• Non ci sono risultati.

Blood Meridian: sogno western e piacere del male Il caso Holden

Avvicinarsi a Meridiano di sangue (Blood Meridian or the Evening Redness in the West – 1985), strabiliante romanzo di Cormac McCarthy, lascia senza parole: parliamo di un libro che colpisce con una scarica di brutalità incessante. Siamo nel 1850 e la banda del capitano Glanton, una gang di sanguinari assassini, sta attraversando le terre di confine tra Stati Uniti e Messico con l'incarico ricevuto dalle autorità governative messicane di “fare pulizia”, ovvero assassinare più Apache possibile e distruggere ogni singola traccia della loro presenza. Il periodo di tempo in cui viene ambientata la storia segue di poco la guerra Messicano-Statunitense (1846-48), conflitto al termine del quale, grazie all'annessione della California e del Texas, vengono ridisegnati i confini tra i due paesi. Si tratta dunque di uno scenario arido e

poverissimo in cui si ritrovano a convivere bianchi conquistatori americani in corsa verso l'West, profughi messicani e tribù di guerrieri pellerossa in costante lotta per riavere la propria terra.

La narrazione non tarda a porre in luce i toni e i contenuti del suo discorso. Nella prima pagina del romanzo ci viene presentato il ragazzo («The Kid»), il protagonista senza nome della vicenda. McCarthy mostra inizialmente la volontà di staccarsi da quello stereotipo letterario del ragazzo innocente in cerca del distacco dalla civiltà:

«La madre morta da quattordici anni aveva incubato nel ventre proprio la creatura che l'avrebbe uccisa. Il padre non pronuncia mai il nome della donna, il ragazzo non lo conosce. Non sa leggere né scrivere, e già gli cova dentro un gusto per la violenza insensata.35»

Notiamo subito il carattere tagliente della scrittura di McCarthy: uno stile diretto e privo di coinvolgimento che si esprime in una sintassi dai tratti brevi e atoni: arido come la terra che ci sta raccontando. In questo passaggio vediamo inoltre il segno di una maledizione che il personaggio porta con sé sin dalla nascita; con lo stesso atteggiamento con cui Ishmael ci fa osservare il solco della folgore che attraversa il corpo di Achab, l'autore rende manifesta la radice di un male senza senso, “mindless violence”, che il giovane porta con sé e che lo accompagnerà per tutta la narrazione. Persino lo scenario naturale in cui la vicenda viene a svolgersi rappresenta uno sfondo aggressivo e mortifero: la natura, che nei primi romanzi americani si configurava come un rifugio, una via di fuga, cambia di segno, il suo valore subisce un totale ribaltamento:

«Il terreno era coperto da un denso strato di opunzie che a tratti si attaccavano ai cavalli con le punte acuminate capaci di trapassare la suola di uno stivale e arrivare all'osso del piede, e il vento soffiava fra le colline e per tutta la notte cantò con un sibilo di serpe velenosa nell'incommensurabile distesa di spine.» (217)

Come ci fa osservare Georg Guillemin, è come se l'infatuazione del narratore per lo sfondo desertico facesse apparire la profonda ostilità di questo ambiente più adatta ad accogliere la visione pastorale di McCarthy. È l'espressione Optical Democracy a definire l'estetica pastorale dell'autore36:

«Nella neutra austerità di quel terreno tutti i fenomeni erano affidati a una strana eguaglianza, e nessuna cosa, né un ragno, né una pietra, né un filo d'erba, poteva vantare diritto di precedenza. L'assoluta visibilità di questi oggetti snaturava la loro familiarità, poiché l'occhio identifica la totalità sulla base di qualche caratteristica o parte, mentre qui nulla era più luminoso di qualcos'altro e nulla era più adombrato, e nella democrazia ottica di paesaggi del genere qualsiasi predilezione è pura bizzarria, e fra un uomo e una roccia si creano parentele impreviste.» (221)

In queste bellissime descrizioni possiamo osservare come la nuda materialità delle cose sia costantemente interrotta dalle impressioni immaginarie del narratore; tramite questo procedimento “cinematografico”, o frame by frame come ci dice Guillemin37, McCarthy riesce a raggiungere una sospensione della prospettiva spazio-

temporale.

A quattordici anni il ragazzo, nato nel Tennessee, lascia la casa del padre per non farvi più ritorno e si incammina lungo strade percorse da risse tra ubriachi, sparatorie e prostitute. Lavora come bracciante a giornata e con i pochi dollari che guadagna raggiunge il Texas, è qui che si imbatte nella banda di mercenari capeggiata dal capitano Glanton; quest'ultimo, avendo notato la furia con cui il ragazzo ha rotto la testa ad un uomo durante una rissa, lo arruola come cacciatore di scalpi. Il gruppo è guidato dal giudice Holden, «Un uomo enorme […] calvo come un uovo, non aveva traccia di barba e i suoi occhi non avevano né sopracciglia né ciglia. Era alto più di due metri […].» (8). La scena in cui il giovane incontra per la prima volta il giudice ci da modo di connotarlo immediatamente come figura dominata dal piacere

36 «Questo studio è basato sul presupposto di un triangolo composizionale al lavoro in tutta l'opera di McCarthy. Un lato del triangolo è formato da uno spirito pervasivo di melancolia, usato […] come una strategia letteraria per creare distanza narrativa. In un certo senso, è la melancolia stessa che pare narrare i romanzi. Un altro lato del triangolo è l'allegorismo, il criptaggio di contenuti narrativi in immagini paraboliche e trame alla maniera delle favole. Sul terzo lato del triangolo troviamo il tema pastorale, inteso come la principale ricerca dell'armonia in un mondo migliore.» Georg Guillemin, The

Pastoral Vision of Cormac McCarthy, Texas A&M University press, 2004, p. 3.

del male: quella sensazione di godimento connessa all'infrazione di una norma riconosciuta di cui abbiamo cercato, con il contributo di Bataille, di dare una definizione nel paragrafo introduttivo. Vediamo di raffinare questo concetto direttamente grazie al testo. Per ripararsi da un acquazzone che imperversa da giorni, il ragazzo si ripara in un tendone nel quale è in corso una funzione religiosa presidiata dal reverendo Green, quand'ecco che il giudice entra e da il via ad una pubblica denuncia del prete, accusato di essere un impostore. Secondo Holden, Green non solo non è un sacerdote, ma è anche ricercato in più stati per reati di pedofilia. Ovviamente il putiferio scatta all'istante, il reverendo fugge e nella sparatoria generale si organizzano gruppi di spedizione per catturarlo e linciarlo. Poco più tardi nel vicino saloon, qualcuno domanda al giudice dove avesse incontrato quel tale Green per essere al corrente di quelle informazioni: «Non ho mai avuto quell'uomo davanti agli occhi prima di oggi. Mai neanche sentito parlare di lui.» (10) è la sua risposta.

Come è facile capire, qui non è stato eseguito nessun atto di malvagità diretto al conseguimento di un qualsiasi vantaggio materiale o al soddisfacimento di un particolare interesse. Nulla è stato compiuto in nome di un ideale di libertà, amore, vendetta o altro ancora: qui entra in gioco il male disinteressato, il male per il male, un male fatto esclusivamente per il sottile gioco voluttuoso che vi sta dentro. L'autore ci porta nel vecchio West della febbre dell'oro, un contesto in cui è facile immaginarsi violenze e massacri di uomini, ma i quali risultano sempre diretti al raggiungimento di un fine: l'istintivo prevaricare sugli altri; tuttavia il male che McCarthy ci mette di fronte è di tutt'altra natura, è, appunto privo di cause evidenti, è senza motivo. Ecco cosa intendiamo con il concetto di piacere del male.

La banda prosegue il suo percorso in preda ad un'eccitazione efferata data dagli assassinii e dall'alcol. Di città in città, questo gruppo di masnadieri a cavallo mantiene fede al compito affidato, uccidere e scalpare tutti gli indiani trovati sul proprio cammino, senza risparmiarne nessuno. Ecco come si presenta un villaggio pellerossa dopo una loro incursione:

«I morti giacevano nell'acqua bassa come le vittime di una catastrofe marina, o sparsi lungo la sponda salata, sangue e interiora dappertutto. I cavalieri trascinavano i corpi fuori dall'acqua insanguinata del lago, e alla luce crescente dell'alba la spuma che lambiva la spiaggia era di un rosa chiaro. Giravano fra i morti

mietendo le lunghe ciocche nere con il coltello e lasciando le vittime col cranio scuoiato, bizzarre sotto le loro cuffie di sangue. […] Alcuni uomini guazzavano nell'acqua rossa colpendo senza motivo i morti, e altri giacevano sulla spiaggia accoppiandosi con i corpi bastonati di ragazze morte o morenti.» (141)

Una brutalità che sfugge ad ogni comprensione. I crimini e i massacri della banda continuano a questo ritmo sino al XIX capitolo; giunti nei pressi di Yuma, località in riva al fiume Colorado (attuale città dell'Arizona), Glanton e i suoi si impossessano del traghetto del dottor Lincoln, un tale che trasporta persone da una riva all'altra al prezzo di un dollaro a testa; con la nuove gestione della banda, inizialmente gli emigranti devono versare ogni soldo che hanno in tasca, per finire poco dopo «direttamente derubati […] picchiati ed espropriati di armi e beni e rispediti nel deserto ridotti in miseria.». (234) La ribellione degli indigeni, denominati appunto Yuma, non si lascia attendere e il loro attacco avviene durante l'alba che segue una notte di bagordi. Uccidendo gli americani uno dopo l'altro «a mano a mano che si sollevavano fra i fumi dell'alcol», gli Yuma prendono d'assedio l'accampamento ed è proprio il loro vecchio capo a fracassare il cranio di John Joel Glanton, suo antico avversario. Lasciandosi alle spalle la luce dell'immenso falò alimentato da cadaveri e animali bruciati vivi, il giudice Holden, il ragazzo e altri due membri della banda, Tobin lo spretato e il fedele idiota del giudice, riescono a salvarsi. Nella fuga però, i sopravvissuti si separano per rincontrarsi poco dopo, ma sia il ragazzo che il suo compagno hanno ormai compreso l'incontenibile natura diabolica del giudice. I due cercano quindi di allontanarsi da Holden, il quale tuttavia li segue continuamente attraverso il deserto ma senza fretta, camminando anzi con tutta calma e sorridendo: il giudice vuole con sé il ragazzo, vuole che egli lo segua e tenta in ogni modo di coinvolgerlo nell'avventura maledetta che è la sua vita, ma il giovane riesce a fuggire.

Siamo di fronte ad un romanzo che, presentando un male a tutto campo, nega qualsiasi possibilità di bene; tuttavia, tramite la “redenzione”, se così si può definire, del ragazzo, che si palesa nella fuga dal giudice, McCarthy vuole comunicarci un legame di fondo che intercorre tra il suo giovane protagonista e il tradizionale stereotipo dell'innocente ragazzo americano (Huck Finn, Ishmael). Abbandonando il giudice e cercando un'alternativa a quella vita dedita totalmente alla causa del male, il ragazzo mostra la volontà di cambiare, pur non schierandosi in una posizione

contrastiva nei confronti di quel male. Il male in Blood Meridian emerge quindi come una dimensione imbattibile, totale e l'atteggiamento dell'autore verso di esso è del tutto rassegnato; il fatto che McCarthy ci mostri un mondo irrealistico dominato interamente dal male, lo connota come sostenitore del bene insito nei valori della cultura americana, ma declinato come un bene ormai perduto e irrecuperabile: il sostrato di disperazione in cui l'autore colloca i suoi personaggi lascia gli stessi privi di una via di uscita dal gorgo diabolico del male. Ci troviamo dunque nel solco della necessità del male quale attributo imprescindibile dall'uomo che Mazzarella, ripercorrendo Kant, ci fa notare, chiedendosi:

«Il male, nella sua assoluta inevitabilità, non potrebbe rivelarsi anche necessario, fisiologicamente necessario, alla naturale tensione agonistica di cui si alimenta l'esercizio della conoscenza più spericolata? […] Un simile supplemento problematico permetterebbe finalmente una comprensione ravvicinata di quella fenomenologia del male esibita, negli ultimi decenni, da un ampio ventaglio di esperienze artistiche.38»

Dopo un breve resoconto sulle svariate occupazioni che il ragazzo, ormai uomo, ha svolto da quel momento in poi, l'occhio del narratore balza in avanti di quasi trent'anni. Accampatosi per la notte nel mezzo di una landa desertica, viene raggiunto da una banda di ragazzini, che egli subito riconosce per essere raccoglitori di ossa, in cerca di tabacco e whiskey. Di fronte all'impertinenza del giovane capobanda, che lo provoca ripetutamente con l'accusa di essere un bugiardo, il protagonista fa di tutto per evitare di reagire al suo solito modo, ovvero impugnando la pistola e facendolo fuori. Egli sa che nonostante lo sforzo di reprimere la necessità di ucciderlo, dettata dai suoi principi, non potrà resistere a lungo:

«I suoi compagni stavano tornando a prenderlo e forse questo lo rese più audace, e forse disse altre cose all’uomo perché quando gli altri arrivarono al fuoco l’uomo si era alzato. Tenetemelo fuori dai piedi, disse. Se lo rivedo qui lo ammazzo.» (286)

Ma le provocazioni del ragazzino superano il limite ed egli, in uno scatto repentino simile a quello di un serpente, estrae la pistola e ammazza a sangue freddo il ragazzino. «In ogni caso non eri destinato a vivere» (Ivi), pronuncia subito dopo l'uomo. Notiamo come nonostante la volontà di staccarsi dalla sfera del male e il tentativo che compie per liberarsi dalla sua morsa, egli non può nulla, non gli è possibile contrastare il vortice di violenza che lo ha imprigionato anni prima e che non lo lascerà per il resto dei suoi giorni.

Dopo questo episodio, il ragazzo si rimette in cammino e giunge in un paese sconosciuto: qui, in un sudicio saloon pervaso da una danza delirante il giudice e il ragazzo sono di nuovo uno di fronte all'altro e il regolamento di conti tra i due si svolge in un'orrida latrina. A differenza della descrizione dettagliata di vividi particolari sanguinolenti, presenti prima, durante e dopo la raffica di omicidi di cui si compone il romanzo, il finale stupisce per la vaghezza e la brevità con cui ci racconta l'abbraccio mortale del giudice:

«Il giudice era seduto sul cesso. Era nudo, e si alzò sorridendo e lo strinse [il ragazzo] fra le braccia contro la propria immensa e terribile carne, e richiuse la porta facendo scattare il chiavistello di legno alle sue spalle.» (296)

Solo indirettamente, grazie ai commenti degli altri uomini presenti nel bar il lettore ha la possibilità di realizzare la morte del ragazzo, con tutta probabilità brutalmente accoltellato da Holden; «Se fossi in voi non entrerei» (Ivi). L'uccisione del ragazzo si differenzia rispetto agli assassinii insensati che il giudice compie in tutto il romanzo, Holden si vendica qui del tradimento del giovane, tuttavia assistiamo nuovamente alla fredda e meccanica esecuzione di un male assoluto. Il giudice uccide sorridendo39, in tutta calma, per poi tornare nell'orgia ubriaca del

saloon a ballare nudo su un tavolo.

39 Come in quasi ogni sua descrizione, il giudice sorride o ride rumorosamente ed è generalmente di buon umore. Questo elemento rappresenta una conferma ulteriore dello stacco che corre tra i personaggi del male tradizionale, descritti come figure meste perché consapevoli della loro condanna infernale, e il male che attraversa le figure letterarie contemporanee; nelle opere a noi più vicine notiamo infatti la presenza di figure calme, senza segni di travagli interiori, e che per di più ridono compiacendosi del proprio agire malvagio.

Come anticipato, siamo proiettati in un mondo popolato di personaggi del male, non v'è possibilità di redenzione per questa terra e per tutti i suoi abitanti. Tuttavia la rappresentazione del giudice risalta su tutte le altre in quanto una delle figure più grottesche ed inquietanti dell'intera narrativa McCarthiana. Abbiamo precedentemente accennato alla stranezza del suo aspetto definito “strangely childlike”, stranamente infantile: oltre che essere completamente privo di capelli e barba, attributi che già lo avvicinano alla figura di un infante gigantesco, lo ritroviamo spesso nudo e in posizione fetale. Una figura ossimorica quindi, come osserva Guillemin, un “bambino enorme”, mostruoso che suggerisce la monopolizzazione del motivo infantile come rappresentazione figurale dell'inconscio. L'infantilità nella figura di Holden si trasforma da simbolo di innocenza a condizione privilegiata per ospitare la matrice del male. Egli sembra voler privare dell'innocenza infantile i personaggi che ruotano attorno alla sua sfera di influenza: vediamo la realizzazione di questo processo anzitutto nella contrapposizione della sua figura con quella del ragazzo, dal quale l'innocenza è sradicata al momento stesso della nascita e che vive una vita da adulto pur essendo un adolescente. La ritroviamo inoltre in uno degli episodi più orribili che il romanzo ci narra: appena conclusa l'incursione in un villaggio, il giudice porta con sé a cavallo un piccolo bambino Apache casualmente salvatosi dal massacro.

«Gli buttarono addosso una coperta, e il mattino seguente il giudice lo vezzeggiò tenendolo su un ginocchio mentre gli altri sellavano i cavalli. Toadvine lo vide passare insieme al piccolo, con la sella in mano, ma quando tornò indietro dieci minuti dopo con il cavallo, il bambino era morto e il giudice l'aveva scalpato.» (147)

Holden è un serial killer selvaggio che agisce senza il minimo scrupolo morale, l'agente di un male non umano, un male automatico e che non trova risposta. Una particolarità che colpisce, e che ci aiuta a definire l'essenza maligna, di questa figura è data dalla molteplicità dei modi in cui Holden appare40. A volte egli pare esibire atteggiamenti

40 Il giudice, più di altri personaggi, è caratterizzato da una “fluidità performativa”: a seconda della situazione in cui viene a trovarsi egli gioca il ruolo del cantastorie, dell'oratore, del filosofo, del naturalista, dell'inventore, dell'avvocato, e altro. Adam Parkes ci fa notare come Holden sia «perfettamente equipaggiato per le instabili condizioni teatrali che definiscono i limiti dell'azione umana nel mondo di questo romanzo.» cfr: Adam Parkes, History, Bloodshed, and the spectacle of American

Identity in Blood Meridian, in James D. Lilley (Edited by), Cormac McCarthy, New Directions, University of

amichevoli e una sorta di senso della giustizia; più evidentemente però, il giudice si connota per essere un esempio di virtù intellettuale41. Molte vicende del romanzo

mostrano la vastissima erudizione che il giudice possiede, la quale ricalca la sua parimenti vasta intelligenza. La sua cultura è eclettica ed egli dimostra di avere una profonda conoscenza in molti campi del sapere. Per esempio, nel rivolgere la sua attenzione alla conformazione della testa di Jackson, un nero, membro della compagnia, Holden di fronte a tutti gli altri radunati:

«Addusse per loro informazione riferimenti ai figli di Cam, alle perdute tribù degli Israeliti, certi passi dei poeti greci, speculazioni antropologiche concernenti la propagazione delle razze attraverso la loro dispersione e casi di isolamento dovuti all'azione di cataclismi geologici, nonché una valutazione dei tratti razziali in rapporto alle influenze climatiche e geografiche.» (78)

Oltre che per la sua vasta erudizione, Holden si caratterizza per una inestinguibile sete di conoscenza; più esattamente egli cerca di dominare il mondo attraverso la conoscenza dettagliata di ogni oggetto che sta nel creato. Il suo progetto scientifico ha per obiettivo la conquista del mondo attraverso la sua riduzione nei limiti dello scibile umano, che per tutto il corso del romanzo è simboleggiato dal suo taccuino. Ogni occasione infatti si dimostra buona per impugnare un pezzo di carboncino e disegnarvi qualcosa di sconosciuto che egli ha appena incontrato sul proprio cammino: un fossile, la foglia di una pianta non ancora classificata, una farfalla, un minerale: ogni oggetto viene riportato, inglobato, nel quaderno del giudice, che equivale ad un assistente della sua mente, per essere poi distrutto. Ciò che in fondo delizia il giudice è quindi il processo di apprendimento stesso, non tanto il vantaggio che ne può trarre. È per questo che una volta soddisfatta la sua sete di