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Lo sviluppo storico delle misure di prevenzione

Misure di prevenzione personal

1. Lo sviluppo storico delle misure di prevenzione

Le misure di prevenzione, nonostante la loro qualificazione formalmente amministrativa, in funzione di polizia, celano un carattere sanzionatorio e afflittivo. Vengono applicate ad una serie nutrita di soggetti, ritenuti socialmente pericolosi, in presenza di fattispecie di pericolosità previste dalla legge.

Tali misure condividono con le misure di sicurezza la finalità di neutralizzazione della pericolosità sociale, e il fatto di essere entrambe ancorate ad un giudizio prognostico di pericolosità; ma le distingue il momento della loro possibile adozione: le misure di sicurezza, come abbiamo visto, presuppongono la commissione di un reato o quasi reato, quindi sono misure post delictum, mentre le misure di prevenzione prescindono dall’accertamento della commissione di un reato, per cui sono misure praeter o ante delictum.; le stesse hanno sempre comportato una forte compromissione di libertà, diritti e facoltà, per raggiungere lo scopo di una tutela anticipata della collettività, per prevenire futuri reati, contrastando la pericolosità espressa dal prevenuto.

Vedremo come la loro presenza nel sistema punitivo sia foriero di forti perplessità, data la base evanescente su cui è basata la loro applicazione, con la conseguenza che vengano assecondate quelle forti tensioni securitarie che nell’attuale società si fanno sempre più insistenti.

La storia delle misure di prevenzione è tanto risalente nel tempo, quanto tortuosa; possiamo far risalire il loro ingresso nell’ordinamento italiano nella seconda metà dell’Ottocento, all’indomani della nascita del Regno d’Italia, quando nel Meridione, ci fu l’emergenza del “brigantaggio”, così chiamato con connotazione negativa, ma che in realtà nascondeva le insurrezioni popolari, che misero in difficoltà la stessa sopravvivenza del Regno. Il modo in cui la classe dirigente affrontò tali emergenze, costituisce il germe di quelle che poi, con le dovute trasformazioni, saranno i lineamenti delle misure di prevenzione. Queste vennero previste per contrastare tutte quelle situazioni in cui l’ordine costituito riteneva determinati soggetti ritenuti pericolosi, anche se non avevano commesso alcun reato.

Si punivano, dunque, categorie di individui che avevano l’unica “colpa” di vivere in un modo contrario a quelli che erano i valori sociali e morali incardinati nella società. Il risultato era di colpire soggetti o intere classi sociali solo perché non allineati con gli schemi ordinari.

Nel 188939 si riorganizzò la disciplina delle misure di prevenzione,

eliminando le ipotesi di reati solo indiziari, di cui venivano accusate le persone meramente sospette. Con le concezioni della Scuola Classica, le misure di prevenzioni subiscono la loro prima messa in dubbio; infatti, si riteneva, come abbiamo visto in precedenza, che la responsabilità penale dovesse essere comunque legata alla condotta, determinata da libere scelte, e che questa si concretizzasse nella commissione di un delitto, tipizzato e del quale fosse chiara precedentemente la sanzione.

I sostenitori della Scuola Classica, in particolare Carrara40, vedevano

la grande differenza tra il sistema penale in senso stretto e il sistema

39 Con la legge di pubblica sicurezza n. 1644 del 1889.

40 D. Petrini, “La prevenzione inutile. Illegittimità delle misure praeter

repressivo di polizia: nel primo veniva preso in considerazione un reato, nell’altro trasgressioni meno gravi.

Si profilava l’idea di eliminare queste ultime dal codice penale e di prevedere un codice di prevenzione, che poteva essere organizzato in due diversi modi: o legando tali trasgressioni ad un fatto tipizzato, anche se di minore gravità, oppure si identificavano non più in un fatto concreto, ma più in uno stato soggettivo, un modo di vivere e comportarsi del soggetto.

In questa seconda prospettiva, divenivano quindi pene del sospetto, che andavano ad incidere sulle libertà dei destinatari anche se privi della commissione di un fatto tipico.

Gli approcci vennero seguiti entrambi: alcune delle trasgressioni finirono per essere tipizzate, mentre altre, come quelle riguardanti gli oziosi e i vagabondi, sono divenute appunto pene basate su criteri per fronteggiare il diverso, l’emarginato e chiunque fosse valutato come pericoloso per l’ordine sociale.

La Scuola Classica, relativamente alla pericolosità del soggetto, si riferiva sempre a misure tipizzate e comunque rispettose del principio di tassatività; in generale, gli esponenti di questa Scuola erano contrari all’utilizzo di misure a carattere preventivo sganciate dall’effettiva commissione di fatto illecito, contestandone la legittimità.

Anche la Scuola Positiva sembra avere un approccio in generale critico verso le misure di prevenzione, anche se sembrano esserci posizioni che potrebbero, in qualche modo, legittimarne la previsione.

Abbiamo visto come nel pensiero positivista il centro del sistema penale, non è più la funzione retributiva della pena, ma la funzione preventiva delle misure di sicurezza; in questo quadro avrebbe potuto trovare spazio il sistema preventivo, ma quest’ultimo veniva criticato in quanto si riteneva che le misure preventive poliziesche non

raggiungessero i fini che si proponevano, o addirittura potevano essere dannose. Venivano individuati i pochi prevenuti patologici, per i quali doveva essere prevista una punizione severa, dalla maggior parte dei soggetti che si trovavano in condizioni di emarginazione sociale (vagabondi, mendicanti, prostitute), per i quali sarebbero stati sufficienti interventi sociali, tesi a recuperare tali soggetti.

I sostenitori della Scuola Positiva, sottolineavano come, il sistema preventivo di polizia, nascondesse sotto mentite spoglie finalità di punizione di soggetti che erano scomodi all’ordine costituito, per i quali vi era il mero sospetto, piuttosto che avere una finalità preventiva che andasse alla radice delle cause della criminalità. All’interno del pensiero positivista, vi erano però soluzioni che facevano intravedere qualche simpatia per il sistema preventivo di polizia. Infatti, si riteneva che un sistema preventivo avrebbe potuto, non marginalizzare i soggetti, ma svolgere una funzione preventiva- riabilitativa, così com’era per le misure di sicurezza, unica funzione possibile, per i Positivisti, dell’intervento penale.

Inoltre il sistema preventivo sembrava sostenuto dalla creazione di fattispecie di pericolosità, che sembrava poter giustificare l’intervento preventivo a prescindere dalla commissione di un reato, nascondendolo con la finalità di emenda. In più, l’idea di questa Scuola, che ci fossero soggetti che presentassero delle caratteristiche fisico-psichiche e antropologiche, tali da non essere più recuperabili, avrebbe ben giustificato la limitazione della libertà personale dei destinatari, al di là della commissione di un reato.

Nel periodo fascista il sistema preventivo viene portato ad estreme conseguenze: si estendevano le misure di prevenzione personale anche nei confronti dei soggetti considerati pericolosi per il regime, ed inoltre si spostava la competenza per applicarle, dal Presidente del Tribunale, ad una commissione provinciale. Uno strumento che in tale periodo veniva spesso utilizzato era il confino di polizia, che

oltre che ai soggetti già ammoniti o a quelli diffamati dalla pubblica voce, anche ai soggetti che erano ritenuti pericolosi per lo Stato perché svolgevano o avevano intenzione di svolgere attività per sovvertire l’ordine politico, economico e sociale costituito; la norma era talmente vaga che poteva essere applicata a qualsiasi soggetto che il regime ritenesse pericoloso per sé stesso.

In questo momento storico, il dibattito che, comunque, si era sempre svolto in dottrina e nell’opinione pubblica sul sistema preventivo, venne abbandonato, e si riteneva come legittimo e necessario l’intervento dello Stato per difendere gli interessi nazionali.

Con il Codice Rocco del 1930, si discusse sulla natura giuridica o amministrativa che le introdotte misure di sicurezza dovessero avere, optando per la seconda. Questa scelta consentiva all’amministrazione di intervenire, anche in modo molto incisivo, sulla libertà dei destinatari di tali misure, ai fini della prevenzione della criminalità. In epoca liberale, la maggiore critica mossa al sistema preventivo, era il fatto di non riuscire a raggiungere l’obiettivo di far fronte alla devianza e alla marginalità che avrebbe dovuto prevenire; il regime fascista aveva raggiunto livelli di efficacia nell’applicazione di misure preventive di polizia, ma questo non è sintomo di una loro efficacia, ma piuttosto dell’aspetto più rozzo e brutale del loro utilizzo.

2. L’entrata in vigore della Costituzione e i problemi di