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Il "Grande Gioco" del XXI secolo e l'Asia Centrale: analisi, dinamiche e prospettive delle strategie geopolitiche di partnership

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Indice Generale

Introduzione... 3

CAPITOLO PRIMO 1.1 Dalla PEV alla Strategia Europea: le “mosse” dell’UE ... 6

1.2 Asia Centrale: in cosa consiste l’“Heartland” di Mackinder ... 7

1.3 Il rapporto con la Russia ... 10

1.4 Asia Centrale e Stati Uniti... 12

1.5 La SCO: contrapposizione con la NATO ... 15

1.6 La “fascia meridionale” islamica ... 17

1.7 Iran e Asia Centrale ... 17

1.8 I rapporti tra la Turchia e le realtà turcofone ... 18

1.9 Asia Centrale e Pakistan ... 20

1.10 Il carattere “indefinito” del’indipendenza ... 21

1.11 L’Unione Europea e la nuova “Via della Seta” ... 23

1.12 I trasporti: la regione quale snodo logistico e possibilità di sviluppo .. 23

1.13 Ulteriori accordi di cooperazione ... 28

1.14 Un aspetto fondamentale: la sicurezza della regione ... 30

1.15 Quale strategia europea per l’Asia Centrale? ... 35

1.16 Il nesso tra UE e società civile in Asia Centrale ... 44

1.17 Una strategia europea efficiente: ipotesi realizzabile? ... 47

1.18 Le incertezze del futuro ... 50

CAPITOLO SECONDO 2.1 Verso una nuova strategia dell’UE: problemi e prospettive del Partenariato Orientale dopo Riga ... 53

2.2 Origini e risultati del Partenariato Orientale ... 53

2.3 Il ritorno della geopolitica nel vicinato dell’UE ... 56

2.4 Accordi in vigore ed in fase di negoziazione fra UE e Russia ... 61

2.5 Ruolo del Parlamento Europeo nella disputa UE - Russia ... 62

2.6 Il Partenariato Orientale dopo Riga: creazione di una nuova strategia dell’UE ... 63

2.7 Nuove strategie per il progetto della grande “Eurasia” ... 65

2.8 Il concetto di “Eurasia” secondo Vladimir Putin ... 68

2.9 Situazione nella regione ... 72

CAPITOLO TERZO Focus Kazakhstan: un Paese dalle tante opportunità commerciali 3.1 Il “perno transcontinentale” della storia ... 78

3.2 Scenario Economico ... 83

3.3 Scenario Politico ... 87

3.4 Le riforme economico-sociali per il futuro ... 98

3.5 Evoluzione istituzionale e sociale del Kazakhstan indipendente ... 103

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3.7 Il Kazakhstan ed il 2017: cosa riservano il presente ed il futuro? ... 108

CAPITOLO QUARTO Relazioni tra Italia e Kazakhstan: un trend sempre più in crescita 4.1 “Italian Day” in Kazakhstan con la business community: analisi delle relazioni bilaterali tra i due Paesi ... 108

4.2 Report sul commercio tra Italia e Kazakhstan ... 109

4.3 Kazakhstan e Italia: al via l’accordo di cooperazione militare ... 111

4.4 Come funziona il Kazakhstan dal punto di vista istituzionale ... 112

CAPITOLO QUINTO UE e Kazakhstan: quale rapporto? 5.1 Da Bruxelles ad Astana, una cooperazione alternativa………..118

5.2 Una Politica estera ed economica multivettoriale………..121

5.3 Verso un nuovo paradigma di cooperazione in Asia Centrale?...125

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Introduzione

La rilevanza che l’Asia centrale post sovietica ha assunto nello scacchiere politico internazionale deriva indubbiamente dalla profonda interrelazione esistente tra la sua posizione geografica nonché dalla vicinanza alle due potenze regionali Cina e Russia, ponendosi come punto nodale per ciò che riguarda le tematiche connesse alle problematiche della sicurezza, sia in termini di minaccia alla stabilità territoriale sia in termini energetici e rivelandosi allo stesso tempo garanzia degli approvvigionamenti a fronte del costante aumento della domanda energetica da parte delle economie maggiormente sviluppate, così come dai Paesi in via di forte sviluppo.

A partire dal 1991, il timore di una instabilità regionale (a causa del vacuum di potere legato alla dissoluzione dell’Unione Sovietica) e la prospettiva di partecipare allo sfruttamento e alla commercializzazione delle riserve di gas e petrolio della regione ha attirato una molteplicità di attori statali e non statali all’interno di una competizione geopolitica che è stata definita con eccessiva enfasi come una riproposizione del “Grande Gioco” del XIX secolo: interessi ed obiettivi economico-energetici, finalità politiche, esigenze di sicurezza regionale, condivisione di legami etnico – linguistico - culturali rappresentavano i fattori che spinsero questi attori statali ad un crescente coinvolgimento nella regione centroasiatica, nel tentativo di influenzare l’evoluzione politica delle nuove repubbliche e rafforzare la propria posizione geopolitica nello scacchiere internazionale. Parallelamente le cinque repubbliche centroasiatiche facevano la loro prima comparsa sullo scenario internazionale come stati indipendenti, impegnate a consolidare il loro potere all’interno e ad intraprendere una politica estera autonoma, in una situazione di debolezza politica, fragilità economica, debolezza sul piano militare che le accomunava ed ostacolava i loro tentativi di emancipazione dalla dipendenza della Russia. Questo scenario rappresenta il punto di partenza della presente ricerca, che si propone una duplice finalità:

• analizzare lo svolgimento della competizione geopolitica in Asia centrale e quali conseguenze ha prodotto sull’assetto politico-economico regionale, all’interno delle singole repubbliche e nelle relazioni tra gli stati coinvolti.

• dimostrare il potenziale ruolo che l’Unione Europea può rivestire nello sviluppo della regione, in modo particolare a seguito dell’adozione della “Strategia europea per una nuova partnership con l’Asia centrale” che le consente di esercitare una rilevante influenza politica ed economica e di rafforzare la propria posizione sullo scenario centroasiatico, dopo aver mantenuto per anni una posizione subalterna nella competizione geopolitica che ha coinvolto e coinvolge ancora oggi Cina, Russia e Stati Uniti.

L’analisi della competizione geopolitica che si è sviluppata in Asia centrale viene focalizzata essenzialmente su Cina, Russia, Stati Uniti e Unione Europea, le quattro nazioni che dal 1991 sono

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4 risultate maggiormente coinvolte e che influenzano maggiormente le vicende regionali, in quanto detentori di rilevanti interessi di carattere militare, economico-energetico, politico e che hanno consolidato nel tempo delle importanti forme di cooperazione con le repubbliche centroasiatiche. L’attinenza agli obiettivi che questa ricerca si propone non comporta comunque un’esclusione a priori dalla trattazione di altri importanti attori statali che hanno rivestito un ruolo in questa competizione, quali la Turchia e l’Iran - vi è una parte a loro dedicata in ragione del ruolo di potenziale modello politico nei primi anni novanta – oltre a Pakistan, India e Giappone.

In ambito centroasiatico la trattazione tende a privilegiare gli sviluppi intercorsi in Kazakistan, Uzbekistan e Turkmenistan, le tre repubbliche considerate maggiormente rilevanti in un’ottica geopolitica, per le loro risorse e per le riserve energetiche, per la collocazione geografica, per il ruolo esercitato nel contesto regionale, non dimenticando allo stesso tempo di porre attenzione alle positive dinamiche democratiche in atto ad esempio in Kirghizistan oppure alle sempre più crescenti crisi istituzionali in Tagikistan.

All’interno di questo lavoro di tesi viene trattato in maniera preponderante il tema della riconfigurazione geopolitica dell’Asia centrale dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica sino agli sviluppi recenti, evidenziando l’affermazione di Russia, Stati Uniti e Cina come principali attori di questa competizione per estendere la propria influenza nella regione e le differenti finalità perseguite nella loro politica estera. Nel contempo, si cercherà di dimostrare la “forzatura ideologica” insita nella definizione della competizione geopolitica in Asia centrale come la riproposizione di un “nuovo Grande Gioco” e la maggiore attinenza dell’interpretazione fondata sui canoni della “neo-geopolitica”.

Di seguito la trattazione si sofferma sulle problematiche di carattere economico, di politica interna ed estera, di sicurezza militare che le repubbliche centroasiatiche hanno dovuto affrontare a distanza di circa ventisei anni di indipendenza nazionale. L’attenzione verrà focalizzata in modo particolare sulle importanti riserve energetiche di Kazakhstan, Turkmenistan ed Uzbekistan e sulla competizione tra Russia, Cina e Stati Uniti per il controllo delle esportazioni e delle vie di commercializzazione degli idrocarburi centroasiatici.

Inoltre, tra gli altri, vengono analizzati i problemi di salvaguardia naturalistica e di “sicurezza” riguardanti il mar Caspio e le differenti posizioni assunte dai cinque stati litoranei.

La tematica affrontata nella parte successiva riguarda le relazioni tra l’Unione Europea e l’Asia centrale dal 1991 ad oggi, dove viene evidenziato come la mancanza di una strategia politica europea condivisa e il prevalere dei singoli interessi strategici degli stati nazionali abbia relegato l’Unione Europea in una posizione secondaria, che le ha impedito di estendere la propria influenza nella competizione geopolitica della regione centroasiatica. Con particolare rilievo verranno

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5 affrontate le problematiche connesse all’instabilità potenziale delle frontiere centroasiatiche e l’impatto geopolitico dei progetti europei di diversificazione energetica fondati sull’utilizzo degli idrocarburi centroasiatici.

Nel capitolo successivo invece vengono delineati obiettivi, ambiti d’intervento e finalità che l’Unione Europea intende perseguire con la “Strategia europea per una nuova partnership con l’Asia centrale” e le novità apportate dalle successive modifiche e dai successivi aggiornamenti di questo documento. Inoltre si apporrà l’accento sulle forme di cooperazione previste, l’impegno politico e gli obiettivi che l’Unione Europea intende perseguire, implicando di fatto il suo ingresso nella competizione geopolitica centroasiatica. A seguito dell’analisi degli obiettivi parziali raggiunti si cercherà di valutare le ambizioni di influenza europee nel contesto regionale, attraverso un osservazione dello scenario geopolitico attuale e dei rapporti di forza esistenti, e la futura evoluzione della competizione tra questi Stati in Asia centrale.

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Il “Grande Gioco” del XXI secolo e l’Asia Centrale:

analisi, dinamiche e prospettive delle strategie geopolitiche di partnership

CAPITOLO PRIMO

1.1 Dalla PEV alla Strategia Europea: le “mosse” dell’UE.

Dopo Moldavia, Bielorussia, Ucraina, Georgia, Armenia ed Azerbaigian, dal 2004 entrate a far parte della Politica Europea di Vicinato (European Neighbourhood Policy,

ENP, PEV in italiano)1, a partire dal 2005 la “Ostpolitik” dell’Unione Europea ha

cominciato a focalizzarsi anche sulle cinque repubbliche dell’Asia Centrale post-sovietica; passo fondamentale in questa direzione è stata la nomina di un Rappresentante Speciale per l’Asia Centrale (figura entrata in funzione da luglio di

quell’anno2

), ma con la presidenza tedesca dell’UE (gennaio - giugno 2007) si è assistito ad un’accelerazione nei tentativi di partnership fra le due aree, conseguentemente ad un accresciuto interesse per la regione centrasiatica.

Nel suo discorso di insediamento a capo della Commissione UE del 17 gennaio 2007 dinnanzi al Parlamento Europeo, in cui esplicava le linee guida che avrebbero contraddistinto la presidenza tedesca, il cancelliere Angela Merkel ha ulteriormente “teso la mano” nei confronti dell’Asia Centrale, parlando di una possibile estensione ad essa della “Politica di Prossimità”.

Secondo il cancelliere tedesco, infatti, “ l'UE deve mostrare una maggiore volontà di

plasmare gli eventi nei paesi limitrofi, anche se non possiamo sempre rispettare il desiderio di molti Paesi di aderire all'UE. La politica di vicinato è l'alternativa ragionevole e attraente. Intendiamo sviluppare una tale particolare politica di vicinato nei confronti della regione prospiciente il Mar Nero e in Asia Centrale durante la nostra presidenza”3.

1 http://ec.europa.eu/economy_finance/international/neighbourhood_policy/index_it.htm

2 al momento il Rappresentante è lo slovacco Peter Burian, ex Sottosegretario di Stato presso il Ministero

degli Esteri della Slovacchia

3

«The EU has to show a greater will to shape events in its neighbourhood, for we cannot always comply with the desire of many countries to join the EU. Neighbourhood policy is the sensible and attractive alternative. We intend to develop such a neighbourhood policy particularly towards the Black Sea region and Central Asia during our Presidency». Speech by Angela Merkel, Chancellor of the Federal Republic of Germany, to the European Parliament in Strasbourg on Wednesday, 17 January 2007, http://www.eu2007.de/en/News/Speeches_Interviews/ January/Rede_Bundeskanzlerin2.html; si veda anche il commento di Ahto Lobjakas, ”Merkel Sets out Vision for EU Presidency”, 17 January 2007, Radio Free Europe/Radio Liberty, http://www.rferl.org/featuresarticle/2007/01/6e348993-cd44-4034-a294-df9a1e16685c.html.

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Sulla base di questo orientamento generale, è stato approntato, ad esempio, il documento costituente la strategia europea nei confronti di questa regione per il periodo 2007-2013, successivamente aggiornato nel 2015. La prima versione del documento finale, che vide la luce a giugno del 2007, ha segnato un notevole mutamento dell’approccio dimostrato dall’Unione Europea verso l’Asia Centrale4

.

1.2 Asia Centrale: in cosa consiste l’“Heartland” di Mackinder5

L’Asia Centrale è costituita nella sua accezione più comune dalle cinque repubbliche di Kazakhstan, Kirghizistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Tagikistan (indicate collettivamente quali Nuovi Stati Indipendenti, NSI), sorte in epoca sovietica sul territorio dell’antico Turkestan, indipendenti dal 1991. Si presenta sulla scena mondiale del XXI secolo quale uno spazio critico, dove interessi strategici ed energetici attirano tutte le potenze che aspirano a far sentire la loro voce nell’ordine internazionale in transizione dall’equilibrio bipolare6

.

Si tratta di una regione molto vasta, relativamente poco popolata, ricchissima di risorse naturali, soprattutto oil & gas. La fase post-sovietica dell’Asia Centrale è stata difatti caratterizzata dalla scoperta di nuovi giacimenti, che hanno provocato un alleggerimento della stretta socioeconomica ma allo stesso tempo portando ad un forte aumento della corruzione e delle sperequazioni sociali, con conseguente peggioramento del clima sociopolitico. Lo stesso è avvenuto sul piano delle relazioni regionali fra i regimi successori dell’URSS.

Le risorse centrasiatiche si concentrano intorno al bacino del Mar Caspio, per oltre due secoli condominio russo-iraniano, “gelosi” di possibili influenze esterne. L’apparizione, all’epoca, di tre nuovi soggetti (Kazakhstan, Turkmenistan e Azerbaigian), galvanizzati dal sostegno delle compagnie energetiche occidentali, ha spezzato questo regime consolidato creando una contesa sullo status del bacino (mare o lago, poiché la decisione comporta l’applicazione di diverse regole internazionali e dunque di schemi differenti di evacuazione). A tal proposito, non va dimenticato che, in qualità di spazio idrogeologico assolutamente unico, le problematiche relative al Caspio posseggono anche una forte componente ambientale, per cui potrebbero rivelarsi fatali le prospezioni off-shore e la posa di condotte sottomarine. Tuttora irrisolta, la disputa

4 Ahto Lobjakas, Central Asia: EU to Unveil Strategy Aimed at Wooing Region, 14 February 2007,

http://www.rferl.org/featuresarticle/2007/02/9bb37852-b0ff-4ce9-bbf7-e53275c297c6.html. 5http://geopoliticalreview.org/2015/04/mackinder-heartland/

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ostacola le prospezioni e i progetti di esportazione delle risorse, ciascuno dei quali è favorito da sponsor stranieri7.

Questo territorio, abitato quasi esclusivamente da popoli di religione musulmana (in Kazakhstan sono circa il 70%), prevalentemente parlanti lingue turche, ha costituito in effetti l’ultima frontiera dell’espansione imperiale russa, quella alla quale è più corretto applicare l’epiteto di coloniale.8

Una situazione che, mutatis mutandis, si è protratta anche in epoca sovietica.9

Dopo la improvvisa dissoluzione dell’Unione Sovietica, evento che ha sconvolto in profondità l’intero profilo geopolitico dell’Asia Centrale, il più grande spazio ex sovietico al di fuori dei confini della Russia, si è trovata in questo modo frammentata fra cinque regimi autoritari; in tutti questi Paesi il potere è rimasto sostanzialmente in mano all’antica classe dirigente comunista, “riciclatasi” nel nuovo contesto politico con modalità di governo di tipo clanico e autoritario.10 Negli ultimi anni, tuttavia, si sono potuti notare apprezzabili “venti di cambiamento”: l’evoluzione del Kazakhstan verso un maggior pluralismo politico-sociale, la caduta del Presidente kirghiso Akaev nel 2005 e la morte del dittatore turkmeno Niyazov (2006), paiono aprire importanti prospettive di cambiamento e possono favorire una più attiva politica europea nell’intera regione.11

Il venir meno del sistema federale sovietico ha inoltre causato negli anni successivi alla disgregazione il crollo delle economie locali, con un’enorme massa di popolazione più che quadruplicatasi dagli anni Cinquanta ad oggi (pari a circa 60 milioni nel 2016), costretta a vivere al di sotto dei livelli di sussistenza – condizione di circa l’83% dei cittadini tagiki e del 68% dei kirghisi. L’onda lunga del boom demografico continuerà inoltre a manifestarsi ancora a lungo (si stima che la popolazione sfiorerà gli 80 milioni entro il 2050) rendendo la regione una delle più attive del pianeta dal punto di vista migratorio12.

7

Alessandra Colla, Il ponte verde, Op. cit.

8 Andreas Kappeler, La Russia. Storia di un impero multietnico, Aldo Ferrari (ed.), Roma, 2006, pp.

190-191.

9 Mario Bussagli, Asia Centrale e mondo dei nomadi, in “Nuova storia universale dei popoli e delle

civiltà”, 20° vol., all’interno di “Asia Centrale e Giappone”, Torino, 1970, pp. 1-234

10 Su questo tema è di particolare interesse lo studio di Stephen Frederick Starr, Clans, Authoritarian

Rulers, and Parliaments in Central Asia, in “Silk Road Paper”, June 2006, http://www.silkroadstudies.org/ new/docs/Silkroadpapers/0605Starr_Clans.pdf. Si veda anche Jan Kohler – Christoph Zurcher, Conflict and the State in the Caucasus and Central Asia: An Empirical Research Challenge, Institut der Freien Univesität, Berlin, 2004, soprattutto pp. 56-67.

11 Neil J.Melvin., Building Stronger Ties, Meeting New Challenges: The European Union’s Strategic Role

in Central Asia, in «CEPS Policy Brief», 28 March 2007.

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In contrasto con la situazione dei suoi vicini, con una superficie corrispondente a quella dell’Europa occidentale, il Kazakhstan è divenuto uno degli spazi più inabitati del pianeta in seguito all’abbandono del Paese da parte di milioni di cittadini di origine slava. Nel resto della regione, la crescita della popolazione acuisce i numerosi problemi ecologici (in primis la “scomparsa” del Lago d’Aral) e la generale scarsità di risorse idriche, una costante della vita locale, in un ambiente al 60% desertico dove l’uomo ha sempre dovuto lottare contro l’aridità tramite il controllo delle acque.

Geograficamente e storicamente, ma anche per quel che riguarda le dinamiche politiche, sono strettamente collegati all’Asia Centrale anche Paesi cruciali nell’odierna scena internazionale come l’Iran, l’Afghanistan e il Pakistan.

Rapporto particolare ha poi con l’intera regione la Federazione Russa, erede dell’URSS, che considera questi Paesi parte del proprio “comprensorio”. Proprio per quanto riguarda l’interdipendenza fra Russia e Asia Centrale, negli ultimi due secoliMosca ha definito il profilo geopolitico della zona, modernizzandola e sottraendola alla condizione di “buco nero” in cui si era trasformata nei secoli seguenti al declino della Via della Seta. Per la Russia, l’Asia Centrale costituisce elemento fondamentale della propria posizione strategica globale, innanzitutto per l’interdipendenza strutturale fra le due aree, specialmente in termini economici e di sicurezza. Dopo il 1991, in assenza di qualsiasi barriera naturale, il territorio russo si è ritrovato completamente esposto all’instabilità propagatasi dallo stesso centro Asia, causata nello specifico dal narcotraffico, oramai ampiamente infiltrato assieme ad altri fenomeni criminali amplificati dall’adiacente “caos” afghano, apportando gravi conseguenze all’interno della vasta Federazione. L’interdipendenza fra Russia e le sue ex repubbliche diviene sempre più forte ed è destinata a crescere anche sul piano umano. Da un lato un’importante comunità etnica russa (che contava nel 1991 circa 10 milioni di persone, a cui vanno ad aggiungersi le altre diaspore nazionali cioè slavi, tartari, tedeschi ecc., assimilate alla civiltà russa) continua a risiedere in territorio centrasiatico, dove costituisce tutt’oggi il nucleo essenziale degli indispensabili quadri tecnici; dall’altro, il drastico peggioramento delle condizioni di vita nella regione si è tradotto in una massa migratoria da sud verso nord che ormai interessa milioni di persone. Questo fenomeno assume un’importanza notevole in rapporto al crollo demografico russo. In tal modo l’Asia Centrale si presenterebbe quale “serbatoio” di risorse umane indispensabili all’economia russa e complementari con la sua disponibilità di territorio. Inoltre, per la classe politica russa, in cui rimangono forti le spinte in favore di un mondo multipolare,

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la regione, come già nel periodo sovietico rappresenta una piattaforma importante da cui coordinare iniziative di politica estera verso il mondo musulmano, Iran, Cina e subcontinente indiano.

Nel corso degli anni Novanta è sembrato che l’influenza di Mosca nella regione fosse destinata a esaurirsi rapidamente. Tuttavia, dopo anni di negligenza, la politica di Vladimir Putin ha riportato l’Asia Centrale nel cuore della diplomazia russa13

. La volontà russa di porsi quale forza preponderante su questo scacchiere cruciale della scena internazionale va inquadrata, come anche nel Caucaso , alla luce del fatto che la presenza russa è stata ed è minacciata dalla penetrazione strategica degli USA, particolarmente interessati al controllo delle risorse energetiche dell’area, con conseguente accelerazione della competizione fra i diversi Paesi14.

1.3 Il rapporto con la Russia

Per la Russia, inoltre, la questione centroasiatica è parte della diatriba in atto con la NATO nel suo complesso: Mosca ha infatti cercato di avanzare un suo “diritto speciale” a sovrintendere alla difesa della regione (ipotizzando addirittura di intervenire nelle questioni interne degli Stati, con la giustificazione di difendere le comunità russofone) proponendosi quale interlocutore unico per le questioni riguardanti la sicurezza. Proprio in Asia Centrale la Russia ha installato le prime strutture militari all’estero dai tempi sovietici (ad es. una in Kirghizistan, a qualche decina di chilometri dalla base aperta dagli USA in quello stesso Paese, più un’altra in Tagikistan)15, mentre sforzi sono stati profusi al fine di inquadrare gli eserciti della regione nell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva (CSTO16) della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), istituzione dai meccanismi simili a quelli NATO di cui fanno parte attualmente Russia, Uzbekistan, Kazakhstan, Kirghizistan e Tagikistan, Armenia e Bielorussia. Al di là della difesa, Mosca è presente in tutte le strutture multilaterali regionali mentre, con l’eccezione del Turkmenistan, l’Asia Centrale forma uno spazio economico unificato con Russia e Bielorussia nel quadro della Unione Economica Eurasiatica (EurAsEC17). Tramite il rafforzamento di questi organismi Mosca si propone di ricomporre quanto più possibile

13

https://instat.wordpress.com/2016/09/19/eurasia-concetto-secondo-vladimir-putin-di-rosario-alessandrello-iea-informa/

14 Zbigniew Brzezinski, The grand Chessboard. American primacy and its geostrategic imperative, New

York 1997 (trad. it. Milano 1998)

15 https://bedrisga.wordpress.com/2015/04/21/la-russia-e-le-sue-truppe-in-asia-centrale/

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http://www.treccani.it/enciclopedia/collective-security-treaty-organisation-organizzazione-del-trattato-di-sicurezza-collettiva_(Atlante-Geopolitico)/

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questa sezione dello spazio post-sovietico minimizzando il più possibile il ruolo degli attori presenti. Questo anche alla luce delle tendenze recenti, segnate dall’importanza sempre maggiore per l’economia degli Stati nell’ambito degli idrocarburi e dalla posizione internazionale del Paese. In tale prospettiva, l’accesso ai giacimenti centrasiatici ha assunto peso preponderante nella stabilizzazione della produzione e delle forniture russe verso Asia ed Europa. Per mantenere tale accesso, tramite il gigante del gas Gazprom, la Russia manovra affinché le repubbliche centroasiatiche aderiscano ad un cartello delle esportazioni, progetto finalizzato a controbilanciare l’attrazione delle risorse verso i corridoi alternativi che la diplomazia occidentale sta parallelamente sforzandosi di creare. Un ulteriore schema di cartello eurasiatico è auspicato da Mosca per lo sfruttamento dell’uranio, materia prima che può rappresentare la vera risorsa del futuro per l’Asia Centrale.

Il successo delle manovre moscovite e il volto della regione nel nuovo secolo dovranno dipendere dal grado di intesa politica che riuscirà a mantenersi fra le due parti. Al momento l’intesa appare particolarmente solida, in relazione alle pressioni politiche occidentali sui regimi centrasiatici, le quali hanno fatto emergere una concezione comune di sicurezza “ideologica” scandita attorno alla vaga dottrina della democrazia sovrana e al principio di non interferenza negli affari interni. In ogni caso la politica futura della Russia sarà decisiva per l’avvenire della regione per la quale rimane il principale vettore di sviluppo accessibile, mentre la lingua russa costituisce fondamentale sostrato comune, veicolo della vita amministrativa ed educativa, nonché nucleo della comunicazione interetnica e fra le differenti burocrazie nazionali.

Tuttavia la politica regionale russa sembra mancare della necessaria visione strategica di lungo periodo, in grado di rispondere alle numerose sfide che l’incertezza del teatro centroasiatico pone alla propria sicurezza nazionale, assenza della quale è spia la passività nel regolare le spinte migratorie.18 Mosca è poi “gravata” dal sostegno agli attuali regimi che si è trovata a dover fornire per controbilanciare la penetrazione statunitense nella regione, in particolare nei confronti dell’Uzbekistan, il cui sciovinismo può nuocere ai contatti tra Russia e le altre repubbliche. Ciò significa probabilmente non ottemperare al meglio nel contrasto alla massiccia corruzione ed al dispotismo di questi regimi, poiché opererebbe contro qualsiasi prospettiva di stabilità futura della regione dove l’irreversibilità dei processi di degradazione politica diverrà

18 Alberto Colombo., Aldo Ferrari, Fumagalli Maria Grazia (eds.), Il grande Medio Oriente. Il nuovo arco

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sempre più evidente, mettendo in questione la sopravvivenza stessa delle entità centrasiatiche quali soggetti internazionali.

Occorre tener presente che, a seguito della gravissima crisi post implosione dell’Unione Sovietica, il vuoto di potere centrasiatico aveva accelerato la competizione delle forze esterne attirata, come detto, dalla cospicua presenza di risorse, spinte dalla necessità di far fronte all’aumento dei consumi; da alcuni anni Mosca sta invertendo questa tendenza negativa grazie all’accorta dirigenza di Putin e soprattutto all’alto costo di petrolio e gas, dei quali la Russia è tra i maggiori produttori mondiali. Nell’Asia Centrale come nel Caucaso questo ritorno in forze di Mosca sembra essere oggi in grado di contrastare efficacemente quella “transizione egemonica” a favore degli Stati Uniti che soltanto fino a pochi anni fa pareva ineluttabile19.

1.4 Asia Centrale e Stati Uniti

Come si diceva infatti, dopo essere rimasti esitanti sulla linea da seguire nei loro contatti con la regione, gli USA ne hanno rivoluzionato il profilo strategico, favoriti dalla vicinanza geografica con l’Afghanistan (tuttora “amministrato” de facto dalla NATO a seguito dell’intervento internazionale), subito dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Il principale dato è stato appunto l’arrivo dell’apparato militare atlantico nell’area (apertura di tre basi in Afghanistan e di due in altri Paesi dell’Asia Centrale, di cui una evacuata nel 2005)20, apportando così un netto cambio di passo nella strategia americana: si passava infatti dal tentativo di affermare la propria influenza senza diretto coinvolgimento, quasi per procura, all’affermazione di una presenza continua sul territorio; presenza che ha causato altresì l’effetto di causare un’impennata dei prezzi delle materie prime, imprimendo un impatto diretto sugli equilibri regionali. Quale risultato della congiunzione dei due eventi, i regimi centroasiatici hanno visto aumentare notevolmente la propria importanza geopolitica, sia come retrovie dell’Afghanistan sia in qualità di detentori di risorse energetiche divenute economicamente sempre più appetibili. In conseguenza del nuovo interesse nei loro confronti, essi sono andati sempre più alzando il prezzo della loro cooperazione nei due campi. Sul piano energetico lo stacco è stato però netto.

19

Mohammad Reza-Djalili, Catherine Poujol, Vicken Cheterian, Thomas Kellner, Frédéric Guérin (eds.), The illusion of transition. Which perspectives for Central Asia and the Caucasus? Genève, Cimera, 2004,

http://www.cimera.org/publications/cp6/popup.html

20 Stephen Frederick Starr, A ‘Greater Central Asia partnership’ for Afghanistan and its neighbours,

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Se fino al 2002 tutto era stato fatto per offrire condizioni vantaggiose agli investitori stranieri, da quel momento in poi si è registrata una massiccia inserzione di capitali provenienti dalla Cina. Sul piano politico, la retorica dei regimi sul rispetto delle procedure democratiche si è ulteriormente allontanata dalle loro pratiche dittatoriali. Nel momento in cui ha constatato che Russia, Cina e Iran continuavano a rafforzare le proprie posizioni regionali, Washington ha cercato di favorire la sostituzione dei regimi applicando la tattica delle “rivoluzioni colorate” usata con apparente successo in altre aree dello spazio ex sovietico (ad es. Georgia nel 2003 e Ucraina nel 2004). Tuttavia nel 2005 la tattica del “regime change” ha provocato esiti disastrosi in Kirghizistan e Uzbekistan21. Come risultato, gli Stati Uniti si sono ritrovati estromessi dal bastione della loro influenza centrasiatica (l’Uzbekistan), riallineatosi con la politica di Mosca, dovendo rivedere i parametri della propria geopolitica nella regione. Nel 2006 la crisi

afghana aveva permesso agli Stati Uniti di tentare una definizione dell’equilibrio

regionale, accelerando ricomposizioni di alleanze e trasformazioni interne tramite il lancio di una nuova iniziativa d’influenza regionale, la Great Central Asia (GCA) quale appendice del Great Middle East (GME); oltre che ennesimo tentativo di ridefinizione dall’esterno dei confini della regione, il nuovo progetto statunitense fa leva sulla crescente fame di risorse energetiche di India e Pakistan per dar forma ad un grande partenariato fra Asia Centrale e Meridionale, con l’Afghanistan a fungere da snodo centrale. Va da sé che lo sviluppo di tale direttrice ha nella prospettiva statunitense lo scopo essenziale di contenere l’influenza crescente dei propri antagonisti (russi, cinesi e iraniani). Anche nel quadro GCA si riscontra tensione fra progetti alternativi di corridoi energetici: gli USA sostengono la costruzione di un gasdotto Turkmenistan/Afghanistan/Pakistan (TAPI), già alla base della complicità statunitense in occasione dell’ascesa dei talebani al potere e ora importante per consolidare la nuova intesa raggiunta con l’India22

. Ma, data la persistente instabilità afghana, al TAPI si contrappone il progetto Iran/Pakistan/India (IPI23) in cui sono in gioco anche gli interessi russi; a loro volta questi nuovi corridoi, considerati l’isolamento e la crisi economica quasi “costante” delle ex repubbliche sovietiche, modificano il loro grado di apertura geoeconomica, fornendo ai Paesi in cui sboccano una potente leva per influenzarne la geopolitica. Il fulcro della strategia statunitense, l’oleodotto Baku –

21 Eugene B. Rumer , Central Asia at the end of the transition, London, Routledge, 2005 22 http://www.limesonline.com/tapi-il-gasdotto-dellindipendenza-centroasiatica/51037 23

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Tbilisi – Ceyhan (BTC, inaugurato a maggio 200524) è stato concepito in modo da connettere l’Asia Centrale al Caucaso facendoli gravitare entrambi verso la Turchia. Quest’ultima è stata strettamente associata all’impresa in modo da consolidare la sua “fedeltà” atlantica spostando gli equilibri regionali a suo favore.

La guerra afghana ha come detto proiettato l’area al centro dell’attenzione internazionale, facendo emergere il fattore energia come leva dell’attenzione per la regione; tuttavia va premesso che lo sfruttamento di tali risorse presenta un ampio ventaglio di difficoltà, di natura tanto tecnico-logistica quanto politica, le quali ne rendono relativo il valore commerciale. Se di per sé le risorse del Caspio appaiono insufficienti a giustificare l’offensiva dispiegata dagli USA sin dalla seconda presidenza Clinton (1997-2001), le ragioni vanno piuttosto cercate chiaramente sul versante strategico. Tenendo altresì presente l’interesse che la Cina ha iniziato a manifestare verso la regione, è chiaro che la strategia statunitense utilizza il tema dell’energia da più punti di vista: innanzitutto presuppone la costruzione di nuovi oleodotti oltre a quelli esistenti attraverso il territorio russo.

Nei fatti, la visione statunitense considera il Centro Asia il tassello finale di una catena che parte dall’Europa orientale snodandosi attraverso i Balcani, il Mar Nero e il Caucaso. Nel quadro del rinato o mai del tutto assopito confronto con Mosca, tale dispositivo mira al contenimento della Federazione Russa per prevenire la riaffermazione del suo ruolo nell’ex “periferia” sovietica. Inoltre preoccupazione fondamentale per gli USA, il fatto secondo cui le cui linee colleganti i vari tasselli del puzzle eurasiatico attraversino molteplici aree di crisi, rendendo tale strategia energetica necessaria e parallela architettura di sicurezza. Il tema della sicurezza energetica fornisce così una motivazione per l’espansionismo della NATO sempre più a est e a tal fine, gli Stati Uniti hanno ottenuto che i Paesi dell’area venissero associati all’Alleanza Atlantica sin dal 1994 tramite il programma del Partenariato per la pace25. Infine l’accento sull’energia permette di influire sul modello di sviluppo delle neo repubbliche, incoraggiate a ristrutturarsi sul modello delle monarchie petrolifere del Golfo Persico. Proprio tale esempio dimostra però che gli Stati possessori di ingenti ricchezze petrolifere sono soggetti ad una serie di fragilità strutturali, portando i regimi interessati ad appropriarsi privatamente delle risorse pubbliche all’interno di economie

24

http://desiderio-limes.blogautore.espresso.repubblica.it/2011/06/21/btc-loleodotto-che-viene-dal-passato/

25 Mohammad Reza Djalili, Thomas Kellner, Gèopolitique de la nouvelle Asie centrale. De la fin de

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sottosviluppate, le quali spesso sono succubi delle variazioni di prezzo delle materie prime.

Lo schieramento occidentale guidato dagli Stati Uniti, si scontra quindi in questa area con quello della Russia, determinando una situazione simile alla contrapposizione russo-britannica del diciannovesimo secolo, riedizione del “Gran Gioco” 26 di ottocentesca memoria, paragone suggestivo da non utilizzare però acriticamente.27

1.5 La SCO: contrapposizione con la NATO

In Asia Centrale più ancora che nel Caucaso, gli Stati Uniti stanno però perdendo terreno, sia nella sfera politica che in quella militare28, a differenza della Federazione Russa, la quale riconquista rapidamente importanti posizioni politiche, economiche e strategiche.29 In Asia Centrale la Russia collabora proficuamente con la Repubblica Popolare Cinese anche dal punto di vista diplomatico, in particolare nell’ambito della Shangai Cooperation Organization (SCO). Conseguente ad una forte preoccupazione dal punto di vista della sicurezza, questo meccanismo diplomatico multilaterale è seguito ad una serie di vertici tra Russia, Cina, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan e Uzbekistan ed è stato istituzionalizzato nel 2001. Nata inizialmente con lo scopo di risolvere i contenziosi frontalieri fra gli Stati ex URSS e la Cina, l’intesa di Shanghai ha progressivamente ampliato le proprie competenze. Sul piano della sicurezza l’Organizzazione fornisce un quadro per la cooperazione fra le intelligence nelle repressione dei gruppi clandestini estremisti (a tal fine è stato istituito un centro ad hoc con sede a Taskent in Uzbekistan) nonché per l’organizzazione di manovre militari congiunte di largo respiro. Tale cooperazione ha fatto da contraltare al significato politico che l’Organizzazione ha assunto nelle dichiarazioni congiunte dei suoi capi di Stato: rifiuto dell’unilateralismo nella diplomazia internazionale e primato dei meccanismi multilaterali, dell’ONU in primo luogo, con l’obiettivo di far presente agli Stati Uniti e alla NATO che la sicurezza dell’Asia Centrale non necessita di protettori esterni. La SCO suscita inquietudini in Occidente soprattutto da quando ha ammesso come osservatori ai suoi vertici annuali attori internazionali quali Pakistan, India e Iran, con i quali ha ulteriormente allargato i suoi orizzonti in tema di sicurezza energetica. In

26http://www.lintellettualedissidente.it/cultura/il-grande-gioco/

27 A questo riguardo si veda l’articolo di Michael Edwards, The New Great Game and the New Great

Gamers: Disciples of Kipling and Mackinder, in “Central Asian Survey”, 22/01/2003, pp. 83-102.

28 Stephen Blank, Beyond Afghanistan: The Future of American Bases in Central Asia, in “Central

AsiaCaucasus Analyst”, 26 July 2006, http://www.cacianalyst.org/view_article.php? articleid=4349.

29 Stephen Blank, America Strikes Back? Geopolitical Rivalry in Central Asia and Caucasus, in “Central

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tal modo, l’Organizzazione rappresenta oggi una potenziale alternativa alla politica occidentale nell’area, capace di minarne le aspettative. Nella realtà le possibilità della SCO restano bloccate da molte contraddizioni. Al di là della difficoltà nel definire regole comuni per soggetti talmente diversi su questioni talmente delicate (quale può essere il settore energetico), il problema centrale è quello della competizione fra i due attori principali della zona: Russia e Cina. Le due potenze si sono finora mosse di concerto sulla base di una comune valutazione negativa della presenza americana nella regione. Tuttavia, a seguito del ridimensionamento americano nella zona, Mosca appare sempre più sospettosa delle iniziative cinesi, la piena affermazione delle quali potrebbe mettere in questione la sua riaffermata posizione di leadership nell’area. Dal canto suo, la diplomazia cinese (a disagio di fronte al crescente atteggiamento di confronto della Russia) ha insistito sul minimizzare la portata dell’intesa militare. La chiave del contrasto fra i due principali partner della SCO sta nel fatto che Pechino vorrebbe svilupparne la componente economica fino a costituire un mercato comune, mentre Mosca vorrebbe piuttosto il consolidamento della dimensione politico-militare da sfruttare contro la pressione atlantica esercitata nel proprio perimetro di sicurezza. In tale contrasto, le repubbliche centroasiatiche giocano il ruolo di soci minori, lieti del ritorno di immagine e delle prebende economiche che la partecipazione all’Organizzazione assicura loro, ma timorosi tanto dei rischi per le loro economie che derivano dal peso crescente del vicino orientale, quanto all’intensificarsi dell’iniziativa russa. Allo stesso tempo la SCO costituisce un fondamentale spazio di dialogo che finora ha permesso di risolvere spinose questioni in via consensuale, ed è come tale destinato a restare elemento chiave del panorama geopolitico mondiale, soprattutto in virtù di una intrinseca incapacità dei soggetti della zona di garantire la propria sicurezza in modo autonomo. Insieme magmatico ed in via di definizione, l’Asia Centrale è, come detto, circondata e “ambita”, oltre che dalle maggiori potenze della scena mondiale, anche da Paesi come Israele, Turchia e Giappone30. In tutta la regione, tuttavia, il ruolo di Pechino è quello che sembra destinato a crescere più rapidamente nei prossimi decenni, altresì in virtù della debolezza intrinseca degli attori stessi, rendendo la Cina riferimento obbligatorio; inoltre tenuto conto dell’acquisizione dell’arma atomica da parte di India e Pakistan, la regione si presenta altresì come la maggiore area d’intersezione al Mondo di potenze nucleari.

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17 1.6 La “fascia meridionale” islamica

In quanto zona di passaggio delle millenarie migrazioni turco-mongole, terreno di espansione e propagazione delle fedi buddhista e islamica, la regione è da sempre unita da legami etnici e culturali con soggetti chiave del mondo musulmano a sud di essa, in primo luogo l’Iran (con cui confina direttamente), le due potenze del subcontinente indiano31(India e Pakistan) che tra l’altro proiettano qui la loro rivalità tentando di ritagliarsi sfere di influenza.

Tali legami hanno ricominciato a manifestarsi sul piano geopolitico già prima della fine della “guerra fredda”, anzi proprio per effetto di quest’ultima, poiché la rivoluzione afghana della fine degli anni Settanta venne utilizzata dagli angloamericani proprio per provocare l’intervento sovietico nel Paese e, una volta verificatosi questo, per indebolire l’URSS stimolando i sentimenti islamisti e separatisti dei suoi popoli di fede musulmana32. Scomparsa l’URSS, le correnti islamiste installatesi nella regione non hanno naturalmente smesso di operare al suo interno. Nonostante per Washington queste si siano ufficialmente trasformate da alleati in nemici, Iran, Turchia e Pakistan continuano a sfruttare i canali aperti dalle reti islamiche per espandere la propria influenza sulla scacchiera centrasiatica. Di concerto, i tre Paesi hanno cercato di creare un programma di mercato comune per l’Asia Centro-meridionale, rianimando l’Organizzazione di cooperazione economica (costituita dall’Iran per iniziativa dello scià), inserendovi i Paesi dell’Asia centrale, oltre all’Afghanistan e all’Azerbaigian. Queste e altre iniziative non hanno sortito gli effetti sperati così che i tre soggetti continuano oggi i loro sforzi spesso su base individuale. Il tema della minaccia islamica, evoluto in guerra al terrore dopo il 2001, e utilizzato da parte russa e occidentale per giustificare la propria presenza nella regione, continua a rappresentare un serio fattore di disturbo nell’instaurazione di rapporti normali con gli Stati della regione.

1.7 Iran e Asia Centrale

Paradossalmente proprio l’Iran, fra i Paesi citati, è il soggetto che fa meno ricorso al tema della solidarietà musulmana nella sua diplomazia centrasiatica. Questo perché, a differenza degli altri attori, l’Iran è quello a rischiare gli interessi più concreti da un’eventuale evoluzione negativa scaturente da una nuova equazione regionale. Si tratta

31 Cifr. tra l’altro il Pakistan, su diversi temi, è “allineato” alle posizioni dell’Arabia Saudita 32

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in primo luogo della sicurezza delle proprie frontiere nord-orientali, da tempo divenute instabili causa la vicinanza dall’Afghanistan. Ciò implica un supporto incondizionato alla stabilità degli attori regionali, nonché la necessità di sfruttare le occasioni determinate dall’emersione dei nuovi soggetti per cercare di uscire dall’isolamento diplomatico rafforzando i contatti con l’Europa e Asia orientale agendo nelle dinamiche dei teatri chiave del Caspio, dell’Afghanistan e del Caucaso. Il terreno centroasiatico è così divenuto luogo d’intesa e coordinazione con la politica della Russia (come testimoniato dalla mediazione congiunta che ha condotto alla cessazione del conflitto civile in Tagikistan nel 1997). Con Mosca, Teheran condivide in particolare l’interesse ad evitare che il mar Caspio diventi un’arena di scontro, limitando l’ingresso di attori esterni alla regione. A tal fine, sin dal 1992, gli iraniani sostengono la creazione di un’organizzazione regionale del mar Caspio, che possa operare nell’opera di contrasto alle sfide ecologiche che gli Stati rivieraschi devono affrontare. Col tempo sono apparse tuttavia divergenze. La Russia si è infatti accordata con Azerbaigian e Kazakhstan sulla divisione dei rispettivi settori del bacino (pari al 64% di esso), isolando l’Iran che insiste per il mantenimento di un regime condominiale. L’Iran è altresì interessato a saldare le proprie infrastrutture con le reti energetiche russe e centroasiatiche. Infatti, in virtù della difficile posizione dei giacimenti locali centroasiatici e della qualità non eccelsa del loro greggio, è evidente che la via iraniana costituirebbe la variante ottimale per diversificare l’esportazione delle risorse. Tale variante è però stata ostacolata in ogni modo dalla politica statunitense. Sullo sfondo della costante pressione degli USA, l’Iran ha trovato un’importante risorsa politica nella SCO (in cui siede come osservatore) alimentando così il confronto latente fra la stessa SCO e la NATO, elemento da cui deriva la riluttanza russa e cinese ad accogliere il Paese quale membro a pieno titolo. Organizzatore nel 2007 di un vertice dei Paesi del Caspio, chiusosi con un comunicato congiunto contro la presenza di forze armate straniere all’interno del bacino, l’Iran ha compiuto notevoli passi avanti verso un embrione di accordo di sicurezza regionale. In generale, se la questione dello status del Caspio non assumerà toni di divergenza troppo accentuati, la regione diverrà in misura crescente terreno di espansione per la politica estera iraniana.

1.8 I rapporti tra la Turchia e le realtà turcofone

In contrasto con le vicende iraniane, la diplomazia turca è stata sospinta in ogni modo da quella statunitense a interessarsi al destino delle repubbliche del centro Asia. I turchi

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hanno cercato di mettere in risalto le comuni radici etniche, espresse soprattutto nelle lingue parlate nella regione, ad esclusione del Tagikistan, che è parte del mondo iraniano.

Sono così riemersi i “fantasmi” del panturchismo, ideologia che asseriva l’unificazione dei popoli di ceppo turco sponsorizzata nel quadro del grande gioco dalle potenze interessate all’indebolimento della Russia zarista (Gran Bretagna e Germania), sotto il cui scettro la maggioranza di questi popoli si era ritrovata a vivere. Su tale sfondo, Ankara ha cercato di impostare con i Paesi dell’area uno spazio economico uniforme, a essa funzionale. Seguendo lo slogan statunitense per una “Via della Seta del XXI sec.”, i turchi hanno organizzato numerose riunioni del cosiddetto gruppo informale dei “Sei” (Turchia, Azerbaigian e le quattro repubbliche centrasiatiche turcofone).

I contatti hanno così assunto molteplici dimensioni: da quella energetica – vitale per Ankara, interessata ad essere attraversata dal nuovo asse est-ovest sottinteso ai nuovi oleodotti – a quella culturale e religiosa, nonostante il laicismo “ufficiale” dello Stato turco, alquanto “stressato” sotto la presidenza Erdogan. Tuttavia i notevoli sforzi profusi non hanno per il momento portato che magri risultati. Oltre che Cina, Russia e Iran, le prospettive di unificazione panturca proposte da Ankara hanno infatti messo sul chi vive le dirigenze postcomuniste della regione, avverse a nuove relazioni di “patronato” esterno dopo la lunga tutela russa. In tal modo, i turchi non hanno potuto mettere a frutto l’appoggio occidentale, comunque rarefattosi dopo aver preso atto che l’Iran non poteva costituire un pericolo per la regione. Inoltre per la Turchia i numerosi canali aperti nella periferia del Centro Asia hanno rischiato di trasformarsi in un boomerang. Questi sono stati infatti utilizzati anche da gruppi islamisti turchi, i quali si sono installati in Asia Centrale costituendo differenti imprese commerciali ed educative, utilizzate per mascherare un’incisiva opera d’islamizzazione delle società locali33. Tali attività sono giunte a preoccupare le autorità turche, poiché la loro espansione è sovente servita da copertura per traffici illegali (sostanze stupefacenti incluse). Oltre a non portare i vantaggi auspicati, l’espansione turca in Asia Centrale rischia così di avere effetti negativi nella delicata evoluzione del panorama sociopolitico interno turco, favorendo il consolidamento dei contatti fra l’estrema destra e i gruppi islamisti. Il tutto dà una misura dell’estrema ambiguità che caratterizza l’azione in Centro Asia della Turchia: se infatti la diplomazia di Ankara vive con preoccupazione l’attività dei gruppi

33 Cifr. secondo stime delle intelligence, vi sarebbero diverse cellule terroristiche di origine turca operanti

soprattutto in Uzbekistan e Kirghizistan, come è stato d’altronde possibile appurare a seguito delle indagini dopo gli attentati terroristici avvenuti in Turchia a fine 2016

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islamisti e panturchisti, essa considera allo stesso tempo la loro penetrazione ad est come una risorsa, soprattutto in previsione di una ipotetica e futura influenza sulle classi dirigenti delle repubbliche ex sovietiche.

1.9 Asia Centrale e Pakistan

Ambiguità e utilizzo di reti informali caratterizzano altresì l’interazione centroasiatica con il terzo soggetto del mondo islamico più direttamente interessato dall’apertura dell’arena locale dopo il big bang del 1991, ovvero il Pakistan. Già da prima dell’indipendenza, Islamabad aveva iniziato a considerare la regione una retrovia strategica, da attivare nel suo confronto con l’eterno rivale indiano. Le mosse pakistane nella zona sono in parte dettate dalla geopolitica dello spazio posto alle frontiere settentrionali del Paese. In primo luogo dal complesso intreccio di autonomie create dagli inglesi lungo il confine con l’Afghanistan (le Aree tribali e la Provincia della frontiera del Nord-Ovest34) che sfuggono in buona parte all’autorità statuale per sovrapporsi alle dinamiche interne afghane, anche in virtù del fatto che da entrambi i lati della frontiera domina l’etnia pashtun. Non va ovviamente dimenticato il Kashmir, altra deleteria piaga geopolitica aperta segnante i confini a nord del Pakistan che richiede una continua mobilitazione di truppe, regolari e non, per impedire il ritorno all’India di questa regione separatista. Nonostante le difficoltà, il caos afghano ha permesso al Pakistan di perseguire un duplice obiettivo. Da un lato risalire la catena di interconnessioni etniche e religiose per affermare via Kabul la propria influenza in Asia Centrale. Dall’altro riversare all’esterno le tensioni causate dai numerosi gruppi fondamentalisti che agitano la scena politica interna. Attori chiave di tale politica sono i potenti servizi segreti dell’esercito, l’ISI (Inter Service Intelligence), già organizzatori per conto di Washington del supporto alla guerriglia islamista antisovietica, divenuti, anche in virtù di tale politica, un autentico “Stato nello Stato”. Dopo che i tentativi di agganciare le ex repubbliche sovietiche alla propria economia si sono rivelati chimerici, naufragati poiché nella faida delle fazioni afghane Islamabad ha ricominciato a “giocare sporco”, tentando di controllare la situazione tramite i gruppi fondamentalisti pashtun. Da tali tentativi si sviluppò la spinta dei Taliban verso nord negli anni Novanta, impresa anch’essa rivelatasi poi fallimentare, conclusasi nel 2001 con l’intervento degli USA e della NATO in Afghanistan. Nel momento in cui anche quest’ultimo tentativo di

34http://dictionnaire.sensagent.leparisien.fr/Provincia%20della%20Frontiera%20del%20Nord%20Ovest/it

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risolvere la crisi afghana è apparso votato all’insuccesso, il Pakistan si ritrova coinvolto in una situazione che non riesce più a controllare e che non può abbandonare, pena lo scaricarsi dei suoi effetti perniciosi sui fragili equilibri interni. Pressati dalla presenza della NATO nell’area transfrontaliera afghano-pakistana, i gruppi fondamentalisti, fra cui anche i fuoriusciti del Movimento islamico dell’Uzbekistan, appaiono orientati, soprattutto a seguito della crisi politica dell’inverno 2007-2008, a rivolgersi all’autorità di Islamabad per respingere l’intervento statunitense nella regione. Si può dunque osservare come il boomerang islamista lanciato un tempo dalle autorità di Islamabad verso nord rischia di ritorcersi ora contro di esse.

1.10 Il carattere “indefinito” dell’indipendenza

Comprendere l’entità della sfida centroasiatica significa in primo luogo rendersi conto delle singolarità della geopolitica regionale. Per secoli la regione è stata caratterizzata da frammentazione e instabilità, segnata dalla dialettica fra i popoli nomadi che dalle steppe a nord attraversavano la regione in direzione del Mediterraneo e dell’India, ed i sedentari che ne subivano l’inesorabile passaggio, assorbendoli con il tempo all’interno delle loro civiltà. Alla dialettica tra nomadi e sedentari va aggiunta quella fra l’elemento turco e iranico, con il secondo prima dominante e poi gradualmente sommerso dall’accumularsi delle migrazioni turco-mongole per rimanere, infine, confinate in pratica all’attuale Tagikistan. Quale risultato di incessanti movimenti e sovrapposizioni, i popoli centroasiatici non hanno mai conosciuto confini netti e definiti, trovandosi di volta in volta divisi dall’espansione delle diverse civiltà confinanti. Con queste l’Asia Centrale è unita da legami etnici e culturali, presentandosi come una regione naturalmente “estroversa”. Il carattere indefinito dei confini centroasiatici è particolarmente evidente in Afghanistan, le cui regioni limitrofe sono in maggioranza abitate dagli stessi gruppi etnici (tagiki, uzbeki e turkmeni), predominanti in questa zona. Questi gruppi si ritrovano interconnessi con quella che è l’etnia dominante nel resto dell’Afghanistan, i Pashtun, a loro volta divisi dalla frontiera pakistana. Tale crogiolo umano costituisce un ulteriore fattore che spinge il Pakistan, e al suo seguito l’India, ad interessarsi alle composizioni in atto nello scacchiere regionale. A est lo stesso scenario si ripete nei territori oggi parte della Repubblica Popolare Cinese, ovvero la provincia dello Xinjiang (o Turkestan Orientale), dove vivono più di un milione di kazaki insieme ai rappresentanti di tutte le altre etnie confinanti. Queste sovrapposizioni contribuiscono a chiarire il motivo della crescente presenza in Asia

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Centrale, come ampiamente anticipato, della stessa Cina, la cui civiltà definisce da millenni i confini orientali della regione, fonte di ataviche paure al suo interno.

Di fronte alla frammentazione interna ed alle pressioni esterne, la penetrazione dell’Islam si è a tratti imposta quale elemento unificante il sostrato culturale centrasiatico, definendo, anche in virtù di numerose reti umane che legano le due aree, una percezione esterna dello stesso quale “appendice” del Medio Oriente. La religione islamica non annulla tuttavia l’eterogeneità intrinseca della regione: salda nei contesti urbani e nella valle del Ferghana, essa è solo una tenue sovrastruttura nelle regioni di recente sedentarizzazione, così da riconfermare lo spartiacque culturale fra nomadi e sedentari. L’Islam marca il contesto regionale sul piano politico segnando l’evoluzione soprattutto dell’Uzbekistan, il cui regime ha promosso un nazionalismo estremista ideologicamente fondato sul richiamo degli elementi islamici della tradizione popolare. Come visto, però, l’Islam è divenuto il campo di aggregazione anche degli oppositori di un sistema sempre più oppressivo nei confronti della società. Del pari in Tagikistan l’islamismo ha contribuito a esacerbare la guerra civile durata fra il 1992 e il 1997. Il fattore islamico si è inserito inoltre in quello che fu per prima cosa un conflitto basato sulla rivalità tra fazioni regionali interne. Questo conflitto ha contribuito a saldare le vicende del Tagikistan ancor di più a quelle dell’Afghanistan, divenuto rifugio degli oppositori al regime tagiko. Questi ultimi, insieme ad altri fuggitivi provenienti dall’Uzbekistan e da altre regioni limitrofe, hanno dato vita in seguito alla guerriglia del Movimento Islamico dell’Uzbekistan, protagonista di violente incursioni armate tra il 1999 e il 2001. Nonostante l’islamismo sia tuttora quantomeno marginale, i regimi compiono periodiche repressioni nei confronti dei suoi esponenti, ingigantendone dimensioni e potenzialità. In tal modo essi si pongono quali “alfieri” contro la minaccia islamista, argomento che sin dai primi giorni post indipendenza si è rivelato fattore importante nell’attirare attenzione e finanziamenti da parte degli attori esterni alla regione. Le repubbliche ex sovietiche infatti presentandosi quale argine contro l’Islam radicale, hanno trovato una sponda, oltre che in Russia e Stati Uniti, anche nell’Europa, dove vengono considerati una zona cuscinetto nei confronti delle minacce, reali o soltanto percepite, alla cui intersezione si trovano. Di conseguenza, in qualità di successori dell’Unione Sovietica, le repubbliche centrasiatiche fanno parte di strutture multilaterali atlantiche quali l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) e le architetture di cooperazione istituite in quota NATO – ad esempio il Consiglio di cooperazione nord-atlantico (1991), il Partenariato per la pace (1994), il

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Consiglio di partenariato euro atlantico (1997) – permettendo loro di vantare “aspirazioni europee” limitando la dimensione islamica della propria identità35

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1.11 L’Unione Europea e la nuova “Via della Seta”

La complessità geopolitica dell’area, la lontananza dell’Europa, la sostanziale mancanza di consolidati rapporti politici e culturali, nonché l’assenza di Paesi membri particolarmente interessati all’inserimento delle repubbliche dell’Asia Centrale all’interno delle strutture dell’Unione Europea, hanno limitato l’azione di Bruxelles nella regione per oltre un decennio dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica36.

Nei primi anni post-sovietici l’Asia Centrale non costituiva una priorità per l’Europa, che tuttavia era naturalmente molto interessata alle enormi ricchezze energetiche presenti in quest’area. Per più di dieci anni l’azione europea nella regione è stata dunque essenzialmente “petroliocentrica”, priva di un meditato e continuo approccio politico.37

Tale interesse si è espresso principalmente attraverso il colossale progetto di un nuovo asse geoeconomico, noto con l’immaginifica denominazione di “Via della Seta del XXI secolo”38

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1.12 I trasporti: la regione quale snodo logistico e possibilità di sviluppo

Una possibile via d’uscita dagli scenari di confronto che si annunciano per la regione nel XXI secolo potrebbe venire dalla valorizzazione del suo essere crocevia di una nuova rete di trasporti intercontinentali. Tale prospettiva è oggettivamente favorita dalle dinamiche economiche positive che negli ultimi anni si sono estese dalla regione est asiatica all’area ex sovietica. Se si considera appunto il fattore energia, risulta più intenso anche l’interscambio fra queste aree e l’Europa, con volumi sempre più difficili da smaltire lungo le tradizionali linee marittime. Di conseguenza, aumenta l’attrattiva del trasporto continentale attraverso l’Asia Centrale proprio in virtù della posizione mediana fra Europa e Pacifico, oltre che fra questi e l’Asia Meridionale, diviene un’opportunità strategica per trasformarsi in ponte fra Oriente e Occidente; richiamo questo alla situazione esistente in epoca pre-medievale e medievale con il transito della

35 Si vedano inoltre i rapporti sulla regione dell’International crisis group,

http://crisisgroup.org/home/index.cfm?id=1251&l=1 (7 luglio 2009)

36Neil J. Melvin, (ed.), Engaging Central Asia. The European Union’s new strategy in the hearth of

Eurasia, Brussels, CEPS, 2008, http://shop.ceps.eu/downfree.php?item_id=1662 (7 luglio 2009)

37 Fabrizio Vielmini, Parigi-Berlino-Mosca. Prove d’intesa in Asia centrale, in “Limes. Rivista italiana di

geopolitica”, 2004, Roma, l’Espresso, 6, p. 272.

38 Jacques Piatigorsky, Jacques Sapir, Le grand jeu. XIX siècle, les enjeux géopolitiques de l’Asie

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Via della Seta, rotta commerciale fra il Mediterraneo e l’Asia Orientale, il cui declino con l’apertura delle rotte marittime mondiali nel XV sec. fu tra le principali cause della decadenza della regione fino all’arrivo dei russi.

L’odierna sfida consiste nella realizzazione di Corridoi di trasporti internazionali (CTI)39, sistemi integrati che prevedono investimenti infrastrutturali tali da stimolare in profondità le economie delle regioni continentali, agendo quali corridoi di sviluppo. Aprendo nuovi collegamenti con il mondo esterno, i CTI prospetterebbero non solo la fuoriuscita dalla stagnazione economica postcomunista di diverse fra le ex repubbliche, ma fornirebbero altresì garanzie per la sicurezza dell’area. Il complesso di misure necessario ai CTI è tale però da richiedere la stipula di intese multilaterali di lungo periodo sia con i vicini sia fra le stesse ex repubbliche sovietiche, cosa che rafforzerebbe la coesione interna di queste fragili entità, moderandone le molteplici situazioni di tensione.

L’obiettivo dello sviluppo tramite la cooperazione è perseguito dal CAREC (Central Asian Regional Cooperation Program) fondato nel 1997 dagli Stati regionali (insieme ad Afghanistan, Azerbaigian, Cina e Mongolia) con il supporto e il contributo fattivo dell’Asian Development Bank e delle altre organizzazioni regionali di cui fanno parte le repubbliche della zona40. Particolare enfasi nel progetto è posta da parte della SCO, segnale del fatto che è soprattutto la Cina a premere in questa direzione, in qualità di maggior investitrice nelle infrastrutture di trasporto; Pechino del resto investe anche nelle infrastrutture del Pakistan, il quale cerca di fare dei propri porti lo sbocco meridionale del Centro Asia ma che, ulteriormente allo stallo in Afghanistan, ha dovuto confrontarsi con severi limiti strutturali e fisici.

Dal canto suo l’Iran ha altresì investito nella valorizzazione della propria rete di trasporto per creare un corridoio (Mashhad – Bendar e Abbas) fra l’Asia Centrale e il Golfo.

Accanto, la Turchia spera di beneficiare dei nuovi flussi per divenire lo snodo verso il Mediterraneo delle vie di comunicazione centrasiatiche. I tentativi turchi hanno trovato sostegno europeo, tramite il progetto TRACECA (Transport Corridor Europe Caucasus Asia).

39 https://aurorasito.wordpress.com/tag/corridoio-dei-trasporti-internazionale-nord-sud/ 40

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Questo ambizioso programma interstatale si pone come obiettivo l’istituzione di un corridoio tramite una nuova rete di trasporti internazionali,41 avente quale volontà primaria lo sviluppo politico ed economico della vasta area che va dal Mar Nero al Caucaso all’Asia Centrale, nel tentativo di evitare diatribe con Russia e Iran.

Gli obiettivi di questo programma sono stati fissati fin dal 1993 a Bruxelles dalla Commissione Europea e dai governi di Armenia, Azerbaigian, Georgia, Kazakhstan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan e Uzbekistan. In seguito, tra il 1996 e il 1998, anche Ucraina e Moldavia decisero di entrare a far parte del programma, seguite nel 2000 da Bulgaria, Romania e Turchia. Il programma TRACECA, comprendente quindi cinque Stati europei, tre caucasici e cinque centroasiatici, è stato concepito ufficialmente come uno strumento per l’integrazione e lo sviluppo dei Paesi coinvolti all’interno dei mercati mondiali. Si può del resto osservare che tale progetto tendeva non solo ad eliminare o ridurre il tradizionale ruolo di controllo economico esercitato dalla Russia nella regione, ma anche ad escludere la partecipazione di Paesi “non graditi” come Iran e Siria, mentre l’Armenia, facente si parte di TRACECA ma allo stesso tempo importante e fedele alleato di Mosca nella regione, è stata aggirata dai principali gasdotti e oleodotti presenti nel corridoio.42

Il documento fondamentale del Progetto TRACECA (Basic Multilateral Agreement, Mla)43 fu sottoscritto nel corso del summit “Restoration of the Historic Silk Route”, svoltosi nel 1998 a Baku, capitale dell’Azerbaigian, mentre nel 2000 venne istituita a Tbilisi, in Georgia, la Intergovernmental Commission (Igc); fra gli obiettivi del programma TRACECA troviamo:

 stimolare la cooperazione tra i Paesi membri in tutte le materie concernenti lo sviluppo del commercio nella regione;

 promuovere l’integrazione ottimale del corridoio TRACECA nelle reti di trasporto trans-europee;

 individuare problemi e debolezze dei sistemi di trasporto e di commercio nella regione;

 promuovere i diversi progetti TRACECA come strumenti per attrarre finanziamenti, partner di sviluppo e investitori privati;

41 Si veda il sito ufficiale di questo programma – http://www.traceca.org 42

M.O. Zardarjan, Velikij šelkovyj put’: istorija, kon’junktura, perspektivy (La grande via della seta: storia, congiuntura, prospettive), in “Central’naja Azija i Kavkaz”, 5, 1999, 4, pp. 175-183, http://www.cac.org/journal/cac-05-1999/st_29_zardaryan.shtml.

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