4 Le persone escluse dall’articolo 1 lett F (c): gli autori di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite
4.3 Gli attacchi contro il personale delle Nazioni Unite e con mandato delle Nazioni Unite
Un altro problema che è emerso, almeno nel Regno Unito e in Irlanda, è se l’attacco al personale delle NU, renda un individuo escludibile ai sensi dell’art. 1F (c). Per affrontare questo problema è necessario tracciare delle distinzioni. Innanzitutto bisogna stabilire chi sia il personale rilevante e in secondo luogo se ci troviamo in una situazione di pace o di conflitto armato.
In tempo di pace, tutto il personale dell’ONU è protetto dagli attacchi, come del resto ogni individuo, di conseguenza, l’uccisione intenzionale del personale delle Nazioni Unite equivale ad omicidio, se non vi sono difese applicabili.97
In tempo di conflitto armato, tuttavia, la situazione è diversa e le protezioni variano a seconda dello stato dell’individuo in questione. Il personale delle
95 Di Filippo, op. cit., pp. 17-18 96 Ibid., p. 10
97
Protocollo aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 e relativo alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali, 1977, art. 51 (2) e art. 13 (2).
44
NU che è presente in una situazione di conflitto ma che non partecipa alle ostilità è civile e beneficia della protezione offerta ai civili e in quanto tali sono protetti dall’attacco diretto. Di regola rientra in questa categoria il personale dell’UNHCR e dell’UNICEF. Anche le missioni di mantenimento della pace nelle NU beneficiano di protezione, nella misura in cui le persone e gli oggetti che costituiscono tali missioni siano civili.98 Pertanto, lo Statuto di Roma della Corte penale internazionale stabilisce che è un crimine di guerra: "dirigere intenzionalmente attacchi contro personale, installazioni, materiali, unità o veicoli coinvolti in una missione di assistenza umanitaria o di mantenimento della pace in conformità con la Carta delle Nazioni Unite, poiché hanno diritto alla protezione data ai civili o agli oggetti civili secondo il diritto internazionale dei conflitti armati”.99
Analogamente, la Convenzione sulla sicurezza delle Nazioni Unite e il personale associato stabilisce che "le Nazioni Unite e il personale associato, le loro attrezzature e i loro locali non devono essere oggetto di attacchi o di azioni che impediscano di adempiere al loro mandato"100, e prevede, inoltre che la Convenzione "non si applichi a un'operazione delle Nazioni Unite autorizzata dal Consiglio di sicurezza come azione coercitiva ai sensi del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite in cui il personale è impegnato come combattente contro le forze armate organizzate al quale si applica la legge del conflitto armato internazionale”.101 In quest'ultima situazione, quindi, gli individui non beneficiano più della protezione dall'attacco.
Sulla base di questa distinzione nel diritto internazionale, si può pensare che, ai fini dell’art. 1F (c), in tempo di pace, l’attacco al personale delle Nazioni Unite rientri nel terreno di esclusione, così come, in tempo di conflitto, rientrano nell’ipotesi di esclusione gli attacchi al personale che non partecipa alle ostilità e l’attacco a missioni di mantenimento della pace quando hanno diritto alla protezione offerta ai civili, al contrario non rientreranno nell’esclusione gli eventuali attacchi alle missioni di mantenimento della pace a cui tale protezione non è offerta.102
98 Ibid. 99 Art. 8 (b)-(e). 100 Art. 7 (1) 101 Art. 2 (2) 102 Sivakumaran, op.cit., p.357.
45
Nel caso DD, tuttavia, la Corte Suprema del Regno Unito ha mostrato una visione piuttosto diversa. Il caso riguardava un cittadino afghano che aveva compiuto atti di violenza contro la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (ISAF) in Afghanistan.103 Come rilevato dalla Corte, l’ISAF ha ricevuto dal Consiglio di sicurezza l’incarico di assistere l’Autorità provvisoria afgana nel mantenimento della sicurezza a Kabul e nelle aree circostanti, in modo che l’Autorità provvisoria afgana e il personale delle NU potessero operare in un ambiente sicuro. Oltre all’ISAF, è stata istituita una missione dell’ONU, la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (UNAMA), incaricata di tutelare i diritti umani e le norme sulla responsabilità dello stato, promuovendo la riconciliazione nazionale e gestendo gli sforzi umanitari e di ricostruzione dell'ONU. Varie risoluzioni che hanno prolungano la durata del mandato di ISAF e UNAMA descrivono la situazione in Afghanistan come una minaccia per la pace e la sicurezza internazionali.104 Pertanto, la Corte Suprema ha osservato che: “l'ISAF è una forza armata, ma non è una forza delle Nazioni Unite. Non è mai stata sotto il comando diretto delle Nazioni Unite. Soltanto, inizialmente era sotto il comando delle singole nazioni (a partire dal Regno Unito). Dall'agosto 2003 è stata sotto il comando della NATO. D'altra parte, l'UNAMA è una missione di assistenza sotto il controllo delle Nazioni Unite, non è una forza armata. Ma gli obiettivi di ISAF e UNAMA sono essenzialmente gli stessi, sebbene i mezzi con cui cercano di realizzarli differiscano. In particolare, entrambe mirano a promuovere l'accordo di Bonn e a mantenere la pace e la sicurezza in Afghanistan, riducendo così la minaccia alla pace e alla sicurezza internazionali poste dalla situazione in Afghanistan.105
Anche se la Corte ha riconosciuto che l’ISAF fosse, come ha detto, "una forza armata", ma l'UNAMA no, e ha osservato che la distinzione tra civili, forze di mantenimento della pace e forze di combattimento non fosse "in dubbio", nessun punto fu considerato determinante per la questione dell'esclusione. La Corte, infatti, ha dichiarato che: "la questione
103 Corte Suprema del Regno Unito, caso DD (Afghanistan) v Secretary of State for the Home Department (2012) UKSC 54.
104
Consiglio di sicurezza ris. 1776 (2007); ris. 1806 (2008); ris. 1833 (2008);ris. 1868 (2009).
46
dell’applicazione delle norme giuridiche agli attacchi contro ISAF e UNAMA è categoricamente diversa da (e irrilevante per) la questione se un attacco contro uno o l'altro organismo sia contrario agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite".106 La Corte ha concluso: “in breve, un attacco a ISAF è in linea di principio in grado di essere un atto contrario agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite. Gli scopi e gli obiettivi fondamentali di ISAF corrispondono al primo fine stabilito nell'art. 1 della Carta delle Nazioni Unite. Attaccando l'ISAF, il ricorrente cercava di intaccare tale scopo. Sostenere che i suoi atti siano in linea di principio idonei a essere atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite è in accordo sia con il buon senso che con il diritto.107
Ciò ha conseguenze di vasta portata. A seguito del caso DD, nel Regno Unito, qualsiasi individuo che attacca un corpo delle Nazioni Unite o un organismo con mandato ONU, i cui scopi e obiettivi si accordano con i principi e le finalità dell'ONU- nel presente caso pace e sicurezza internazionali - agirà in un modo che è "in linea di principio capace di essere un atto contrario agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite". Secondo la Corte, ciò è vero indipendentemente dal fatto che le vittime in questione siano o meno civili o combattenti e, quindi, indipendentemente dal fatto che sia stata rispettata o meno la legge internazionale applicabile.108
Tale posizione, però, è profondamente problematica. Le missioni di mantenimento della pace e di applicazione della pace sono autorizzate solo quando la pace e la sicurezza internazionali le richiedono. Questo, a sua volta, significa che ogni attacco contro una missione di peacekeeping o di applicazione della pace, anche in caso di conflitto armato e quando la missione rilevante è parte del conflitto, rende l'individuo potenzialmente escludibile ai sensi dell'articolo 1F (c). Un tale approccio si basa sul principio dell'uguaglianza dell’obbligo dei belligeranti, sul quale opera il principio del diritto internazionale umanitario. Il principio in questione comporta che tutte le parti di un conflitto armato siano vincolate dalle stesse regole, sia che si tratti di aggressori o difensori. Questo è fondamentale per l'effettiva applicazione del diritto umanitario. La conseguenza della giurisprudenza DD
106
Ibid., §65. 107
Ibid., §68.
47
è che alcuni vincoli giuridici vengono imposti al partito contrario al personale delle Nazioni Unite, sebbene ciò influisca sul diritto dei rifugiati piuttosto che sul diritto internazionale umanitaria. Questo potrebbe riportare in auge la nozione di c.d. guerra giusta, in base alla quale si applicano regole diverse a seconda della posizione (ritenuta giusta o in giusta) in cui la parte si trova.109 Inoltre, bisogna precisare che, il principio dell'uguaglianza dell'obbligo dei belligeranti opera in modo diverso in situazioni di conflitto armato non internazionale, e la situazione in DD era, appunto, un conflitto armato non internazionale.110 In questo tipo di conflitti, sebbene i membri di gruppi armati non statali non commettano una violazione del diritto internazionale partecipando a un tale conflitto, possono essere perseguiti a livello nazionale per averlo fatto, dato che si sono ribellati allo stato e quindi hanno violato la legge penale interna. Tuttavia, il punto cruciale per la presente analisi è che questa differenza di trattamento opera a livello di diritto interno piuttosto che di diritto internazionale. Non bisogna tralasciare, però che, in seguito al caso DD, ora esista una differenza di trattamento anche a livello di diritto internazionale, nel contesto dell'esclusione dallo status di rifugiato ai sensi della Convenzione del 1951. Sebbene, tale differenza di trattamento non sia tra Stati e gruppi armati non statali ma tra le forze istituite dall'ONU e l'altra parte nel conflitto.
Più in generale, la conseguenza della giurisprudenza DD è rendere un individuo escludibile nonostante il rispetto del diritto internazionale applicabile, in questo contesto, il diritto internazionale umanitario. Nei casi DD e Al-Sirri, la Corte ha dichiarato che "l'approccio appropriato prudente e restrittivo consisterebbe nell'adottare il paragrafo 17 degli orientamenti dell'UNHCR", che prevede che: “l'articolo 1F (c) è attivato solo in circostanze estreme da un'attività che attacca le basi stesse della convivenza della comunità internazionale. Tale attività deve avere una dimensione internazionale. Crimini capaci di incidere sulla pace internazionale, sulla sicurezza e sulle relazioni pacifiche tra gli stati, così come violazioni gravi e prolungate dei diritti umani rientrerebbero in questa categoria”.111
109
Ibid. 110
GS (Existence of Internal Armed Conflict) Afghanistan CG [2009] UKAIT 00010. 111 Corte Suprema del Regno Unito, caso Al-Sirri, cit. §38; caso DD, cit.§66.
48
Tuttavia, un atto sicuramente non può attaccare le basi della convivenza della comunità internazionale e allo stesso tempo non essere vietato dal diritto internazionale. La conseguenza della giurisprudenza DD, tuttavia, è ancora più ampia, in quanto, un individuo può essere escluso dallo status di rifugiato nel Regno Unito per un atto che non solo non è vietato dal diritto internazionale, ma anche non proibito dal diritto nazionale. Un individuo che agisce come parte delle forze armate dello Stato, che attacca una missione di controllo autorizzata dal Consiglio di sicurezza per mantenere la pace e la sicurezza internazionali in un conflitto armato internazionale, non commette un atto illecito ai sensi del diritto internazionale o nazionale.112
Tuttavia, un tale individuo cadrebbe in errore rispetto al test stabilito nel caso DD. Un esempio può aiutare a concretizzare la situazione. Nel 1990, l'Iraq invase il Kuwait. Di conseguenza, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione 678 (1990), che autorizzava gli Stati membri "a utilizzare tutti i mezzi necessari ... per ripristinare la pace e la sicurezza internazionali nella zona". In base alla risoluzione 678, una coalizione di Stati ha usato la forza contro l'Iraq, dando luogo così a un conflitto armato internazionale tra l'Iraq e gli Stati membri della Coalizione. Se un membro delle forze armate irachene ha lanciato un attacco e ucciso un membro della Coalizione, quell'attacco non avrebbe violato il diritto umanitario internazionale, né avrebbe violato la legge penale interna dell'Iraq o di nessuno degli stati della Coalizione . Il principio dell'immunità dei combattenti, universalmente riconosciuto come norma del diritto dei conflitti armati, prevede che un individuo non possa essere perseguito per atti di guerra leciti. Tuttavia, in seguito alla DD, l'individuo in questione avrebbe commesso un atto in linea di principio atto ad essere un atto contrario agli scopi e ai principi dell'ONU e quindi potrebbe essere potenzialmente escluso dallo status di rifugiato. Una tale posizione è difficile da comprendere.113
112
Sivakumaran, op. cit., p.369. 113 Ibid., p.370.
49