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Distacco sensoriale e necessità del male insensato

In American Psycho osserviamo probabilmente la rappresentazione del male più violenta degli ultimi decenni, risulta dunque doveroso ripercorrere un po' la linea tematica che abbiamo tracciato fino a questo punto. Con Il male necessario, opera già citata e che ci è stata utile in apertura per tracciare i contorni di questo discorso, Arturo Mazzarella ci rende disponibile un ottimo strumento interpretativo per ripercorrere il sentiero del male nella letteratura moderna e, contemporaneamente, per osservare meglio l'opera di Bret Easton Ellis.

Secondo Mazzarella nella maggior parte delle opere della contemporaneità, il male non si connota più come esperienza particolare, ma viene semplicemente considerato

«l'unico amalgama che tiene insieme i brandelli della comunità umana, altrimenti del tutto disarticolata. Non ci sono alternative. […] il male riveste la funzione di un aggregato molecolare radicato nelle intime fibre dell'universo sensibile. Anzi, va considerato una materia prima, irriducibile a qualsiasi deduzione concettuale.116»

Nell'opera letteraria a noi più vicina, il male viene dunque trattato come un presupposto della vita umana: il male è dentro di noi e attorno a noi, risulta del tutto inutile cercare di farvi resistenza; la ribellione non serve più a nulla. Il segno più evidente di tale cambiamento è rintracciabile nella narrazione di “situazioni comuni” vissute da “uomini comuni”; a differenza delle opere dei primi grandi esponenti del male nella modernità, che Mazzarella non fatica a riconoscere in Dostoevskij e Baudelaire, le narrazioni contemporanee mettono in scena una crudeltà e una perversità che attraversano la realtà quotidiana dei personaggi, e proprio tale aspetto permette di attribuire al male quella «plasticità indistruttibile che ne rinnova di

continuo il manifestarsi.117» Il male e il peccato hanno perso, per così dire, la propria

aura di grandiosità trasgressiva; negli scrittori prevale l'indifferenza alla configurazione etica e pratica del male. Esso diviene un semplice oggetto di descrizione e l'autore si comporta come un attento cronista degli eventi.

Lo stile che abbiamo individuato nella prosa degli autori trattati è lucido, distaccato, o appunto, più precisamente, cronachistico. La consapevolezza individuale nei confronti del male viene sempre di più offuscata da un velo di incoscienza che ne determina il progressivo annullamento sino alla perfetta imprendibilità. Tuttavia la letteratura ci dimostra che il male, all'interno di una realtà del tutto imprevedibile come quella contemporanea,

«non può che diventare l'effetto di una inconsapevolezza generalizzata, poiché non esistono più leggi, vincoli morali e responsabilità soggettive. Al loro posto regna, incontrastata, la completa insensatezza.118»

Il male risulta assolutamente insensato, demotivato e proprio queste caratteristiche ne definiscono in gran parte la radicale indefinitezza e l'incomprensibile gratuità. La degenerazione dell'individuo è plasmata inoltre da una precedente e più ampia degenerazione collettiva che con essa si salda. Come abbiamo infatti notato, McCarthy, Harris e Ellis, vogliono mostrare al lettore la combinazione di questi due elementi per permettergli di intravvedere una dimensione di verità, la quale, andando oltre la superficie testuale coincide, in qualche modo, con la sua stessa realtà. La vasta produzione di personaggi pericolosi nella contemporaneità letteraria, artistica e cinematografica sta inoltre a significare una continua metamorfosi del male, il quale si rivela, con sempre maggior forza, un principio inafferrabile.

Sul finire del Novecento quindi il carattere “trasgressivo”, tradizionalmente attribuito al male, è andato sempre più scomparendo sino ad annullarsi in quella che Mazzarella definisce «normalità dell'esperienza119». Il terzo capitolo del libro ci fa

117 Ivi, p. 28. 118 Ivi, p. 51. 119 Ivi, p. 90.

appunto osservare come anche la riflessione sul male si sia staccata dalle precedenti prospettive etiche per abbracciare invece una dimensione estetica120.

Secondo l'autore, il romanzo di Ellis si configura come uno dei massimi esempi di alterazione dell'attività percettiva. Sulla scorta dello psicanalista britannico Wilfred Bion, Mazzarella spiega come tali alterazioni siano riconducibili a una mancata elaborazione da parte del pensiero il quale si rivelerebbe incapace di trasporre le impressioni sensoriali in una sequenza di immagini. L'impossibilità per il pensiero di compiere questo processo di astrazione risulterebbe, di conseguenza, in una «nuova modalità percettiva la cui estensione si va progressivamente dilatando.121»

Le violente espressioni di eccitazione, gli omicidi, in una parola la follia di Patrick Bateman, deriverebbero quindi dall'incapacità della sua mente, dominata dalla psicosi, di astrarre simbolicamente le sensazioni che il suo corpo prova ed egli, questo l'aspetto più spaventoso, ne è più che consapevole. L'esercizio fisico deve essere costantemente portato all'estremo e la sua mente ripetutamente eccitata dalla cocaina, solo così può avvicinarsi alla percezione di qualcosa, per il resto egli non prova

«sensazioni definite, se non l'avidità e forse il disgusto più totali. Avevo tutte le caratteristiche dell'essere umano – pelle, carne, sangue, capelli – ma la mia spersonalizzazione si era fatta così intensa, era andata così a fondo, che la normale facoltà di provare compassione era stata estirpata, vittima di una lenta, precisa volontà. Stavo semplicemente imitando la realtà, ero la rozza caricatura di un essere umano, con un ultimo frammento di cervello ancora funzionante […] non riuscivo ancora a capirne il perché – non riuscivo ad afferrarlo.» (360-1)

Così come non riesce a capire questa sensazione di vuoto, il protagonista non comprende cosa veramente lo spinge a torturare, uccidere o risparmiare le sue vittime. Egli dimostra di essere del tutto incosciente a riguardo. Mentre aspetta sul divano del proprio appartamento una delle tante ragazze catturate nella tela di ragno del suo fascino, Bateman dichiara, senza saperne il perché, che la vittima di quella

120 L'autore sottolinea il significato etimologico in cui deve essere inteso il termine e dunque si riferisce a

aisthesis come percezione.

sera, Patricia, è salva. Interrogandosi sul motivo di tale scelta però, si ritrova impossibilitato ad individuarne la vera motivazione: Patricia è fortunata, ma senza che esista alcuna vera ragione in grado di spiegare la sua fortuna. La sua salvezza può essere determinata dalla ricchezza della sua famiglia, oppure dal libero arbitrio di Patrick Bateman,

«Qualsiasi cosa accada, una cosa è certa: Patricia rimarrà viva, e questa vittoria non richiede alcuna abilità, alcun volo di fantasia, alcuna ingenuità, da parte di nessuno. È così che va, semplicemente, il mondo. Il mio mondo.» (97)

Ogni esperienza di Patrick è dunque autoreferenziale e si esaurisce in sé stessa, esempio chiarissimo della sua psicosi costituita dalla mancata abilità di dare un significato alle proprie impressioni sensoriali. Questa incapacità spiega dunque la natura della sua ignoranza riguardo ai motivi che lo spingono a perpetrare reiterati atti di estrema e insensata violenza. La totale gratuità delle sevizie e degli omicidi è determinata da questo fenomeno. Il motivo, continua Mazzarella

«gli resta ignoto. […] Non può conoscerlo, dal momento che si trova incapsulato nella sua esperienza sensoriale, talmente lacerata e frammentata da riversare, senza alcuna mediazione, le parole nelle cose da esse designate. Impugnare un coltello e squartare il corpo di una donna è il gesto più coerente che Patrick possa compiere: stordito dalla babele di immagini indecifrabili che lo circondano.122»

Egli è costantemente preda delle pulsioni più elementari, di cui l'avidità sessuale è l'esempio massimo. La sua eccitazione erotica, tuttavia, non risulta guidata dal desiderio, ma dal groviglio di pulsioni animali che lo attraggono in una spirale di brutalità la quale domina tutta la sua persona. Ribadendo la sua lacerata capacità di trasferire sensazioni in astrazioni simboliche, la manifestazione primaria di questo disturbo si può osservare nell'immediato valore performativo che le sue parole e i suoi pensieri assumono nella realtà, tratto ulteriore che determina lo stile narrativo di 122 A. Mazzarella, op. cit., pp. 97-8.

questo libro scritto al presente e in prima persona. La parola di Bateman è contemporaneamente azione, essa si fa azione nel momento stesso in cui viene pronunciata, proprio questo determina il suo incontenibile bisogno di uccidere, per esempio, un bambino allo zoo di Central Park, in cui vaga «senza requie» (380). Oltre che ritrovarlo in un famoso titolo della letteratura italiana di fine secolo, l'odore del

sangue (di Goffredo Parise, 1997) sembra quasi esprimere una categoria dell'attrazione

perversa che caratterizza il personaggio. Bateman non riesce a sottrarvisi e, pensandoci, si lancia nell'agitata esposizione dei sogni in serie che ricorda l'inconfondibile sequenza di immagini che scorrono nella mente di Alex DeLarge (Malcom McDowell) protagonista di A Clockwork Orange (1971) realizzazione filmica dell'omonimo libro di Anthony Burgess, firmata Stanely Kubrick:

«L'odore del sangue penetra nei miei sogni, che sono, nella maggior parte dei casi, terribili. […] I miei sogni sono un'infinita serie di incidenti d'auto e disastri aerei, sedie elettriche e macabri suicidi, siringhe e pin up mutilate, dischi volanti, jacuzzi di marmo, granelli di pepe rosa.» (479)

La successione frenetica, seriale che vediamo regolare questa riflessione allucinata è la stessa che determina l'impossibilità di vivere in un mondo guidato dalla temporalità condivisa dell'esperienza. Il mondo per Bateman altro non può essere se non il suo mondo: una realtà presentata come una «solipsistica successione di puri presenti123», questo l'aspetto determinante la struttura che abbiamo definito “a

compartimenti stagni” di American Psycho. Gli episodi della vita del protagonista non hanno possibilità di relazione perché l'incrinatura psicotica della sua mente impedisce una valida continuità temporale dell'esperienza. Egli non può imparare nulla e non potrà mai guarire, ogni evento chiuso tra le varie parentesi della sua vita si connota esclusivamente come una pulsione maligna atemporale e mai definitivamente appagata. Patrick Bateman diviene così il simbolo della mancanza di senso che attanaglia la contemporaneità e che regola, nel nostro tempo, le azioni individuali tanto quanto quelle collettive.

«[…] Patrick, nella sua patologica trasgressività, non risulta un'eccezione creata da Ellis con plateali intenti pulp. La vita di Patrick è impregnata, infatti, di una tragicità desolata, priva di spiragli catartici: molto distante dalle gratuite provocazioni e dagli effetti scenici che, negli stessi anni, sta per canonizzare Quentin Tarantino.124»

Nonostante ci si possa riferire a Tarantino come ad un altro grandissimo esponente del male americano, la distanza è immediatamente percepibile.

In questo discorso abbiamo tentato di investigare il male in una prospettiva differente. Si è cercato, infatti, di far luce sull'essenza delle rappresentazioni di un male puro e senza fine, mentre risulta necessario constatare come il male perpetrato dalle figure ritratte in capolavori come Le iene (1992) o Pulp Fiction (1994), forse le due migliori realizzazioni di Tarantino, sia di natura del tutto diversa in quanto sempre connotato come mezzo per raggiungere uno scopo. Basta ricordare solamente la “conversione” di Jules Winnfield (Samuel L. Jackson) per osservare la differenza che corre tra le opere di Tarantino e l'assolutezza del male che segna la natura dei personaggi pericolosi presenti in questo discorso. Con American Psycho il male si configura nei termini di una trasgressione del senso, l'insensatezza e la totale gratuità ne costituiscono l'essenza inafferrabile. Come anticipato all'inizio di questo capitolo, il romanzo di Ellis provocò un'aspra polemica relativa agli episodi di brutale violenza in esso contenuti. Ci sembra doveroso osservare che la ragione scatenante di tale rigetto iniziale sia da attribuire proprio all'assurdità del male in esso rappresentato. La produzione letteraria e cinematografica di cui abbiamo discusso indica dunque una sorta di intima necessità da parte degli Stati Uniti di dipingere tali figure.

Il collegamento ad un bellissimo lavoro della cinematografia, più inerente al male di cui ci siamo occupati, ci può illuminare su quest'ultimo punto. Parliamo della

Trilogia della morte di Gus van Sant, iniziata nel 2002 con Gerry e conclusasi con Last Days nel 2005, una serie di realizzazioni che interpretano e mostrano la presenza del

male nelle nuove generazioni.

Il secondo film della trilogia, intitolato Elephant, è quello che maggiormente può esserci d'aiuto a questo punto. Elephant racconta l'eccidio avvenuto nel 1999 conosciuto come “il massacro della Columbine High School”, un liceo nei pressi di Denver (Colorado). L'intento della pellicola è quello di ricostruire la tragica giornata, 124 Ivi.

il 20 aprile 1999, in cui due diciassettenni, Eric Harris e Dylan Klebold, alunni della Columbine, entrarono a scuola armati col proposito di assassinare quante più persone possibile. Nell'attentato rimasero uccisi un insegnante e dodici studenti, altri ventisette vennero feriti, mentre i due giovani killer si suicidarono.

Il film sottolinea abbastanza chiaramente l'assenza di motivazioni apparenti che spieghino l'esplosione di rabbia dei due giovani studenti: il male senza ragione, mancante di senso è il suo vero oggetto. La conferma di tale aspetto ci viene suggerita per esempio dall'assenza di impulsi vitali da parte dei due ragazzi: essi agiscono automaticamente guidati da un'aggressività cieca, calma e imperturbabile. Si tratta dello stesso comportamento individuato in Chigurh e nei personaggi di McCarthy. Certo, si nota una differenza evidente tra le rappresentazioni delle forti personalità McCartiane e quella dei due giovani, completamente dominati da una malvagità esteriore, tuttavia vediamo che il germe del male da luogo al medesimo risultato.

La mente di Eric e Dylan (chiamato però Alex nel film) dimostra di essere offuscata dalla realtà virtuale dei videogiochi, nei quali i due riversano il loro bisogno di violenza, e che hanno catturato del tutto la loro esperienza percettiva, l'uso delle espressioni “abbattere come birilli” le future vittime e “per divertimento” sta a dimostrare esattamente l'allontanamento totale dalla percezione del mondo.

«Perché questa dev'essere una giornata divertente.. Insomma ci pensi? Tu hai il tuo Tec-9, hai il tuo bel fucile e io il mio fucile a pompa, il mio 2.23 in spalla e anche un paio di pistole e un coltello, con l'esplosivo che abbiamo tiriamo avanti una giornata... ma soprattutto ci dobbiamo divertire!»

La realtà per loro non è altro che uno scorrere illogico di immagini: osservando la struttura e la sequenza delle scene, infatti, si può notare la somiglianza che esse hanno con la successione degli eventi che abbiamo messo a fuoco per il romanzo di Ellis. Tra gli eventi, e le scene, non vi sono giunture narrative o nessi cronologici. Una stessa scena, l'incontro tra John e Elias, due ragazzi di quel liceo, è infatti mostrata più volte grazie alla moltiplicazione del punto di vista. Il flusso incessante di immagini sradica la linea di una qualsivoglia temporalità, mostrandoci

una realtà costituita da soli frammenti privi di senso. A tale realtà, il regista vuole mostrarci, appartengono tutti i ragazzi della scuola, anch'essi trattati come semplici sagome prive di personalità. Il titolo fa riferimento all'espressione idiomatica presente in lingua inglese “To have an elephant in the room” la quale vuole esprimere la presenza di un problema impossibile da ignorare, ma che tutti trascurano intenzionalmente perché scomodo da affrontare. I due giovani studenti infatti comprano le armi in Internet senza il minimo controllo, tuttavia la denuncia morale degli aspetti causali della tragedia non fa parte degli intenti di van Sant. A differenza del bellissimo film documentario Bowling for Columbine di Micheal Moore, che a partire dal massacro in questione, vuole ritrarre il problema dell'uso e della circolazione indiscriminata delle armi da fuoco negli Stati Uniti, Elephant non fa leva sull'eco traumatica che la strage del '99 ha generato, andando a chiamare in causa sia gli aspetti socio-politici che gli aspetti emotivi di un'intera nazione. Il film mostra il male in sé, e cerca di comunicarci, come messaggio ultimo, che la strage è stata pianificata e voluta da Eric e Dylan perché inconsapevoli e incoscienti del male compiuto. Che questo male sia, come ci ha spiegato Mazzarella, una componente necessaria e imprescindibile della natura dell'uomo, destinata ad emergere costantemente? Con le opere analizzate abbiamo cercato di indagare alcuni aspetti che ruotano attorno alla sua rappresentazione e abbiamo constatato che la spirale di violenza che avvolge la dimensione di questi testi traccia contemporaneamente i contorni della realtà extraletteraria. Questa non pretende di essere una risposta, la consapevolezza dell'estensione pressoché infinita dell'argomento, così come della sua resa letteraria, rende impossibile darne una, ma solo la presentazione di una prospettiva attraverso cui osservare le acrobazie stilistiche che questo tema ha generato.

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