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Personaggi pericolosi: rappresentazioni del male nella letteratura americana contemporanea

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Academic year: 2021

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Ai miei genitori E a chi come loro non si è mai arreso

Annie Wilkes aveva un'etica tutta personale: a modo suo, riusciva a essere pudica. Gli aveva fatto bere l'acqua sporca da un secchio per pavimenti; gli aveva negato la sua medicina fino a farlo impazzire; l'aveva costretto a bruciare l'unica copia che aveva del suo nuovo romanzo; lo aveva ammanettato e gli aveva ficcato in bocca uno straccio intriso di detergente per mobili; però non avrebbe preso soldi dal suo portafogli. Glielo portò, il vecchio e scorticato Lord Buxton che conservava ancora dai tempi dell'università, e glielo mise tra le mani. Erano scomparsi tutti i documenti di identità. Per quelli, non aveva avuto alcuno scrupolo. Non chiese niente, non gli sembrò prudente.

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Personaggi pericolosi

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Indice

Introduzione: per una definizione tematica... ....4

Capitolo I 1.1 L'incubo nel romanzo americano... 13

1.2 Moby Dick come romanzo demoniaco: il caso Achab...18

Capitolo II 2.1 Eccezionalismo americano... 31

2.2 Blood Meridian: sogno western e piacere del male. Il caso Holden...33

2.3 No Country for Old Men o di un Leviathan contemporaneo: Anton Chigur...47

Capitolo III 3.1 L'indagine di un incubo ancestrale: il soprannaturale di trasposizione in H.P. Lovecraft...67

3.2 Il richiamo di Cthulhu (1926)...72

3.3 New York (1924-26)... 78

3.4 La maschera di Innsmouth (1931)...81

3.5 Il concetto di varco nel gotico e il ritorno del mostro...96

Capitolo IV 4.1 Serial Killing e parodia della consumazione del corpo: il caso Hannibal Lecter...103

4.2 The Silence of the Lambs: ritratto di una mostruosità incarcerata...107

4.3 Clarice Starling e il concetto di Final Girl...119

4.4 Hannibal: l'impero di Mason Verger, la consumazione definitiva e il ritorno al mondo...122

Capitolo V 5.1 L'universo impazzito di Patrick Bateman...137

5.2 Gotico schizofrenico... 143

5.3 Distacco sensoriale e necessità del male insensato...146

Bibliografia... 154

Sitografia... ....158

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Introduzione: per una definizione tematica

La rappresentazione del male è da sempre uno degli elementi principali della composizione letteraria. Motivi, personaggi e situazioni legati a questo tema ne costituiscono una delle più ricche risorse. Detto molto banalmente: è quasi impossibile individuare un testo letterario, di qualsiasi genere esso sia, in cui, anche solo in minima parte, il male non dia segno della propria presenza. Tuttavia, cosa intendiamo per male? Secondo il pensiero comune il male è la “proprietà essenziale” riguardante ogni comportamento che infrange i codici di una morale vigente. Una ricerca letteraria che si dovesse accontentare di collezionare una serie di dati testuali riconducibili a tale tema risulterebbe in un lavoro del tutto semplicistico. Il quadro di cui si vuole tracciare i contorni in questa sede ha per oggetto appunto le

rappresentazioni del male, terreno di osservazione che si ritiene fondamentale per poter

trovare le cause del fascino travolgente che il male esercita su noi lettori. Non la presentazione di una rassegna di testi all'interno dei quali constatare o meno la presenza del tema, ma il modo della sua presenza, le caratteristiche della sua descrizione.

Se si pensa ad uno dei più grandi capolavori della letteratura di tutti i tempi, parlo del Don Chisciotte di Cervantes, la questione emerge immediatamente. È innegabile che il cavaliere errante, identificatosi confusivamente con gli eroi dei romanzi cavallereschi di cui fa indigestione, compia azioni che vanno decisamente contro il corpus di comportamenti accettati come normali, e anche necessari, dalla morale e dalla logica comune al tempo in cui vive. I gesti di questo strampalato eroe molte volte provocano il male, eppure non siamo in grado di etichettarli come malvagi. Perché? Il motivo è molto semplice: rispondendo esclusivamente ai valori di Bene e Male operanti nella dimensione della cavalleria errante, nonché accecato da un indomito delirio, egli non sa di fare il male. Con un simile esempio ci avviciniamo alla non scontata definizione del tema che si intende indagare: il male di cui ci occupiamo è un male scelto deliberatamente. Un ulteriore passo in avanti, che risulta necessario compiere sin dall'inizio, ci è suggerito da Georges Bataille:

«Noi non possiamo considerare come azioni del Male quelle azioni che hanno per fine un'acquisizione, un guadagno materiale.

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Senza dubbio questa acquisizione è egoistica, ma poco importa, se noi ce ne attendiamo qualcosa d'altro dal Male stesso, cioè un vantaggio. […] se si uccide per un vantaggio materiale si ha il Male vero il Male puro soltanto quando l'assassino, al di là del previsto vantaggio, gode di avere colpito.1»

I personaggi e le situazioni che andremo a descrivere non sono dunque connessi ad un male compiuto per fini materialistici, il più delle volte tratteremo anzi di un male disinteressato in cui uno scopo, di qualsivoglia natura, è del tutto assente. Si tratta di un male che richiede un'interpretazione attenta e peculiare.

Come ci fa notare Arturo Mazzarella, la svolta principale data all'esplorazione della trasgressione è da ricercare in Kant e nel suo La religione entro i limiti della sola

ragione del 1793:

«Se, in passato, la preoccupazione prevalente si era rivolta alle origini e alle cause, insondabili alla ragione, di questa furia cieca e distruttiva, adesso, grazie al sottile ragionamento di Kant, la prospettiva dalla quale viene osservato il male […] subisce una torsione inerente al soggetto responsabile dell'azione, al punto da condurre Kant alla convinzione che «l'uomo stesso è l'autore» del male.2»

La riflessione principale che sottostà al pensiero kantiano esposto in quest'opera riguarda il rifiuto dell'idea di male connaturato all'uomo, ovvero quale condizione necessaria della specie umana. In quanto non può essere dedotto dal concetto di uomo, il male, che l'autore chiama “radicale”, è imputabile al soggetto, il quale, benché consapevole della legge morale, se ne allontana; se questa tendenza al male fosse necessaria, quindi carattere essenziale della specie umana, all'individuo non potrebbe essere attribuita alcuna colpa e tale necessità negherebbe inoltre all'uomo qualsiasi possibilità di fare il bene. Precisa Kant:

«[…] con le parole “natura dell'uomo” si intende unicamente il fondamento soggettivo dell'uso della libertà umana in generale 1 George Bataille, La letteratura e il male, Rizzoli, Milano, 1973, p. 16.

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(sotto le leggi morali ovviamente): fondamento che è anteriore ad ogni fatto che cade sotto i sensi […] questo fondamento stesso bisogna che sia esso stesso un atto di libertà […]. Per conseguenza la ragione del male non può trovarsi in alcun oggetto determinante l'arbitrio per inclinazione, né in alcun istinto naturale; ma soltanto in una regola che l'arbitrio da a sé stesso per l'uso della sua libertà; vale a dire in una massima.3»

Come Kant cerca di farci capire, non esiste un male che sia indipendente dall'esistenza di una legge morale. Con la diffusione del pensiero illuminista, che vede nella fine del XVIII secolo il punto del suo massimo sviluppo, l'uomo europeo si svincola dai dogmi della religione che prima regolavano totalmente la sua vita. In poche parole l'uomo diviene libero anche di scegliere il male. La secolare disputa tra pelagiani e agostiniani verte a favore dei primi: l'uomo non può e non deve più essere interpretato come essere destinato a portare dentro di sé la condanna del peccato originale. L'uomo è stato dotato del libero arbitrio da Dio, saprà perciò esercitare questa sua facoltà in terra per compiere il bene e allo stesso modo sarà libero di compiere il male4.

Oltre alle opere magistrali dei pensatori dell'illuminismo, di cui Kant è probabilmente il più grande esponente, da una prospettiva storica riusciamo ad individuare due spinte propulsive che diedero un forte contributo a questo cambiamento: furono le due rivoluzioni, Americana prima e Francese poi, ad emancipare l'uomo e lo stato dal potere religioso nonché a rovesciare completamente il rapporto tra istituzione statale e cittadino, d'ora in poi libero; come sappiamo però, l'ottimismo rivoluzionario si tramutò ben presto nel regno del terrore. Successivamente i moti borghesi del 1848 gettarono le basi per il riscatto dell'uomo europeo. Lo scopo di quest'ondata rivoluzionaria, anche detta “primavera dei popoli”, fu proprio quello di sradicare i governi della restaurazione per sostituirli con nuovi governi liberali. Lo spargimento di sangue che la rivoluzione francese portò con sé aveva però lasciato una traccia così profonda e tremenda che si rivelò troppo difficile da dimenticare; l'ottimismo borghese illuminista non arrivò al successo e al consenso riscossi mezzo secolo prima, fu anzi il pessimismo a dominare

3 Immanuel Kant, La religione entro i limiti della sola ragione, Laterza, Bari, 2004, p. 19.

4 Per pelagianesimo si intende quella corrente filosofico-teologica che sostiene l'estraneità dell'essere umano dalla macchia del peccato originale. Di contro la corrente agostiniana sostiene il concetto di predestinazione, ovvero l'incapacità dell'uomo di compiere il bene senza l'aiuto divino, solo i “predestinati”, scelti da Dio, saranno dunque chiamati a godere della grazia divina.

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l'atteggiamento politico e culturale del tempo. La letteratura europea non tardò a rispecchiare tali cambiamenti. Da questo momento in poi, gli scrittori insistettero sempre di più sugli aspetti del male insito nell'uomo a discapito dei tratti positivi di bene e umanità: gli scrittori abbandonarono l'atteggiamento ottimista di ascendenza rousseauiana che vedeva l'uomo nello stato di natura come creatura del bene, ma si trattò di un passaggio contorto; risulta impossibile parlare di un preciso momento di svolta nel quale si possa individuare la comparsa di un male in letteratura che prima non ci fosse, si trattò bensì dell'istituzione di un dialogo tra due istanze: bene e male vennero a trovarsi mescolati nelle rappresentazioni di grandi personaggi romanzeschi. Per chiarire questo passaggio basta fare un veloce riferimento a Delitto e castigo di Dostoevskij (1866), romanzo che descrive una figura del male tra le più complesse e affascinanti di questo periodo. Raskolnikov, infatti, compie sì il male uccidendo la vecchia usuraia, ma non si può percepire alcun segno di godimento nel suo gesto, anche se premeditato e portatore di un forte investimento emotivo. È imprigionato dalla paura, la voce gli trema così come gli tremano le mani e gli ingranaggi psicologici della paranoia scattano martellando la sua mente ogni secondo, prima e dopo il delitto:

«Sentiva che si stava smarrendo, che aveva quasi paura, talmente paura che, se lei l'avesse guardato così, senza dire una parola, per un altro mezzo minuto forse sarebbe fuggito. […] Tirò fuori del tutto la scure, la brandì con entrambe le mani, a mala pena presente a sé stesso, e quasi senza sforzo, quasi meccanicamente, gliela calò sulla testa dalla parte del dorso.5»

La trama del romanzo nella sua interezza ruoterà sul tormento morale di Raskolnikov, che come prima conseguenza si ammalerà di una grave febbre celebrale. Questo appunto il castigo vero e proprio, non il confino in Siberia che seguirà la confessione: la punizione imperante della forza del bene non arriva a sferzare il personaggio dall'esterno, ma si trova precisamente dentro di lui, mischiata a quel male da cui nasceva la sete di vendetta nei confronti della vecchia. Facciamo notare tale sofferta mescolanza delle due istanze in modo da poter marcare una significativa

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distanza dalle efferatezze e dalle ossessioni di cui è popolata la letteratura che in questa sede prendiamo in esame.

La produzione letteraria all'interno della quale la nostra analisi viene condotta è quella americana contemporanea. A partire dai suoi primi capolavori, che non trascureremo, l'opera statunitense assume un carattere del tutto particolare rispetto alla tradizione europea, la quale è stata la fonte primaria del, possiamo definirlo tale sin da subito, “male americano” (gli Stati Uniti, non dimentichiamolo, sono a tutti gli effetti una creazione europea). Siamo dunque subito in grado di stabilire una relazione di dipendenza tra i due filoni; tuttavia, come vedremo, la letteratura americana, muovendo da uno statuto di “letteratura infantile”, arriverà ad affermare totalmente la propria autonomia e tale aspetto segnerà un tratto affascinante per quanto riguarda la definizione del tema che qui indaghiamo.

Possiamo affermare che gli stati uniti d'America sono una delle grandi creazioni dell'illuminismo borghese europeo e risulta facile dunque comprendere come quell'ottimismo progressista abbia attecchito maggiormente sul suolo del nuovo mondo. L'idea di innocenza legata all'America, la nuova nazione, ha attraversato per secoli la fantasia della vecchia Europa e le sue rappresentazioni; il male europeo ha dunque prima imposto al mondo americano una simile condizione per poi corromperla, introducendo così il germe di una violenza dilagante. Ma dove è possibile tuttavia andare a ricercare la sorgente del male americano? Come vedremo il male americano è il più delle volte un male insensato e proprio per questo sfugge ad ogni tentativo di comprensione da parte degli americani stessi, che lo proiettano quasi sempre al di fuori del proprio essere. Il male sta altrove, viene dall'esterno, dagli altri, molto spesso dall'Europa. Prendiamo il caso di Henry James e del suo Ritratto di

signora ( The Portrait of a Lady, 1881): Isabel Archer, la giovane protagonista, è

tremendamente annoiata dell'ingenuità e dalla frivolezza americana, così come dai corteggiatori e dai costumi che tentano di ricalcare quelli del vecchio continente. Decide dunque di partire per un lungo viaggio in Europa con la ricca signora Touchett, sua zia. Ed è proprio qui che Isabel si apre alla tentazione e alla corruzione fascinosa dell'Europa, rappresentata da Madame Merle. La nuova amica, tramite un'immersione nella vita mondana, le farà conoscere l'affascinante Gilbert Osmond, un giovane nobiluomo dotato di una forte personalità carismatica e travolgente, che però «ha sempre avuto l'aria di credere di discendere dagli dei6» e del quale Isabel si

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innamora. In breve tempo però, il matrimonio con Osmond, piano architettato da Madame Merle, si rivela la rovina della sua vita, un coacervo di sofferenza e solitudine alla quale sarà costretta a rassegnarsi. L'innocente ragazza americana è stata colpita e corrotta dal male del vecchio mondo. Con una particolare attenzione a tutta l'opera di James, nonché a tanta parte della letteratura statunitense, il critico americano Leslie Fiedler ci fa notare come la costante simbolica dell'innocenza d'oltreoceano, incarnata dalla figura tipica del ragazzo americano7, venga prontamente

traviata da una perversità maligna originariamente europea:

«La pallida fanciulla e la dama bruna, che rappresentano l'innocenza e l'esperienza, simboleggiano secondo la mitologia personale di James, l'Americana e l'Europea o, […] la ragazza americana che resta fedele alla sua essenziale delicatezza, e la donna americana decaduta al piano del cinismo e dell'improvvisazione morale europea. […] la bionda fanciulla, la ragazza di casa buona, equivale semplicemente all'America, e la sua bianchezza manifesta esteriormente la nostra immunità nazionale dal peccato, che a lui sembra al tempo stesso, bella, comica, e realmente terribile8

La suggestione di questa “innocente immunità dal peccato”, si palesa in molte opere attraverso lo scenario della provincia statunitense che improvvisamente viene devastato da un crimine particolarmente brutale o da un'ondata di violenza che la tranquilla e ingenua comunità è assolutamente incapace di ricevere e interpretare. Lo stupendo romanzo di Truman Capote In Cold Blood, (A sangue freddo, 1966) si presta appieno nel dimostrare tale aspetto. L'omicidio dell'intera famiglia di Herbert Clutter sfugge ad ogni tentativo di comprensione da parte della piccola comunità di Holcomb, Kansas. Lo statuto del male incarnato dai due assassini è del tutto diverso rispetto a quello ritratto nella letteratura europea, sembra quasi che anche essi non ne siano del tutto consapevoli, i due killer si rivelano infatti esecutori di un male incosciente: agiscono per fare una rapina sulla base di informazioni approssimate, la 7 Non stiamo parlando di una categoria fissa, che rispetta caratteristiche di genere ed età, si tratta bensì

della rappresentazione di una puerilità innocente che trova la sua realizzazione in molti personaggi letterari americani. Tale figura infatti può essere incarnata da un ragazzo o da un uomo, più o meno giovane, così come da una ragazza, per esempio Isabel Archer di cui stiamo parlando o la giovane detective Clarice Starling, protagonista di The Silence of the Lambs di Thomas Harris, di cui parleremo più avanti.

8 Leslie Fiedler, Love and Death in American Novel, New York, Criterion Books, 1960; trad. it. Amore e

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loro follia sanguinaria scatta improvvisamente e alla fine di tutto l'unico piano, se così si può definire, che intraprendono è quello di dirigersi verso il Messico, senza una meta precisa e senza soldi, ma carichi solo di intenzioni irrealizzabili. Dick Hicock e Perry Smith rappresentano un male ormai privato di quella complessa drammaticità e di quel logoramento interiore tipici delle rappresentazioni europee, e delle prime rappresentazioni americane. Il giorno successivo al tremendo delitto infatti, Capote ci mostra un Hicock che

«[…] nell'accogliente cucina di una modesta fattoria, […] stava consumando il pranzo domenicale. Le altre persone a tavola, sua madre, suo padre e il fratello minore, non notarono nulla di insolito nel suo atteggiamento. Era arrivato a casa a mezzogiorno, aveva baciato sua madre e risposto prontamente alle domande che suo padre gli aveva fatto riguardo all'immaginaria gita a Fort Scott, e sedette a mangiare con aria perfettamente normale.9»

Notiamo uno spaventoso assassino, che fino a poche ore prima aveva le mani sporche del sangue delle sue vittime, comportarsi in maniera del tutto naturale, senza il minimo segno di turbamento interiore o di pentimento. Perry e Dick agiscono seguendo la pista di un male, assoluto e stupido, che non pensa, ma agisce ciecamente: un male americano10.

In questo lavoro si cercherà di dare una possibile traccia del percorso che tale tema ha compiuto all'interno dell'opera letteraria americana, senza escludere uno sguardo a realizzazioni artistiche differenti, come quelle cinematografiche. L'analisi del tema partirà da uno dei personaggi romanzeschi più famosi, il capitano Achab del

Moby Dick di Herman Melville, personaggio demoniaco in cui si è ravvisata la radice

di un male terribilmente affascinante, per giungere, attraverso una serie di altri autori, e la descrizione delle loro figure del male, a Patrick Bateman, psicopatico serial killer protagonista del capolavoro di Bret Easton Ellis, American Psycho.

Seguendo ancora la percezione di Fiedler

9 Truman Capote, A sangue freddo, Garzanti, Milano, 2014, p. 92.

10 Stefano Brugnolo, Le strane coppie. Antagonismo e parodia dell'uomo qualunque, Il Mulino, Bologna, 2013, pp. 168-169.

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«La letteratura americana si distingue per un certo numero di libri pericolosi e sconcertanti inclusi nel suo canone; e la cultura americana per la sua abilità nel nascondere questo fatto.11»

il proposito risulta essere quello di andare a scovare nuove prospettive per la ridefinizione di un “classico della letteratura” e, grazie ad esse, analizzare le modalità in cui il contesto letterario più recente ha posto in essere un tema dagli innumerevoli risvolti.

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Capitolo I

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1.1 L'incubo nel romanzo americano

Il tratto comune che lega il genere letterario del romanzo12 alla terra

americana è facilmente intuibile: l'elemento di novità che agli occhi dell'Europa entrambi portano nella propria essenza; un genere nuovo per una civiltà nuova. La formazione degli Stati Uniti ha inizio il 4 luglio 1776, data appartenente ad un periodo in cui circolano i capostipiti del moderno novel europeo. È proprio il romanzo dunque ad affondare così profondamente le radici nel suolo del nuovo mondo e nella mente dei suoi abitanti, i quali, è da sottolineare, costituiscono una comunità letteraria che non possiede una tradizione epica né una tradizione poetica.

«Il legame fra poesia e il vecchio mondo dei privilegi di casta, e fra la prosa e il mondo della moderna mobilità sociale, ha una dimensione geografica oltre che storica. Nel romanzo l'America è spesso la terra della prosa informale e democratica, di contro alla tradizionale e formalistica Europa […]13»

Nonostante la matrice europea del genere, non c'è da stupirsi dunque che in un simile contesto il romanzo americano abbia assunto delle caratteristiche peculiari a confronto del suo prototipo.

«Se l'America, sotto un certo aspetto, è veramente un fatto costantemente ricreato dalla fantasia europea, non è tuttavia soltanto, né soprattutto questo. […] non esiste un “romanzo americano”, ma solo varianti locali dei tipi convenzionali della narrativa europea. […] Pure le singolarità delle nostre varianti appaiono più ricche d'interesse e d'importanza che non le loro affinità con le forme da cui derivano.14»

12 È utile riportare la distinzione fondamentale che ci fa notare Mazzoni tra Romance e Novel, chiarendo da subito che l'ambito in discussione è quello del secondo termine. Mentre la dimensione del primo accoglie al suo interno la narrativa greca, la narrativa pastorale e quella cavalleresca del Medioevo e del Rinascimento, caratterizzata quindi da trame puramente avventurose, una concezione spazio/tempo del tutto irreale e personaggi eccezionali, la dimensione del Novel, la cui nascita si fa risalire convenzionalmente alla metà del XVIII secolo, è quella dei cosiddetti "nomi propri", ovvero di personaggi privati che affrontano situazioni simili a quelle che i lettori potrebbero vivere nel proprio agire quotidiano. Cfr. Guido Mazzoni, Teoria del romanzo, Il Mulino, Bologna, 2011, pp. 98-99.

13 Michal Peled Ginsburg e Lorri G. Nandrea, La prosa del mondo, in Franco Moretti (a c. di), Il Romanzo, Einaudi, Torino, 2001, vol. IV, p. 103.

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Una delle prime e principali particolarità del romanzo americano riguarda quello statuto di innocenza con cui da sempre il vecchio continente ha etichettato l'America. Secondo Fiedler, la cultura dell'innocenza americana si palesa in maniera evidente in questo aspetto: in molti tra quelli che a buon giudizio sono definiti i capolavori della letteratura americana è costantemente presente un'atmosfera, il più delle volte macabra, di semplicità infantile. La questione passa molto spesso inosservata, ma effettivamente opere del calibro di Moby Dick (Melville, 1851), Le

avventure di Huckleberry Finn (Twain, 1885), Gordon Pym (Poe, 1838), sono state da

sempre classificate come letteratura per ragazzi. Oltre che in base alla giovinezza dei protagonisti di queste storie, una tale classificazione è avvenuta considerando il profondo livello di ingenuità da essi mostrato: un livello di sentimenti tipicamente preadolescenziale. Basti pensare alle agitate emozioni connesse al viaggio in mare di Arthur, protagonista del racconto di Poe.

«Le mie conversazioni con Augustus si facevano sempre più frequenti e crescevano in intensità di interesse. Egli sapeva raccontare le sue storie di mare (almeno metà delle quali ora ritengo siano state delle pure invenzioni) in una maniera tale da influire su uno, come me, dal temperamento entusiasta e dalla fantasia sempre ardente sebbene un po' cupa. Ed è strano che proprio nel descrivermi i momenti più terribili di sofferenza e disperazione egli riuscisse a svegliare in me il maggior interesse per la vita del marinaio. Verso il lato luminoso del quadro provavo appena una limitata simpatia.15»

Il protagonista di questo lungo racconto è un giovane innocente il quale ci mostra un desiderio di allontanamento dalla famiglia, dai codici della civiltà, un bisogno di evasione e ritorno al mondo infantile rappresentato dall'avventura in mare. Dopo la sua violenta iniziazione alla marineria (viaggia di nascosto rinchiuso nella stiva di un brigantino), la sua condizione innocente verrà del tutto traviata da un assalto di pirati e l'idillico sogno (americano) verso il quale era convinto di viaggiare si trasforma in incubo. La dimensione puerile che qui si delinea ci da modo di considerare due punti che da essa derivano: il primo romanzo americano è estraneo alla sessualità e traboccante di terrori.

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«[…] libri che rifuggono la società verso la natura, verso l'incubo, nella disperata esigenza di evitare la realtà di fatti come l'amore, il matrimonio, la procreazione. […] il tipico protagonista della nostra narrativa è stato un fuggiasco, spinto nella foresta e per il mare, lungo il fiume o nelle battaglie, dappertutto pur di sfuggire la «civiltà», cioè a quell'incontro dell'uomo con la donna che lo fa soccombere al sesso, al matrimonio e alla responsabilità. […] questa strategia dell'evasione, questo ritorno alla natura e all'infanzia, che rende la nostra letteratura (e la nostra vita) così maliosamente e insopportabilmente «puerile». Quello del bambino non è solo un mondo alieno dal sesso, ma pieno di terrori: un mondo di paura e di solitudine, ossessionato; e il romanzo americano è anzitutto romanzo di terrore.16»

In questo passaggio Fiedler ci mostra un nuovo punto di vista tramite il quale analizzare la produzione romanzesca di cui ci occupiamo. Osserviamo rapidamente l'ingenua indole malefica con cui uno dei suoi primi mitici personaggi considera la possibilità di andare all'inferno: dopo aver trovato il tesoro dei ladroni con Tom Sawyer, Huckleberry viene affidato alle cure della buona vedova Douglas che decide di adottarlo come figlio e rieducarlo alla civiltà, tuttavia Huck è costantemente punzecchiato dalla signorina Watson, la pedante sorella della vedova, la quale lo ammonisce di continuo riguardo ai suoi comportamenti da selvaggio:

«Poi si mette a contarmi del posto brutto, e io dico che avevo tanta voglia di andarci. Allora gli salta la mosca al naso a lei, ma io non volevo offenderla. L'unica cosa che mi interessava era di potermene andare in qualche posto, di cambiare, non importa dove né come. Ma lei mi dice che è male dire quello che ho detto; mi dice che lei non direbbe una cosa così neanche per tutto l'oro del mondo, perché lei voleva vivere in maniera da poter andare un giorno nel posto bello. Bé, per conto mio non riuscivo a capire cosa c'era da guadagnarci a andare anche me dove andava lei, e avevo deciso che non volevo far niente per andarci.17»

L'immagine del paradiso come “posto bello” che viene data al giovane protagonista risponde ai termini stereotipati di luogo in cui regna un dolce far niente

16 L. Fiedler, op. cit., p. 24.

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e in cui si va in giro tutto il giorno suonando l'arpa. Per Huckleberry il ragionamento è molto semplice: bisogna seguire comportamenti terribilmente noiosi in terra per finire un giorno ad assaporare la noia eterna dell'alto dei cieli. Cosa ci si guadagna? Tanto vale comportarsi “male” per andare poi a vedere le avventure che ci riserva l'inferno. Il giovane protagonista è già consapevole del fatto che l'inferno è il posto adatto a lui; tale convinzione troverà conferma in una scena successiva, una scena tra le più famose e discusse dalla critica americana18. All'inizio del romanzo Huck viene

rapito dal padre, un violento ubriacone, che pretende per sé i soldi trovati dal figlio. Rinchiuso in una capanna persa nei boschi sulle rive del Mississippi, dopo qualche tentativo il ragazzo riesce a scappare e si unisce a Jim, lo schiavo della signorina Watson, anch'egli in fuga. Ad un certo punto del racconto però, Huck si rende conto di aver compiuto l'azione più malvagia della sua vita: non tanto aver liberato uno schiavo ed averlo aiutato a fuggire, ma essersi impossessato indebitamente di una proprietà non sua. La decisione è repentina, Huck prende un pezzo di carta e scrive alla signorina Watson informandola su dove si trova Jim e come riaverlo. Appena ha finito di scrivere il giovane si sente subito «a posto, e senza più nessun peccato […]19», ma immediatamente ritornano i ricordi di tutto il viaggio in compagnia di Jim,

le difficoltà affrontate insieme, i pericoli scampati e così Huck, in un impeto furioso, strappa il foglio esclamando «E va bene, vuol dire che vado all'inferno!»

Nonostante si tratti a tutti gli effetti di un libro per ragazzi, Le avventure di

Huckleberry Finn è un'opera che affonda le proprie radici nel sottosuolo del male.

Nella società schiavista del sud in cui il romanzo è ambientato, l'aver rubato uno schiavo nero e averlo aiutato a scappare è un atto che va del tutto contro la norma, eppure osserviamo come Huck abbia una piena coscienza di quello che ha fatto e ne accetti le conseguenze. Il proprio destino maledetto, quell' “andare all'inferno” tanto minacciato dalla vecchia educatrice viene accettato in maniera perentoria e cosciente.

L'atteggiamento è chiaramente infantile, tuttavia il lettore avverte per tutto il corso della narrazione una certa atmosfera macabra, da romanzo nero, la quale non può essere interpretata come una semplice cornice o per usare le parole di Fiedler una «pittoresca bardatura orrida», viene bensì a realizzarsi come “patto faustiano” e dunque il vero focus dell'azione:

18 Alessandro Portelli, Canoni Americani. Oralità, letteratura, cinema, musica, Donzelli, Roma, 2004, p. 153. 19 Ivi, p. 232.

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«Huck risolve di andare all'inferno piuttosto che restituire uno schiavo al suo legittimo proprietario. Il capitano yankee, la donna sedotta, il ragazzo orfano recitano tutti la parte di Faust nella narrativa nostrana, talvolta apertamente e con sacro terrore, talvolta segretamente e come per una presa in giro.20»

Il dialogo che si instaura tra questo sostrato maligno e l'essenza fanciullesca nel ritratto dei personaggi, così come il contenuto infernale dei topos e delle situazioni narrative, rappresentano i punti nodali su cui concentriamo la nostra attenzione. Oltre all'interessante statuto del piccolo protagonista, osserviamo come le pagine di questo romanzo siano disseminate di violenza, riportiamo un piccolo episodio che ha il solo scopo di far comprendere al lettore quale sia l'ambiente tremendo all'interno del quale si muove la narrazione: giunto in un piccolo villaggio dell'Arkansas, Huck assiste all'arrivo di Boggs, un vecchio che, quando ingolla troppo whiskey, va in cerca di qualcuno con cui litigare, minacciando morte a destra e a manca, ma che, come gli confermano altri presenti, è in realtà «il più innocuo idiota» di tutto lo stato21. È il

colonnello Sherburn il prescelto con cui quel giorno Boggs decide di prendersela. Insulti, minacce e bestemmie volano verso il colonnello che rimane calmo e pacatamente afferma: «Sono veramente stanco di questa commedia, ma la sopporto fino all'una. State attento: sino all'una e non un minuto di più.» (159). Tuttavia, mentre Sherburn rientra nel negozio, Boggs continua a girare sul proprio cavallo cercando di infiammare a suon di minacce il suo avversario quotidiano, il che gli riesce anche troppo bene, così che il colonnello appena uscito:

«Stava perfettamente immobile nel mezzo della strada, e aveva una pistola nella mano destra […] Boggs e i suoi due compagni si voltano per vedere chi è che l'ha chiamato e […] la pistola scende lenta e sicura finché non si trova all'altezza giusta, e aveva i due cani già sollevati. Boggs allora alza tutte e due le mani e grida: - Per l'amor di Dio non sparate!- Pum! Si sente il primo colpo, e lui va un po' indietro e pare che annaspi nell'aria, pum! Il secondo colpo, e lui cade

20 L. Fiedler, op. cit., p. 159. I personaggi indicati in questo passaggio sono il capitano Achab, Hester, l'adultera protagonista di The Scarlet Letter di Nathaniel Hawthorne (1850), e ovviamente il giovane Huck.

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supino per terra […] Il colonnello Sherburn butta la pistola per terra, poi si volta e si allontana.» (Ivi)

Una scena in pieno stile western che mostra l'uccisione a sangue freddo di un uomo davanti agli occhi della giovane figlia. Questo l'ambiente che le opere prese in esame vogliono ritrarre, quel retaggio di brutalità selvaggia che sopravvive all'interno della nuova civiltà, un male inestirpabile che domina un intero contesto letterario.

1.2 Moby Dick come romanzo demoniaco: il caso Achab

Il 18 settembre 1851 viene data alle stampe la prima edizione del New York Times, un evento destinato ad essere visto come un punto di svolta per una città, e una nazione, protagoniste di uno sviluppo senza precedenti. Poco più di un mese dopo, la vita culturale statunitense conosce un altro significativo turning point che segnerà uno dei massimi momenti della storia letteraria mondiale: l'editore Harper and Brothers di New York pubblica Moby Dick or The Whale di Herman Melville.

Basta scorrere alcune pagine iniziali per capire di essere davanti ad un romanzo che ritrova la sua essenza nelle oscure profondità del male. Prima ancora che la narrazione inizi, un certo «intisichito assistente di ginnasio» ed un «povero diavolo di Vice-vice bibliotecario» si prendono la briga di fornirci rispettivamente una piccola introduzione etimologica sul termine Whale (balena) e una lunga sezione di estratti, raccolti in «tutte le interminabili Vaticane e tutte le bancarelle della terra22». A

quale scopo, è lecito chiedersi, è stato compiuto tale sforzo? Come ci viene anticipato in una nota iniziale, è stato consultato ogni libro che contenesse un qualunque riferimento alla balena, sia in quanto animale scientificamente considerato, sia in quanto Leviathan, il mostro marino dell'antico testamento citato nel libro di Giobbe, creato per volere di Dio. Assistiamo dunque ad una mescolanza di sacro e profano che, partendo dalle sacre scritture e attraversando commentatori di autori latini, poeti, moralisti, filosofi e naturalisti, giunge sino alle fiabe e ai canti popolari dei marinai. Una rassegna agitata e caotica che simboleggia l'orrore e il caos primordiale che il mostro scatena al suo passaggio.

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L'intento si caratterizza per essere una irrealizzabile utopia. Fornendoci queste due sezioni iniziali, l'autore ci mostra l'impossibilità di definire, e dunque imbrigliare, il mostro in qualsivoglia categoria. Nel tentativo di imprigionare il Leviathan, simbolo del male assoluto, all'interno di un significato che egli cerca di recuperare scavando a ritroso nei secoli, Melville vuole farci capire che Moby Dick è tutte quelle cose, è il terror panico che non sottostà alle comuni leggi dello spazio e del tempo. Esso ha attraversato i secoli, è il mostro che ha inghiottito Giona e che, come ci rivela più avanti nel romanzo, è ubiquo, avvistato in più mari nello stesso frangente di tempo. È contemporaneamente «un mammifero senza i piedi posteriori» (29), come secondo il Barone Cuvier e «il grande Leviathan che fa bollire i mari come pentole» (24) di cui scrive Lord Bacon.

Achab è il capitano di una baleniera che perde una gamba durante la caccia al feroce Moby Dick. Egli comprende immediatamente di non aver affrontato un cetaceo qualsiasi, bensì il Leviathan, questa incarnazione del male cosmico, strumento punitivo al servizio di Dio. Da questo momento giura vendetta al mostro e, facendo mostra di partire per un'ordinaria caccia a balene, prende il comando della nave baleniera Pequod. L'io narrante della storia risponde al nome di Ishmael il quale, sin dalle primissime pagine, viene a definirsi come l'innocente in fuga che cerca rifugio nel distacco dal mondo, offerto dall'avventura in mare.

«Essenziale tra questi motivi era la travolgente idea della balena in carne ed ossa. […] Poi i mari selvaggi e remoti […] i pericoli, indescrivibili e senza nome, della caccia: […] io sono tormentato da una smania sempiterna per le cose lontane. Mi piace navigare mari proibiti e approdare su coste barbariche.» (42)

Proprio grazie a tale posizione Ishmael si pone in grado di raccontarci il male che si annida in tutta la storia e nei suoi protagonisti. Lo statuto infantile che egli porta dentro di sé e che mostra a noi non è, ribadiamolo, semplicemente legato alla sua giovane età, ma è simbolo di quell'impostazione culturale da cui l'America è sorta: egli è un giovane innocente.

L'inizio della narrazione coincide con l'arrivo di Ishmael nella città di New Bedford, tappa immancabile sulla via per Nantuckett, il maggior porto baleniere

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dell'ottocento. Il confronto con il rude mondo dei balenieri si rivela subito aspro e il giovane si configura immediatamente ai nostri occhi come «il buon ragazzino americano che, naturalmente, non sa nulla di nulla;23» e questo è esattamente il livello

a partire dal quale iniziamo ad interessarci a lui. Dopo l'incontro col selvaggio polinesiano Queequeg, anch'egli in cerca di un imbarco come ramponiere, i due decidono di imbarcarsi sul Pequod. Nonostante il lettore sia sin dall'inizio introdotto in un contesto macabro, è da questo momento che su tutti gli eventi narrati viene gettata una luce sinistra. Poco prima di salpare infatti un incontro “profetico” mette in guardia i due giovani marinai. Siamo nel XIX capitolo, le carte che confermano l'avvenuta assunzione a bordo dei due sono appena state firmate, quando uno sconosciuto vecchio cencioso si avvicina loro chiedendo ironicamente: «-Non c'era niente negli articoli intorno alle vostre anime?-» (125). Elia, così si chiama il vecchio, è al corrente del trascorso del capitano Achab ed immagina giustamente che i due non sappiano nulla in proposito e non abbiano la minima idea di quello che hanno appena fatto. L'arruolamento viene dunque messo in chiave diabolica dal vecchio, il quale, con tono profetico, si lancia in un confuso e inquietante racconto della crudele indole di comando del capitano e di « quando stette come morto per tre giorni e tre notti […] della zucca d'argento dove lui ha sputato […] della gamba perduta nel suo ultimo viaggio, secondo la profezia […]» (126). A questo punto l'ingenuità di Ishmael emerge chiaramente:

«-Amico,- dissi -a che cosa si riferisce tutta questa vostra chiacchierata non so e non m'importa, perché mi pare che voi siate un po' tocco nella testa. Ma se parlate del capitano Achab, di quella nave là, il “Pequod”, allora lasciate che ve lo dica, so tutto quanto riguarda la perdita della sua gamba.-» (127)

Il capitano appare in scena solo quando la nave è già al largo e la sua figura porta nettamente i tratti degli eroi satanici della letteratura, nonché una maledizione incisa nel proprio nome; Achab infatti è il nome di un re dell'antico testamento che, secondo il racconto biblico, abbandonò la fede nel Dio di Israele per convertirsi al culto pagano di Baal, perseguitando quindi i profeti di Yahweh, tra i quali appunto Elia; Achab dunque si ribellò a Dio. Risulta interessante considerare l'osservazione

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che compie Ian Watt andando a ripercorrere la genesi del genere romanzesco: Moby Dick si colloca indubbiamente nel solco del romanzo moderno, eppure pare quasi che Melville, nominando i suoi personaggi, abbia voluto fare un piccolo passo indietro verso la tradizione letteraria a lui precedente. Come ci spiega Watt, il romanzo, viene storicamente a definirsi come genere dei nomi propri, ovvero delle identità individuali. Di contro alla letteratura precedente la quale, secondo i precetti di Aristotele, doveva mettere in scena personaggi che evocassero valori universali, e dunque nominava i propri personaggi con dei nomi “caratteristici”,

«I primi romanzieri ruppero in modo significativo con la tradizione e nominarono i loro personaggi in modo tale da suggerire che dovevano essere considerati come individui particolari nel contesto sociale contemporaneo.24»

I loro nomi non hanno il “compito” di evocare vizi o virtù dell'uomo, come nell'antichità. In Moby Dick, tuttavia, vediamo come Achab sia a tutti gli effetti un “nome parlante”: nel suo sfrenato inseguimento della balena, il capitano viene a definirsi come personaggio della «tradizione titanica dell'occidente; la ri-scrittura di un mito antico. […] la rivolta degli angeli condotti da Lucifero; […]25».

Nel descrivere la sua prima apparizione, Ishmael ci presenta una figura che pare appena tolta da un rogo: il corpo, alto e robusto, gli ricorda il Perseo forgiato nel bronzo dal Cellini. Una cicatrice biancastra gli parte dal cranio e sembra dividerlo in due come un albero colpito dalla folgore e subito fa dire al narratore: «Se questo segno era nato con lui o se era invece la cicatrice di una ferita disperata, nessuno poteva dire con certezza.» (154), come a dire che la maledizione divina insita nel nome trovi assoluta conferma in questo marchio. Tuttavia, del truce aspetto di Achab il particolare che più sconvolge il giovane è quella «barbarica gamba bianca», intagliata nell'osso di un capodoglio, sulla quale egli poggia per metà il suo corpo.

Nel corso della narrazione, come abbiamo anticipato, i veri intenti di Achab vengono chiariti: il viaggio non è una normale partita di caccia, viene bensì intrapreso

24 Ian Watt, Le origini del romanzo borghese, Bompiani, Milano, 1997, p. 17.

25 Mario Domenichelli, Moby Dick: la scrittura e la morte, in Giovanna Cerina (a c. di) Leggere il romanzo, Roma, Bulzoni, 1988, p. 126.

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dal capitano per soddisfare la sua cieca sete di vendetta, «Achab ha in mente cose sanguinarie.» (162) come rende esplicito Stubb, uno dei tre ufficiali del Pequod. Tuttavia, non v'è solo questo in lui: la rappresentazione di questo personaggio vuole esprimere la sua essenza malefica, la quale va oltre i confini di un semplice meccanismo di faida (la balena mi ha tolto la gamba, io ora uccido la balena). La descrizione del vecchio capitano non lascia dubbi, egli rientra pienamente nella categoria dei personaggi del male. Prendendo in considerazione il ritratto che Ishmael ci mette d'innanzi, siamo in grado di stabilire delle affinità tra Achab e il Satana miltoniano, entrambi risultano infatti caratterizzati da vigorosa possenza fisica accompagnata però da un'aura di desolazione. Come ci fa notare Mario Praz, il Lucifero del Paradise Lost, è triste perché è consapevole della propria condizione di angelo decaduto: sa di essere definitivamente uscito dalla grazia di Dio, ma non rinnega, rivendica anzi con orgoglio, la propria ribellione, e la propria battaglia, nel tentativo demoniaco di sconfiggere la schiera degli angeli celesti.

«Pur benché avvolto di sì fosco velo L'arcangel rifulgea sugli altri tutti, Ma la sua faccia avean di solchi piena

Del fulmin le profonde cicatrici: Sta l'altra Cura su la smorta guancia, Ma sotto ciglia di coraggio intrepido E di considerato orgoglio, invigila

Alla vendetta.26»

La descrizione del capitano come essere demoniaco pare rassomigliare la raffigurazione miltoniana addirittura nei tratti fisici: come Satana ha il volto scavato dai solchi del fulmine, così Achab presenta un aspetto che sembra devastato dal fuoco ed è attraversato precisamente da un solco causato da una folgore. Il fosco velo di mestizia che avvolge il demone lo ritroviamo negli atteggiamenti del capitano: Achab è infatti costantemente preda di un'indomita esaltazione per l'impresa che sta portando avanti, tuttavia, la sua figura è sempre ritratta con il tono dominante di una malinconica afflizione.

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Il perduto sguardo che egli rivolge all'orizzonte quando è in coperta, il tetro effetto che sul suo animo operano le dolci ore del crepuscolo, così come i suoi soliloqui, ne costituiscono un evidente segno distintivo.

«Tra i capitani di nave, le vecchie barbe grigie lasciano spesso la cuccetta per fare una scappata in coperta nel buio della notte. Così era per Achab; ma […] le sue scappate avvenivano piuttosto giù in cabina che non dalla cabina al ponte. «Fa l'effetto di sprofondarsi nella propria tomba,» mormorava qualche volta tra sé «a un vecchio capitano come son io, discendere per questo stretto portello verso la cuccetta scavata a sepolcro.» (156)

Nel buio della propria cabina però Achab non è solo. Le meditazioni a cui egli si abbandona nel silenzio della notte vengono condivise con una “ciurma fantasma” della quale il lettore, nonché tutto l'equipaggio, ignora l'esistenza sino ad un punto notevolmente inoltrato sia della narrazione che del viaggio. A capo di questa compagnia subalterna sta il ramponiere personale di Achab, il parsi Fedallah, «il segno raddoppiato della addiction satanica del capitano27», il tramite del patto tra Achab e il

demonio. Ascoltiamo come Ishmael ce lo ritrae assieme ai “fantasmi”

«[…] era alto e fosco, con un dente candido che gli sporgeva malignamente dalle labbra d'acciaio. Lo rivestiva in modo funereo una spiegazzata giacchetta cinese di cotone nero […] i capelli fatti su e arrotolati in molti giri sulla testa. Meno foschi d'aspetto, i compagni di costui avevano quella vivace carnagione giallo-tigre peculiare a certi indigeni nativi di Manila – una razza famosa per certa diabolicità di sottigliezza – che taluni onesti marinai bianchi credono le spie pagate e i segreti agenti di fiducia, in mare, del diavolo loro signore […]» (247)

Non c'è più da dubitare, il lettore e l'equipaggio ne hanno avuto conferma: il demonio è a bordo del Pequod.

Il viaggio prosegue così nella ricerca di Moby Dick, nell'attesa del mostro vengono catturate e macellate altre balene di cui Ishmael ci fornisce ogni dettaglio 27 M. Domenichelli, op. cit., p. 125.

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anatomico. La narrazione si estende in lunghe digressioni, passi di tassonomia cetologica, che hanno per argomento le balene in ogni loro particolare: il racconto stesso si fa ricerca. Sembra insomma che il giovane narratore, dotato di una fissità maniacale non minore rispetto a quella del suo capitano, voglia proseguire nel tentativo intrapreso dall'autore all'inizio del romanzo: arginare in una delimitazione di conoscenza scientifica e storica il mostro senza tempo dalla potenza e dalla crudeltà straripanti.

«Inorridisco a questa premosaica e increata esistenza dei terrori indicibili della balena che, essendo stata prima di ogni tempo, dovrà certo esistere quando ogni epoca umana sarà finita.» (480)

Altre navi vengono incontrate per mare le quali scambiano col Pequod informazioni sugli avvistamenti del Leviathan, quando finalmente nel mar del Giappone esso appare e si da inizio alla caccia tanto attesa. Moby Dick combatte i suoi inseguitori sfuggendo alla cattura, finché la profezia di Fedallah riguardo alla morte di Achab viene ad avverarsi. La balena perseguitata sperona la nave e la manda a picco, Achab dalla sua lancia tenta per l'ultima volta di arpionare il mostro, ma la corda dell'arma si avvinghia come una serpe al collo del capitano che scompare nell'abisso. L'intero equipaggio muore così nel tentativo di uccidere il leggendario Leviathan, si salva solo Ishmael, il nostro narratore, colui che ci ha raccontato la storia.

Abbiamo di fronte a noi un'opera che, come l'arpione di Achab, temprato nel sangue dei tre ramponieri (il polinesiano Queequeg, il negro Deggu e il pellerossa Tashtego), è stata battezzata «non in nomine patris sed in nomine diaboli» (504). La violenza smisurata di Achab viene a configurarsi primariamente nell'atteggiamento dispotico che egli tiene nei confronti dei suoi sottoposti. Ishmael ne è subito colpito e affascinato, il capitano possiede il carisma spietato di un padrone supremo, egli è in definitiva “il signore dei Leviatani”. È stato lui a coinvolgere tutto l'equipaggio in un sacro giuramento di caccia e con questo a estendere a loro il suo patto diabolico. Come ci fa notare Domenichelli nel suo saggio, l'unico membro dell'equipaggio che, opponendosi, tenta di resistere al diabolico fascino travolgente di Achab è Starbuck, il secondo ufficiale: egli «rappresenta la ratio oeconomica, la virtù borghese della prudentia e

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del giusto investimento28». Siamo nel cap. CIX quando, durante l'abituale pratica di

lavaggio delle botti, Starbuck si accorge che alcune botti colme di olio ricavato dalle balene, uccise durante la caccia, stanno perdendo il loro prezioso contenuto. La soluzione più ovvia è quella di “disistivare” la nave, ma il Pequod è già nei pressi del Giappone e si accinge alla caccia tanto attesa, come ci si può facilmente aspettare il capitano rifiuta in modo sprezzante il consiglio dell'ufficiale. È sempre Starbuck che, poco più avanti, ammonisce Achab per un affronto ben più grave, l'affronto che lo caratterizza pienamente: la sua ribellione nei confronti di Dio. Una folgore colpisce infatti il rampone del capitano durante un temporale e un'enorme fiamma si sprigiona da esso. Mentre Achab tenta di riprenderne il controllo, Starbuck lo afferra per un braccio:

«-Iddio, Iddio è contro di te, vecchio; lascia! È un viaggio del

male! Mal cominciato, mal proseguito; lascia che orienti i pennoni,

vecchio […] - Ma […] afferrato il rampone che ardeva, Achab lo brandì come una torcia in mezzo a loro, giurando di trapassare con esso il primo marinaio che soltanto levasse volta a una cima. […] -così io spengo l'ultima paura!- E con un gran soffio spense la fiamma.» (525)

La ribellione a Dio è definitivamente compiuta, Achab ha condannato l'intero equipaggio, la sua schiera di demoni, a soccombere con lui. In tutto e per tutto consapevole del proprio statuto diabolico, e del proprio peccato, egli drammaticamente si rivolge al cielo:

«Tu puoi accecare, ma io posso ancora brancolare. […] ricevi l'omaggio di questi poveri occhi e delle mani che li coprono […] Oh! Anche bendato, parlerò ancora con te. Sebbene tu sia luce, tu esci dalla tenebra; ma io sono tenebra che esce dalla luce, che esce da te!» (524)

Ecco che siamo in grado di chiarire che il male rappresentato in Moby Dick viaggia su due binari distinti: la balena e il capitano non rispondono alla medesima

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definizione di male; Achab risulta essere maggiormente caratterizzato dal “peccato”. Le sue azioni malvagie, pur se non orientate al raggiungimento di un fine materiale, mirano comunque al soddisfacimento della sua sete di vendetta nei confronti del mostro, un atto che presuppone il godimento di colpire. Il suo è un peccato di Hybris, è una colpa prometeica: il fatto di voler sconfiggere il Leviathan, creatura che Dio crea sulla terra per punire gli uomini scivolati senza rimedio nell'abisso della dannazione, lo mette automaticamente nella superba posizione di voler sfidare Dio. Possiamo quindi classificare la balena come incarnazione terrena dell'angelo della morte, Azrael, creatura divina presente nella cultura ebraica, come in quella cristiana e islamica. Il suo mutismo, la sua assolutezza, sono tratti che pongono il mostro al di sopra di un male per così dire “terreno” o “umano”, il Leviathan agisce in nome di un principio che sta al di là del bene e del male, paradossalmente esso agisce in nome di Dio. Achab si fa dunque simbolo di un mondo ormai destinato a soccombere all'oscura tentazione del peccato, un peccato che può essere lavato solo nel sangue, sgorgato dalla morte di un equipaggio innocente. Il male americano realizzato in Moby Dick sembra essere voluto e inviato da Dio proprio per punire la nazione, la sua sete di vittime su scala industriale (possiamo definire seriale e consumistico il ritmo che caratterizza l'uccisione delle balene, per come Ishmael ce ne parla). Il peccato Americano qui è sostanzialmente una voracità che si declina come sfida a Dio che viene punita dalla balena quale incarnazione di un superego cambiato di segno.

Come si può notare, e come abbiamo anticipato, il fascino satanico che Achab esercita su di noi è di chiara ascendenza romantica. È sempre nei confronti di Mario Praz che siamo in debito per questo fruttuoso e illuminante collegamento. Proseguendo nell'analisi delle Metamorfosi di Satana, Praz stabilisce un rapporto di parentela tra la raffigurazione del Satana di Milton e quelle degli eroi romantici della letteratura europea. Diamogli la parola:

«Sullo scorcio del Settecento il Satana miltonico trasfuse il suo fascino sinistro nel tipo tradizionale del bandito generoso, del sublime delinquente. Räuber Karl Moor dello Shiller (1781) è un angelo bandito alla maniera di quelli del Milton […] paragonato a quel «primo scellerato caporione che precipitò nel fuoco della rivolta migliaia d'angeli innocenti e li trascinò seco nel profondo abisso della narrazione.»

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oppure:

«Montoni, il facinoroso venturiero dei Mysteries of Udolpho (Ann Radcliffe, 1784), gode del violento esercizio delle passioni; le difficoltà e le tempeste della vita, che rovinano la felicità degli altri, stimolano e rafforzano tutte le energie della sua mente.29»

Nel ritratto di queste sprezzanti figure ribelli si annida l'essenza dell'attraente bellezza che sprigiona dal tenebroso capitano del Pequod. Lui come essi ha fatto il male, ha provocato l'infelicità altrui, ha perseguito il suo destino di angelo decaduto travolgendo con sé nell'oblio un intero equipaggio di innocenti. È all'interno di un preciso passaggio che viene raggiunto l'acme della descrizione del personaggio, la scrittura stessa ne viene influenzata e pare impregnarsi di stile romantico:

«Traversando lentamente la coperta dal portello, Achab si piegò alla banda e guardò come l'ombra dentro l'acqua affondava e affondava al suo sguardo, quanto più lui si sforzava di penetrare la profondità. Ma i dolci aromi di quell'aria incantata parvero alla fine dissipare, per un attimo, l'oggetto canceroso del suo cuore. Quell'aria beata, felice, quel cielo ammaliatore, lo afferrarono in fine carezzevoli; la terra matrigna, da tanto tempo crudele, repulsiva, gettava ora braccia appassionate intorno al suo collo ostinato e pareva singhiozzare su di lui dalla gioia, come su uno che, per quanto indurito e peccatore, ella trovasse ancora la forza di salvare e benedire. Di sotto al cappello calcato, una lacrima cadde nel mare dall'occhio di Achab; tutto il Pacifico non conteneva tante ricchezze che valessero quella misera goccia.» (555)

Questa sublime descrizione testimonia il vortice di passione e suggestione estetica in cui questo maestoso personaggio ha coinvolto Ishmael e assieme a lui Melville stesso. Non c'è via di fuga, non c'è sentiero di salvezza che ammetta nel suo percorso il vecchio capitano, perché, sottolineiamolo, non è la divinità, bensì la “terra matrigna” che pare assolvere il peccatore Achab e che lo accoglie nel suo abbraccio. 29 M. Praz, op. cit., pp. 60-61.

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Il vortice che egli scatena è un gorgo di morte e distruzione di cui tutti sono a conoscenza; Ishmael è dominato da una pulsione di morte che sin dall'inizio lo spinge verso la tragica avventura della caccia maledetta: «Ogni volta che m'accorgo di atteggiar le labbra al torvo, […] ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me […] allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto. Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola.» (37). Una volontà suicida che si manifesta nella ripresa del mito di Narciso, in cui Ishmael ci fa capire che non vuole morire, ma più propriamente rinascere. «[…] non potendo stringere l'immagine tormentosa e soave che vedeva nella fonte, vi si tuffò e annegò. Ma quella stessa immagine noi la vediamo in tutti i fiumi e negli oceani. Essa è l'immagine dell'inafferrabile fantasma della vita; e questo è la chiave di tutto.» (39). La prospettiva attraverso la quale Ishmael vuole farci guardare al suo viaggio è quella della catabasi, del viaggio infernale degli eroi antichi. Il giovane marinaio parte alla ricerca del significato essenziale della vita e si rende conto di poterlo ritrovare solo in un viaggio verso la morte, ecco perché egli viene attratto in maniera irrefrenabile nella spirale mortifera di Achab, ecco perché ne subisce il fascino più di chiunque altro: «Ishmael come Enea, Ulisse che scendono ad interrogare i morti […]30». L'itinerario che l'eroe compie è infatti

caratterizzato da un incipit infernale; New Bedford ci viene presentata con i tratti che riconducono all'entrata di un luogo oscuro, un luogo da cui parte il viaggio verso il nulla che sta per essere intrapreso. Il viaggio che Ishmael ci racconta vuole farsi testimone dell'esperienza di rinnovamento che l'eroe ha vissuto in contrapposizione alla cecità di Achab. Ishmael riemerge libero dalle oscure acque della morte; si è liberato dalla follia e dal male che il capitano portava in sé così come dalla condizione selvaggia in cui versava Queequeg, il selvaggio vestito da baleniere americano, che simboleggia dunque «quanto è rimasto di selvaggio e contorto nel cuore stesso della civiltà, della ragione […]31»; non casualmente Ishmael riesce a salvarsi grazie alla

canoa che era stata preparata come feretro per Queequeg durante la sua malattia e che dal profondo delle acque gli viene risputata accanto. La bara (coffin, bara, è il nome del primo locandiere che ospita Ishmael), simbolo di morte e di tenebra, dalle quali era partito, si trasforma in strumento di salvezza, di ritorno alla luce dall'oscurità del male. L'intensità con cui Melville ci racconta la storia di questi due eroi rimarrà incisa nella gloria dei secoli e l'impronta segnata da Achab rappresenta il

30 M. Domenichelli, op. cit., p. 143. 31 Ivi, p. 159.

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punto di partenza per la definizione del male americano. Come abbiamo cercato di dimostrare, e come è inevitabile considerare anche per molti altri temi letterari, i prototipi da cui nasce il romanzo americano sono decisamente quelli della narrativa europea. Le figure del male che hanno attraversato la letteratura del vecchio continente sono state assorbite dalla cultura del nuovo mondo che le ha declinate in un modo del tutto particolare, un modo che come vedremo non è alieno da motivazioni di carattere storico e antropologico.

«Rimaniamo affascinati da Achab, anche se rifuggiamo dalla sua monomania. È americano fino al midollo, feroce nel suo desiderio di vendetta, ma sempre stranamente libero, forse perché nessun americano si sente davvero libero se, dentro di sé, non è solo.32»

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Capitolo II

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2.1 Eccezionalismo americano

Nel capitolo precedente, anche se in breve, abbiamo cercato di illustrare, quella concezione tramite la quale l'Europa ha sempre guardato agli Stati Uniti come nazione infantile: l'idea secondo cui l'America rappresenti una “nuova nazione”, destinata a giocare un ruolo puerile a livello culturale e, in generale, nei rapporti internazionali. Uno dei risvolti in cui questo aspetto emerge è la condizione innocente che molti personaggi della prima narrativa americana portano dentro di sé. Tuttavia, come l'analisi di Achab ci mostra, le figure che popolano i romanzi americani non sono solo quelle di bambini, più o meno cresciuti. Accanto a questa etichetta con cui il vecchio continente ha marcato il nuovo mondo notiamo una percezione particolare che gli americani hanno di sé stessi e della propria nazione.

Come punto di partenza, il sociologo Seymour Martin Lipset ci fa notare che a differenza dell'Europa:

«Nati da una rivoluzione, gli Stati Uniti sono un paese organizzato intorno ad un'ideologia che include una serie di dogmi circa la natura di una buona società. […] In Europa, la nazionalità è legata ad una comunità e perciò uno non può diventare non-Inglese o non-Svedese. Essere Americano, tuttavia, è un impegno ideologico. Non è una questione di nascita. Coloro che rigettano i valori americani sono non-Americani.33»

Partendo dal resoconto che Alexis de Tocqueville traccia nell'opera La

democrazia in America (1835), Lipset fa procedere la sua analisi toccando svariati punti

grazie ai quali cerca di chiarire perché gli Stati Uniti si sentono, ed effettivamente sono, diversi rispetto al resto del mondo.

Molto utile si rivela al nostro discorso la riflessione riguardo al credo religioso americano, la cui influenza è stata fondamentale per la formazione del corpus dei valori nazionali di cui parla Lipset: «Libertà, Egualitarismo, Individualismo, Populismo e Laissez-faire.» (Ivi p. 19). In quanto originariamente territorio coloniale inglese, gli stati americani, non ancora Stati Uniti, videro un'ampia diffusione del 33 Seymour Martin Lipset, American Exceptionalism, W.W. Norton & Company, New York-London, 1996,

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credo anglicano ed in particolare furono le chiese del ramo protestante puritano a raccogliere nel corso dei secoli il maggior numero di fedeli. Stanchi della corruzione e dell'impurità della pratica religiosa che correva ormai in tutta Europa, migliaia di praticanti di fede protestante, tra cui appunto puritani, quaccheri, metodisti, ecc. emigrarono dalle coste del vecchio continente sperando di poter trovare in America una terra in cui far risorgere il cristianesimo delle origini, che fosse dunque indipendente dal potere politico così come dal potere papale della chiesa di Roma. Contraddistinte da una rigida fede basata esclusivamente sulle sacre scritture, queste varie diramazioni del cristianesimo protestante interiorizzarono un forte senso del peccato e della dannazione ad esso connessa: il peccato, la tentazione con cui Satana ci attira verso l'oscurità del male, è nascosto ovunque e sempre pronto a colpire. Secondo la fede luterana, da cui queste sette derivarono, il praticante deve seguire un codice morale determinato dal proprio senso di rettitudine; la relazione che intercorre tra il credente e Dio è di natura personale ed è basata su un'interpretazione della verità biblica non mediata da alcuna figura religiosa, né determinata dallo stato. Le sette americane inoltre: «affermano la perfettibilità della natura umana e hanno prodotto un popolo moralista.» (20) Quale logica sottostà dunque a questa anomalia? Come può un paese in cui il 94% dei cittadini esprime fede in Dio avere contemporaneamente un tasso di criminalità tra i più alti al mondo? Come può una così rigorosa fede in Dio, che predica amore verso il prossimo, essersi impiantata in un territorio in cui i popoli pellerossa vennero brutalmente sterminati?

Questo è un punto che segnala inequivocabilmente l'eccezionalità di questa nazione e conseguentemente della sua produzione letteraria. Andando avanti nella nostra analisi ci sarà possibile osservare che la formazione di personaggi romanzeschi del male così vivi e significativi è condizionata proprio da quel profondo senso del peccato che è radicato nelle menti americane. Il regno delle tenebre e della violenza rappresenta dunque la dimensione privilegiata in cui gli scrittori statunitensi si lanciarono, e si lanciano, per raccontarci delle storie traboccanti di attrazione malefica. Ci sarà possibile, tuttavia, vedere come il male condensato nelle figure che esamineremo sia caratterizzato da differenti sfaccettature: sarà il male più incosciente e diretto dal bisogno di raggiungere fini prettamente immateriali a prendere corpo nei nostri personaggi, la categoria di un male che sfugge a quella logica comune, o per meglio dire umana, connessa al soddisfacimento di tentazioni, concrete o meno, ma comunque terrene. Figure più imparentate con la balena che con Achab insomma,

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mostri la cui sete di sangue viene a definirsi come meccanica, automatica; la sorte degli innocenti che rispondono alla tentazione e che incontrano quindi questo male punitivo è segnata da un destino infausto ed irrimediabile e, proprio come nell'avventura di Achab, osserveremo talvolta la presenza di un “innocente” che pagherà le spese di un peccato non suo.

«Nel 1850 il solo nome possibile per quel che noi definiremmo l'inconscio era “inferno”; e le incursioni in quella regione erano perciò considerate un corteggiare la dannazione. Forse questo non è che un modo come un altro per descrivere i rischi impliciti nell'atto di varcare la soglia della coscienza ordinaria […] Proprio a causa di questa loro franchezza nell'affrontare le implicazioni faustiane della loro opera, scrittori come Hawthorne e Melville […] riescono a […] soddisfare il bisogno, oscuramente sentito da molti americani, di vedere l'esistenza proiettata nei termini di un accordo con il diavolo.34»

Compiamo ora un passo in avanti e prendiamo in esame uno dei testi più sconvolgenti della narrativa contemporanea.

2.2 Blood Meridian: sogno western e piacere del male. Il caso

Holden

Avvicinarsi a Meridiano di sangue (Blood Meridian or the Evening Redness in the West – 1985), strabiliante romanzo di Cormac McCarthy, lascia senza parole: parliamo di un libro che colpisce con una scarica di brutalità incessante. Siamo nel 1850 e la banda del capitano Glanton, una gang di sanguinari assassini, sta attraversando le terre di confine tra Stati Uniti e Messico con l'incarico ricevuto dalle autorità governative messicane di “fare pulizia”, ovvero assassinare più Apache possibile e distruggere ogni singola traccia della loro presenza. Il periodo di tempo in cui viene ambientata la storia segue di poco la guerra Messicano-Statunitense (1846-48), conflitto al termine del quale, grazie all'annessione della California e del Texas, vengono ridisegnati i confini tra i due paesi. Si tratta dunque di uno scenario arido e

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poverissimo in cui si ritrovano a convivere bianchi conquistatori americani in corsa verso l'West, profughi messicani e tribù di guerrieri pellerossa in costante lotta per riavere la propria terra.

La narrazione non tarda a porre in luce i toni e i contenuti del suo discorso. Nella prima pagina del romanzo ci viene presentato il ragazzo («The Kid»), il protagonista senza nome della vicenda. McCarthy mostra inizialmente la volontà di staccarsi da quello stereotipo letterario del ragazzo innocente in cerca del distacco dalla civiltà:

«La madre morta da quattordici anni aveva incubato nel ventre proprio la creatura che l'avrebbe uccisa. Il padre non pronuncia mai il nome della donna, il ragazzo non lo conosce. Non sa leggere né scrivere, e già gli cova dentro un gusto per la violenza insensata.35»

Notiamo subito il carattere tagliente della scrittura di McCarthy: uno stile diretto e privo di coinvolgimento che si esprime in una sintassi dai tratti brevi e atoni: arido come la terra che ci sta raccontando. In questo passaggio vediamo inoltre il segno di una maledizione che il personaggio porta con sé sin dalla nascita; con lo stesso atteggiamento con cui Ishmael ci fa osservare il solco della folgore che attraversa il corpo di Achab, l'autore rende manifesta la radice di un male senza senso, “mindless violence”, che il giovane porta con sé e che lo accompagnerà per tutta la narrazione. Persino lo scenario naturale in cui la vicenda viene a svolgersi rappresenta uno sfondo aggressivo e mortifero: la natura, che nei primi romanzi americani si configurava come un rifugio, una via di fuga, cambia di segno, il suo valore subisce un totale ribaltamento:

«Il terreno era coperto da un denso strato di opunzie che a tratti si attaccavano ai cavalli con le punte acuminate capaci di trapassare la suola di uno stivale e arrivare all'osso del piede, e il vento soffiava fra le colline e per tutta la notte cantò con un sibilo di serpe velenosa nell'incommensurabile distesa di spine.» (217)

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