• Non ci sono risultati.

Come anticipato, la New York dipinta da Ellis rappresenta un mondo di finzione in cui tutto è effimero, freddo e superficiale. La consapevolezza del protagonista riguardo a questo aspetto è forse uno dei tratti più interessanti, dato che gli permette anche di giocare, come abbiamo visto, con la propria identità così come con l'identità degli altri: sono gli abiti che indossi e i drink che consumi a dire chi sei, l'autenticità di ogni individuo non ha più importanza. La modalità in cui il male viene rappresentato indica una rassegnata accettazione dell'inautentica realtà in cui i personaggi vivono e l'impossibilità di qualsiasi cambiamento o di fuga; osservando Bateman, assistiamo ad un personaggio lanciato nella spasmodica ricerca di nuove sensazioni, di un'eccitazione costante, ma che puntualmente si affievolisce lasciando il posto ad un misero senso di vuoto.

Parliamo di un romanzo che ci proietta in un mondo pervaso dal male in ogni singolo risvolto. Certo, capiamo che Patrick Bateman è uno tra i più grandi esponenti dell'idea di male che Ellis vuole trasmetterci, egli è probabilmente l'esemplare perfetto del concetto di male, tuttavia comprendiamo facilmente che il male venga visto dall'autore come “la questione di fondo”. Proprio la “spersonalizzazione” di cui Bateman ci parla in prima persona relativamente a sé stesso è l'elemento più tangibile e inquietante che dimostra la perfezione del male contemporaneo. Se il male non ha più un volto, ed una patina mimetica si rivela sufficiente a mascherare la sua esistenza, allora questo male sarà sempre indefinibile ed imprendibile. Un chiarissimo segnale testuale che Ellis ci fornisce per acquisire la chiave di lettura del romanzo è appunto il modo in cui Bateman viene costantemente scambiato per qualcun altro. A parte i suoi amici più stretti, ogni suo collega o conoscente lo saluta con il nome di un altro. E perché avviene questo, è lecito chiedersi.

Nella sua analisi del gotico contemporaneo, David Punter individua questa prospettiva per la definizione del male in American Psycho; nella psicotica Wall Street rappresentata da Ellis:

«Il denaro ha creato – o meglio, forse, accentuato – un mondo di simboli senza significato, intercambiabili senza alterare o turbare il sistema stesso […] L'idea di “pura personalità” si è ormai dissolta: per Bateman le persone sono semplicemente l'insieme di quello che indossano e di come pagano, e la sua attività di serial killer è alle volte rappresentata da lui stesso come una serie di tentativi per entrare in contatto con qualcosa di più reale, benché non si renda conto del rapporto tra questo e la punizione rinviata che va scaricando sul proprio corpo difettoso e reso ancor più tale dalla cocaina e dalla tensione.113»

È grazie a questo punto di vista fatto emergere da Punter che possiamo tornare sul concetto di proiezione, concetto che abbiamo utilizzato specialmente nell'analisi dei testi di Lovecraft; quello che vediamo incarnato nel romanzo di Ellis non è altro che un corpus di paure e angosce sociali che terrorizzano la società contemporanea e che appunto vengono in qualche modo esorcizzate nella rappresentazione. Con le dovute precauzioni possiamo far rientrare American Psycho nella categoria del gotico contemporaneo. In particolar modo, Punter parla di gotico

schizofrenico andando a definire il genere come l'espressione, e la conferma nel mondo,

delle nostre peggiori paure:

«[…] la presentazione di mondi di separazione conoscitiva e allucinata, in cui non c'è accesso al di sotto della superficie, in cui ogni cosa è stata “chiusa”. […] la chiusura è anche quella dell'anima: […] non c'è niente “dentro” Patrick Bateman, non rimane nessun mondo interiore.114»

Chiusura e separazione dunque potrebbero essere intese per interpretare la

singolare struttura chiusa nella narrazione degli episodi del romanzo. L'opera di Ellis non presenta una vera e propria trama, la storia che ci viene raccontata è il ritratto di un presente che non ha legami col passato e che non lascia intravedere alcuna possibilità di futuro. La spossatezza di Bateman non trova rimedio in nessuno dei due

113 D. Punter, op. cit., p. 387. 114 Ivi, p. 420.

sensi: mentre nell'atteggiamento di Lovecraft e dello sceriffo Bell, il passato riecheggiava come una dimensione positiva di valori perduti, in Bateman è un qualcosa da dimenticare. Questo l'elemento che dimostra la distanza di questo romanzo dal gotico di tradizione, in cui il passato ha sempre un ruolo, positivo o negativo che sia. L'unica traccia del legame che il testo vuole mantenere con la tradizione sta nel titolo e nel nome del protagonista che rievocano Psycho di Hitchcock e Norman Bates, suo protagonista. Nota tuttavia Punter:

«Ciò che vediamo in American Psycho è in tutto e per tutto una dialettica negativa, la trasmutazione del mistero della “casa oscura” capovolto. In Psycho una condizione patologica trova una ricca articolazione psicotica: in American Psycho la patologia è presente, è l'isolamento psichico del protagonista in un mondo di sua creazione nel quale la sfera cognitiva e quella affettiva divergono; ma invece della conoscenza, della ricca e beffarda conoscenza hitchcockiana della tradizione in cui si colloca, abbiamo un'apocalisse dell'ignoranza, un processo di dimenticanza.115»

A contraddistinguere tale atteggiamento è l'incoscienza del male che prende forma in Bateman, la non coincidenza costante della propria identità così come di tutte le identità intorno a lui, i suoi discorsi appena abbozzati e mai conclusi, in definitiva l'indifferente conquista dell'invulnerabilità in una realtà che rivela di essere solo un ininterrotto rapporto basato sui soldi.

«Qualcuno ha già tirato fuori un cellulare Minolta e ha chiamato un taxi, e poi, mentre in realtà sono distratto perché un sosia di Marcus Halberstam sta pagando il conto, qualcuno domanda, semplicemente, senza riferirsi a niente in particolare: - Perché? - e anche se sono molto orgoglioso del mio sangue freddo e dei miei nervi d'acciaio e del mio senso del dovere, colgo qualcosa e a un tratto me ne rendo conto: Perché? e automaticamente, di punto in bianco, senza motivo, apro bocca, e rispondo, con le parole che escono fuori da sole, ricapitolando il tutto a beneficio degli idioti: - Be', lo so, avrei dovuto farlo davvero, ma ho ventisette anni Cristosanto e questa è, uh, la vita come si presenta in un bar o in club di New York, o magari dappertutto, alla fine del secolo, e così si comportano le persone, avete presente, come me, e questo è quel che per me significa essere Patrick, immagino, perciò, be', yup, uh... - dopo 115 Ivi, p. 414.

di che sospiro, mi stringo nelle spalle e sospiro di nuovo, e sopra una delle porte mascherate da tende di velluto rosso di Harry's vedo un cartello e sul cartello nello stesso colore delle tende c'è scritto QUESTA NON È L'USCITA.» (517)