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Atti di terrorismo e status di rifugiato

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Alla mia famiglia,

perché ha sempre creduto in me.

(2)

I

INDICE

INTRODUZIONE

………pag. 1

CAPITOLO I

L’ESCLUSIONE

DALLO

STATUS

DI

RIFUGIATO

NELLA CONVENZIONE DI GINEVRA

1 Premessa……….pag. 6 2 Le persone escluse dall’articolo 1 lett. F (a): gli autori di crimini internazionali………pag. 11 2.1 Gli autori di crimini contro la pace………pag. 11 2.2 Gli autori di crimini di guerra……….pag.12 2.3 Gli autori di crimini contro l’umanità……….pag.12 2.4 Lo standard dei “seri motivi per considerare”………pag.13 2.4.1 L’interpretazione fornita dalle corti di common law….pag.13 2.4.2 L’interpretazione fornita dalle corti di civil law………pag.15 2.4.3 L’interpretazione fornita dall’UNCHR………..pag.17 2.4.4 I “motivi ragionevoli per credere” dell’art. 58 1(a) dello Statuto della Corte Penale Internazionale e i “seri motivi per considerare”della Convenzione di Ginevra…………...pag.19 2.5 Prime riflessioni conclusive………pag.22 3 Le persone escluse dall’articolo 1 lett. F (b): gli autori di gravi crimini non politici……….pag.23 3.1 La nozione di reato “grave”………pag.23 3.2 La natura “non politica” del reato………...pag.24 3.3 Il reato commesso al di fuori del paese di rifugio………...pag.25 3.4 Alcune riflessioni conclusive………..pag.26

(3)

II

4 Le persone escluse dall’articolo 1 lett. F (c): gli autori di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite………..pag.26 4.1 La violazione dei diritti umani………pag.27 4.2 Il terrorismo………pag.29 4.2.1 La composizione di un gruppo terroristico………pag.30 4.2.2 Segue. Quando un gruppo può essere considerato come terrorista……….pag.30 4.2.3 Segue. La composizione del gruppo………..pag.32 4.2.4 La definizione di terrorismo………..pag.38 4.3 Gli attacchi contro il personale delle Nazioni Unite e con mandato

delle Nazioni Unite……….pag.43 4.4 Le linee guida per individuare gli atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite……….pag.49 4.4.1 Gli scopi e i principi delle Nazioni Unite………..pag.49

4.4.2 Atto illecito………pag.51

4.4.3 La gravità dell’atto……….pag.52 4.5 Alcune riflessioni conclusive………..pag.55 5 I rapporti tra le cause di esclusione dallo status di rifugiato e le deroghe al principio di non-refoulement……….pag.56

CAPITOLO II

L’ESCLUSIONE

DALLO

STATUS

DI

RIFUGIATO

NELLA NORMATIVA EUROPEA

1 L’esclusione dallo status di rifugiato nella c.d. nuova Direttiva Qualifiche………..pag.60 2 Le misure specifiche per la lotta al terrorismo nella posizione comune 2001/931/PESC……….pag.66 3 La definizione di reato terroristico nella direttiva 2017/541/UE sostitutiva della decisione quadro 2002/475/GAI………...pag.69

(4)

III

CAPITOLO III

LA

POSIZIONE

DELLA

CORTE

DI

GIUSTIZIA

DELL’UNIONE EUROPEA IN TEMA DI ESCLUSIONE DEI

RIFUGIATI

Sezione I

Il caso Bundesrepublick Deutschland c. B&D

1 I fatti alla base del procedimento principale……….pag.74 1.1 La causa contro B (C-57/09): i fatti………...pag.75 1.2 La causa contro D (C-101/09): i fatti……….pag.77 2 Le questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio………...pag.78 2.1 La responsabilità individuale necessaria ai fini dell’esclusione dello

status di rifugiato………pag.80 2.2 La superfluità del requisito della “pericolosità attuale”………….pag.85 2.3 Le posizioni contrastanti emerse in merito all’esame della proporzionalità ai fini dell’esclusione dello status di rifugiato…..pag.88 2.4 L’ammissibilità di forme di protezione nazionale a favore della persona esclusa dalla qualifica di rifugiato………..pag.93 3 Alcuni rilievi critici………...pag.95

Sezione II

Il caso Commissaire général aux réfugiés et aux apatrides c.

Lounani

1 I fatti alla base del procedimento principale e le domande pregiudiziali………...pag.98 2 Il rapporto tra il diritto d’asilo e la normativa sulla lotta al

terrorismo………pag.102 3 La contrarietà del supporto logistico al terrorismo ai fini ed ai principi

(5)

IV

4 I rilievi critici e il confronto con la giurisprudenza B&D………...pag.112 5 I possibili effetti della pronuncia della Corte di giustizia nel quadro

normativo europeo in materia di lotta al terrorismo………pag.121

CONCLUSIONI

………p.123

BIBLIOGRAFIA

...p.125

ATTI E DOCUMENTI

...p.130

(6)

1

INTRODUZIONE

La lotta al terrorismo internazionale ha acquisito, negli ultimi anni, un ruolo centrale nell’azione della comunità internazionale. Questa, infatti, tenta di reagire al fenomeno terroristico sia attraverso strumenti a carattere universale, sia per mezzo di strumenti a carattere regionale. Tuttavia, le sfide che questa realtà pone, non solo in termini di sicurezza ma anche di tenuta e trasformazione dell’ordinamento internazionale (basti pensare alle difficoltà di garantire un equilibrio con il rispetto della normativa in materia di diritti umani), portano spesso gli attori internazionali ad agire su di un terreno estremamente instabile.

Questa difficoltà è particolarmente evidente nella materia del riconoscimento dello status di rifugiato. In tale contesto, la preoccupazione è quella di evitare che i diritti derivanti da tale status possano essere strumentalizzati da membri di gruppi terroristici. Da qui la difficoltà di conciliare, da un lato gli obblighi degli Stati in materia di lotta al terrorismo e, dall’altro, la responsabilità degli stessi nell’applicazione degli strumenti a tutela di coloro che invocano la protezione internazionale per sottrarsi a persecuzioni nel loro paese.

Questo fenomeno, dunque, vede scontrarsi due realtà distinte. Da un lato, l’alto numero di rifugiati che negli ultimi anni, a causa di conflitti armati e crisi umanitarie, si è spostato da paesi del Medio Oriente e dell’Africa per arrivare in Europa, con la conseguenza che, secondo i dati di Eurostat, dal 2012 al 2017 sono state più di 3 milioni le richieste di protezione internazionale che gli Stati europei hanno dovuto affrontare. In particolare, nonostante questo numero nell’ultimo anno sia progressivamente diminuito, si è attestato comunque intorno alle 650 mila richieste, delle quali quasi la metà hanno avuto un esito positivo già in primo grado.

Dall’altro, però, bisogna rilevare come la minaccia del terrorismo negli ultimi anni, dopo un periodo di quiescenza successivo agli attentati di Londra e Madrid del 2005, ha ripreso il suo incedere dal 2011 fino ad arrivare agli attacchi più recenti, dello scorso anno, che hanno visto colpiti nuovamente il Regno Unito e la Spagna.

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2

Lo scopo del presente lavoro sarà quello di cercare di stabilire dove risieda l’equilibro tra la reazione degli Stati membri agli atti terroristici e il loro obbligo di applicare le disposizioni dell’Unione Europea, corrispondenti alle norme di diritto internazionale, che tutelano lo status dei rifugiati alla luce degli orientamenti giurisprudenziali europei.

A tale fine, nel primo capitolo l’analisi si concentrerà sull’esclusione dallo status di rifugiato nella Convenzione di Ginevra del 1951. Tale Convenzione, inizialmente adottata per far fronte ai rifugiati provocati dalla seconda guerra mondiale, è stata successivamente estesa nella sua applicazione dal Protocollo di New York del 1967. All’interno della Convenzione, accanto ai requisiti necessari per ottenere lo status di rifugiato, all’articolo 1F, si trovano una serie di clausole che escludono coloro che sono ritenuti “immeritevoli” di tale tutela evitando, così, che questi possano usufruire dei benefici che ne derivano. Importante sarà l’analisi della norma in questione per capire il suo ambito di applicazione.

Il primo dubbio che sorge, in merito, è se la norma configuri una facoltà o un obbligo in materia di esclusione per lo Stato che si trovi ad applicarla. In secondo luogo sarà necessario analizzare, ai sensi dell’art. 1F lett. a), la prima causa di esclusione che si applica laddove esistano seri motivi per considerare che una persona abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità. Innanzitutto si definiranno le diverse tipologie di crimini rilevanti e, in maniera più specifica, si analizzerà lo standard dei “seri motivi per considerare”, che è comune a tutte le fattispecie dell’art. 1F. Per ciò che attiene a quest’ultimo, importante sarà riferirsi all’interpretazione datane dalle corti di common law e di civil law, richiamando in conclusione il parere dell’UNHCR e il criterio dei “motivi ragionevoli per credere” dello Statuto della Corte Penale Internazionale per un’analisi comparativa.

In terzo luogo l’analisi si sposterà sulla seconda causa di esclusione, ai sensi dell’art. 1F lett. b), che si applica nei casi in cui si abbiano seri motivi per ritenere che l’individuo abbia commesso un grave crimine non politico al di fuori del paese di rifugio prima della sua ammissione nel paese in cui ha avanzato la richiesta. Anche in questo contesto sarà necessario fornire la definizione dei singoli elementi della disposizione ai fini della sua

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3

applicazione, tenuto conto che nella maggior parte dei casi i reati di terrorismo vengono fatti rientrare in questa fattispecie.

In quarto luogo si procederà ad esaminare l’ultima causa di esclusione che, ai sensi dell’art. 1F c), nega lo status di rifugiato a chi, per seri motivi, si considera abbia commesso atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite. Gli atti che si ritiene rientrino all’interno di questa disposizione sono le violazioni dei diritti umani, il terrorismo e gli attacchi al personale dell’ONU, che saranno analizzati nello specifico. In particolar modo si porrà l’attenzione sulla nozione di terrorismo e sulla composizione dei gruppi terroristici attraverso l’analisi delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, che hanno, in varia misura, condannato questi atti di terrorismo e la giurisprudenza europea e internazionale cercando di specificarne i vari profili. Ai fini dell’analisi, tenuto conto delle difficoltà nell’individuare tali atti, si cercherà di fornire delle linee guida per stabilire quali possano portare all’esclusione ai fini della suddetta causa di esclusione.

In conclusione del Capitolo primo, si analizzeranno i rapporti che le cause di esclusione dallo status di rifugiato hanno con le deroghe al principio di non- refoulement ai sensi dell’art. 33 (2) della Convenzione di Ginevra che consente allo stato di proteggersi da un rifugiato che costituisca un pericolo per la sicurezza dello Stato.

Nel secondo Capitolo saranno approfonditi i requisiti che il diritto dell’Unione Europea richiede per l’esclusione dallo status di rifugiato, utili al fine di analizzare la giurisprudenza europea.

In primo luogo, si analizzerà la c.d. nuova direttiva qualifiche 2011/95/UE, e le sue differenze con la precedente direttiva 2004/83/CE, che prevede un quadro comune a tutti gli Stati membri dell’Unione in materia di status dei rifugiati basato sulla Convenzione di Ginevra e il relativo Protocollo che sono definiti dalla stessa come la pietra angolare alla base della disciplina in questione. Le cause di esclusione dallo status di rifugiato sono enucleate nell’art. 12 n.2 e, nonostante riprendano quanto stabilito dall’art. 1F della Convenzione di Ginevra, ampliano in vario modo l’ambito di applicazione di tali fattispecie nei casi b) e c). La particolarità di questa direttiva è quella di essere stata emanata nell’ambito specifico della protezione internazionale, a differenza del secondo atto che si terrà in considerazione, che è stato emanato

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4

con il fine specifico di combattere il terrorismo. Ci si riferisce, in particolar modo alla posizione comune 2001/931/PESC adottata dal Consiglio dell’Unione nel 2001 per attuare la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1373/2001. L’importanza di tale posizione comune, ai fini della presente analisi, risiede da un lato nelle definizioni utili all’applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo, e dall’altro alla presenza dell’Allegato, aggiornato con cadenza semestrale, che contiene un elenco con i nomi delle persone fisiche e giuridiche, dei gruppi o delle entità che sono coinvolte in atti terroristici e che, può, per tale motivo essere utile per valutare l’esclusione di un richiedente asilo.

Lo stesso si può dire della direttiva 2017/541/UE, sostitutiva della decisione quadro 2002/475/GAI, la cui analisi sarà necessaria, sebbene anch’essa emanata in un contesto che ha esigenze diverse da quelle essenzialmente umanitarie che presiedono alla protezione internazionale dei rifugiati, per individuare tre categorie di reati. In particolare si parlerà di reati terroristici, reati riconducibili ad un gruppo terroristico e reati connessi ad attività terroristiche.

Per quanto riguarda il terzo ed ultimo Capitolo, si presenterà l’evoluzione della giurisprudenza europea in materia di cause di esclusione attraverso l’analisi di due casi giurisprudenziali.

Il primo caso attiene ad una serie di domande pregiudiziali sollevate nel 2008 nell’ambito di due cause riunite che vedevano da un lato la Bundesrepublick Deutschland contro B (C-57/09) e D (C-101/09), due cittadini turchi di origine curda, rispettivamente al rigetto della domanda di asilo e al riconoscimento dello status di rifugiato nella prima causa e alla revoca, da parte della stessa autorità, del diritto di asilo e dello status di rifugiato nella seconda causa. In particolare, si analizzeranno le risposte fornite dalla Corte di giustizia, nella sentenza del 9 novembre 2010, alle domande pregiudiziali sollevate nelle suddette cause da parte del giudice di rinvio. In tale contesto la Corte di giustizia si è preoccupata di chiarire innanzitutto come si debba configurare la responsabilità individuale ai fini dell’esclusione e in secondo luogo di sottolineare la superfluità del requisito della pericolosità attuale e dell’esame di proporzionalità nell’ambito dello stesso esame.

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Il secondo caso, invece, attiene ad una domanda pregiudiziale sollevata nella causa C-573/14, nel 2014, che vedeva il Commissarieré général aux réfugiés et aux apatrides contro Mostafa Lounani. Il Sig. Lounani era un cittadino marocchino e ad esso era stata applicata l’esclusione per aver compiuto atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite ai sensi dell’art. 12 n.2 lett. c) e n.3.

Nella sentenza, emanata il 31 gennaio 2017, la Corte di giustizia, dietro richiesta del giudice del rinvio, ha specificato innanzitutto i rapporti che intercorrono tra il diritto d’asilo e la normativa sulla lotta al terrorismo e in secondo luogo il fatto che il supporto logistico al terrorismo possa essere ritenuto contrario ai fini e ai principi delle Nazioni Unite ai sensi degli artt. 12 n. 2 lett. c) e n.3 della direttiva qualifiche.

(11)

6

CAPITOLO I

L’ESCLUSIONE DALLO STATUS DI RIFUGIATO NELLA

CONVENZIONE DI GINEVRA

1 Premessa

Il diritto d’asilo ha avuto nell’ambito del diritto internazionale il suo maggiore sviluppo. Nonostante fosse già previsto in diversi termini, questo istituto è stato disciplinato in maniera particolare prima nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, all’art 14 par.1, e poi dall’Institut de Droit International nel 1950. L’applicabilità dell’istituto in questione era configurata, però, come una facoltà dello Stato presso cui veniva avanzata la richiesta e non come un diritto soggettivo del richiedente.1

Negli anni successivi alla Dichiarazione del 1948, nel panorama giuridico internazionale, si è intensificato l’interesse per il diritto d’asilo. Tale fenomeno però, almeno a livello <<universale>>, non si è tradotto in risultati apprezzabili in termini di produzione normativa. L’unico documento scaturito da questi sforzi è stato la Dichiarazione sull’asilo territoriale delle Nazioni Unite del 1967 che non è a carattere vincolante e stabilisce i punti fondamentali della disciplina del diritto d’asilo <<moderno>>.2

Dalla mancanza di una disciplina puntuale della materia in esame avente carattere vincolante, nonché dalla connotazione del diritto d’asilo quale facoltà tendenzialmente incondizionata degli Stati discende che, in base al diritto internazionale tradizionale, il diritto in questione non fosse in linea di principio soggetto ad alcun tipo di condizione per la sua concessione, durata, natura ed estensione dei diritti, a cui dava titolo nel territorio dello Stato ospite, o revoca. La determinazione di tutti questi elementi era rimessa al libero apprezzamento dello Stato presso cui era invocata la protezione. Tuttavia, a partire dal secondo dopoguerra, sono stati prodotti numerosi strumenti e norme di natura pattizia che, pur non perseguendo il fine

1 Per un’analisi maggiormente approfondita sul tema si veda LENZERINI F., Asilo e diritti umani. L’evoluzione del diritto d’asilo nel diritto internazionale, Giuffrè editore, Milano, 2009, pp. 83 ss.

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7

specifico di disciplinare il diritto d’asilo, hanno progressivamente limitato la libertà degli Stati in materia.3

Questo fenomeno si è verificato, innanzitutto, con l’adozione delle Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati alla quale, nel 1967, si è aggiunto il Protocollo di New York.4 In particolare, la Convenzione si è focalizzata su un istituto distinto dal diritto d’asilo, propriamente detto, ossia sul principio di non-refoulement,5 il quale prescrive l’obbligo di evitare che una persona sottoposta ad un rischio di persecuzione sia respinta verso un paese dove sussista tale rischio. Esso si traduce nella necessità di fornire protezione alla persona interessata, consentendole di rimanere in un territorio sicuro per tutto il tempo in cui nel paese di origine si protrae la minaccia di persecuzione. Di conseguenza, sia il diritto d’asilo che il principio di non-refoulement, sebbene distinti in termini teorici, perseguono lo stesso obiettivo.6

La Convenzione di Ginevra del 1951 (o <<Convezione sui rifugiati>>) viene incontro, inoltre, alla necessità di proteggere le persone in fuga dalle persecuzioni e di concedere loro le protezioni offerte dallo status di rifugiato. Tutto ciò, però, deve essere bilanciato con l’esclusione di coloro che sono “immeritevoli” di tale protezione. In particolare, l’articolo 1A della Convenzione definisce la nozione di rifugiato, mentre l’Articolo 1F prevede i casi in cui questa qualifica e i benefici che ne derivano non si applichino a determinati individui. In base a quest’ultima disposizione, la Convezione in oggetto non si applica nei confronti di qualunque persona rispetto alla quale <<there are serious reasons for considering that>>: a) abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, come definiti dagli strumenti internazionali pertinenti; b) abbia commesso un grave crimine non politico al di fuori del paese di asilo, prima della sua

3 LENZERINI F., Diritto d’asilo e esclusione dello status di rifugiato. Luci ed ombre nell’approccio della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 2011, Rivista di diritto internazionale, Milano, vol. 1, p. 108.

4

Ad oggi la Convenzione è stata ratificata da 145 paesi, mentre il Protocollo di New York del 1967 da 146. Per lo status delle ratifiche si vedano:

https://treaties.un.org/Pages/ViewDetailsII.aspx?src=IND&mtdsg_no=V-2&chapter=5&Temp=mtdsg2&clang=_en ;

https://treaties.un.org/Pages/ViewDetails.aspx?src=IND&mtdsg_no=V-5&chapter=5&clang=_en

5

Art. 33 Divieto d’espulsione e di rinvio al confine, Convenzione di Ginevra del 1951. 6 Lenzerini, Asilo e diritti umani ,op. cit., pp. 166 ss.

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ammissione in tale paese come rifugiato; c) si sia reso responsabile di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite. È opportuno rilevare come, alla luce di un’interpretazione letterale della norma in oggetto, l’utilizzo della locuzione <<this Convention shall non apply>> sembra escludere che la decisione se concedere o meno lo status di rifugiato, in presenza di una delle situazioni appena elencate, possa riposare su una facoltà dello Stato di asilo, essendo invece quest’ultimo sottoposto ad un obbligo di non garantire tale status a soggetti resisi responsabili di crimini particolarmente efferati. La ratio della disposizione in oggetto potrebbe essere individuata sia nel fatto che le persone a cui essa si riferisce non sono considerate meritevoli di protezione internazionale a causa della loro indole criminale, sia nell’opportunità di non impedire allo Stato in cui si sono rese responsabili della condotta criminosa di sottoporle al giusto esercizio della giustizia. Tuttavia, parte della dottrina ritiene che in linea di principio nessuna di tali motivazioni possa essere considerata convincente. In particolar modo, la seconda di esse si scontra con l’assunto in base al quale la protezione internazionale è dovuta soltanto agli individui che sono sottoposti a persecuzione, la quale si sostanzia nell’esistenza di un potenziale pericolo di una violazione dei diritti fondamentali del rifugiato7; tale concetto è quindi ben distinto dal caso in cui una persona sia soggetta al <<rischio>> di essere sottoposta all’esercizio della giustizia per crimini da essa perpetrati. Quanto, invece, alla possibilità che la ratio dell’art. 1, lett. F), risieda nella considerazione degli individui a cui esso si riferisce quali persone indegne di protezione, essa contrasta con l’assunto in base al quale la protezione della dignità umana deve essere garantita a chiunque, a prescindere dall’indole morale e dalle attitudini della persona. Non risulta, poi, convincente neanche la posizione in base alla quale la ratio sottostante alla norma in esame sia da individuare nella pericolosità presunta dei soggetti che si sono macchiati di uno dei crimini da esso contemplati, in quanto la valutazione di tale pericolosità dovrebbe essere comunque rimessa allo Stato di asilo, con la conseguenza che la disposizione in oggetto dovrebbe configurare l’esclusione della protezione quale atto facoltativo piuttosto che obbligatorio.8 In ogni

7

Lenzerini, Asilo e diritti umani, op. cit., pp.236 ss.

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9

caso, secondo l’interpretazione fornita dall’Handbook dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati sulle procedure e i criteri per determinare lo status di rifugiato, l’inclusione delle fattispecie previste sub a) e c) sarebbe stata determinata sia dal desiderio di non fornire protezione ai criminali di guerra, sia da quello degli Stati parte di negare l’accesso nel proprio territorio a persone che rappresenterebbero un pericolo alla sicurezza e all’ordine pubblico9. La posizione dell’Handbook è stata confermata dalle Guidelines del 2003 sull’applicazione delle cause di esclusione previste dall’art. 1 lett. F), per le quali << the rationale for the exclusion clauses […] is that certain acts are so grave as to render their perpetrators underserving of International protection as refugees. Their primary purpose is to deprive those guilty of heinous acts, and serious common crimes, of International refugee protection and to ensure that such persons do not abuse the institution of asylum in order to avoid being held legally accountable for their acts>>10.

Alla luce delle motivazioni che avrebbero portato i negoziatori ad inserire l’art. 1 lett. F), nel testo della Convenzione, può essere lecito interrogarsi se la conclusione in base alla quale da tale disposizione scaturirebbe un obbligo piuttosto che una facoltà di non concedere la protezione richiesta sia effettivamente corretta. Può inoltre sembrare che sia messa in discussione dalla presenza nel testo convenzionale della clausola contenuta nell’art. 5, che stabilisce che nessuna disposizione della Convezione può essere intesa nel senso di compromettere qualsiasi diritto o beneficio garantito ad altro titolo da uno Stato parte a favore dei rifugiati. Si potrebbe quindi ritenere che l’eventuale concessione dello status di rifugiato ad una persona responsabile di un crimine rientrante tra quelli elencati dall’art. 1, lett. F), sia comunque suscettibile di rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 5. Tale argomentazione, tuttavia, non convince: lo stesso art. 5, infatti, fa riferimento a diritti e benefici garantiti ai rifugiati <<apart form this Convention>>; ciò indica chiaramente che gli aspetti disciplinati dalla Convenzione devono

9

UNHCR, Handbook on Procedures and Criteria for Determining refugee Status under the 1951 Convention and the 1967 Protocol relating to the Status of Refugees, doc. HCR/IP/4/Eng/REV.1, gennaio 1992, §2.

10

UNHCR, Guidelines on International Protection: Application of the Exclusion Clauses: Article 1F of the 1951 Convention relating to the Status of Refugees, doc. HCR/GIP/03/05 del 4 settembre 2003.

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10

essere regolamentati dagli Stati parte in modo coerente con la medesima. Secondo l’Handbook, <<the competence to decide whether any of these exclusion clauses are applicable in incumbent upon the Contracting State in whose territory the applicant seeks recognition of his refugee status>>;11 questa formulazione potrebbe far propendere per la tesi della facoltà piuttosto che per quella, letterale, dell’obbligo, anche se l’espressione <<competenza di decidere>> potrebbe anche essere considerata come riferita all’accertamento delle condizioni per l’applicazione delle cause in oggetto piuttosto che al carattere facoltativo dell’applicazione delle stesse.12

Si aggiunga che l’Handbook, con particolare riferimento alla fattispecie sub b), esprime la posizione in base alla quale l’applicazione di tale causa di esclusione – proprio perché giustificata dalla necessità di prevenire l’ingresso di una persona pericolosa nel territorio dello Stato - presupporrebbe in ogni caso la realizzazione di un bilanciamento tra la natura dell’offesa che si presume che sia stata commessa dal richiedente asilo e il grado della persecuzione temuta; di conseguenza, qualora quest’ultima coinvolga i valori fondamentali quali la vita o la libertà dell’individuo interessato, questi potrebbe essere escluso dalla protezione solo nel caso in cui il crimine da esso commesso fosse particolarmente grave.13 Tale convinzione è ribadita nelle Guidelines, le quali fanno riferimento ad un <<proportionaly test>> che deve essere operato <<to ensure that the exclusion clauses are applied in a manner consistent with the overriding humanitarian object and purpose of the 1951 Convention>>; il criterio in questione – che le Guidelines confermano essere rilevante in particolare per la fattispecie sub b). sarebbe reso opportuno dalla necessità, sussistente ogni volta che si ricorre ad un’eccezione ad una <<human rights guarantee>>, di applicare la causa di esclusione <<in a manner proporzionate to their objective, so that the gravity of the offence in question is wheighed against the consequences of exclusion>>.14 L’interpretazione perorata dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati appare corretta in base ad un approccio evolutivo, sebbene non trovi conforto né nel testo dell’art. 1, lett. F), né nei

11 Ibid. §7. 12

Lenzerini, Diritto d’asilo e esclusione dallo status di rifugiato,op. cit., p.112. 13

UNHCR, Handbook, op. cit., §149. 14 UNHCR, Guidelines,op. cit., §24.

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11

lavori preparatori, in quanto nel corso dei lavori preparatori della Convenzione la proposta del delegato danese di inserire nella lett. b) di tale articolo un riferimento alla necessità di fare un bilanciamento tra la gravità del crimine commesso e la persecuzione temuta dal richiedente asilo non fu accolta. In ogni caso, ove si propenda per tale interpretazione, si introdurrebbe nella dinamica dell’applicazione delle cause di esclusione contemplate dall’ art 1, lett. F), un <<margine di apprezzamento>> a favore dello Stato interessato che parrebbe maggiormente coerente con la tesi del carattere facoltativo, piuttosto che obbligatorio di tale applicazione.15 Passiamo ad analizzare i singoli casi di esclusione dalla qualifica di rifugiato.

2 Le persone escluse dall’articolo 1 lett. F (a): gli autori di

crimini internazionali

L’articolo 1F (a) si applica laddove esistano seri motivi per considerare che una persona abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità.

2.1 Gli autori di crimini contro la pace

Un crimine contro la pace è stato definito come la pianificazione, la preparazione, l’iniziazione o l’avvio di una guerra in violazione di trattati, accordi o assicurazioni internazionali16. Tra questo tipo di crimini si può trovare anche il crimine di aggressione definito, all’art. 8 bis17 dello Statuto di Roma, come “la pianificazione, la preparazione, l’inizio o l’esecuzione, da parte di una persona in grado di esercitare effettivamente il controllo o di dirigere l’azione politica o militare di uno Stato, di un atto di aggressione che per carattere, gravità e portata costituisce una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite”.

15 Lenzerini, Diritto d’asilo e esclusione dello status di rifugiato, op. cit., p.113. 16 Vd. Allegato V dell’Handbook dell’UNHCR.

17

Inserito in seguito alla risoluzione ONU dell’11 giugno 2010 che ha apportato una serie di emendamenti allo Statuto di Roma della Corte penale internazionale relativi al crimine di aggressione.

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12

2.2 Gli autori di crimini di guerra

Un crimine di guerra comporta la violazione del diritto internazionale umanitario o delle leggi del conflitto armato. Tale crimine comporta una forma di responsabilità individuale. Bisogna precisare che solo gli atti collegati a un conflitto armato possono costituire crimini di guerra. Tali violazioni possono includere l’omicidio o il maltrattamento di popolazioni civili o di prigionieri di guerra, l’uccisione di ostaggi, la distruzione sfrenata di città, paesi o villaggi, o una deliberata politica di devastazione che non è giustificata da alcuna necessità militare.18

2.3 Gli autori di crimini contro l’umanità

I crimini contro l’umanità differiscono dai crimini di guerra (che possono verificarsi solo durante i periodi di conflitto armato) in quanto possono essere commessi in qualsiasi momento. Dunque, in tempi di conflitto armato un singolo atto potrebbe costituire sia un crimine di guerra sia un crimine contro l’umanità. Per costituire un crimine contro l’umanità, i particolari crimini (come omicidio o stupro) devono essere stati commessi come parte di un attacco diffuso o sistematico diretto contro una popolazione civile, che abbia conoscenza dell’attacco. Trattamenti disumani di questo tipo possono spesso essere radicati in pregiudizi politici, razziali, religiosi o di altro genere e includono l’omicidio, la riduzione in schiavitù, la tortura, la deportazione o il trasferimento forzato di una popolazione e la sparizione forzata di persone. Una politica di commissione di atti contro una popolazione civile non è necessario che sia stata formalmente annotata o registrata, deve però risultare evidente dalla violenza degli atti. Anche un singolo atto, poi, potrebbe essere considerato un crimine contro l’umanità, a condizione che sia collegato ad una politica generale per attaccare una popolazione civile. Inoltre, anche se questo non costituisce un crimine contro l’umanità, dovrebbe essere considerato un grave crimine non politico ai fini dell’art. 1 F (b). Infine, si può considerare come una sottosezione di questi crimini il genocidio. Tale crimine, che appartiene alla giurisdizione della Corte penale internazionale, racchiude in sé atti come omicidi, azioni che possano recare gravi danni fisici

18

HOME OFFICE (UK), Exclusion (Article 1F) and Article 33(2) of the Refugee Covention (2006), p.23, disponibile al sito internet:

(18)

13

o mentali, o l’imposizione di misure volte a prevenire nascite all’interno di un gruppo, commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo etnico o religioso.19

2.4 Lo standard dei “seri motivi per considerare”

L’art. 1F (a) stabilisce che il richiedente asilo debba essere escluso dalla protezione dei rifugiati quando ci siano “seri motivi per considerare” che il ricorrente abbia commesso un reato internazionale. I “seri motivi” non sono però chiariti dalla Convenzione né altrove, e conseguentemente sono soggetti a interpretazioni divergenti. L’unico profilo su cui sembra esserci un accordo a livello internazionale attiene al fatto di ritenere che lo standard sia inferiore a quello richiesto per una condanna penale.20 In tale contesto si cercherà di fornire una panoramica della giurisprudenza sia dei paesi di civil law che dei paesi di common law in merito all’interpretazione e all’applicazione dello standard dei “seri motivi per considerare” e in conclusione di richiamare il parere dell’UNHCR in materia.

2.4.1 L’interpretazione fornita dalle Corti di common law

Di seguito, analizzando la giurisprudenza dei paesi di common law, si riporteranno le diverse interpretazioni dello standard oggetto di analisi.

Canada

In Canada, sia la Corte d’appello federale che la Corte suprema si sono espresse sullo standard in questione e hanno ritenuto che questo fosse inferiore allo standard di prova che viene ad essere richiesto in materia penale e civile.21

19 Ibid.

20

HOLVOET M., Exclusion and post-exclusion from refugee status: Harmonizing exclusion under the refugee convention by reference to the evidentiary standards of international criminal law, Journal of International Criminal Justice, UK, 2014, Vol.12(5), p. 1041.

21

Corte Suprema canadese, caso Ezkola v. Canada (Cittadinanza e immigrazione), 2013 SSC 40, (2013) 2 S. C. R. 678 §1.

(19)

14 Regno Unito

La Corte suprema del Regno Unito ha rilevato che lo standard dei “seri motivi per considerare” fosse autonomo e come tale non comparabile con nessun altro. In un caso recente22 la Corte ha fornito delle linee guida più concrete per gli operatori giuridici quando si trovano ad interpretare lo standard in questione:

(1) I ”seri motivi” sono più forti dei “motivi ragionevoli”;

(2) le prove da cui derivano tali motivi devono essere “chiare e credibili” o “forti”;

(3) “considerare” è più forte di “sospettare”;

(4) il decisore non deve essere soddisfatto oltre ogni ragionevole dubbio o secondo lo standard richiesto dal diritto penale;

(5) non è necessario importare gli standard di prova nazionali in merito alla valutazione della domanda.

La Corte Suprema del Regno Unito apparentemente interpreta lo standard dei “seri motivi” in maniera più stringente rispetto alla controparte canadese. Ciò è confermato dalla seguente affermazione: “The reality is that there are unlikely to be sufficiently serious reasons for considering the applicant to be guilty unless the decision-maker can be satisfied on the balance of probabilities that he is”23. Inoltre, mentre inizialmente la Corte Suprema non era pronta ad importare gli standard nazionali di prova, qui si contraddice associando i “seri motivi per considerare” alla soglia dell’ “equilibrio delle probabilità”.

Australia

In Australia lo standard dei “seri motivi per considerare” è stato preso in considerazione in numerose sentenze. In questi casi, lo standard è stato interpretato molto liberamente. Nel caso Arquita, per esempio, il tribunale federale ha respinto il punto di vista secondo cui l'espressione "seri motivi per considerare" non dovrebbe essere formulata in modo da essere inferiore allo standard civile. Inoltre è stato ulteriormente osservato che lo stato ricevente non ha bisogno di fare una valutazione positiva sulla commissione

22

Corte Suprema del Regno Unito, caso Al-Sirri v. Secretary of State for the Home Department (2012) 54 UKSC, §75.

(20)

15

del reato, è sufficiente che ci sia una forte evidenza della commissione dello stesso. Una forte evidenza che si caratterizza per non essere debole o vaga ma che comunque si basa su un semplice sospetto. 24

Nuova Zelanda

Inizialmente la giurisprudenza neozelandese in merito a questo standard affermava che questo costituisse un livello di prova inferiore all’equilibrio delle probabilità con prove però che dovessero essere in ogni caso credibili e convincenti.25 Successivamente la Corte Suprema della Nuova Zelanda ha seguito l’esempio britannico distinguendo lo standard da quelli previsti in ambito civile e penale e dunque anche da quello dell’equilibrio delle probabilità.26

Stati Uniti

Lo standard dei “seri motivi per considerare” non è incorporato nella legge degli Stati Uniti poiché essi non hanno ratificato la Convenzione sui rifugiati. Le corti statunitensi hanno, tuttavia, utilizzato questo criterio per escludere i richiedenti asilo dalla protezione prevista per i rifugiati. Inoltre, alcune leggi sull'immigrazione legate all'esclusione utilizzano la terminologia "motivi ragionevoli per credere".27 In giurisprudenza, questo standard è stato associato allo standard della probabilità, il che significa "se ci sono informazioni che permettano a una persona ragionevole di credere" o "avere più prove a favore che contro".

2.4.2 L’interpretazione fornita dalle Corti di civil law

Anche in questo contesto, attraverso l’analisi della giurisprudenza dei paesi di civil law, si cercherà di offrire una panoramica sull’interpretazione e sull’utilizzo dello standard dei “seri motivi per considerare”.

24

Corte Federale australiana, caso Arquita v. MIMA (2000) FCA, 1889, §54.

25 Tribunale di primo grado neozelandese, caso X&Y v. Autorità di appello per lo status di rifugiato (2007), CIV-2006-404-4213, §9.

26

Corte Suprema neozelandese,caso Tamil X v. Autorità di appello per lo status di rifugiato (2009) NZLR 73, §§77-79.

(21)

16 Paesi Bassi

I decisori politici olandesi hanno cercato di chiarire le ragioni per cui si è tenuto in considerazione lo standard in questione, confrontandolo con altri standard probatori interni.28 Il Manuale olandese degli stranieri sostiene solo che il criterio della Convenzione di Ginevra si colloca al di sotto di quello previsto per la prova in materia penale e civile. I decisori olandesi sembra abbiano interpretato le “serie ragioni per considerare” in maniera abbastanza liberare tanto da portare l’esclusione della qualifica di rifugiato anche sulla base di semplici informazioni sulla natura criminale di una particolare organizzazione e del ruolo del richiedente al suo interno, lasciando di fatto al richiedente l’onere di confutare le accuse di commissione di crimini internazionali.

Belgio

Le autorità belghe hanno, invece, l’onere della prova di dimostrare che esistono “gravi motivi per ritenere” che il richiedente abbia commesso reati internazionali, sono necessarie prove chiare, credibili e affidabili per soddisfare lo standard in questione.29

Francia

La giurisprudenza francese non ha spiegato il criterio dei “seri motivi”. Il Consiglio di Stato si è limitato ad affermare soltanto che lo standard è al di sotto di quello probatorio necessario in caso di condanna penale.30 Ciò viene confermato dal fatto che in un caso di richiesta di asilo da parte di un cittadino del Ruanda, il Consiglio di Stato francese abbia annullato la decisione di un tribunale di grado inferiore che non aveva applicato la causa di esclusione in quanto richiedeva la dimostrazione della sua implicazione nel crimine di cui veniva accusato. Il Consiglio di Stato ritenne sufficiente che il

28

RIKHOF J.,The Criminal Refugee: The Treatment of Asylum Seekers with a Criminal Background in International and Domestic Law, Republic Letters of Publishing, Dordrecht, 2012, pp. 487-488.

29 Senato belga, interrogazione scritta del senatore Freya Piryns al Segretario di Stato per l'asilo e migrazione, integrazione della società e lotta contro la povertà, 20 aprile 2012.

30

Si veda per l’istanza, Conseil d’Etat (French Council of State), Office franςais de protection des réfugies et apatrides c/Habyarimana, 311793,16, 2009.

(22)

17

soggetto fosse menzionato nella relazione di una commissione d’inchiesta internazionale sulle violazioni dei diritti umani in Ruanda e in una lista ruandese di sospetti di genocidio per poter raggiungere lo standard dei “seri motivi”31

.

Germania

La legislazione tedesca non ha incorporato il criterio dei “seri motivi per considerare” ma uno standard di prova che si basa sui “buoni motivi”. Il Bundesverwaltungsgericht (Corte federale amministrativa della Germania) ha affermato che di norma esistono “buoni motivi” quando esitono prove chiare e credibili che tali crimini siano stati commessi. Alcuni tribunali tedeschi, poi, hanno dichiarato che non è necessario che un richiedente sia stato condannato per un reato penale.

2.4.3 L’interpretazione fornita dall’UNHCR

Le Guidelines del 2003 dell’UNHCR sulle clausole di esclusione della Convezione sui rifugiati statuiscono che per soddisfare i “seri motivi per considerare” sono necessarie prove chiare e credibili. Non è necessario che un richiedente sia condannato per un reato penale, né deve essere soddisfatto lo standard penale di prova. Tuttavia nella Background Note del 2003 sull’applicazione delle clausole di esclusione viene richiamata un’interpretazione più severa: “[…] al fine di garantire che l’art. 1F sia applicato in modo coerente con l’obiettivo umanitario complessivo della Convenzione del 1951, lo standard di prova dovrebbe essere sufficientemente elevato da garantire che i rifugiati in buona fede non siano esclusi erroneamente. Quindi, l’equilibrio delle probabilità è una soglia troppo bassa”.32 Inoltre, in un contributo scientifico pubblicato nel quadro delle convenzioni globali dell’UNHCR sulla protezione internazionale si discute su un’interpretazione ancora più severa dello standard dei “seri motivi per

31 Consiglio di Stato (French Council of State), Office franςais de protection des réfugies et apatrides c/Tegera,255091,18 Gennaio 2006.

32

UNHCR, Background Note on the Application of the Exclusion Clauses: Article 1F of the 1951 Convention relating to the Status of Refugees, 2003.

(23)

18

considerare”; si richiede, in particolare, che lo standard si avvicini alla soglia probatoria necessaria per una condanna penale.33

Questa panoramica mostra come la pratica interpretativa dei “seri motivi per considerare” risulti essere ancora incoerente, nonostante il lungo tempo trascorso dall’emanazione della Convenzione di Ginevra. Questa divergenza nelle interpretazioni ha delle conseguenze potenzialmente gravi per il richiedente asilo e deve essere deplorata poiché la Convenzione è stata concepita come un trattato umanitario che offre protezione internazionale. Quindi dovrebbe essere interpretata nel modo più uniforme possibile per fornire una protezione coerente, in caso contrario si creerebbe, di fatto, una disparità tra soggetti che in presenza di condizioni uguali verrebbero trattati diversamente soltanto in ragione del paese in cui hanno avanzato richiesta. In una situazione del genere, i richiedenti asilo sarebbero poi indotti a dirigersi verso i Paesi in cui le corti applicano standard meno stringenti creando, di fatto, una situazione di forum shopping. L’integrazione giudiziaria tra i decisori nazionali, però, non deve essere basata sulla totale uniformità, il che non sarebbe realistico data la complessità e la varietà dei casi in cui si discute di asilo, ma richiederebbe semplicemente che, appunto, casi analoghi vengano trattati in modo coerente a livello transfrontaliero. Dunque, un approccio integrato per leggere la Convenzione sui rifugiati e lo standard dei “seri motivi per considerare” è essenziale per la legittimità della legge internazionale in materia di rifugiati e per poter garantire la giustizia che ne deriva. In un certo modo, l’articolo 1F (a) segue un approccio integrato poiché richiede l’esclusione dallo status di rifugiato di “ogni persona di cui si hanno seri motivi per considerare che abbia commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l’umanità, come definito negli strumenti internazionali elaborati per fornire disposizioni in relazione a tali crimini”. Di solito ciò si riferisce esclusivamente alle definizioni di reato sostanziale e ai tipi di responsabilità previsti dal diritto penale internazionale. Ma l’integrazione giudiziaria massima tra gli operatori giuridici nazionali in materia di decisioni sull’esclusione può essere raggiunta solo se gli standard

33

GILBERT G., “Current Issues in the Application of the Exclusion Clauses”, Refugee Protection in International Law: UNHCR’s Global Consultations on International Protection, Cambridge University Press, 2003, p. 470.

(24)

19

probatori a livello internazionale penale vengono utilizzati come strumenti per interpretare lo standard delle serie ragioni.34

2.4.4 I “motivi ragionevoli per credere” dell’articolo 58 1(a) dello

Statuto della Corte Penale Internazionale e i “seri motivi per

considerare” della Convenzione di Ginevra

Mentre l'articolo 1F (a) si limita esplicitamente a fare affidamento sul diritto penale sostanziale internazionale al momento di decidere le esclusioni, sembra logico e coerente fare riferimento anche a norme probatorie di diritto penale internazionale per raggiungere il massimo grado di convergenza possibile tra le decisioni nazionali di esclusione. In particolar modo la fonte da tenere in considerazione è lo Statuto della Corte penale internazionale (in seguito <<ICC>>) che reca una definizione dettagliata dei reati rilevanti e del loro ambito di applicazione globale. Per comprendere lo standard dei “seri motivi per considerare” bisogna prendere in considerazione un altro standard, ossia, quello del “motivo ragionevole per credere” che si ritrova all’interno dello Statuto ICC. I due standard sono considerati equivalenti sia dai decisori nazionali che dalle delegazioni che portarono alla stesura dello Statuto. Inoltre, entrambe le soglie probatorie alla base degli standard possono essere soddisfatte facendo affidamento su fonti disponibili pubblicamente, senza condurre un’indagine approfondita sul campo.35

Un primo modo per ottenere una comprensione dei “motivi ragionevoli per credere” è fare un confronto con gli altri standard probatori presenti nello Statuto ICC. Tre soglie probatorie possono essere individuate nello Statuto, ciascuna applicabile in diverse fasi del procedimento.

Il “motivo ragionevole per credere” è lo standard meno esigente, applicabile nella prima fase del procedimento, prima della conferma delle accuse. Lo standard deve essere soddisfatto dal pubblico ministero quando richiede un

34

Holvoet, op.cit., p. 1048. 35

BOND J., Excluding Justice: The Dangerous Intersection between Refugee Claims, Criminal Law, and ‘‘Guilty’’Asylum Seekers”,International Journal of Refugee Law, vol. 24, fasc. 1, UK, 2012, pp. 37-59.

(25)

20

mandato d’arresto o una citazione a comparire dinnanzi alla competente Camera preliminare.36

Lo standard dei “motivi sostanziali per credere” è applicabile alla conferma delle udienze: il pubblico ministero deve presentare “prove concrete e tangibili” che dimostrino una chiara linea di ragionamento alla base delle sue specifiche accuse.37

Il più alto livello probatorio dello Statuto ICC è quello richiesto per la condanna di un imputato, che richiede alla corte di essere convinta della colpevolezza dell’imputato “oltre ogni ragionevole dubbio”. Lo Statuto e le Regole sulla Procedura e la Prova non chiariscono però questo standard. Sono stati alcuni tribunali nazionali a cercare di chiarirlo, in particolare la Corte Suprema degli Stati Uniti che ha affermato quanto segue: “la prova oltre ogni ragionevole dubbio è la prova che ti lascia fortemente convinto della colpevolezza dell'imputato. Se, in base alla tua considerazione delle prove, sei fermamente convinto che l'imputato sia colpevole del reato addebitato, devi giudicarlo colpevole. Se d'altra parte, pensi che ci sia una reale possibilità che non sia colpevole, devi dargli il beneficio del dubbio e giudicarlo non colpevole”38

.

Ai fini della presente analisi bisogna tenere anche conto della valutazione dello standard dei “ragionevoli motivi” che è stata data dalla giurisprudenza emergente dell’ICC in merito alla sua dimensione qualitativa ossia di quale prova è ritenuta sufficiente per soddisfare lo standard. Nel caso Lubanga la Camera preliminare I ha affermato che avrebbe interpretato l’art. 58 1(a) applicando l’art. 21(3) dello Statuto che impone alle Camere di interpretare lo Statuto ICC in modo coerente con i diritti umani riconosciuti a livello internazionale. La Camera, così facendo, ha equiparato i “motivi ragionevoli per ritenere” al “ragionevole sospetto” di cui all’art. 5(1) Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU).39

Alcune Camere preliminari,

36

KLAMBERG M., Evidence in International Criminal Trials: Confronting Legal Gaps and the Reconstruction of Disputed Events, Martinus Nijhoff Publishers, 2013, pp. 136-144.

37

SCHABAS W.A., The International Criminal Court: A Commentary on the Rome Statute, Oxford University Press, 2010, p. 707.

38 Corte Suprema degli Stati Uniti, caso Victor v. Nebraska 511 U.S. 1, 27, 114 S.Ct. 1239,1253 (1994) §12.

39

Corte penale internazionale, Camera Preliminare, caso Lubanga (ICC-01/ 04-01/07), 10 Febbraio 2006.

(26)

21

seguendo questa scia, hanno spiegato che lo standard richiede: “L'esistenza di alcuni fatti o informazioni che potrebbero soddisfare un osservatore oggettivo secondo cui la persona può aver commesso il reato.”40

Questa equiparazione però è stata criticata. L’art. 5(1) della CEDU si riferisce a “l'arresto o la detenzione legittima di una persona al fine di portarla davanti all'autorità legale competente con ragionevole sospetto di aver commesso un reato”. Tuttavia il pubblico ministero, quando poi vorrà richiedere un mandato d’arresto o di comparizione, dovrà soddisfare la soglia del “ragionevole motivo per credere” recando accuse specifiche nei confronti dell’individuo. Sembra dunque ragionevole interpretare i “motivi ragionevoli per credere” in modo più stringente, non basta che la persona sia arrestata o detenuta sulla base di un sospetto (art. 5 CEDU), ma è necessaria la prova sull’actus reus e della mens rea di un crimine e il tipo di responsabilità che si addebita al’individuo. Una interpretazione più rigorosa di questo standard è stata formulata dal giudice Pikis, sempre nel caso Lubanga ma in Appello, che ha affermato: “La credenza denota l’accettazione mentale di un’affermazione, un fatto o una dottrina come vera o esistente, mentre il sospetto denota una debole convinzione che qualcosa sia così. In entrambi i casi, la convinzione o il sospetto devono essere ragionevoli, ossia devono avere un fondamento oggettivo. La credenza importa un più alto livello di accettabilità di qualcosa rispetto al sospetto.”41

Un altro aspetto importante da considerare riguarda, poi, il tipo e la quantità di prove richieste per soddisfare la soglia del “ragionevole motivo per credere”. L’art. 58 dello Statuto tace sul tipo di informazioni che il pubblico ministero deve presentare alla Camera preliminare al fine di ottenere un mandato di cattura o una citazione a comparire; in linea di principio, il pubblico ministero può quindi fare affidamento a qualsiasi tipo di informazione come testimonianze, prove forensi, ma anche fonti disponibili pubblicamente come rapporti ONG e rapporti degli organi delle Nazioni Unite. Dalla prassi si può inoltre dedurre che il pubblico ministero può soddisfare lo standard quando è in grado di presentare una quantità

40

Corte penale internazionale, Camera Preliminare, caso Bemba (ICC-01/05-01/08-14-tENG), 10 Giugno 2008.

(27)

22

significativa di questo tipo di informazioni senza necessariamente condurre un’indagine approfondita sul campo.

Tuttavia, ciò, non implica che le prove presentate per soddisfare lo standard dei “ragionevoli motivi” non debbano essere specifiche per quanto riguarda i crimini e i loro autori, questo perché, ai sensi dell’art. 58 (1) (a) il pubblico ministero ha l’obbligo di dimostrare che esistono “motivi ragionevoli per credere” che una persona ha commesso un reato all’interno della giurisdizione della Corte penale internazionale. Ciò comporta due cose in particolare: 1) il pubblico ministero deve essere in grado di dimostrare che vi sono ragionevoli motivi per ritenere che un reato specifico sotto la giurisdizione della Corte sia stato commesso o sia in corso e 2) che la persona per la quale il mandato di arresto o il mandato di comparizione è emesso ha commesso crimini specifici. Ciò richiederebbe prove che colleghino i reati sottostanti al presunto responsabile, comprese prove a supporto della specifica responsabilità per il quale l’individuo deve essere imputato.42

2.5 Prime riflessioni conclusive

In conclusione, la decisione di escludere un richiedente asilo dalla protezione della Convenzione sui rifugiati non deve essere presa alla leggera. È stata giustamente etichettata come una decisione di natura “quasi criminale” ed in alcuni casi si può dire che la decisione di escludere abbia conseguenze più drastiche di una condanna penale, poiché le conseguenze di quest’ultima possono essere mitigate nella fase della sentenza. Fatte queste premesse, e data l’aspirazione universale della Convenzione sui rifugiati, l’articolo 1F (a) dovrebbe essere interpretato e applicato nel modo più uniforme possibile, al fine di evitare ingiustizie nel trattamento dei richiedenti asilo. Innanzitutto, la coerenza tra i decisori nazionali in materia di esclusione può essere realizzata facendo affidamento sulle definizioni più recenti dei reati sostanziali e dai tipi di responsabilità previste dal diritto penale internazionale. Il diritto penale internazionale dovrebbe anche guidare i decisori nazionali al momento di escludere un presunto richiedente asilo criminale utilizzando la stessa qualità, tipo, quantità e sostanza di prove che

42 Holvoet, op.cit., p.1054.

(28)

23

sono necessarie per soddisfare i “motivi ragionevoli per credere” per valutare i “seri motivi per considerare”.43

3. Le persone escluse dall’articolo 1 lett. F (b): gli autori di gravi

crimini non politici

L’articolo 1F (b) si applica nei casi in cui vi siano seri motivi per ritenere che l’individuo abbia commesso un grave crimine non politico al di fuori del paese di rifugio prima della sua ammissione in quel paese come rifugiato. L’introduzione della fattispecie in questione sarebbe stata determinata dalla volontà di proteggere la comunità dello Stato di asilo dal pericolo di ammettere un rifugiato che abbia perpetrato un crimine particolarmente grave, nonché da quello di non impedire che sia garantita la dovuta giustizia nei confronti degli autori di atti assai riprovevoli.44

I quattro criteri che devono essere soddisfatti sono:

- seri motivi per ritenere che l’individuo abbia commesso un reato in un altro paese;

- il reato deve essere grave; - il reato deve essere non politico;

- il reato deve essere stato commesso al di fuori del paese di rifugio.

3.1 La nozione di reato “grave”

La Convenzione sui rifugiati non elenca i reati che sono considerati gravi. Una definizione la si può rinvenire, a livello nazionale, nella sezione 72 della legge sulla nazionalità, l’immigrazione e l’asilo del 2002 del Regno Unito che definisce un crimine particolarmente grave quando per esso è stata irrogata una pena detentiva di 2 anni o superiore.

La sola durata della pena non è però determinante per escludere il richiedente. Lord Justice Ward in un caso ha osservato: “La sentenza è, ovviamente, un fattore materiale ma non è un punto di riferimento. Nel decidere se il crimine è abbastanza grave da giustificare la sua perdita di protezione, il Tribunale deve prendere in considerazione tutti i fatti, la natura

43 Ibid., p.1055 44

UNHCR, Handbook on Procedures and Criteria for Determinating Refugee Status under the 1951 Convention and the 1967 Protocol relating to the Status of Refugees, 1992, par. 151.

(29)

24

del crimine, il ruolo svolto dall'accusato nella sua commissione, eventuali circostanze attenuanti o aggravanti e la penalità imposta.”45

Anche il principio della “doppia criminalità” (il reato deve costituire un crimine sia nel paese di asilo che non paese in cui il crimine è stato commesso), che di solito si applica nella legge di estradizione, può essere una linea guida, sebbene, di solito, la gravità del reato dovrebbe essere giudicata in base a standard internazionali e non alle classificazioni interne degli stati in questione.46

Tuttavia, l’UNHCR ha affermato che nel caso in cui il richiedente, condannato per un reato grave di diritto comune, abbia scontato la pena, sia stato amnistiato o sia stato destinatario di un provvedimento di grazia, la causa di esclusione prevista da tale disposizione si presume non più applicabile, <<salvo che sia dimostrato che, nonostante l’amnistia o la grazia, il carattere criminale del richiedente è ancora predominante>>.47 Questo, però, significa semplicemente che è lo Stato ad avere la discrezionalità di poter comunque escludere il soggetto in tali circostanze e non costituisce, dunque, un’automaticità.

3.2 La natura “non politica” del reato

I decisori devono prendere in considerazione la natura e lo scopo (se del caso) del crimine. Un crimine politicamente motivato potrebbe essere, per esempio, l’assassinio di una figura politica. A questi si affiancano alcuni altri reati gravi, ad esempio, una campagna di violenza e intimidazione nei confronti di un individuo di spicco, possono essere rivendicati come motivati politicamente. Il punto è che esiste un nesso chiaro tra i crimini e la presunta motivazione. Il motivo, il contesto, i metodi e la proporzionalità di un crimine rispetto ai suoi obiettivi sono quindi fattori rilevanti nella valutazione della sua natura. Gli atti che sono sproporzionati rispetto a qualsiasi agenda politica dichiarata non sono politici e pertanto ricadono sotto la sfera di applicazione dell’art. 1F (b).48

45 Corte Suprema del Regno Unito, caso AH (Algeria) v Secretary of State for the Home Department [2012] EWCA Civ 395.

46

Home Office (UK), op.cit., p.25. 47

UNHCR, Handbook, op. cit., §157. 48 Home Office (UK), op.cit., p.26.

(30)

25

La House of Lords nel caso T v. Secretary of State for the Home Department (1996) ha affermato che l'articolo 1F (b) si applica a un rifugiato che sia stato coinvolto in atti terroristici che hanno ucciso persone innocenti, e ha respinto la tesi secondo cui questi atti siano politici. Coloro che sono implicati in determinati atti di terrorismo possono quindi essere esclusi ai sensi dell’articolo 1F (b) in quanto la maggior parte degli atti terroristici sono totalmente sproporzionati rispetto a qualsiasi motivo politico. Questo ci induce anche ad affermare che potrebbero esserci atti terroristici che non ricadono nell’art. 1F (c) ma nell’art. 1F (b). Nel caso T v. SSHD la Corte ha, poi, definito anche la nozione di reato come politico ai sensi dell’art. 1F (b). Siamo di fronte ad un reato politico solo quando sono soddisfatti entrambi i seguenti elementi: è commesso per uno scopo politico, vale a dire con l’obiettivo di rovesciare, sovvertire o cambiare il governo di uno stato o indurlo a cambiare la sua politica, e che ci sia un legame sufficientemente stretto e diretto tra il crimine e il presunto scopo politico. Nel determinare se esiste un legame di questo tipo, il tribunale terrà conto dei mezzi utilizzati per raggiungere il fine politico e terrà in particolare considerazione se il reato è diretto a un obiettivo militare, governativo o civile, e che ognuno di questi casi implicasse l’uccisione indiscriminata o il ferimento di civili. Coerentemente con il ragionamento del caso T v. SSHD, la commissione di crimini come omicidio, stupro e aggressione grave, o altri atti violenti che provocano danni indiscriminati o la morte di civili, di solito non riescono a stabilire un collegamento sufficiente al raggiungimento di un obiettivo politico e dovrebbero essere considerati reati “non politici” ai fini dell’art. 1F (b).

3.3 Il reato commesso al di fuori del paese di rifugio

Solo un crimine commesso, o che si presume sia stato commesso, da un richiedente al di fuori del paese di rifugio prima della sua ammissione in quel paese come rifugiato è motivo di esclusione. Il paese in questione dovrebbe essere, di solito, il paese di origine o altro paese terzo purché non sia il paese di asilo.49

49

ECRE,The European Council on Refugees and Exiles, Position on Exclusion from refuggee Status, PP1/03/2004/Ext/CA, p.270.

(31)

26

3.4 Alcune riflessioni conclusive

Non si può negare il fatto che tale esame sia complesso e delicato sia da un punto di vista giuridico che etico. In primo luogo, in alcuni casi la violenza entro certi limiti viene giustificata tenendo in considerazione le motivazioni alla base dell’atto. In secondo luogo, non si può non tenere in conto che le autorità chiamate ad esaminare la richiesta di riconoscimento dello status hanno un certo margine di discrezionalità e nel farlo potrebbero anche essere portatori di alcuni interessi dello Stato in cui è avanzata la richiesta, interessi che possono essere politici, economici o militari. Dunque, la causa di esclusione in esame ha dei confini molto labili nella sua interpretazione ed applicazione che dipendono dall’autorità chiamata a pronunciarsi.

4 Le persone escluse dall’articolo 1 lett. F (c): gli autori di atti

contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite

L’articolo 1F (c) si applica nei casi in cui vi siano serie ragioni per considerare che un individuo si sia reso colpevole di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite.

Questa norma si è dimostrata difficile da interpretare a causa sia delle diverse opinioni al momento della redazione, sia della mancanza di un altro corpus legislativo a cui la norma potesse collegarsi, di conseguenza gli Stati riscontrano atti diversi nella disposizione facendo delle valutazioni di volta in volta legate al caso concreto. Gli atti che, più comunemente, vengono ritenuti rientrare nella disposizione sono: le violazioni dei diritti umani, il terrorismo e gli attacchi al personale dell’ONU.50

Per molti anni, la clausola di esclusione dell’art. 1F (c) è stata utilizzata relativamente di rado. Tuttavia, di recente, la sua applicazione è aumentata in particolare per ciò che concerne la sfera del terrorismo, anche se, come è stato affermato, la norma non ricopre solo questa fattispecie.

Una delle principali sfide, in questo settore della legge, è determinare con precisione cosa si intenda, innanzitutto, con il riferimento agli “scopi e ai principi delle Nazioni Unite”. La categoria deve essere interpretata in modo

50

SIVAKUMARAN S., Exclusion from Refugee Status: The Purposes and Principles of the United Nations and Article 1F(c) of the Refugee Convention, International Journal of Refugee Law, UK, 2014, Vol. 26, No. 3, p.350

(32)

27

restrittivo alla luce delle conseguenze che derivano dal tenere l’individuo all’interno dell’art. 1F (c), vale a dire la sua esclusione dai benefici dello status di rifugiato. Allo stesso tempo, la categoria deve essere sufficientemente ampia da escludere le persone considerate “non meritevoli” dello status. Sebbene gli scopi e i principi delle Nazioni Unite siano elencati nel preambolo della Carta delle Nazioni Unite e negli articoli 1 e 2 della Carta, non segue necessariamente che la violazione di tutti questi scopi e principi renda un individuo escludibile dalla protezione prevista per i rifugiati. Infatti, si è concordi che il significato dell’art. 1F (c) è piuttosto vago e i lavori preparatori non forniscono elementi che possano aiutare nella comprensione. Di conseguenza spetta a chi decide, di volta in volta, delimitarne l’ambito di applicazione.51

4.1 La violazione dei diritti umani

Generalmente si ritiene che due classi di atti rientrino nell’art. 1F (c), ossia la violazione dei diritti umani e il terrorismo. Tuttavia un terzo tipo di atto, gli attacchi contro il personale delle Nazioni Unite, è stato dichiarato rientrante nella norma in questione dai tribunali del Regno Unito e dell’Irlanda. Questi atti, tuttavia, non esauriscono l’elenco degli atti che potrebbero rendere un individuo escludibile, gli Stati possono ritenere che ve ne rientrino anche altri.52

Una categoria generalmente accettata dagli Stati, dall’UNHCR e dagli stessi redattori della Convenzione, nell’ambito dell’art. 1F (c) è la violazione dei diritti umani. La difficoltà nell’inquadrare la categoria, però, deriva dal fatto che non tutte le violazioni dei diritti umani dovrebbero rendere un individuo escludibile date le conseguenze che potrebbero derivare al soggetto in questione dalla restituzione al paese in cui viene perseguitato. La Corte Suprema canadese nel caso Pushpanathan ha affrontato il dilemma limitando la categoria delle violazioni dei diritti umani alle “violazioni gravi, prolungate e sistematiche dei diritti umani fondamentali che costituiscono persecuzione”. La Corte ha osservato: “Questa analisi implica una componente fattuale e legale. La corte deve valutare lo stato della norma che

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Ibid., p.351. 52 Ibid., p.352.

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