432, recante “disposizioni urgenti in

materia di superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari”, si prevede un monitoraggio delle Regioni nel processo di superamento

32 Il d.l. 52 del 2014, prevedeva una seconda proroga del termine al 31 marzo 2015, che sarebbe dovuta essere l’ultima, anche secondo le parole de Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, riportate dalla stampa: “ho

firmato con rammarico il decreto legge di proroga per non essere state in grado le Regioni di dare attuazione concreta a quella norma ispirata a elementari criteri di civiltà e di rispetto della dignità di persone deboli”

degli OPG e delle CCC e la creazione delle REMS; la legge prevede una proroga per la chiusura, ma questo si può comprendere, se si considerano le lentezze burocratiche nel fissare le caratteristiche che le REMS dovrebbero avere e la mancata attuazione da parte delle Regioni degli standard necessari.

Si tratta di una legge che contenendo “disposizioni urgenti”, la parte relativa alla chiusura degli OPG e delle CCC rimane programmatica, perché si tratta di una proroga e non di una riforma; in più il legislatore avrebbe potuto osare di più, modificando il codice penale, dato che interviene riformando il presupposto soggettivo, cioè la pericolosità sociale, e la durata delle misure di sicurezza, per cui poteva direttamente revisionare tale fonte.

La legge ha previsto, come detto, una proroga fino al 31 marzo 2015, che può essere imputata alla mancata capacità delle Regioni di attuare la disciplina. È previsto che le Regioni debbano comunicare ogni sei mesi gli avanzamenti dei lavori, e agirà in via sostitutiva il Ministero della Salute; a quest’ultimo e all’autorità giudiziaria competente devono essere comunicati i programmi di dimissione dei soggetti presenti negli OPG.

Ancora, alle Regioni è stato concesso un termine per rivedere i programmi e spostare i finanziamenti statali per la costituzione delle nuove strutture o per riqualificare quelle già presenti sul territorio e renderle funzionali allo scopo da perseguire; possono organizzare “corsi di formazione per gli operatori del settore finalizzati alla progettazione e alla organizzazione di percorsi terapeutico- riabilitativi e alle esigenze di mediazione culturale”.

L’art. 1 comma 1, lett. b), del decreto legge n. 52 del 2014, come modificato in sede di conversione in legge n.81 del 2014, statuisce che “il giudice dispone nei confronti dell’infermo di mente e del seminfermo di mente l’applicazione di una misura di sicurezza, anche in via provvisoria, diversa dal ricovero in un ospedale

psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e custodia , salvo quando sono acquisiti elementi dai quali risulta che ogni misura diversa non è idonea ad assicurare cure adeguate e a far fronte alla sua pericolosità sociale”.

In questo modo viene positivizzato dal legislatore ciò che la Corte Costituzionale aveva previsto da tempo riguardo la possibilità per il giudice di scegliere la misura da applicare più adatta, valutando il trattamento detentivo solo come extrema ratio.

Inoltre si prevede un cambiamento nell’accertamento della pericolosità sociale, infatti, non si deve tener conto per il suo accertamento i criteri dell’art 133, 2° comma, numero 4, ma le qualità soggettive della persona, col risultato che non tenendo in considerazione le condizioni individuali e sociali del soggetto, la decisione del giudice sia sganciata da situazione di disagio e indigenza familiare e/o sociale. Si prevede che “non costituisce elemento idoneo a supportare il giudizio di pericolosità sociale la sola mancanza di programmi terapeutici individuali”.

Il legislatore ha voluto così porre un freno alle situazioni di svantaggio sociale di certi soggetti internati che non erano seguiti dalle famiglie o di quelli che non venivano presi in carico dal servizio sanitario nonostante avessero una situazione clinica idonea ad essere seguiti con programmi terapeuti individuali esterni. In tali casi gli infermi di mente sarebbero discriminati da fattori esterni alla loro situazione personale e psichica.

Questi risultati erano stati bene posti in luce dalla Commissione Marino, che si pronunciava sulla “necessità di porre un argine al fenomeno delle proroghe sistematiche della misura di sicurezza, basate su una certa dilatazione del concetto di pericolosità sociale: sovente la proroga disposta non già in ragione di una condizione soggettiva di persistente pericolosità, bensì per la carenza di un’adeguata offerta di strutture residenziali e riabilitative esterne”.

L’art. 1, 1° comma quater del decreto legge n. 52 del 2014, inserito in sede di conversione, prevede che tutte le misure di sicurezza non possono avere una durata superiore a quella prevista per la pena detentiva comminata per il reato commesso.

Questo è un passaggio molto importante, in quanto si prova a porre fine a quelle situazioni che vanno sotto il nome di “ergastoli bianchi”, cioè i casi in cui soggetti cui veniva applicata la misura dell’OPG o della CCC, per un certo periodo, si ritrovavano a sottostarvi per un periodo tendenzialmente indeterminato, anche se “dimissibili”, perché non più socialmente pericolosi, ma che venivano trattenuti proprio per la mancanza di soluzioni alternative. Precedentemente, già la Commissione Marino, aveva riscontrato questa triste tendenza, e auspicava una modifica della disciplina delle strutture custodiali, in modo da impedire “all’autorità giudiziaria di desumere la pericolosità sociale dall’apparente mancanza di adeguate possibilità di cura e sistemazione in libertà”33.

Tale timore era avvertito, giustamente, da una parte consistente della dottrina, che riteneva fosse più utile “una rivisitazione delle stesse misure di sicurezza, [sempre] da riservare soltanto ai non imputabili, nel senso di prevedere il ricovero non solo con un limite minimo, che potrebbe essere anche anticipato, se ‘il bisogno di terapia’ non risulti, allo stato, più sussistente, ma, soprattutto, con la previsione di un limite massimo, nel senso che, spirato comunque quest’ultimo termine, per evidenti ragioni di garanzia, non si dovrebbe più pretendere che il ricovero, ad esempio, nella struttura sanitaria, causato dalla commissione di un reato, permanga di carattere obbligatorio anche dopo lo spirare di detto termine massimo, ma dovrebbe proseguire solo con il consenso dell’interessato”34.

33 Resoconto stenografico della Relazione, Senato della Repubblica, 23 aprile 2014.

34 A. Manna, “Sull’ ‘abolizione’ degli ospedali psichiatrici giudiziari:

pericolosità sociale o bisogno di terapia?”, in Rivista Italiana di Diritto e Procedura Penale, fasc. 3 del 2013, pag. 1329, Milano, Giuffrè, (2013).

Questo lungo percorso fa capire come si cercasse di trasformare le misura di sicurezza per i soggetti non imputabili privilegiando il versante terapeutico. I ritardi nella realizzazione di questi risultati sono da imputare alla mancanza di un effettivo impegno per l’allestimento di strutture idonee allo scopo.

Le REMS dovrebbero essere delle strutture gestite dal servizio sanitario territoriale, dove le esigenze di cura e di difesa possono essere ben soddisfatte attraverso percorsi terapeutici individualizzati, ove possibili da svolgere in libertà. Certamente, per una parte dei soggetti internati non sarà possibile escludere del tutto misure di contenimento, in questi casi è prevista un’attività perimetrale di sicurezza e di vigilanza esterna.

Inoltre la dimensione di queste strutture è ridotta, e questo è uno degli elementi che, anche a parere della psichiatria, le distingue dagli OPG, i quali erano sovraffollati e questo certo non rendeva adeguata né la gestione né la cura degli internati.

La legge n. 81 del 2014, ha fatto molto, disciplinando lo svuotamento delle strutture in cui si eseguivano le misure di sicurezza detentive; ma certo da più parti si richiedeva una consistente riforma delle misure di sicurezza più organica e radicale, da tempo attesa.

8. I timori della dottrina all’indomani della legge n. 81 del