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«Durante l'inverno 1927-28, funzionari del governo federale condussero un'inchiesta segreta a causa di fatti poco chiari avvenuti ad Innsmouth, antico porto di pesca del Massachusetts. Il pubblico ne venne a conoscenza in febbraio, quando fu effettuata una vasta serie di retate e di arresti, seguita dalla deliberata distruzione col fuoco e la dinamite di un gran numero di edifici cadenti, fatiscenti e ritenuti vuoti nel quartiere abbandonato del porto. Naturalmente erano state prese le opportune precauzioni. I meno curiosi considerarono l'episodio alla stregua di uno dei tanti scontri violenti nella lotta senza quartiere ai contrabbandieri di alcolici. […] Sono stato io a fuggire freneticamente da Innsmouth nelle prime ore del

mattino, il 16 luglio 1927, e sono stati i miei disperati appelli a indurre il governo ad aprire l'inchiesta e a prendere i provvedimenti che seguirono. […] adesso che tutto è finito e la curiosità del pubblico e il suo interesse sono scomparsi, provo il bizzarro e insopprimibile desiderio di parlare delle poche, terribili ore trascorse in quel porto di morte e di mostruose anormalità […] parlarne mi fa bene perché mi aiuta a ritrovare fiducia nelle mie stesse facoltà mentali […] mi aiuta a preparare il mio spirito a un certo, spaventoso passo che sto per compiere.» (275-77)

Questa sconcertante dichiarazione apre il racconto che stiamo per analizzare, il cui titolo originale è The Shadow over Innsmouth. Il racconto, come si capisce leggendone le prime righe, è narrato in prima persona; il narratore, e protagonista della storia, è un giovane appassionato di ricerche antiquarie che, per festeggiare l'arrivo della maggiore età, intraprende un solitario viaggio nel New England attraversando le città di Newburyport e Arkham. Oltre che la soddisfazione del proprio interesse antiquario, il cui punto di riferimento è l'osservazione dell'architettura, il giovane ha in mente di condurre una ricerca genealogica: esplorare biblioteche, affrontare polverosi archivi anagrafici, scavare insomma nel passato, al fine di recuperare elementi riguardanti le origini della propria famiglia. Nella stazione di Newburyport sente parlare di Innsmouth, una cittadina caduta in rovina nell'ultimo secolo; un'atmosfera decisamente strana avvolge la reputazione del luogo: ha più case disabitate che abitanti, la sua posizione non è segnata nelle mappe più recenti e la diramazione ferroviaria che vi si dirigeva cadde in preda ad un inevitabile abbandono. Pochi elementi che bastano però ad accendere la curiosità del giovane. Il carattere misterioso che ruota attorno alla storia della cittadina viene percepito immediatamente: un tempo essa stava per diventare una città vera, sarebbe potuta diventare la più importante della zona grazie ai suoi commerci: la grande raffineria d'oro della famiglia Marsh e l'attività peschereccia, le quali garantivano una vita tranquilla alla sua intera popolazione. Tuttavia, le due principali fonti di profitto si spensero lentamente sino a ridurre Innsmouth ad un'economia di sussistenza; la cittadina si chiuse in sé stessa, rimase tagliata fuori dal resto del mondo e persino i suoi abitanti sparirono dalla circolazione. Si direbbe una città da evitare dunque, ma è proprio l'essenza arcana e malefica delle leggende che aleggiano su di essa ad attirarvi il protagonista. Nonostante il fascino cupo che il luogo porta con sé, l'atteggiamento del giovane è quello scettico che abbiamo incontrato anche nel precedente racconto:

egli indaga la storia alla luce della sola ragione, relegando nella superstizione qualsiasi elemento che se ne discosti. Il commesso della biglietteria ferroviaria mostra la medesima posizione:

«I loro racconti la farebbero ridere a crepapelle: dicono che il capitano Marsh avesse fatto un patto col diavolo e che avesse portato dei mostri usciti dall'inferno a vivere ad Innsmouth; oppure che nel 1845, più o meno, fosse scoperto per caso vicino al porto una specie di culto demoniaco con relativi sacrifici umani […] dovrebbe sentire certi vecchi parlare della scogliera nera al largo della cittadina... lo Scoglio del Diavolo, lo chiamano. […] lo si sospettava [il capitano] di recarsi in barca sul posto quando la marea lo consentiva, di notte. […] magari vi cercava i tesori dei pirati ed è possibile che ne abbia anche trovati; ma ovviamente la gente ha cominciato a parlare subito dei suoi pretesi rapporti coi diavoli […] questo accadeva prima della grande epidemia del 1846.» (279)

Il fenomeno, come viene spiegato al giovane, creò disordini e tumulti e da quel momento la cittadina non si riprese più. Le cosiddette famiglie migliori l'abbandonarono e ad oggi la comunità locale si compone di fuorilegge che pescano un'enorme, inspiegabile quantità di pesce che si affolla da quelle parti76. In un breve

passaggio dunque, l'autore ci lascia intravedere i cardini del suo discorso di trasposizione nel soprannaturale. Così come la popolazione della zona traspone le proprie paure nell'elaborazione di storie lugubri e leggende demoniache, l'operazione narrativa di Lovecraft compie il medesimo atto: interpretando le ansietà del proprio tempo, e della propria vita, costruisce un universo mostruoso che diviene la chiave di lettura della società a lui contemporanea.

Prima della partenza per Innsmouth, due elementi tangibili giungono a convalidare il sentimento di ripulsa che i suoi cittadini hanno generato negli abitanti della zona circostante; per prima cosa vi sono gli «strani gioielli oscuramente associati

76 Facciamo rapidamente osservare un dettaglio che si perde nella traduzione; descrivendo la gente di Innsmouth, l'interlocutore del protagonista afferma: «I guess they're what they call “white trash” down South - lawless and sly, and full of secret doings.». La locuzione White Trash è un termine dispregiativo che indica una classe sociale povera, costituita principalmente da lavoratori rozzi e ignoranti, tipicamente presente nella società degli stati del sud. Lo stereotipo negativo è notevolmente popolare nella cultura e nelle rappresentazioni statunitensi. Ciò che fa pensare però è la specificazione insita nell'aggettivo white, particolare che indica come la distinzione tra bianchi e neri sia sentita in maniera obbligata, necessaria; come a dire che la parola trash indichi automaticamente la gente di colore e che ogni qualvolta si parli di bianchi degradati al livello della spazzatura, si debba anche precisare che, tuttavia, non si tratta di neri.

ad Innsmouth», di cui un grandioso esempio è conservato nella sala esposizioni della Newburyport Historical Society, ovvero un'enorme tiara;

«La parte frontale era molto alta, con una circonferenza ampia e singolarmente irregolare, come se fosse stata ideata per una testa dal contorno capricciosamente ellittico. […] il suo misterioso luccichio, più vivido di quello dell'oro, faceva pensare a una strana lega di metalli altrettanto preziosi e difficilmente identificabili. […] Più la guardavo, più m'affascinava; tuttavia in quell'attrazione v'era un alcunché di curioso e inquietante, che non avrei saputo definire né spiegare. In un primo tempo attribuii quella nota di disagio alla peculiarità quasi “ultraterrena” dell'opera d'arte che avevo sotto gli occhi. […] Era come se fosse stata eseguita su un altro pianeta.» (285)

La connessione della cittadina maledetta con i materiali preziosi ha infatti sempre destato sospetti nella zona circostante, anche per via della sinistra reputazione del capitano Obed Marsh, fondatore dell'omonima raffineria. In secondo luogo, l'aspetto fisico degli abitanti di Innsmouth, di cui il protagonista è stato informato sempre dal commesso alla stazione, risulta alquanto strano, tuttavia il giovane non è disposto a farsi impressionare da chiacchiere che ritiene insensate. Il mattino seguente però, si presenta davanti ai suoi occhi Joe Sargent, l'autista della corriera diretta ad Innsmouth; l'aspetto dell'uomo, il protagonista è costretto ad ammettere, genera

«[…] un istintivo moto di ripugnanza […] Doveva avere trenta, trentacinque anni, ma le bizzarre e profonde grinze ai lati del collo lo facevano sembrare più vecchio […] Aveva la testa stretta, occhi d'un azzurro slavato che sembravano non chiudersi mai, naso piatto, fronte e mento sfuggenti […] in alcuni punti la pelle sembrava squamosa […] Evidentemente, a tempo perso, lavorava o ciondolava nelle pescherie, perché ne emanava il caratteristico odore […] capivo perché la gente vedesse in lui uno straniero. Personalmente, avrei pensato a una degenerazione biologica piuttosto che a sangue esotico.» (288)

Questi due elementi danno subito la sensazione di essere in un contesto appartenente al non umano. Avvicinandosi sempre più ad Innsmouth la natura fornisce un'ulteriore segnale d'allarme, presentandosi come assolutamente differente rispetto al resto del paesaggio. Gli alberi, quelli che restano, sono secchi e morenti, la terra pare bruciata e qua e là si intravvedono tratti di mura crollate. La contea, un tempo fertile e popolosa, iniziò il proprio lento decadimento in concomitanza dell'epidemia di cui abbiamo fatto menzione; come abbiamo visto, la gente del luogo mette in relazione l'infausto destino di quella terra con l'intervento di forze maligne: successivamente al patto col diavolo di Obed Marsh, che portò oro e pesce in quantità, il demonio stesso si sarebbe impossessato della città così come dell'anima dei suoi abitanti. Le informazioni che il giovane viaggiatore ha accuratamente recuperato parlano però di «un dissennato disboscamento troppo vicino alla linea costiera, che aveva privato il suolo della miglior protezione e lasciato via libera alle dune ammonticchiate dal vento.» (290)

Niente che riguardi l'intervento di agenti soprannaturali dunque, bensì del tutto naturali. Risulta interessante notare come in questa breve descrizione, l'autore ci suggerisca nuovamente la prospettiva con cui osservare lo scenario desolato che scorgiamo dai vetri di una corriera; è purtroppo doveroso credere a quest'informazione, l'uomo e la sua inestinguibile sete di ricchezza hanno provocato la distruzione di un territorio verde e rigoglioso. Le due note predominanti nello scenario della città stessa sono scarsità di segni di vita e un decadimento urbanistico imparagonabile. L'aspetto generale delle poche persone incontrate inoltre presenta i tratti della “maschera di Innsmouth”, ovvero è caratterizzato dai medesimi particolari inquietanti che segnano il volto di Joe Sargent. L'incontro con un giovane commesso, apparentemente normale, in un negozio del centro, porta al nostro viaggiatore nuove e più precise indicazioni connesse alla stranezza del luogo; è qui che viene a conoscenza di un culto esoterico chiamato “Ordine di Dagon” che da numerosi anni aveva soppiantato il credo cristiano; tutte le chiese di Innsmouth erano state conseguentemente trasformate in templi dedicati alle cerimonie di questa fede arcana e misteriosa la cui professione implica «prodigiose metamorfosi del corpo in base alle quali esso guadagnava l'immortalità già su questa terra, o qualcosa di simile.» (296) Il ragazzo racconta l'assurdità dei riti e dei paramenti dei sacerdoti, affermando poi come sia spaventoso udire le loro salmodie eretiche, specialmente durante le due festività fondamentali del culto celebrate la notte del 30 aprile e quella del 31 ottobre,

ovvero le notti di Calendimaggio e di Ognissanti. Proseguendo la chiacchierata, il protagonista rimane sempre più stupito dalle rivelazioni del giovane commesso, in particolar modo quando apprende che l'aspetto estetico ripugnante di Joe Sargent non è nulla se paragonato a quello di altri suoi concittadini; ad Innsmouth non è possibile parlare di “sangue straniero”, ma è più probabile che quei corpi mostruosi siano il risultato di una malattia che si aggrava col passare degli anni, tuttavia nessuna ipotesi che fosse in grado di spiegare concretamente quelle deformità è mai stata formulata. L'insaziabile curiosità del protagonista non può tuttavia essere soddisfatta dalla conoscenza relativamente scarsa del giovane, il quale gli suggerisce allora di cercare il vecchio Zadock Allen, un canuto novantaseienne con la passione dell'alcol, ma dall'aspetto normale, umano.

Procuratosi una bottiglia di whiskey di contrabbando, il protagonista si mette sulle traccie del vecchio che, appena accortosi del bottino del giovane, non esita a dare via al racconto dei veri fatti di Innsmouth. Allen narra dunque del passato della cittadina, degli strani eventi occorsi, ma alle orecchie del giovane tutto ciò è ancora una volta il frutto di una mente condizionata dalle innumerevoli leggende locali e per di più dall'euforia alcolica. Tuttavia la storia lo interessa: in qualche modo il giovane è convinto che la gente di Innsmouth abbia tentato di dare una spiegazione al declino della città ricorrendo all'immaginario soprannaturale costruito dalle leggende77. La

narrazione di Allen infatti spiega come tutto sia cominciato allo Scoglio del Diavolo,

«[…] quel posto maledetto dove cominciano le acque profonde. È la porta dell'inferno... va giù a picco e non c'è scandaglio che riesca a toccarne il fondo. La colpa è del vecchio capitano Obed: nelle isole dei Mari del Sud ha trovato cose che non fanno bene […] Chiamava scemi tutti quelli che si comportavano come cristiani […] diceva che avrebbero fatto meglio a trovarsi dèi migliori, come quelli della gente delle Indie... dèi che portassero tanto pesce in cambio dei loro sacrifici e esaudissero le preghiere per davvero. […] Ovviamente, sapevo che il suo racconto non era altro che il delirio di un alcolizzato.» (306-7)

77 Come se si trattasse di un caso di trasposizione nella trasposizione; «Il folle racconto […] mi interessava molto, perché mi sembrava contenesse una rozza allegoria basata sulle bizzarrie di Innsmouth ma condita da una immaginazione a un tempo creativa e pregna di reminiscenze d'esotiche leggende. […] vi avvertii una nota di genuino terrore.» (311-12). Sembra quasi che Lovecraft ci parli della sua stessa operazione narrativa.

La leggenda vuole appunto che Obed Marsh, durante i suoi viaggi commerciali con le Indie orientali, avesse fatto conoscenza con la religione dei Kanaka, una popolazione indigena. I Kanaka portavano bracciali d'oro raffiguranti mostruose figure simili a pesci-rana, veneravano delle divinità completamente sconosciute ad altri popoli della zona, i quali oltretutto non si spiegavano la quantità enorme di pesce che essi riuscivano a prendere. Due volte l'anno, la notte di Calendimaggio e quella di Ognissanti, pare che i Kanaka si incontrassero con questi dèi emersi dal fondo del mare, su un'isoletta vulcanica piena di sculture orribili. Il motivo di quest'incontro non era altro che il rinnovamento del patto stipulato: i Kanaka consegnavano in sacrificio alle mostruose divinità un numero di giovani e in cambio ricevevano enormi quantità di gioielli, nonché l'abbondante pescosità del mare. Lo scambio blasfemo durò a lungo, finché un giorno le creature decisero di accoppiarsi con gli umani; «pare che tutti gli uomini abbiano una specie di parentela con le cose-dell'acqua. Ogni essere vivente è uscito dall'acqua e bastano pochi ritocchi per tornare adatti a quel tipo di esistenza.» (309) Dall'unione delle due specie sarebbero nati bambini umani, ma col passare degli anni si sarebbero tramutati in esseri anfibi e avrebbero fatto ritorno al mare, il che li avrebbe resi immortali. La fine volle che la tribù dei Kanaka degenerò completamente, «per quella gente la morte non ebbe più alcun significato. Se non scoppiava una guerra con gli altri indigeni, se non venivano scelti come vittime per gli déi del mare […] vivevano per sempre. Vivevano per aspettare il cambiamento.» (Ivi)

A quei tempi l'economia di Innsmouth era piuttosto in crisi, fu così che al capitano Marsh venne in mente di poter condurre il medesimo affare stipulato dai selvaggi Kanaka, la cui validità divenne ancora più chiara quando fece ritorno l'ultima volta sull'isola e la trovò deserta. In breve, stando al racconto del vecchio Allen, Obed Marsh evocò le funeste creature ed iniziò lo scambio che segnò per sempre il destino della cittadina e della sua gente.

«Immagini di vedere, una notte, la barca di Obed che scarica qualcosa al di là dello scoglio. E poi, il giorno dopo, venire a sapere che un ragazzo è sparito da casa. […] E così, signore, Obed si rimise in sesto […] il fumo usciva di nuovo dalle ciminiere dello stabilimento. Altra gente si arricchiva in fretta, in porto c'era tanto di quel pesce da crepare. […] A lui interessavano solo i gingilli d'oro e non importava se li doveva pagare salati.» (314)

Ma anche per la gente di Innsmouth, come per i Kanaka, arrivò il momento in cui obbedire all'ordine degli dèi Antichi, concedersi all'unione definitiva, accoppiarsi e mischiare le razze. Ovviamente molti cittadini si opposero, fecero resistenza, e per due settimane riuscirono ad arginare la follia di Obed; una notte però le creature approdarono sulla terra, misero a ferro e fuoco la città rapendo donne e bambini e facendo sparire chiunque osasse opporsi, una delle vittime fu proprio il padre di Zadok Allen. Obed prese il comando dell'intera Innsmouth e tutti vennero costretti a compiere il Giuramento dell'Ordine di Dagon; «Noi […] e i nostri figli non saremmo mai morti, ma saremmo tornati alla madre Idra e al padre Dagon da cui tutti discendiamo... Iä! Iä! Cthulhu fhtagn! Ph'nglui mglw'nafh Cthulhu R'lyeh wgah-

nagl fhtagn...» (316) Da quel momento cominciarono i fatti strani; i bambini nati dopo

il 1846 diventavano grandi più rapidamente del solito e giunto un certo tempo maturavano il cambiamento: i tratti più evidenti erano la comparsa delle branchie, la crescente deformità del viso e l'impossibilità di chiudere gli occhi: in altre parole il loro corpo si preparava per il mare. Alcuni di essi erano talmente ripugnanti che le famiglie si risolsero a tenerli nascosti e sotto la cittadina venne costruita un'apposita rete di gallerie. Una lenta conquista dunque, sono i termini di una vera e propria invasione che Lovecraft utilizza per questo racconto: l'avanzata inesorabile delle divinità marine sta per concludersi con l'inabissamento totale di tutta la popolazione di Innsmouth.

A questo punto della narrazione, il vecchio Allen lancia improvvisamente un grido di terrore e scappa in preda al panico. I due sono stati avvistati dalle creature del mare che forse hanno anche udito l'argomento del loro discorso. Appena svoltato l'angolo di un edificio diroccato, il vecchio sparisce nel nulla e il narratore, guardando in mare, non scorge alcunché. Nonostante l'inquietudine di quel grottesco episodio, egli non ha intenzione di perdere il controllo. Ritornando allo squallido hotel Gilman House, riesamina gli appunti presi durante la conversazione con Allen «isolandone un nucleo di allegoria storica.» (320); il suo distacco rimane imperturbabile, è assolutamente convinto del carattere favoloso di tutte le storie che ha sentito sui cittadini di Innsmouth tanto da dispiacersi sentitamente per il vecchio Allen: l'odio e la rabbia che ha provato per anni, e che prova tuttora, nei confronti del rovinoso destino toccato alla sua città l'hanno spinto nel baratro di un alcolismo allucinato, grazie al quale vivifica di autentico e dettagliato orrore i suoi racconti.

Al Gilman House cala la notte e puntuali arrivano i rumori sospetti, i furtivi passi sulle scale e gli scricchiolii. Tuttavia il giovane viaggiatore trova le spiegazioni di qualsiasi fenomeno, per strano che sia, fidandosi sempre della ragione e della sua logica. L'ordine di Dagon non è che una cerchia di eccentrici che continua la tradizione massonica americana, le leggende sulle divinità marine non sono altro che uno strumento utilizzato per interpretare il decadimento economico e sociale di una cittadina e la stranezza del loro aspetto è dovuta ad una malattia. Alla stessa maniera cerca di dare una risposta agli strani movimenti uditi:

«Ero finito in uno di quegli alberghi dove si assassinano i viaggiatori per derubarli? Di certo non avevo l'aria di una persona facoltosa. O era colpa del risentimento che quella gente nutriva per i visitatori curiosi? Avevano fatto caso alla mia passeggiata e alle numerose volte in cui avevo consultato la carta della città disegnata dal commesso? Dentro di me pensai che dovevo avere i nervi a pezzi per lasciarmi andare a tante congetture soltanto a causa di qualche scricchiolio; comunque rimpiansi di essere completamente disarmato.» (324)

In un attimo però le minacce immaginate prendono forma nella realtà: qualcuno sta tentando di scassinare la serratura della porta e, elemento ancora più inquietante, alcune voci confuse e smorzate, udite nel corridoio dell'hotel, divengono latrati e gracidii inarticolati che, pur non appartenendo ad alcun linguaggio umano, esprimono una comunicazione tra due o più esseri. La paura si fa rapidamente incontrollabile, la decisione di fuggire dall'hotel viene presa all'istante ed una terrificante visione si para davanti agli occhi del protagonista ormai disperato.