• Non ci sono risultati.

No Country for Old Men o di un Leviathan contemporaneo: Anton Chigur

La medesima terra di confine maledetta tra Usa e Messico ospita anche un altro capolavoro di Cormac McCarthy. A vent'anni esatti dalla pubblicazione di Blood

Meridian, e dopo aver dato alle stampe la famosa “Trilogia della frontiera” (Border Trilogy), la quale comprende Cavalli selvaggi, Oltre il confine e Città della pianura, testi

pubblicati fra il '92 e il '96, nel 2005 viene alla luce Non è un paese per vecchi (No country

for old men), altro grandissimo testo con cui questo instancabile autore varca i confini

ordinari della narrazione e ci regala una delle rappresentazioni più significative del male contemporaneo americano.

La voce narrante di questo romanzo è sempre esterna alla storia, il suo occhio, come l'obiettivo di una cinepresa, si limita a riportare fatti e azioni così come avvengono; all'inizio di ogni capitolo però troviamo un prologo affidato ad un'altra voce, quella di un narratore omodiegetico, ovvero presente nello svolgimento della trama. Queste brevi introduzioni ai capitoli sono le riflessioni cui si abbandona lo sceriffo Ed Tom Bell, testimone della storia che ci viene raccontata. Si tratta di confessioni caratterizzate da un tono intimo e che si rivolgono, familiarmente, al lettore come ad un “tu”. Esattamente come in Blood Meridian, questo curioso narratore vuole renderci nota sin dalla prima pagina la cifra del male che il romanzo sta per narrarci. Per prima cosa lo sceriffo tiene a precisare che solo una volta, nella sua intera carriera, “mandò a morte” un uomo: il suo arresto e la sua testimonianza

resero possibile la condanna definitiva di un ragazzo di diciannove anni. Accusato dell'omicidio di una quattordicenne, il giovane fu giustiziato nella camera a gas del penitenziario di Huntsville, Texas. Il giorno dell'esecuzione, durante l'ultima chiacchierata con Bell, il condannato:

«[…] disse che da quando si ricordava aveva sempre avuto in mente di ammazzare qualcuno. […] che se fosse uscito di galera l'avrebbe rifatto daccapo. Disse che lo sapeva che sarebbe andato all'inferno.46»

Pare di sentire la perentoria conferma della promessa di Huck Finn che abbiamo riportato nel primo capitolo. La scelta del male, caratterizzata dalla lucida consapevolezza di “finire all'inferno”, viene compiuta deliberatamente, senza alcuna causa di fondo. Il ragazzo ha ucciso perché voleva farlo, in modo cosciente, niente di più. Ci troviamo un'altra volta nel solco tracciato dal concetto di piacere del male ed è proprio lo sceriffo a esprimere l'incapacità americana di guardare in faccia a tale male, l'incapacità di definirlo, comprenderlo e dargli un nome; un'impossibilità e uno sgomento che si palesano nel rifiuto e nella negazione; afferma poco oltre lo sceriffo:

«Mi pareva di non aver mai visto uno come lui e mi è venuto da chiedermi se magari non era un nuovo tipo di persona. […] Dicono che gli occhi sono le finestre dell'anima. Io non so di cos'erano le finestre quegli occhi e mi sa che preferisco non saperlo.» (4)

o ancora:

«Qui l'altro giorno c'è stata una donna che ha messo il figlio appena nato in un trita rifiuti. […] Mia moglie non vuole più leggere il giornale. Probabilmente ha ragione. In genere ha sempre ragione.» (34)

Come giustamente osserva Erik Hage: «nei lamenti dello sceriffo troviamo la base per il titolo del libro, tratto dalle prime righe di Sailing to Byzantium del poeta

irlandese William Butler Yeats.47»; esattamente come l'Io poetico della lirica di Yeats48,

lo sceriffo si sente un vecchio ormai «out of step49» (Ivi). Siamo nel Texas del 1980, il

tempo trascorso e la percezione dei cambiamenti avvenuti rappresentano l'ossessione che tormenta lo sceriffo. Egli intende mostrare il ritratto di un'America ormai totalmente degenerata, che non ha niente più a che fare con il paese della sua giovinezza, popolato da gente per bene e dove al massimo avveniva “qualche scazzottata”. Ora la gente, oltre ad aver dimenticato le buone maniere, spara senza motivo, si droga e si uccide come se fosse del tutto annoiata dalla vita. L'insopportabile discrepanza tra un passato idealizzato e un presente afflitto da una insanabile decadenza rappresenta uno dei motivi fondamentali che attraversano l'intera narrazione. Tale rottura genera un sentimento di malinconica rassegnazione che assilla lo sceriffo; egli si sente un anziano portatore di valori, i quali però non fanno più presa su di una realtà che sfugge ad ogni controllo e ad ogni interpretazione. Nell'analisi del film tratto dal romanzo, diretto da Joel e Ethan Coen, (Non è un paese per vecchi, 2007), Marco Duse esprime precisamente i sentimenti dello sceriffo:

«Il suo paese […] non è più il suo luogo: rimane uno spazio da abitare, percorrere, sul quale sostare, ma al quale è impossibile appartenere. Bell sperimenta lo spaesamento in un paese che riteneva il suo. Si sente fuori posto pur essendo, fisicamente, al suo posto.50»

Uno psicopatico assassino sta seminando morte in giro per lo stato; appena arrestato da un agente di polizia ventitreenne, fa fuori quest'ultimo nel suo ufficio recidendogli la gola con la catena delle manette e scappa; Bell si precipita sul posto per discuterne col collega Lamar, il quale

47 Erik Hage, voce No Country for Old Men, in Cormac McCarthy, a Literary Companion, McFarland, Jefferson, North Carolina and London, 2010, p. 121.

48 «An aged man is but a paltry thing [Un uomo anziano è ben misera cosa]». Cfr. William Butler Yeats,

La Torre, trad. it. di Ariodante Marianni, Bur, Milano, 2005.

49 Secondo la traduzione, possiamo rendere questa espressione sia con “non al passo coi tempi” ma anche “in disaccordo”, il che indica la posizione contrastiva della morale dello sceriffo rispetto a tutti gli eventi che stanno accadendo intorno a lui.

«Aveva l'aria smarrita. Guardò Bell e poi guardò a terra. Scosse la testa e distolse lo sguardo. Una volta quando ero piccolo qui ci giocavo a lanciare il coltello. Proprio qui. I ragazzini di oggi secondo me non sanno nemmeno cosa vuol dire. […] ho la sensazione che abbiamo di fronte qualcosa che non abbiamo mai visto

prima.» (39)

Risulta facile notare che i due condividono lo stesso pensiero desolato, il che ci fa intendere che si tratti di qualcosa di esteso a tutta la comunità. Qualcuno o qualcosa di nuovo e terribile è giunto a sconvolgere piccola ordinata comunità americana. Notiamo come anche in questo caso, in un testo ambientato nella contemporaneità, il male sfugga ad una definizione e venga automaticamente collocato all'esterno di tutto ciò che rappresenta il proprio essere, più esattamente il proprio “essere americani”. I giovani americani sono stati corrotti, ma da che cosa? Quando è successo e perché?

Llewelyn Moss è un giovane veterano del Vietnam che si guadagna da vivere facendo il saldatore in un'officina; è presto riconoscibile l'intenzione dell'autore di rappresentare un tipico cowboy americano ritratto secondo gli stereotipi delle pellicole hollywoodiane: il suo abbigliamento dotato di jeans, stivali e cappello tradizionale non lascia dubbi. Da quello che riusciamo ad evincere nelle prime pagine, Moss conduce una vita che si direbbe tranquilla: vive in un caravan con la giovane moglie Carla Jean, figura che ricalca il topos dell'innocente ragazza americana, a cui la madre rimprovera costantemente il matrimonio affrettato con un poco di buono. Tuttavia Moss è visto dalla comunità, autorità comprese, come «una persona perbene» (59)

Inseguendo un piccolo branco di antilopi nel mezzogiorno che incendia il deserto texano, Moss si imbatte in ciò che resta di un affare di droga finito male. Tre pick-up, sfregiati da raffiche di pallottole, stanno immobili in una conca del terreno, uno dei fuoristrada trasporta un enorme carico di eroina. I cadaveri sparsi tra le pozze di sangue sono tutti ispanici e un uomo ferito gravemente a bordo di un veicolo lo implora per avere dell'acqua. Llewelyn lo ignora e prosegue seguendo una scia di sangue rappreso che porta ad un altro cadavere poco lontano: l'uomo tiene tra le mani una cartella dal contenuto di 2,4 milioni di dollari. Senza pensarci molto

Moss, si impossessa della cartella coi soldi, di alcune armi recuperate in quella scena infernale e ritorna a casa. Durante la notte però il rimorso di non aver aiutato l'uomo agonizzante nel furgone non gli da pace. Siamo subito in grado di osservare come anche Llewelyn incarni la figura del bravo ragazzo americano. Certo, ha fatto qualcosa di gravemente sbagliato, due volte: ha lasciato un uomo a morire sotto il sole del deserto e ha preso soldi non suoi, per di più sporchi, soldi che hanno causato la morte di diversi uomini; ma ecco che la coscienza inizia a rimordere e l'inquietudine non lascia spazio al riposo. La decisione di tornare sul luogo ad aiutare lo sconosciuto trafficante si rivela però inutile e rovinosa. Non appena giunge sul luogo del massacro, Moss viene inseguito dai presunti compagni dell'uno o dell'altro partito di drug dealers, anch'essi appena arrivati sul posto a bordo di un pick-up. Giungono ormai le prime luci dell'alba e Llewelyn riesce a mettersi in salvo, riportando però una profonda ferita d'arma da fuoco. Come abbiamo detto è un reduce del Vietnam, e questo McCarthy vuole rendercelo ben chiaro; a parte la conoscenza che dimostra nel maneggiare le armi e la destrezza con cui lo fa, ciò che più ci aiuta a definire la sua attitudine militare è l'istinto di sopravvivenza; con i piedi devastati dai tagli provocati dagli stivali indossati senza calzini, Llewelyn

«Aprì la piccola fondina di cuoio che portava alla cintura e tirò fuori il coltello, poi si alzò e si tolse di nuovo la camicia. Tagliò via le maniche all'altezza del gomito, si risedette, se le avvolse attorno ai piedi e si rinfilò gli stivali. Ripose il coltello nella fondina e la richiuse, raccolse la pistola, si alzò in piedi e si mise ad ascoltare.» (29)

Notiamo una freddezza e una precisione di cui solo un soldato può essere capace. Llewelyn trova il rimedio per curare una ferita solo con ciò che ha a disposizione, mantiene la calma senza quasi tenere conto della brutta ferita che ha nel braccio, che ora, più che essere curata, va tenuta nascosta per evitare di creare sospetti. Il piano di Moss si chiarisce lentamente, il narratore non riporta mai i suoi pensieri e le sue riflessioni, si limita anzi a farcelo vedere in azione. Tornato a casa riesce a convincere Carla Jean a rifugiarsi presso la madre, in un modo tutt'altro che rassicurante data l'ambiguità del contesto che Moss non vuole rivelare. Dopodiché si attrezza per nascondere il bottino, fa scorta di armi e si mette in fuga. Una fuga difficile da gestire: è inseguito da qualcuno, non sa chi, che rivuole indietro i suoi

soldi, tuttavia deve mantenere un'apparenza da persona normale, se qualcuno dovesse scoprire i soldi sarebbe la fine. Merita una rapida osservazione il dialogo tra marito e moglie, uno scambio di battute dominato dall'assurda ironia di Moss che, nonostante dimostri una lucida consapevolezza di ciò che ha fatto, pare essere abbastanza incurante dei pericoli in cui si è ficcato.

Carla Jean: cos'hai fatto alla gamba? Moss: mi è venuto uno sfogo. […]

C J.: Vuoi che me ne vado a Odessa M: proprio così.

C J: Non stai scherzando, vero?

M: Io? No. Non scherzo per niente. La marmellata è finita? […]

C J: Cosa c'è dentro quella cartella che hai portato a casa? M: Te l'ho detto cosa c'era dentro la cartella.

[…]

C J: Posso andare a guardare?

M: Sei libera, bianca e hai ventun anni compiuti, quindi direi che puoi fare quello che ti pare.

[…]

C J: E a mia madre cosa le racconto?

M: Bé, prova a fermarti sulla porta e a gridare: Mamma, sono a casa. […]

C J: Cos'hai combinato, Llewelyn?

M: Ho rapinato la banca di Fort Stockton. (41-42)

L'inseguitore di Moss risponde al nome di Anton Chigurh, il killer del giovane poliziotto ventitreenne di cui abbiamo già fatto menzione; si tratta di un cacciatore di taglie assoldato dai trafficanti per recuperare il bottino. Nel mondo che McCarthy ritrae è evidente come i trafficanti siano rappresentati quali discendenti della banda di Glanton; sono i nuovi masnadieri, l'incarnazione di un male impiegato al fine di soddisfare la sete di soldi e potere. D'altro canto, Chigurh si presenta come una figura grottescamente disinteressata che Bell definirà come “profeta della distruzione”. Un assassino taciturno, impassibile, che da l'idea di non avere la capacità di provare il benché minimo sentimento: la rabbia, l'impeto e l'eccitazione, le cifre di definizione

del titanico Achab, sono sparite. Chiugurh è immediatamente interpretabile come un rappresentante non umano del male. Il suo statuto asettico è precisamente testimoniato dal modo delle sue esecuzioni: egli uccide servendosi di un cattle gun (pistola per il bestiame), ovvero una pistola pneumatica che, collegata ad una bombola d'ossigeno, spara un tassello di metallo, in grado di sfondare una scatola cranica. Un'arma, insomma, che

«Pur elargendo […] sensazioni pertinenti più al ferino e all'animalesco, che la connettono a una fisicità di notevole ingombro, sa trasmettere anche discrezione, per quel suo sibilo non assordante né invasivo (come un vero sparo).51»

Siamo di fronte ad un'incarnazione del male che ha perduto quindi, oltre al fascino del logoramento interiore e dello scavo psicologico, anche qualsiasi valore di drammaticità nel suo compimento. Chigurh è un mercenario caratterizzato, come lo sceriffo osserva costantemente nei suoi pensieri, da una violenza amorale più che immorale, insensata e senza scrupoli. Sempre analizzando la trasposizione filmica dei fratelli Coen, Giampiero Ariola, osserva come

«Stagliato ripetutamente sugli sfondi come silhouette, o con il volto inespressivo in primo piano, illuminato retoricamente dal basso […] non si identifica dunque solo come presenza nefasta ritagliata occasionalmente nella tenebra di uno squilibrio psichico, ma emerge quale gorgo che annienta ogni vitalità orbitante nella sua prossimità visiva, con la medesima forza centripeta e foto-distruttiva di un buco nero.52»

mentre nel testo lo sceriffo Bell afferma nuovamente:

51 Giampiero Ariola, Non è un paese per vecchi: la percezione pneumatica di un moderno Anticristo, p. 6. https://www.academia.edu/4048062/Non

%C3%A8_un_paese_per_vecchi_la_percezione_pneumatica_di_un_moderno_Anticristo 52 Ivi, p. 4.

«Un tempo dicevo che quelli con cui avevamo a che fare erano sempre gli stessi. Gli stessi con cui aveva a che fare mio nonno. Ai suoi tempi rubavano il bestiame. Oggi spacciano la droga. Ma adesso forse non è più vero. […] mi sa che gente così non l'abbiamo mai vista prima d'ora. Gente di questo tipo. Non so neanche cosa bisognerebbe fare con loro. Se uno li ammazzasse tutti, toccherebbe costruire una dépendance dell'inferno.» (65)

Il male materializzato in Chigurh si caratterizza quindi per essere un male fondamentalmente inevitabile: quale figlio del suo tempo, ormai preda di una decadenza e una violenza inarrestabili, il Killer sostiene il proprio agire come appartenente ad una dimensione soprasensibile, verso cui gli uomini non hanno alcun potere. Esattamente come per il giudice Holden siamo in grado di affermare che la natura di questo sicario è connessa alla natura della balena di Melville. Chigurh si muove per conto di Dio, il suo ruolo è lavare nel sangue i peccati più bassi a cui la società contemporanea ha ceduto. Una scena emblematica che ci da modo di connotare Chiugrh come rappresentante di un male imprescindibile e metafisico, è quella che lo vede coinvolto nella conversazione strampalata col benzinaio; alla banale ed innocua domanda di questi, «Ha trovato pioggia sulla strada?» (43), il Killer reagisce portando il dialogo ad un livello di tensione illogica, sconvolgendo l'interlocutore che, impaurito e messo a disagio dal suo inquietante cliente, cerca di troncare il discorso:

B: Be', dovrei cominciare a chiudere. C: Cominciare a chiudere.

B: Proprio così. C: A che ora chiudete?

B: Adesso. Chiudiamo adesso.

C: Adesso non è un'ora. A che ora chiudete. B: In genere quando fa buio. Dopo il tramonto.

Chiugrh rimase lì a masticare lentamente. Non sai di cosa stai parlando, vero?

[…] Tu abiti in quella casa lì dietro? B: Sì

C: Ci abiti da quando sei nato?

Il proprietario del distributore ci mise un po' a rispondere. Era la casa di mio suocero, disse. In origine.

C: Sposandoti te la sei presa tu. […]

B: Se vuole metterla in questo modo.

C: Non c'è un modo particolare in cui metterla. È così e basta. (44-5)

Effettivamente sarebbe improprio parlare di dialogo, in quanto siamo di fronte ad un botta e risposta secco e spiazzante che non lascia spazio ad una comunicazione efficace. Chigurh anzi, in questo caso, rigetta qualsiasi tipo di comunicazione: tramite la destrutturazione dell'impianto discorsivo, a partire da quel «E a te che te ne importa da dove vengo, amico?» (43), comprendiamo come il killer voglia recidere ogni possibilità relazionale con i suoi, anche potenziali, antagonisti. Nel giro di un breve scambio di battute, Chigurh prende dentro di sé la decisione di ammazzare l'uomo che l'ha importunamente interpellato. Ed ecco come sottilmente McCarthy, con le parole di Chigurh, solleva la questione peccaminosa per la quale il benzinaio dovrebbe essere punito; il Killer mette davanti all'uomo la vera natura della sua colpa: la cupidigia con cui egli, sposandosi, si è impossessato del distributore di benzina. Egli non ha saputo resistere alla tentazione del denaro, il tono del killer vuole smascherare il vizio e la bramosia che hanno accecato il benzinaio, che ora merita un giusto castigo. L'esecuzione viene però impostata secondo le regole immutabili della sorte, sarà il lancio della moneta a riconfermare la vita o a stabilire la condanna dell'uomo: in questo modo il killer intende far capire che la decisione ultima non spetta a lui, Chigurh, come la moneta, è alle dipendenze di un essere supremo.

C: Scegli: testa o croce, disse. […]

B: Per cosa? C: Scegli e basta.

B: Be', devo sapere cosa c'è in ballo. C: Perché, cambierebbe qualcosa?

L'uomo guardò Chigurh negli occhi per la prima volta. Azzurri come lapislazzuli. Scintillanti e al tempo stesso completamente opachi. Come pietre bagnate. Devi scegliere tu, disse Chigurh. Non posso scegliere io. Non sarebbe onesto. Non sarebbe neanche giusto. Scegli, avanti.

B: Ma io non mi sono giocato niente.

C: Sì invece. Te lo stai giocando da quando sei nato. Solo che non lo sapevi. Sai che data c'è su questa moneta?

B: No.

C: Millenovecentocinquantotto. Ha viaggiato ventidue anni prima di arrivare qui. E adesso è qui. E sono qui anch'io. E ci tengo la mano sopra. Ed è testa o croce. E devi dirlo tu. Scegli.

B: Non so cosa posso vincere. […]

Puoi vincere tutto, disse Chigurh. Tutto. […]

B: Testa, allora.

Chigurh scoprì la moneta. Ruotò leggermente il braccio perché l'uomo la vedesse. Ben fatto, disse.

[…]

C: Non metterla in tasca. Sennò non la sai più riconoscere. B: Va bene.

Qualunque cosa può essere uno strumento, disse Chigurh. Cose piccole. Cose che non noteresti neppure. Passano di mano in mano. La gente non ci fa caso. E poi un giorno si fanno i conti. E dopo niente è più come prima.

Nelle mani di Chigurh la moneta si trasforma dunque in uno strumento per la determinazione del fato, da oggetto insignificante essa può assumere il potere di far perdere la vita ad un uomo. Essa è come lui, fisicamente non presenta alcuna caratteristica particolare, tanto da potersi confondere benissimo in mezzo ai suoi simili: come per la moneta, nessuno fa molto caso al suo aspetto53. Chigurh pretende

di connotarsi come agente di un destino che solo le sue vittime, simboleggiate dall'uomo del distributore, hanno la facoltà, anche se cieca, di mutare. Ecco dunque 53 Si rivela magistrale infatti l'interpretazione di Anton Chigurh da parte dell'attore spagnolo Javier

Barden, nella pellicola dei fratelli Coen. Lo sguardo spento, il pallore dell'aspetto (bianco come la