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Come accaduto anche nel Caucaso, che pure è culturalmente assai meno remoto, l’impegno politico dell’UE in Asia Centrale ha risentito negativamente dell’assenza di Paesi sponsor che ne potessero favorire l’avvicinamento. Negli ultimi anni, tuttavia, il cambiamento della situazione politica internazionale ha indotto Bruxelles ad intensificare il suo impegno regionale. Oltre alla già accennata questione della sicurezza, divenuta più rilevante dopo l’11 settembre 2001, lungi dall’essere definitivamente risolta in Afghanistan, la situazione ha iniziato a variare grazie all’accresciuta attenzione dell’UE nei confronti della turbolenta evoluzione politica in Kirghizistan e Uzbekistan.

Volendo evitare che l’isolamento e il degrado economico rendano l’intera regione ancor più instabile, ora l’Europa si sta impegnando nel tentativo di inserirla maggiormente

nella vita politica internazionale.77 Per spiegare l’accresciuta importanza dell’Asia

Centrale nell’agenda europea bisogna considerare un altro aspetto rilevante, vale a dire il complicarsi della questione energetica negli ultimi anni; ad es., il conflitto sul gas esploso tra Russia e Ucraina nel 2006 ha sicuramente contribuito a indurre l’UE ad interessarsi alla regione. L’Asia Centrale è ormai divenuta un’area quanto mai rilevante per quel che concerne la sicurezza energetica, nell’ambito di una diversificazione delle fonti energetiche e delle rotte di trasporto verso i mercati europei. In quest’ottica la collaborazione con i Paesi dell’Asia Centrale ha acquisito una crescente importanza. Tuttavia appare imprudente riporre eccessive speranze sulla possibilità che in questo modo l’Europa possa effettivamente ridurre la sua dipendenza energetica dalla Russia, che, a sua volta, necessita della produzione centrasiatica per poter soddisfare la

76 Zeyno Baran (ed.), Islamic Radicalism in Central Asia and the Caucasus: Implications for the EU, cit. 77

36 domanda europea, trovandosi costretta a difendere con fermezza i propri interessi nella regione.78

Alla luce di questa situazione non è certo facile per Bruxelles impostare una politica centroasiatica davvero efficace, soprattutto dopo che il limitato impegno del periodo precedente ne ha fortemente limitato la presenza e visibilità. La Commissione Europea ha una limitata rappresentanza “fisica” in Asia Centrale, costituita dalle delegazioni di Astana, Bishkek (dal 2007 ospita una Delegazione in pianta stabile) e Dushanbe. Gli eventi di Andijan hanno fatto abbandonare il progetto di costituire una Delegazione Europea in Uzbekistan; a Tashkent esiste soltanto una “Europa House”, non

rappresentante però ufficialmente l’UE.79

La visibilità locale dell’Unione è perciò alquanto scarsa. Per anni, inoltre, sono completamente mancati incontri di vertice con i presidenti delle repubbliche ex sovietiche, i cui contatti politici si sono limitati a sporadici incontri a livello ministeriale. Costituisce una eccezione il coinvolgimento nella crisi kirghisa del 2005 di Javier Solana, ex Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza (PESC), che contattò il ministro degli esteri ed incontrò

il nuovo presidente kirghiso nel tentativo di risolvere l’empasse.80

Nel tentativo di superare questa situazione, già nel 2004 la presidenza olandese promosse una politica di dialogo tra l’UE e i Paesi dell’Asia Centrale al fine di creare un clima di fiducia, al cui interno sia più agevole sviluppare i programmi europei. Gli obiettivi primari di questo dialogo erano quattro:

 aiutare i Paesi della regione a delineare i problemi comuni e contribuire

all’instaurazione di un clima di reciproca fiducia;

 sostenere la strategia di assistenza regionale della Commissione;

 rispondere al desiderio dei Paesi centroasiatici di stabilire legami più intensi con

l’UE;

 completare e rafforzare le relazioni bilaterali tra i Paesi dell’UE e quelli

centroasiatici, in particolare con quei Paesi con cui sono già stati sottoscritti Accordi di partenariato e cooperazione.

A tale scopo vennero organizzati tre incontri: a Bishkek nel dicembre 2004, a Bruxelles nel giugno 2005 e ad Almaty nell’aprile 2006. Durante questi incontri furono discussi temi di cooperazione commerciale ed economica, di giustizia, emigrazione, sicurezza e gestione delle risorse. Tuttavia, il livello del discorso pare essere ancor più procedurale

78 Andreas Schmitz, A Political Strategy for Central Asia, cit. 79 Anna Matveevna, EU Stakes in Central Asia, cit., p. 87. 80

37 che sostanziale, essendo state chiarite le linee guida della nuova strategia di assistenza tramite un documento della Commissione operante nel periodo 2007-2013, ma restie a divenire progetti reali. Nel contempo, tuttavia, un segnale particolarmente chiaro dell’intensificarsi della politica europea nei confronti della regione è stata la nomina nel luglio 2005 di un Rappresentante Speciale per l’Asia Centrale nella persona del diplomatico slovacco Jan Kubis, sostituito successivamente da Pierre Morel. Il mandato

del Rappresentante Speciale dell’UE (EUSR) per l’Asia Centrale prevede81, tra gli altri,

“seguire gli sviluppi politici in Asia Centrale, sviluppando e mantenendo stretti contatti con i governi, i parlamenti, la magistratura, la società civile ed i mezzi di comunicazione; incoraggiare i paesi a cooperare su questioni regionali di interesse comune, sviluppare contatti e la cooperazione con i principali attori interessati nella regione, contribuire, in stretta cooperazione con l'OSCE, per la prevenzione e la risoluzione dei conflitti sviluppando contatti con le autorità e gli altri attori locali ; promuovere il coordinamento al di sopra dell' Unione in Asia Centrale e garantire la coerenza dell'azione esterna dell'Unione non pregiudica la competenza della Comunità; assistere il Consiglio nell'ulteriore sviluppo di una politica globale verso l'Asia

Centrale”.82

Anche la presidenza austriaca della Commissione (primi sei mesi del 2006) è stata molto attiva verso l’Asia Centrale, focalizzandosi soprattutto sul Kazakhstan, che pare

essere il più valido referente dell’area dell’Unione Europea.83 Nel frattempo il numero

delle ambasciate di Paesi europei aperte nelle ex repubbliche sovietiche è aumentato considerevolmente, mentre Bruxelles ha cominciato a cooperare più efficacemente con gli USA e l’OSCE nella regione. Anche se nel complesso la regione è ancora meno coinvolta dalle attività europee di quanto non sia il Caucaso Meridionale, nel 2006 l’impegno economico dell’UE nell’area ha raggiunto la cifra di circa 70 milioni di

81 «To follow political developments in Central Asia by developing and maintaining close contacts with

governments, parliaments, judiciary, civil society and mass media; encourage the countries to cooperate on regional issues of common interest, develop contacts and cooperation with the main interested actors in the region, contribute, in close cooperation with the OSCE, to the conflict prevention and resolution by developing contacts with the authorities and other local actors; promote overall coordination of the Union in Central Asia and ensure consistency of the external action of the Union without prejudice to Community competence; assist the Council in further developing a comprehensive policy toward Central Asia»

82 Appointing a Special Representative of the EU for Central Asia, Council Joint Action L 199/100,

2005/544CFSP, in «Official Journal of the European Union», 29 July 2005.

83 Anna Matveevna, EU Stakes in Central Asia, cit., p. 91; Melvin N.J., Building Stronger Ties, Meeting

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euro. 84 Nell’autunno del 2007 l’ex commissario per le relazioni esterne della

Commissione Europea, Benita Ferrero-Waldner ha pronunciato un discorso all’università della capitale kazaka, in cui venivano illustrati i pilastri della cooperazione in Asia Centrale: energia, lotta al traffico di droga e all’Aids, politica di sicurezza e

riforme democratiche.85 E, come già visto, la presidenza tedesca ha dato nuovo impulso

in questa direzione.

L’ex ministro degli Esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier nel novembre dello stesso anno ha effettuato un lungo viaggio in tutte le repubbliche, in preparazione del semestre di presidenza del suo Paese, prima tappa di una serie di appuntamenti tra le autorità europee ed i massimi esponenti politici di tutte le repubbliche centrasiatiche.

Nonostante queste iniziative le strategie adottate da Bruxelles non sono egualmente condivise dagli Stati membri, alcuni dei quali (troppi a dir la verità) antepongono gli interessi nazionali ad una politica estera comune. Tra l’altro occorre tener ben presente che non tutti i Paesi europei sono interessati in egual misura all’Asia Centrale né tutti hanno la possibilità concreta di potervi intervenire. In questa direzione il Rappresentante Speciale dell’UE per la regione può aiutare gli Stati europei ad articolare i propri

interessi in maniera organica.86

L’intensificazione dei rapporti politici di Bruxelles con i Paesi centrasiatici si è in effetti dimostrata alquanto tortuosa, soprattutto con l’Uzbekistan. La nomina del Rappresentante Speciale del’UE per l’Asia Centrale avvenne in un momento particolarmente delicato per la regione, subito dopo la caduta del dittatore kirghiso Akaev ed in corrispondenza con la crisi di Andijan, in Uzbekistan. Per oltre un anno l’UE ha fatto pressione sull’ex presidente di questa repubblica, Karimov (deceduto a settembre 2016) affinché consentisse l’instaurarsi di una inchiesta internazionale indipendente su tali fatti assai gravi; in mancanza di risposte adeguate da parte delle autorità dell’Uzbekistan, l’UE prese la decisione inconsueta di sospendere parzialmente

gli Accordi di partenariato e cooperazione siglati nel 1999 con il governo uzbeko.87 A

fine 2005 addirittura si giunse ad un embargo europeo sulla vendita di armi a questo Paese (misura sanzionatoria poco efficace questa, data la possibilità di approvvigionarsi a livello di armamenti dalla Cina e dalla Russia), fino al congelamento del Patto di

84 R. Weltz, Can the EU Resolve the Uzbekistan Dilemma in 2007?, in “Central Asia-Caucasus Analyst”,

24 January 2007, http://www.cacianalyst.org/view_article.php?articleid=4680.

85 3 Cfr. http://www.europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/06/1420&format=HTML

&aged= 0&language=EN&guiLanguage=en.

86 Anna Matveevna, EU Stakes in Central Asia, cit., p. 121. 87

39 partenariato e cooperazione ed al blocco dei visti per diversi funzionari uzbeki ritenuti coinvolti nella repressione. Come ritorsione alle sanzioni europee il governo di Tashkent decise di proibire lo spazio aereo e l’uso delle basi militari uzbeke agli europei, aiuto necessario soprattutto durante la campagna militare in Afghanistan.

Inoltre vennero chiuse una decina di Ong occidentali operanti nel Paese88.

Non si arrivò comunque ad una sospensione completa dei rapporti con l’UE con l’Uzbekistan che insieme al Kazakhstan, è indubbiamente il Paese più importante della

regione.89 Già da fine 2006 le sanzione europee hanno registrato una parziale

diminuzione. Ciononostante, il contrasto fra Bruxelles e Tashkent resta elevato e funge

da esempio esplicativo delle reali difficoltà politiche vissute dall’UE in Asia Centrale.90

Gli Stati della regione infatti sono dei partner difficili, essendo Paesi ancora lontani dall’essere delle democrazie reali e delle economie di mercato tout cour; le élite dominanti hanno sfruttato la crescente importanza strategica dell’area per rafforzare il loro potere con metodi sempre più autoritari, in nome della “sicurezza nazionale” o giustificandosi in nome della “lotta al terrorismo”.

Risulta controverso un altro elemento su cui gli statunitensi hanno dichiarato di voler fondare la propria politica regionale: la promozione della democrazia. Tale obiettivo è rimasto “formale”, poiché ad esempio la parabola seguita dal sistema politico in Kazakistan suggerisce un legame tra rafforzamento dell’autoritarismo e la ristrutturazione economica messa a punto dagli USA. Questi hanno a lungo eletto a principale alleato regionale l’Uzbekistan, il più repressivo dei regimi ma anche la più efficace barriera contro l’influenza russa, cinese e iraniana nella zona. L’appoggio ai regimi oltre screditare l’idea di democrazia, ha distolto ulteriormente l’attenzione dai problemi sociali, favorendo una tendenza generale alla militarizzazione. Tale pretesto ha consentito a Washington di avviare programmi di cooperazione che le hanno dato accesso ai sistemi di controllo frontaliero e di raccolta dati sulle repubbliche del Centro Asia. Come dimostra la perdita d’influenza in seguito ai disordini del 2005, le prospettive statunitensi nella regione appaiono comunque incerte. Se i regimi locali continuano ad apprezzare la presenza di Washington quale contrappeso a russi e cinesi, nondimeno essi le hanno in più occasioni posto delle limitazioni, a causa soprattutto

88 http://www.asianews.it/notizie-it/In-Uzbekistan-peggiora-la-persecuzione-contro-le-ong-per-idiritti-

umani-5056.html

89 Anna Matveevna, EU Stakes in Central Asia, cit., p. 93.

90 Tashkent ha però lanciato segnali postivi in questa direzione. Ahto Lobjakas, EU Gets Rights Pledges

from Taskent, in “Central Asia Report”, 7, March 2007, 3,

40 della forte ingerenza esercitata nei loro affari interni con il pretesto del rispetto delle libertà fondamentali.

Il modello politico potenzialmente alternativo rappresentato da Paesi quali Georgia e Ucraina, le cui “rivoluzioni colorate” lambirono, nel 2005, anche l’Asia Centrale, ha amplificato queste tendenze militariste e repressive, culminate come detto nel massacro

di Andijan.91 Occorre tenere a mente che in questa svolta autoritaria i Paesi centrasiatici

possono agevolmente “appoggiarsi” alla Russia, a sua volta orientata in senso analogo e che, come ampiamente ribadito, negli ultimi anni ha riconquistato importanti posizioni nella regione attraverso politiche di cooperazione economica e di sicurezza sia di tipo bilaterale sia istituzionalizzate all’interno delle strutture cooperative regionali. Lo stesso discorso varrebbe per la Cina. Nonostante i limiti dell’intesa di Shangai infatti la Cina è con ogni evidenza l’attore internazionale, dopo la Russia, che nel lungo periodo è più suscettibile di influire sulla collocazione internazionale della regione. I disordini in Tibet del 2008 hanno messo in evidenza la debolezza geopolitica del colosso cinese, in cui il nucleo storico degli Han (il cosiddetto cinese etnico) è circondato da una “corona” di territori culturalmente “alieni” in cui l’autorità del centro si confronta con forti pulsioni separatiste. Posta tra il Tibet e la Mongolia, la provincia dello Xinjiang (rinominata Nuova Frontiera dopo la riaffermazione cinese alla fine del 19° sec.) pone Pechino a diretto contatto con i problemi sorti in seguito all’indipendenza delle ex repubbliche centroasiatiche; queste dimostrazioni separatiste e di indipendenza hanno infatti rianimato il nazionalismo della principale etnia di ceppo turco presente in Cina, gli Uiguri, investiti nel corso dei decenni da una massiccia immigrazione di Han (passati dai 300.000 del 1949 ai 10 milioni stimati dei giorni nostri, ossia la metà della popolazione totale dello Xinjiang); al contempo, Pechino gode della cooperazione con il Kazakistan riguardo ai tentativi di stabilizzazione dello Xinjiang e di contrasto all’irredentismo uiguro, presenti in buon numero (circa 200.000) anche nello Stato kazako.

Così come in Tibet, la Cina non intende rinunciare alla propria sovranità su uno spazio che, nonostante le proibitive condizioni di un ambiente prevalentemente desertico, possiede un enorme valore strategico. Da qui il potere cinese può proiettarsi, oltre che in tutta l’area centrasiatica, verso il Medio Oriente, il subcontinente indiano e la Siberia. Anche qui sono presenti risorse energetiche indispensabili all’economia cinese, risorse a cui potrebbe aggiungersi una parte di quelle scoperte nel Caspio, facendo dello Xinjiang

91

41 la chiave dell’approvvigionamento nazionale. Chiaramente Pechino mira quindi all’Asia Centrale da una duplice prospettiva, energetica e di sicurezza. Dal primo punto di vista, la Cina, che importa al giorno d’oggi oltre l’80% del proprio fabbisogno energetico via mare, lungo linee che potrebbero venir facilmente interrotte in caso di “confronto” con gli USA ed i loro alleati asiatici, lavora per inserire la regione nella propria strategia globale di approvvigionamento. I frutti sono stati colti negli ultimi anni con la costruzione del primo oleodotto regionale alternativo ai condotti russi, da Atasu (Kazakhstan) ad Alashankou (Cina): 962 km di lunghezza, una capacità a regime di 20

milioni di tonnellate l’anno, attivo da fine 2005 ed in corso di ulteriore potenziamento92

. Sbloccando intese già stipulate da anni col Turkmenistan, la Cina si è inserita anche nel settore gas. Nel 2007 i due governi hanno concordato l’esplorazione e lo sfruttamento congiunto di giacimenti nonché il trasporto sul lungo periodo del gas estratto in Cina, su un plafond di 30 miliardi di m3 di gas per trent’anni, con annessa costruzione di un

gasdotto dal Turkmenistan allo Xinjiang 93 . Il deciso ingresso della Cina ha

ulteriormente esasperato la battaglia degli oleodotti del Caspio, evidenziando una volta in più la fragilità della posizione dei regimi, i cui volumi di estrazione non paiono sufficienti a rispettare tutti gli impegni presi. Non è chiaro se il Kazakhstan, che attualmente esporta quasi al 100% attraverso il territorio russo e che ha aderito all’oleodotto BTC su insistenza di Washington, sarà in grado di soddisfare tutti i suoi partner. Al di là delle imponenti difficoltà di attuazione, la costruzione del gasdotto dal Turkmenistan potrebbe acuire il confronto fra interessi russi e cinesi. Pur essendo la produzione di gas turkmena in crescita, essa si attesta sui circa 70 miliardi di m3. Dal momento che il Paese è vincolato a fornire alla Russia 50 miliardi di m3 all’anno fino al

2028 e almeno 10 all’Iran, da dove verrà il gas destinato alla Cina?94

Idrocarburi a parte, i cinesi si sono inseriti nello sfruttamento di quasi tutte le risorse della zona: idroelettriche in Kirghizistan e Tagikistan (in cui sono presenti anche metalli rari), metallifere (alluminio e minerale di ferro) in Kazakhstan. Un ruolo chiave, come già anticipato, potrebbero assumerlo l’uranio, risorsa di cui il Kazakhstan possiede il 17% delle riserve mondiali. Secondo accordi conclusi fra l’agenzia nucleare cinese (China National Nuclear Corporation) e la sua omologa kazaka (Kazatomprom), il Paese si

92 http://www.asianews.it/notizie-it/Nuovo-oleodotto-per-saziare-il-fabbisogno-di-energia-di-Pechino- 449.html 93 http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2013-09-05/turkmenistan-prende-rotta-cina- 090229.shtml?uuid=Ab4QYVTI 94 http://www.agcnews.eu/aumenta-la-produzione-di-gas-turkmeno/

42

avvia a divenire il principale fornitore di uranio e combustibile nucleare95. La

penetrazione cinese a tutto campo si spiega alla luce delle considerazioni strategiche che animano la politica centrasiatica di Pechino. I cinesi infatti non si muovono soltanto secondo una logica commerciale; forti del supporto statale, le compagnie nazionali non esitano a sottoscrivere accordi anche per i progetti dalla redditività più incerta, evitati dalle compagnie occidentali. Il fine è quello di “prenotare” il più largo numero di risorse in vista della costituzione di riserve nell’ambito di un approccio di lungo periodo. Queste considerazioni spiegano altresì l’interesse della Cina ad essere presente in questi stessi mercati, nonostante essi si rivelino marginali rispetto all’interscambio cinese con il resto del Mondo; questi mercati sono però importanti per alimentare lo sviluppo del contiguo Xinjiang, la cui produzione, in virtù della posizione continentale isolata, non sarebbe concorrenziale sui mercati mondiali. Da qui lo sforzo cinese di fare dei vicini uno sbocco per l’economia delle proprie regioni interne, sforzo largamente riuscito se si calcola che circa l’80% delle merci presenti nel Centro Asia provenga da est. Il risultato va contro le aspettative di sviluppo delle economie locali dato che questo tipo di interscambio, basato sullo scambio fra beni di largo consumo (di bassa qualità anche per gli standard cinesi) contro materie prime, spiazza la produzione centrasiatica. A fianco della distorsione delle economie locali, la crescita cinese pone considerevoli problemi ai vicini in termini dell’uso delle acque dei fiumi transfrontalieri. I cinesi stanno effettuando notevoli deviazioni per alimentare le esigenze dello Xinjiang, con conseguenze ecologiche particolarmente gravi per il Kazakhstan, quasi totalmente dipendente da acque internazionali nascenti al di fuori del suo territorio, il quale condivide con la Cina circa ventiquattro fiumi transfrontalieri. Queste e altre incertezze che gravano sui rapporti tra Cina e Paesi centrasiatici sono finora rimaste in secondo piano rispetto all’interesse delle due parti a fornirsi reciproco sostegno politico di fronte alla comune minaccia rappresentata dalle pulsioni irredentiste e islamiste conseguenti alla presenza di numerose minoranze etniche. Una situazione che se non controllata avrebbe potuto scoperchiare un vaso di Pandora dalle conseguenze drammatiche; situazione tra l’altro ben chiara anche alla stessa Russia, alle prese, tra gli altri, soprattutto col separatismo ceceno.

Nello stesso tempo l’evoluzione del Kazakhstan ed i cambiamenti positivi in corso in Uzbekistan e Kirghizistan potrebbero delineare scenari differenti. L’intensificazione

95 http://www.asianews.it/notizie-it/Il-Kazakistan-sar%C3%A0-il-primo-fornitore-di-uranio-ai-colossi-

43 della politica europea nella regione avviene dunque in un momento cruciale di evoluzione dell’Asia Centrale, in bilico tra una recrudescenza di tendenze autoritarie e