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Le ONG e l'obbligo di soccorso in mare nel diritto internazionale

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Academic year: 2021

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Indice

Introduzione 4

Capitolo I

L'obbligo di soccorso in mare nel diritto

internazionale ed europeo

1. La Convenzione di Bruxelles del 1910 sulla assistenza e

salvataggio in mare 7

2. La Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare

(SOLAS) 14

3. La Convenzione sulla ricerca e il salvataggio marittimo (SAR).. 17 4. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare

(UNCLOS) 24

5. La normativa dell'Unione europea in materia di soccorso in

(2)

Capitolo II

Le ONG e il soccorso in mare

1. La nascita delle ONG 36

2. Le attività di soccorso di migranti in mare poste in essere dalle

ONG 39

3. Il Codice di condotta delle ONG 44

4. La qualificazione giuridica del Codice di condotta 51

5. La proposta di revisione al Codice di condotta 54

6. Le critiche rivolte nei confronti delle ONG 57

7. Le ONG e l'effetto pull factor 59

8. Il finanziamento delle ONG 62

Capitolo III

Gli interventi in mare delle ONG nella recente prassi

applicativa

1. La nave Open Arms e il rifiuto di ritirarsi dalle operazioni di

soccorso 64

2. La nave Iuventa e il favoreggiamento dell'immigrazione

(3)

3. La nave Aquarius e la chiusura dei porti da parte dello Stato

italiano 82

4. La nave Mare Jonio e l'ingresso in acque italiane in violazione

dell'ordine ricevuto 93

5. La nave Lifeline e la decisione di ridistribuire i migranti dopo

lo sbarco a Malta 99

6. La nave Sea Watch 3 e l'intervento della Corte europea dei

diritti dell'uomo 103

Considerazioni conclusive 108

Bibliografia 110

Accordi internazionali 114

(4)

Introduzione

Ogni anno migliaia di migranti salpano dalle coste africane con la speranza di attraversare il Mare Mediterraneo in cerca di un futuro migliore. Tuttavia l’ambiente marino è intrinsecamente ostile agli esseri umani. Viaggiare via mare, anche se con imbarcazioni moderne dotate di avanzate apparecchiature di sicurezza, può costituire un pericolo per la vita umana. Questo pericolo è tanto più incrementato se il viaggio avviene con imbarcazioni vecchie e sovraffollate, come è spesso il caso delle imbarcazioni che trasportano migranti irregolari e che vengono utilizzate dai trafficanti di persone operanti nel Mediterraneo.

Tali condizioni si traducono in numerosi naufragi, che conducono troppo spesso alla morte delle persone trasportate. Il diritto consuetudinario, proprio al fine di tutelare la vita umana in mare in occasione di eventi particolari, ha da sempre disciplinato l'obbligo di soccorso ma nonostante ciò, nel caso dei naufragi che coinvolgono migranti, si è assistito per molto tempo ad una inerzia da parte degli Stati. Di fronte all'atteggiamento di quest'ultimi una serie di attori non statali, in adempimento a doveri morali prima che giuridici, hanno messo in atto misure per cercare di tutelare la vita umana in mare. Tali attori sono le organizzazioni non governative (ONG).

L'elaborato dopo un iniziale excursus storico sulla disciplina dell'obbligo di soccorso in mare nel diritto internazionale e nella normativa

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dell'Unione europea, si soffermerà sull'espansione del fenomeno delle ONG nel Mar Mediterraneo centrale.

Si cercherà in particolare nel secondo capitolo di esaminare i fatti che hanno indotto le organizzazioni non governative a cimentarsi nell'attività di soccorso in mare per poi passare all'esame del Codice di condotta voluto dal Ministro dell'Interno Marco Minniti, al fine di regolamentare il fenomeno delle ONG fino a quel momento privo di qualsiasi disciplina. Del Codice si analizzerà soprattutto la controversa natura giuridica e la proposta di revisione da parte del gruppo di esperti sulla lotta alla tratta di esseri umani (GRETA). Verrà posta l'attenzione inoltre su alcune critiche che quotidianamente investono le organizzazioni umanitarie: la mancata trasparenza dei finanziamenti che esse ricevono per sostenere le proprie attività e il loro ruolo di pull factor. In merito a quest'ultima il mondo politico sostiene che la presenza delle navi umanitarie di fronte alle coste africane incentivi le partenze dei migranti, essendo quest'ultimi consapevoli di essere salvati dopo poche miglia dalla partenza.

In conclusione nel terzo capitolo verranno esaminati singoli eventi di soccorso in mare tra i quali alcuni di grande clamore mediatico. In particolare verrà riportato il caso delle navi Open Arms, Iuventa, Aquarius, Mare Jonio, Lifeline e Sea Watch 3. In relazione all'episodio che ha interessato la nave Aquarius sarà esaminata la dibattuta questione sulla chiusura dei porti alle navi delle ONG da parte del governo italiano.

(6)

Verranno analizzate infine le vicende giudiziarie che hanno reso protagoniste alcune organizzazioni umanitarie.

(7)

Capitolo I

L'obbligo di soccorso in mare nel diritto internazionale

ed europeo

1. La Convenzione internazionale di Bruxelles del 1910 sulla assistenza e salvataggio in mare.

L'istituto dell'obbligo del soccorso in mare deriva da una consuetudine marittima risalente nel tempo, ed è stato oggetto di convenzioni internazionali fin dai primi anni del secolo scorso per la sua importanza e rilevanza pratica.

Nell'odierna configurazione normativa il soccorso in mare si concreta quando in presenza di una situazione di pericolo è prestato soccorso a cose o persone, o in ambiente acqueo (soccorso marittimo) o da parte di un aeromobile (soccorso aereonautico).

La prima Convenzione ad occuparsi del soccorso in mare fu firmata a Bruxelles il 23 settembre 1910, resa esecutiva dallo Stato italiano con legge 12 Giugno 1913 n 606, entrata in vigore nel nostro ordinamento il 2 Luglio 19131.

La Convenzione di Bruxelles, approvata dalla Conferenza diplomatica di Diritto Marittimo, nasce dalla necessità di elaborare una disciplina

1S. Pollastrelli, La Convenzione di Bruxelles del 1910 in materia di urto di navi. Legge

(8)

internazionale uniforme del diritto del mare, relativamente all'istituto della assistenza, salvataggio e urto tra navi, istituti giuridicamente rilevanti che avvenivano in acque internazionali e molto spesso tra navi di nazionalità diversa.

Lo scopo della Convenzione era dunque quello di regolare tali fenomeni al fine di evitare i possibili contrasti normativi tra i paesi coinvolti.

La Conferenza diplomatica di Diritto Marittimo dovette infatti, per prima cosa, superare la dicotomia assistenza e salvataggio, che caratterizzava gli ordinamenti giuridici di alcuni Stati, tra cui lo Stato italiano.

Uno degli obbiettivi principali che il Comitè Maritime International2 (C.M.I.) si era prefissato, infatti, fu proprio quello di ricondurre l'istituto dell'assistenza e del salvataggio ad un concetto unitario di soccorso, eliminando in tal modo quella differente disciplina, risalente alla

Ordonnance de la Marine del 1681, che prevedeva, per l'assistenza alle

navi incagliate, il rimborso al soggetto agente delle sole spese incontrate ed il diritto ad una rimunerazione proporzionata alla prestazione, e per il soccorso alle navi naufragate, invece, una parte fissa del valore salvato o recuperato3.

La distinzione concettuale, inoltre, si basava su un altro elemento ovvero la presenza o meno dell'equipaggio a bordo della nave in pericolo o naufragata.

2Comitè Maritime International è un'organizzazione internazionale non governativa per l'armonizzazione del diritto del mare, fondata nel 1897 ad Anversa.

3E. Vincenzini, Profili internazionali del soccorso in mare, Milano, Giuffrè, 1985, pag. 20.

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Nell'assistenza infatti, a differenza del soccorso, il soggetto soccorritore fruiva della collaborazione dell'equipaggio del mezzo salvato.

Il C.M.I., dunque, interpellò le singole Associazioni nazionali sul tema raccogliendo talvolta opinioni a favore, talvolta opinioni contrarie alla abolizione della distinzione delle due forme di soccorso.

Per quanto riguarda l'esperienza italiana, l'Associazione si pronunciò per il mantenimento della distinzione.

Tale distinzione, ancorché priva di effetti pratici per la mancanza di una differente disciplina nella applicazione e nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali, fu poi riproposta nella Legge n. 939 del 14 giugno 1925, legge con la quale lo Stato italiano recepì la normativa convenzionale e nel Codice della navigazione del 19424.

Di indirizzo diverso furono invece l'Associazione belga e l'associazione francese che si allinearono con la tesi della abolizione, tesi prevalente nell'ambito dei paesi di common law.

L'art. 15 della Convenzione di Bruxelles individua la sfera di applicazione stabilendo che "le norme di questa Convenzione si

applicano, per quanto riguarda tutte le persone interessate, quando sia la nave che ha prestato l'assistenza ed il salvataggio sia la nave che è stata assistita o salvata appartiene ad uno stato delle Alte Parti Contraenti, così come in tutti gli altri casi previsti dalle leggi nazionali".

Tale articolo ha fatto sorgere una problematica interpretativa.

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Era necessario infatti stabilire se, per l'applicazione della Convenzione, fosse necessaria l'appartenenza di entrambe le navi, la soccorsa e la soccorritrice, agli Stati contraenti oppure se fosse sufficiente l'appartenenza di una sola di esse ad uno Stato contraente5.

A tal proposito i lavori preparatori della Conferenza conclusero in favore della tesi dell'applicazione della Convenzione anche nel caso in cui una sola nave fosse appartenuta ad uno stato contraente.6

L'applicazione della Convenzione inoltre si estendeva anche ai casi in cui il soccorso fosse stato prestato da o ad una nave della navigazione interna purché uno dei mezzi nautici, il soccorso o il soccorritore, fosse stata una nave marittima, a prescindere dal fatto che l'operazione di soccorso fosse avvenuta in acque marittime o interne e al caso in cui il soccorso alla nave marittima in pericolo fosse stato prestato da terra senza mezzi nautici.

Pertanto in sintesi la Convenzione del 1910 disciplinava in modo uniforme:

1) l'assistenza ed il salvataggio di navi marittime, delle cose che si trovavano a bordo, e delle persone, anche se il soccorso fosse avvenuto senza mezzi nautici;

5Sono favorevoli alla teoria della non necessaria appartenenza di ambedue le navi P. Manca, Commento alle Convenzioni Internazionali marittime, Milano, Giuffrè, 1975, pag. 180 e G. Berlingieri, Salvataggio e assistenza marittima, in acque interne ed aeree, in Dir. mar., 1967, pag. 20. Sono favorevoli alla interpretazione cumulativa dell'espressione ed alla necessaria appartenenza delle navi a stati contraenti G.Diena,

Principi del diritto internazionale privato marittimo, Roma, 1937, pag. 66, S. Ferrarini, Il soccorso in mare, Milano, Giuffrè, 1964, pag 15.

6E. Vincenzini, Profili internazionali del soccorso in mare, Milano, Giuffrè, 1985, pag. 26.

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2) l'assistenza e il salvataggio tra navi marittime e della navigazione interna.

L'applicazione di tale disciplina dunque prescindeva dal luogo dell'accadimento: acque interne o marittime.

Rimanevano escluse dalla normativa uniforme, invece, tutti quei casi nei quali soggetto attivo e passivo del soccorso fossero stati ambedue navi della navigazione interna e il soccorso ad una nave interna prestato da terra o dall'aria senza mezzi nautici.7

Vi erano inoltre fattispecie esplicitamente escluse dalla sfera di applicazione della Convenzione ovvero le ipotesi previste dall' art. 13 (servizi di assistenza e salvataggio pubblico quale il soccorso prestato dalle capitanerie di porto) e dall' art. 14 (navi da guerra o di stato destinate a pubblico servizio).

Le due norme nel loro insieme sembrano confermare l'indirizzo prevalso in seno alla Conferenza di non interferire con gli aspetti pubblicistici delle singole leggi nazionali degli Stati contraenti.

Si è discusso, a tal proposito, se l'intento dell'art. 13 fosse stato quello di sottrarre alla disciplina uniforme qualsiasi caso di servizio pubblico di assistenza e salvataggio8.

7G. Berlingeri, Salvataggio e assistenza marittima, in acque interne ed aeree, in Dir. mar. 1967.

8Il Tribunale di Napoli in una sentenza dell' 8 gennaio 1969 ha riconosciuto che la ratio della norma si identifica nell'intento che traspare dalla Convenzione di non interferire nelle situazioni rispondenti ad interessi pubblicistici che ogni singolo stato può meglio apprezzare.

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Tale intenzione si rinviene però non solo nell'art. 13 ma anche nel precedente articolo 12 che lascia a ciascuno Stato la scelta delle misure necessarie da adottare per la repressione dell'infrazione, da parte del capitano di una nave, di prestare assistenza a chiunque si fosse trovato in pericolo anche se nemico; e nel successivo art. 14 che esclude l'applicazione della Convenzione alle navi da guerra e alle navi dello Stato adibite esclusivamente a servizio pubblico, considerato estremamente delicato il regime a cui sono sottoposti i beni appartenenti allo Stato9.

Per quanto riguarda l'oggetto del soccorso, l'art. 1 della Convenzione indica le navi marittime, le cose che si trovano a bordo delle stesse e le navi della navigazione interna.

Tra questi oggetti, dunque, non è annoverata la vita umana.

Ad essa si fa riferimento nell'art. 9 che, nell'escludere il diritto ad una remunerazione per il salvataggio di vite umane in mare, indica queste ultime come possibili oggetti del soccorso.

La Convenzione apporta, a tal proposito, due significative innovazioni. Pur senza ledere, infatti, il principio tradizionale e morale della gratuità del soccorso di vite umane in mare, introduce in occasione di una operazione complessa di soccorso, il diritto dei salvatori delle sole vite umane a partecipare alla ripartizione del compenso spettante agli altri salvatori, al fine di evitare una iniqua discriminazione nei confronti di

9E. Vincenzini, Profili internazionali del soccorso in mare, Milano, Giuffrè, 1985, nota n. 31.

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chi, nell'ambito di un soccorso, avesse adempiuto all'obbligo morale di prestare aiuto a chi rischiava la propria incolumità personale10.

Inoltre riconosce l'elemento del salvataggio delle vite umane in pericolo a bordo della nave soccorsa come elemento determinante il compenso spettante al soccorritore.

In conclusione dunque la Convenzione considera la vita umana come possibile oggetto del soccorso, ma la normativa stabilisce alcune limitazioni a questo particolare oggetto:

a) nessuna rimunerazione è dovuta per il solo salvataggio di persone; b) il salvatore di vite umane può concorrere alla rimunerazione di colui che ha soccorso la nave, solo quando il soccorso prestato da quest'ultimo abbia conseguito un risultato utile;

c) il salvatore di vite umane, che abbia contemporaneamente salvato anche cose (la nave o parte di essa), ha diritto a vedersi rimunerato anche il salvataggio di persone, intervenendo quest'ultimo come elemento di determinazione della rimunerazione.

10E. Vincenzini, Profili internazionali del soccorso in mare, Milano, Giuffrè, 1985, pag. 42-43.

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2. La Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS).

La Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (nota anche come SOLAS, acronimo di Safety of life at sea), è un accordo internazionale elaborato nell'ambito dell'Organizzazione Marittima Internazionale11(IMO).

Fu adottata il 1° novembre 1974, ed è stata ratificata dall'Italia a seguito della Legge di autorizzazione n. 313 del 23 maggio 1980.

Considerata la più importante fonte giuridica internazionale in tema di salvaguardia della vita umana, la Convenzione limitava originariamente il suo ambito di applicazione alla sicurezza della navigazione mercantile, sicurezza intesa nella accezione di safety, ossia prevenzione di incidenti tecnici o eventi di pericolo accidentale12.

Sotto questo profilo essa prevede, tra le tante regole, l' obbligo in capo al "comandante di una nave, che si trova nella posizione di essere in grado

di prestare assistenza, avendo ricevuto informazione da qualsiasi fonte circa la presenza di persone in pericolo in mare, a procedere con tutta rapidità alla loro assistenza, se possibile informando gli interessati o il 11International Maritime Organization è un'agenzia delle Nazioni Unite competente in materia di sicurezza marittima e di prevenzione dell'inquinamento del mare. Il suo ruolo è riconosciuto dalla convenzione di Montego Bay del 1982(UNCLOS), che invita tutti gli stati a osservarne gli standards. Creata nel 1948, l'IMO è diventata un organismo che, attraverso la sua produzione normativa (Convenzioni internazionali, Regolamenti e Raccomandazioni) disciplina tutti i settori di attività riguardanti la navigazione. F. Caffio, Glossario di Diritto del Mare, in Rivista Marittima, 2016, pag. 97. 12A. Rizzo, Sicurezza della vita umana in mare, in Rivista di diritto dell'Economia, dei Trasporti e dell'Ambiente, 2011, pag. 400.

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servizio di ricerca e soccorso del fatto che la nave sta effettuando tale operazione..."13.

Obbligo principale, invece, dei Governi e dei dipendenti Centri di Coordinamento del soccorso è quello di complementare gli obblighi posti a carico dei comandanti delle navi in mare, assicurandone nelle rispettive aree di responsabilità SAR un efficiente organizzazione dei servizi, in grado di gestire le comunicazioni di emergenza ed il coordinamento delle operazioni in modo tale da garantire il soccorso di tutte le persone in pericolo in mare senza distinzione di nazionalità, status e senza riguardo alle circostanze in cui esse si trovino14.

Al capitolo V la regola 7 prevede che gli Stati parte organizzino, a tal proposito, meccanismi di comunicazione e coordinamento per soccorrere navi in situazioni di distress15 in mare, nelle loro rispettive aree di responsabilità e per il salvataggio di persone in pericolo intorno alle loro coste.

La Convenzione ha legittimato in tal modo l'istituzione delle zone SAR (Search and Rescue), ovvero zone di ricerca e soccorso antistanti le coste in cui ciascuno Stato deve assicurare servizi di ricerca e salvataggio16.

13Capitolo V, Regola 33 Convenzione SOLAS.

14 Contrammiraglio N. Carlone, Indagine conoscitiva sulla gestione del fenomeno migratorio nell'area Schengen con particolare riferimento alle politiche dei paesi aderenti relative al controllo delle frontiere esterne e dei confini interni.

15Distress "situation wherein there is a reasonable certaint that a vessel or a person is

threatened by grave and imminent danger and requeres immediate assistence". (Annex

ch. 1 para. 1.3.11, Conv. SAR).

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Tali zone saranno poi regolamentate successivamente dalla Convenzione di Amburgo del 1979.

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3. La Convenzione sulla ricerca e il salvataggio marittimo (SAR).

La Convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (nota anche come SAR, acronimo di search and rescue) fu firmata ad Amburgo il 27 aprile 1979 ed entrò in vigore il 22 giugno 1985.

Tale Convenzione elaborata in seno all'Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), è volta a tutelare la sicurezza della navigazione mercantile con esplicito riferimento al soccorso marittimo.

Fu resa esecutiva in Italia con la Legge n. 147 del 1989 alla quale è stata data attuazione con il D.P.R. n. 662 del 1994, che ha individuato nel Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT), l'Autorità nazionale responsabile dell'esecuzione della Convenzione e nel Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di porto, dipendente dalla Marina Militare, l'organismo nazionale che deve assicurare il coordinamento dei servizi di soccorso marittimo ed i contatti con gli altri stati.

La Convenzione di Amburgo stabilisce obblighi, procedure e modalità organizzative che gli Stati contraenti devono seguire per assicurare la ricerca e il soccorso in mare di persone in pericolo.

Il punto 2.1.9. prevede che, nel caso in cui le Parti contraenti vengano informate che una persona è in pericolo in mare, in una zona in cui una

parte contraente assicura il coordinamento generale delle operazioni di ricerca e salvataggio, le autorità responsabili di detta parte adottano

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immediatamente le misure necessarie per fornire tutta l'assistenza possibile.

La Convenzione non precisa però quali debbano essere i limiti spaziali delle zone SAR, ma pone in risalto che deve esservi un rapporto tra l'estensione delle zone SAR e le capacità dei servizi SAR del paese responsabile.

La zona SAR italiana individuata dal D.P.R. n.662/1994 stabilisce limiti degli spazi marittimi di responsabilità nazionale ragionevolmente vicini alla costa con distanze che oscillano tra qualche decina di miglia da Lampedusa e circa un centinaio di miglia dalle coste siciliane.

In sostanza l'estensione della SAR italiana consente ai mezzi pubblici di soccorso, nel caso di richiesta di assistenza da parte di una imbarcazione trasportante migranti le cui condizioni di navigabilità non siano conosciute, di intervenire in tempo per accertare la situazione.17

17U. Laenza, F. Caffio, Il SAR mediterraneo. La ricerca e soccorso nel diritto marittimo:

l'applicazione della Convenzione di Amburgo del 1979, in Rivista Marittima, giugno

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La zona SAR Italiana

La regolamentazione ed il coordinamento delle operazioni di salvataggio nelle cosiddette zone SAR è demandata a specifici accordi stipulati dagli Stati contraenti della Convenzione.

Emblematico a tal proposito, risulta essere il rapporto tra Italia e Malta la cui cooperazione SAR non è mai stata istituzionalizzata.

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Il disaccordo con lo Stato maltese riguarda anche l'estensione delle rispettive zone di competenza.

L'enorme zona maltese, infatti, si sovrappone in più aree con quella italiana.

Malta infatti, un tempo colonia inglese, ha ereditato dalla Gran Bretagna la Flight Information Area (FIR), subentrando, dopo la cessazione del suo status di possedimento britannico, nella posizione di aderente alla Convenzione di Chicago del 1944 "on international civil aviation".

La FIR è uno spazio aereo di definite dimensioni all'interno del quale vengono forniti il Servizio Informazioni di volo e il servizio di allarme.

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La zona FIR dello Stato maltese è estremamente ampia (250.000 km quadrati, circa 750 volte più ampia del territorio dello Stato maltese in cui ricadrebbe anche Lampedusa) e, pur non avendo nulla a che fare con la zona SAR, i suoi confini vengono fatti coincidere, dallo stesso Stato, unilateralmente, con la zona di soccorso che finisce così per essere troppo estesa per le possibilità effettive dello Stato maltese.

Data l'estensione di tale SAR, molti natanti in difficoltà nella zona di competenza dello Stato maltese, finiscono per essere più vicini alle coste italiane che alle coste di Malta e pertanto lo Stato maltese ritiene che a dover intervenire sia lo Stato italiano e che sia italiano il porto dove recarsi in quanto più vicino18.

La Convenzione SAR impone quindi un preciso obbligo di soccorso e assistenza alle persone in mare e un successivo dovere di sbarcare i naufraghi in un luogo sicuro.

Le difficoltà e ritardi nell'individuare il luogo di sbarco per le persone salvate dal naufragio che si riscontrano in questa attività si ripercuotono necessariamente sulla nave che ha garantito il soccorso e che pertanto si trova nell'impossibilità di proseguire la propria rotta19.

Nel tentativo di rendere quindi le operazioni di sbarco più rapide e il soccorso meno oneroso per la nave che lo opera, il 20 maggio 2004 gli Stati membri della IMO hanno adottato emendamenti alla Convenzione

18 P. Bognetti, La disputa Italia- Malta sulle zone SAR, 29/6/2018, www.prontoprofessionista.it

19 F. De Vittor, Soccorso in mare e rimpatri in Libia: tra diritto del mare e tutela

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SOLAS e SAR in base ai quali gli Stati parte devono coordinarsi e cooperare nelle operazioni di soccorso e prendersi in carico i naufraghi individuando e fornendo al più presto la disponibilità di un luogo di sicurezza (place of safety- POS)20.

Tale luogo è inteso quale quello in cui le operazioni di soccorso si intendono concluse e la sicurezza dei sopravvissuti non è minacciata, dove possono essere soddisfatte le necessità umane di base e possono essere definite le modalità di trasporto dei sopravvissuti verso la destinazione successiva o finale tenendo conto della protezione dei loro diritti fondamentali nel rispetto del principio di non respingimento.

Sono state inoltre adottate, nel 2004, dal Comitato Marittimo per la Sicurezza dell'IMO, per una corretta attuazione di tali emendamenti, Linee guida sul trattamento delle persone soccorse in mare (Guidelines on the treatment of person rescued at sea, Ris. MSC.167-78 del 2004), le quali dispongono che il governo responsabile per la regione SAR in cui sia avvenuto il recupero, sia tenuto a fornire un luogo sicuro o ad assicurare che esso sia fornito (par 2.5)21.

In particolare le Linee guida prevedono che:

20La nozione di place of safety (POS) è stata elaborata dall'IMO a seguito del caso verificatosi nel 2001 del mercantile norvegese "Tampa" che, dopo aver salvato a Sud dell'Indonesia centinaia di profughi afgani alla deriva su un imbarcazione di fortuna aveva cercato di trasportarli in Australia ma era stato respinto dalle autorità locali. Il fatto indusse l'IMO ad approvare la Risoluzione A.920 sul "Treatment of persons rescued at sea" il cui contenuto fu recepito nella parte XI della SOLAS. F. Caffio,

Glossario di Diritto del Mare, in Rivista Marittima, 2016, pag. 141.

21 F. V. Paleologo, Gli obblighi di soccorso in mare nel diritto sovranazionale e

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1) in ogni caso il primo centro di soccorso marittimo che venga a conoscenza di un caso di pericolo, anche se l'evento interessa l'area SAR di un altro paese, deve adottare i primi atti necessari e continuare a coordinare i soccorsi fino a che l'autorità responsabile per quell'area non ne assuma il coordinamento;

2) lo Stato a cui appartiene MRCC ( Maritime Rescue Coordination Center) che per primo abbia ricevuto la notizia dell'evento o che comunque abbia assunto il coordinamento delle operazioni di soccorso, ha l'obbligo di individuare sul proprio territorio un luogo sicuro ove sbarcare le persone soccorse, qualora non vi sia la possibilità di raggiungere un accordo con uno Stato il cui territorio fosse eventualmente più prossimo alla zona dell'evento.

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4. La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS).

Il 17 dicembre 1970 l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite emanò la risoluzione n. 2750/C-XXIV con la quale stabiliva la convocazione di una II Conferenza sul diritto del mare.

La prima riunione si tenne a Caracas nel 1973 e proseguì successivamente i suoi lavori in Giamaica.

Dopo 11 sessioni si pervenne alla definizione del testo della United Nations Convention on the law of the sea (UNCLOS ), adottata il 10 dicembre 1982.

Votarono contro la sua approvazione Israele, Turchia, USA e Venezuela. L'Italia ratificò la convenzione il 2 Dicembre 1994 a seguito della Legge di autorizzazione n.689.

La Convenzione ha innovato principalmente, rispetto alle convenzioni precedenti, nel campo del transito inoffensivo, della piattaforma continentale, della zona economica esclusiva, della protezione dell'ambiente marino, dello sfruttamento delle risorse sottomarine nell'area.

In riferimento al tema del soccorso in mare, la Convenzione di Montego Bay è fondamentale in quanto sancisce all'articolo 98 l'obbligo di prestare soccorso: "Ogni Stato deve esigere che il comandante di una nave che

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batte la sua bandiera, nella misura in cui gli sia possibile adempiere senza mettere a repentaglio la nave, l'equipaggio o i passeggeri:

a) presti soccorso a chiunque sia trovato in mare in condizioni di pericolo;

b) proceda quanto più velocemente è possibile al soccorso delle persone in pericolo, se viene a conoscenza del loro bisogno di aiuto, nella misura in cui ci si può ragionevolmente aspettare da lui tale iniziativa;

c) presti soccorso, in caso di abbordo, all'altra nave, al suo equipaggio e ai suoi passeggeri e, quando è possibile, comunichi all'altra nave il nome della propria e il porto presso cui essa è immatricolata, e qual è il porto più vicino presso cui farà scalo.

2. Ogni Stato costiero promuove la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea e, quando le circostanze lo richiedono, collabora a questo fine con gli Stati adiacenti tramite accordi regionali".

L’obbligo di salvataggio, in origine previsto da norme consuetudinarie22, può essere scisso in due diversi obblighi: l’obbligo dello Stato di bandiera e l’obbligo per gli Stati costieri.

22 La norma che impone di salvare la vita umana in mare fa parte del diritto internazionale consuetudinario. Il carattere consuetudinario della norma si rileva, in primo luogo, dal fatto che questo obbligo è stato inserito in numerosi Trattati a partire dall’inizio del ventesimo secolo. In secondo luogo, tale carattere è stato affermato dalla Commissione di diritto internazionale (CDI), l’organo delle Nazioni Unite che aveva preparato il testo alla base della Convenzione sull’alto mare del 1958, il cui art. 12, par. 1, ha costituito a sua volta la base dell’art. 98 CNUDM. In terzo luogo, il

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Il primo paragrafo impone ad ogni Stato di obbligare i comandanti delle navi che battono la propria bandiera a porre in essere tre tipi di azioni che mirano a tutelare la vita delle persone in mare:

- il comandante deve prestare soccorso ad ogni persona trovata che rischia di perire in mare;

- deve procedere quanto più velocemente al soccorso di persone in pericolo, qualora ne abbia notizia;

- deve prestare soccorso in seguito a collisione tra imbarcazioni. L'obbligo di soccorso tuttavia non è assoluto ed incondizionato.

Sulla base dell'art. 98 infatti, il comandante è tenuto a porre in essere la condotta richiesta nella misura in cui questo sia possibile senza porre in serio pericolo l’imbarcazione, l’equipaggio e i passeggeri.

Se da una parte, questa rappresenta l’unica condizione per il primo e il terzo punto del paragrafo 1 dell'art.98, dall'altra rappresenta solo una delle condizioni previste invece per il punto 2 del paragrafo 1 del suddetto articolo.

In quest'ultimo punto infatti si richiede ulteriormente che il comandante abbia ricevuto notizia della situazione di pericolo e che presti soccorso "nella misura in cui ci si possa ragionevolmente aspettare tale iniziativa".

carattere consuetudinario dell’obbligo di salvare la vita umana in mare è oggi confermato dalla dottrina. Tale obbligo, infine, può essere considerato espressione delle «considerazioni elementari di umanità» che regolano le attività in mare, come affermato dalla Corte internazionale di giustizia già nel 1949. In quanto norma consuetudinaria, l’obbligo di salvare la vita umana in mare si applica a tutti gli Stati, indipendentemente dal fatto che essi siano parte di un Trattato che contiene l’espressione di questa norma. I. Papanicolopulu, Immigrazione irregolare via mare,

tutela della vita umana e organizzazioni non governative, in Diritto, immigrazione e

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L’obbligo dello Stato di bandiera è generale, si applica a tutte le imbarcazioni, in tutte le zone marine e con riferimento a qualsiasi persona.

Si applica inoltre in tempo di pace e in tempo di guerra23.

Per quanto riguarda l’estensione spaziale dell’obbligo questa prescinde dal regime giuridico della zona di mare in cui viene prestato il soccorso, nel senso che lo stesso può esplicarsi tanto in alto mare quanto nella zona economica esclusiva o nella zona contigua di uno stato diverso da quello di bandiera.

Il fatto che sia previsto dall’art. 98, ovvero nella Parte VII UNCLOS relativa all’alto mare, potrebbe infatti far pensare che l’obbligo di salvataggio si applichi solo in tale zona.

Questa conclusione tuttavia non tiene conto di altri elementi, sia presenti che esterni alla UNCLOS stessa.

L’art. 98 trova infatti applicazione anche nella zona economica esclusiva, in virtù del richiamo operato dall’art. 58 par. 224e nel mare territoriale di Stati stranieri, in forza del riferimento all’assistenza contenuto nell’art. 18 par. 2, secondo il quale la sosta nel mare territoriale è permessa nel caso di attività di soccorso.

23Si veda l’art. 12 della Seconda Convenzione di Ginevra, adottata il 12/8/1949 ed entrata in vigore il 21/10/1950.

24CNUDM, art. 58 par. 2 "Gli articoli da 88 a 115 e le altre norme pertinenti di diritto internazionale si applicano alla zona economica esclusiva purché non siano incompatibili con la presente Parte".

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L'estensione nel mare territoriale opera quindi una sorta di deroga al principio del “passaggio continuo e rapido” previsto dal regime del transito inoffensivo, e ciò ferma restando la competenza esclusiva dello Stato costiero sia per il coordinamento delle operazioni di soccorso sia per l’intervento di mezzi specificatamente adibiti a prestare assistenza a navi in difficoltà25.

Per quanto riguarda il termine generico di "persona" utilizzato nella UNCLOS e l’assenza di qualsiasi ulteriore qualificazione sono da leggersi nel senso che l’obbligo riguarda ogni persona in pericolo, indipendentemente dal suo status giuridico, dalla bandiera della nave nella quale si trova, e dall’attività cui questa è dedita.

Il secondo paragrafo dell'art. 98 prescrive l'obbligo degli Stati costieri, ovvero gli Stati al largo delle cui coste si verifica la situazione di pericolo per le persone in mare.

In capo a questi, il suddetto articolo impone l'obbligo di promuovere la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima e aerea, anche attraverso collaborazione con gli Stati vicini26.

25Parere del 9 Maggio 2014 a cura del Gruppo di studio del progetto Lampedusa. 26 L’obbligo generico di cui all’art. 98, par. 2, UNCLOS, è meglio specificato nelle Convenzioni SOLAS e SAR. Nella SAR infatti sono definiti i due termini centrali dell’obbligo, che la UNCLOS menziona senza definire. Il primo è il termine "ricerca" che indica un’operazione, normalmente coordinata da un centro di coordinamento, che utilizza il personale e i mezzi disponibili per localizzare persone in pericolo. Il secondo, "salvataggio" è un’operazione finalizzata a recuperare persone in pericolo, provvedere ai loro iniziali bisogni medici o altri bisogni, e consegnare queste persone presso un luogo sicuro.

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Lo Stato costiero dunque deve adottare i mezzi e le procedure necessarie per localizzare le persone in pericolo e assicurare che queste siano soccorse.

La localizzazione delle persone ricade quindi tra i compiti dello Stato costiero, che deve aver predisposto però tutte le procedure necessarie per ricevere le richieste di soccorso e avere pronti i mezzi per raggiungere le zone dove si trovano queste persone.

Una volta localizzate queste ultime, il soccorso potrà avvenire sia da parte di navi che agiscono ai sensi dell’obbligo di cui all’art. 98, par. 1, sia da navi appositamente predisposte da parte dello Stato costiero, quali quelle della guardia costiera.

Mentre l’obbligo di prestare soccorso sancito dal primo paragrafo nasce solo in seguito al prodursi dell’evento che pone in pericolo la vita delle persone, l’obbligo per gli Stati di predisporre adeguati sistemi di ricerca e salvataggio è precedente al verificarsi dell’incidente della navigazione. Gli Stati infatti hanno fin da subito l’obbligo di predisporre questi sistemi, anche prima che si verifichi qualsiasi incidente di navigazione. In conclusione l'obbligo di soccorso in mare non richiede che ogni persona in pericolo sia effettivamente salvata, ma si configura come un obbligo di diligenza (due diligence obligation)27, ai sensi del quale lo

27Secondo il Tribunale internazionale del diritto del mare, l’obbligo di diligenza non comporta l’obbligo di raggiungere, in ogni caso, il risultato cui la norma mira, ma piuttosto l’obbligo di impegnare mezzi adeguati, di intraprendere i migliori sforzi, di fare tutto il possibile per raggiungere questo risultato (Responsibilities and Obligations

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Stato deve fare tutto il possibile per assicurare la presenza di un efficace sistema di ricerca e soccorso28.

of States Sponsoring Persons and Entities with Respect to Activities in the Area,

Opinione consultiva del 1/2/2011, par. 110).

28 I. Papanicolopulu, Immigrazione irregolare via mare, tutela della vita umana e

organizzazioni non governative, in Diritto, Immigrazione e Cittadinanza, Fasc. n.

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5. La normativa dell'Unione europea in materia di soccorso in mare.

L'istituto del soccorso in mare, pur essendo una materia che esula dall'acquis comunitario, ha trovato spazio recentemente in alcuni regolamenti dal momento in cui l'Unione europea si è trovata a dover affrontare i grandi flussi migratori29.

Per rispondere a questa vera e propria crisi e per contrastare l'immigrazione irregolare il Consiglio ha adottato, in data 26/10/04, il Regolamento n. 2007/2004 con il quale ha istituito l'Agenzia Europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea, meglio conosciuta come Frontex, diventata operativa nel 2005.

Tale agenzia è stata istituita con lo scopo di coordinare le missioni di pattugliamento delle frontiere esterne aeree, marittime e terrestri degli Stati dell'Unione europea e appoggiare gli stessi Stati in operazioni comuni di rimpatrio dei migranti irregolari.30

Il Regolamento stabilisce all'articolo 2 i principali compiti di Frontex: "a) coordina la cooperazione operativa tra gli Stati membri nella

gestione delle frontiere esterne;

29F. Caffio, Migranti: Frontex da Triton a Themis, UE prova a regionalizzare, 5/2/2018, www.affariinternazionali.it

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b) assiste gli Stati membri in materia di formazione del corpo nazionale delle guardie di confine, anche per quanto riguarda la definizione di standard comuni di formazione;

c) effettua analisi dei rischi;

d) segue gli sviluppi della ricerca pertinenti al controllo e alla sorveglianza delle frontiere esterne;

e) aiuta gli Stati membri in circostanze che richiedono una maggiore assistenza tecnica e operativa alle frontiere esterne;

f) offre agli Stati membri il supporto necessario per l'organizzazione di operazioni di rimpatrio congiunte;

g) invia squadre di intervento rapido alle frontiere negli Stati membri a norma del regolamento (CE) n. 863/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 luglio 2007, che istituisce un meccanismo per la creazione di squadre di intervento rapido alle frontiere e modifica il regolamento (CE) n. 2007/2004 limitatamente a tale meccanismo e disciplina i compiti e le competenze degli agenti distaccati31".

Dunque in origine Frontex non prendeva in considerazione l'istituto del soccorso in mare delle vite umane, ma si concentrava principalmente sulla sorveglianza delle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea e sulla lotta alla immigrazione irregolare.

31Lettera introdotta a seguito dell'adozione del Regolamento (CE) n. 863/2007 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 luglio 2007 che modifica il regolamento (CE) n. 2007/2004.

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Negli anni successivi, considerate anche le numerose tragedie che hanno portato alla morte in mare di numerosi profughi, anche il diritto dell'Unione europea si è reso conto di come l'attività di sorveglianza non possa essere dissociata da quella del soccorso in mare32.

A tal proposito il Parlamento europeo e il Consiglio dell'Unione europea in data 15 Maggio 2014 hanno adottato il Regolamento n. 656/2014, recante norme per la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata da Frontex.

Tale regolamento è stato adottato sulla base di alcune considerazioni:

(1) L’obiettivo della politica dell’Unione nel settore delle sue frontiere esterne è garantire l’efficiente controllo dell’attraversamento delle frontiere esterne, anche attraverso la sorveglianza di frontiera, contribuendo nel contempo a proteggere e salvare vite. La sorveglianza di frontiera serve a impedire l’attraversamento non autorizzato delle frontiere, contrastare la criminalità transfrontaliera e fermare le persone entrate illegalmente o ad adottare altre misure nei loro confronti. Tale sorveglianza dovrebbe essere svolta efficacemente in modo da impedire alle persone di eludere le verifiche ai valichi di frontiera e da dissuaderle dal farlo. Per questo la sorveglianza di frontiera non si limita alla localizzazione dei tentativi di attraversamento non autorizzati delle frontiere, ma comprende anche iniziative quali l’intercettazione di natanti sospettati di voler entrare nell’Unione senza sottomettersi alle 32 E. De Capitani, Politiche UE in materia di frontiere, migrazione e asilo sotto la

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verifiche di frontiera, così come le modalità d’applicazione volte ad affrontare le situazioni, come le ricerche e il soccorso, che possono verificarsi durante un’operazione marittima di sorveglianza di frontiera, nonché quelle volte a portare a buon fine tale operazione...;

(4) L’Agenzia è altresì incaricata di assistere gli Stati membri in circostanze che richiedono una maggiore assistenza tecnica alle frontiere esterne, tenuto conto del fatto che alcune situazioni possono comportare emergenze umanitarie e il soccorso in mare...;

(8) Durante operazioni di sorveglianza di frontiera in mare, gli Stati membri dovrebbero rispettare i rispettivi obblighi loro incombenti ai sensi del diritto internazionale, in particolare della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, della Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare, della Convenzione internazionale sulla ricerca e il salvataggio marittimo..."33.

Il Regolamento richiama espressamente l'obbligo di soccorso in mare all'articolo 9, intitolato "situazioni di ricerca e soccorso".

In tale articolo si chiarisce che "Gli Stati membri osservano l’obbligo di

prestare assistenza a qualunque natante o persona in pericolo in mare e durante un’operazione marittima assicurano che le rispettive unità partecipanti si attengano a tale obbligo, conformemente al diritto

33Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, L.189/93, Regolamento (UE) n. 656/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014 recante norme per la sorveglianza delle frontiere marittime esterne nel contesto della cooperazione operativa coordinata dall’Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea.

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internazionale e nel rispetto dei diritti fondamentali, indipendentemente dalla cittadinanza o dalla situazione giuridica dell’interessato o dalle circostanze in cui si trova".

In questo modo anche l'Unione europea ha tenuto conto delle novità introdotte con gli emendamenti apportati alle Convenzioni SAR e SOLAS nel 2004.

La più recente operazione, coordinata da Frontex, che ha apportato novità in tema di soccorso in mare e sostituito la precedente operazione Triton, è l'operazione Themis.

La nuova missione navale europea, iniziata l'1 febbraio 2018 ha preso il via da un patto sottoscritto tra il Viminale e Frontex.

Con tale operazione infatti si è previsto, su richiesta del governo italiano, che i migranti salvati in mare, non debbano più essere portati nel cosiddetto point of safety (POS), come previsto invece dalla Convenzione internazionale di Montego Bay e di Amburgo , ma debbano essere sbarcati nel porto più vicino34.

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Capitolo II

Le ONG e il soccorso in mare

1. La nascita delle ONG.

Le ONG, acronimo di organizzazione non governativa, sono organizzazioni di natura privata, senza scopo di lucro quasi sempre di carattere umanitario, create in conformità ai diritti interni degli Stati35. Sono caratterizzate dall'essere indipendenti sia dagli Stati sia dalle organizzazioni internazionali, sebbene possano collaborare con istituzioni a livello europeo e internazionale.

In ambito internazionale la prima menzione delle ONG avvenne nell'art.71 della Carta delle Nazioni Unite nel quale si legge che: "Il

Consiglio Economico e Sociale può prendere opportuni accordi per consultare le organizzazioni non governative interessate alle questioni che rientrino nella sua competenza. Tali accordi possono essere presi con organizzazioni internazionali e, se del caso, con organizzazioni nazionali, previa consultazione con il Membro delle Nazioni Unite interessato".36

35S. Marchisio, Le organizzazioni internazionali non governative: tipologia, struttura,

funzioni, "riconoscimento", nel diritto internazionale, in Pace, diritti dell'uomo, diritti

dei popoli, 1987, pag. 9 ss.

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Tale articolo ha sancito e legittimato la funzione consultiva delle organizzazioni non governative.

L'ONU risulta dunque essere stata la prima organizzazioni internazionale a prevedere nella propria Carta istitutiva un dialogo, o meglio forme stabili di consultazione, con le organizzazioni non governative37.

Lo status consultivo delle ONG ha trovato conferma inoltre nella Risoluzione n. 30F/195138, adottata dal Comitato dei Ministri, organo esecutivo del Consiglio d'Europa che ha riconosciuto il ruolo di “utilità internazionale” delle organizzazioni non governative e successivamente nella Risoluzione n. 35/197239.

La maggior parte delle ONG è gestita da volontari, ad esempio quelle di piccole dimensioni e le ONLUS locali.

Le grandi ONG internazionali per svolgere le proprie attività si servono, al contrario, di personale retribuito in quanto necessitano di specifiche competenze.

37Nell'iniziale progetto di Carta delle Nazioni Unite non c'era alcuna previsione relativa alle ONG. E’ stato un gruppo di ONG americane, alcune delle quali consulenti ufficiali della delegazione degli Stati Uniti, e un piccolo gruppo di ONG internazionali guidate dalla Confederazione mondiale dei sindacati ad ottenere, attraverso un’efficace azione di lobbying, l’approvazione di importanti emendamenti, tra i quali quello relativo all’inserimento di un nuovo articolo, l’art. 71, che prevedeva l’accesso delle ONG al Consiglio economico e sociale (ECOSOC). La proposta originaria della Confederazione mondiale dei sindacati, sostenuta dall’Unione Sovietica e dalla Francia, era ancora più ambiziosa di quella poi recepita dalla Conferenza di San Francisco, e prevedeva di assegnare alle ONG un seggio permanente e un diritto di voto in Assemblea generale. La proposta trovò l’opposizione di gran parte dei governi, contrari ad estendere la partecipazione delle ONG all’Assemblea generale e a riconoscere loro uno status eguale a quello dei governi negli organi delle Nazioni Unite (NU).

http://unipd-centrodiritti umani.it, Marco Mascia 2010.

38 "Relations with international organizations, both intergovernmental and nongovernmental", Risoluzione 30F/1951.

39 "Relations between the Council of Europe and international non-governmental organizations", Risoluzione 35/1972.

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In tutto il mondo esistono diversi modelli di ONG : • ONG di volontariato;

• ONG che organizzano progetti di cooperazione in situazioni di emergenza inviando personale specializzato;

• ONG che partecipano e sostengono progetti in paesi in via di sviluppo inviando volontari sul territorio;

• ONG specializzate in studi, ricerche e formazione di personale italiano o straniero;

• ONG che operano in Italia realizzando attività di informazione su temi di sviluppo e cooperazione internazionale.

Fin dai primi anni del '900 le ONG si sono occupate di diverse tematiche. Attualmente le organizzazioni non governative più famose si occupano di questioni ambientali, protezione delle minoranze o di diritti umani ma esistono anche ONG che trattano temi filosofici o politici.

Alcune organizzazioni oggi risultano essere impegnate anche nell'ambito del soccorso in mare, assumendo però un ruolo fortemente dibattuto al centro dell'opinione pubblica.

Tra le più conosciute organizzazioni non governative troviamo ad esempio Save The Children (1919), Medici Senza Frontiere (1971) che opera nell'ambito dell'aiuto umanitario, WWF, in campo ambientale, Amnesty International (1961) attiva nel sostegno dei diritti umani, Proactiva Open Arms, Sea Eye, Sea Watch, SoS Mediterranee.

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2. Le attività di soccorso di migranti in mare poste in essere dalle ONG.

Negli anni più recenti il tragico esito dei grandi flussi migratori nel Mar Mediterraneo ha evidenziato la necessità di affrontare tale fenomeno non solo in un'ottica di prevenzione e repressione dei reati connessi, quali il traffico dei migranti e il traffico di esseri umani, ma anche e soprattutto nella prospettiva della tutela dei migranti che rischiano la vita in mare40. Questo secondo profilo, sul piano strettamente giuridico, si traduce nell'obbligo da parte degli Stati di prestare soccorso tramite le navi battenti la loro bandiera a chiunque sia rinvenuto in mare in situazione di pericolo.

Nella prassi più recente però è stato evidenziato che quando entra in gioco il tema dell'immigrazione, gli Stati si dimostrano riluttanti interpretando gli obblighi internazionali in maniera restrittiva a tal punto da determinare, nei casi più gravi, il mancato soccorso in mare dei profughi in pericolo.

Di fronte a tale inazione da parte degli Stati, alcune organizzazioni non governative hanno deciso di effettuare nel Mar Mediterraneo interventi di ricerca e soccorso di migranti in pericolo, attraverso imbarcazioni appositamente noleggiate.

40 F.Mussi, Sulla controversa natura giuridica del codice di condotta del Governo

italiano relativo alle operazioni di salvataggio dei migranti in mare svolte da organizzazioni non governative, in Osservatorio sulle fonti, fascicolo n.3/2017, pag 2 ss.

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Tra gli avvenimenti più significativi che hanno indotto le ONG a decidere di intervenire nel Mediterraneo, vi sono sicuramente il caso "Left to die", riportato l'8 maggio 2011 dal quotidiano inglese The Guardian41, il caso della nave Pinar42 e il caso della nave tedesca Cap Anamur43.

Il primo caso riguardava una barca con a bordo 72 migranti africani partiti dalle coste libiche e diretti verso Lampedusa.

Questa imbarcazione rimase alla deriva per 16 giorni e solo 11 dei 72 migranti riuscirono a salvarsi.

Secondo la ricostruzione dei fatti operata dal quotidiano e in seguito ad una indagine commissionata dall'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, risulta che, sebbene i centri nazionali di coordinamento del soccorso marittimo italiano e maltese fossero stati avvisati della situazione di pericolo in cui versava l'imbarcazione, nessun mezzo ha mai effettuato un'operazione di soccorso e ricerca, lasciando così che l'imbarcazione, con a bordo solo nove superstiti, si spiaggiasse sulle coste libiche, dalle quali era partita sedici giorni prima.

Il secondo caso riguarda invece una nave mercantile turca con a bordo 145 persone soccorse al largo delle coste di Lampedusa.

41https://www.theguardian.com/world/2011/may/08/nato-ship-libyan-migrants 42 F. De Vittor, Soccorso in mare e rimpatri in Libia: tra diritto del mare e tutela

internazionale dei diritti dell'uomo, in Riv. dir. int.,2009, p.800 ss.

43S.Trevisanut, Le Cap Anamur: Profils de droit international et de droit de la mer, in Annuaire du droit de la mer, 2004, pag. 49 ss.

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Tale nave è rimasta per quattro giorni nel canale di Sicilia in attesa che lo Stato italiano e quello maltese determinassero il porto che avrebbe dovuto accogliere i naufraghi.

Il 21 aprile 2008 la nave ottenne l'autorizzazione ad entrare nelle acque territoriali italiane per approdare a Porto Empedocle.

Cap Anamur, infine, è il nome della nave tedesca che nel luglio 2004 soccorse 37 profughi sudanesi a bordo di un gommone alla deriva tra la Libia e Lampedusa.

Anche in questo caso, come nella vicenda Pinar, la nave tedesca attraccò a Porto Empedocle dopo un'odissea di 21 giorni nei quali lo Stato italiano, maltese e tedesco si delegarono a vicenda la responsabilità di accogliere i profughi.

Questi sono solo alcuni dei tanti casi di inazione degli Stati di fronte a tragedie che hanno portato le ONG a ritenere opportuno intervenire nel Mar Mediterraneo per svolgere attività di ricerca e soccorso in mare. A partire dal 2014, infatti, vi erano già dieci ONG operative nel Mar Mediterraneo: MOAS, Seawatch, SOS Mediterranee, Sea Eye, Medici Senza Frontiere, Proactive Open Arms, Life Boat, Jugend Rettet, Boat Refugee, Save The Children.

Nelle operazioni di soccorso le navi delle ONG rappresentano un tertium

genus di unità operanti in mare, distinguendosi sia dalle navi private sia

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Dalle prime si differenziano perché perseguono unicamente lo scopo di aiutare chi versi in una situazione di pericolo, svolgendo funzioni analoghe a quelle svolte da navi statali adibite a finalità umanitarie, dalle seconde, invece, si differenziano in quanto le navi delle ONG sono a tutti gli effetti private.

Secondo i dati riportati dalla Guardia Costiera italiana nell'anno 2017 i migranti soccorsi dalle ONG nel Mar Mediterraneo centrale sono stati 46.601.44

Tra le più importanti ONG operanti nel soccorso in mare, troviamo Medici Senza Frontiere.

Tale organizzazione fondata nel 1971, a seguito dei massacri della guerra civile in Nigeria, ha iniziato la sua attività nel Mar Mediterraneo nel 2015, potendo contare inizialmente su tre imbarcazioni: la Dignity, la Bourbon Argos e la Aquarius.

Di questi tre natanti nel 2017 è rimasta solamente l'Aquarius (utilizzata in collaborazione con Sos Mediterranee) alla quale è stata affiancata la nave Vos Prudence.45

L'intervento umanitario svolto da Medici senza frontiere è imponente, come testimoniato dalle parole del presidente Loris De Filippi in una lettera spedita al Fatto Quotidiano, in cui afferma che "...Medici senza

44 www.guardiacostiera.gov.it/attivita/Documents/attivita-sar-immigrazione 2017/ Rapporto_annuale_2017

45G. De Lorenzo, Arcipelago ONG, inchiesta sulle navi umanitarie nel Mediterraneo, La Vela, Viareggio, 2017, pag. 45 ss.

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frontiere ha effettuato oltre 550 soccorsi e assistito più di 69mila naufraghi in collaborazione con la guardia costiera italiana..".

Accanto a Medici senza frontiere, tra le altre ONG operative nel Mar Mediterraneo, troviamo Sea Watch e Sea Eye, il cui operato è stato oggetto di molte critiche e di cui si sente parlare quotidianamente.

Sea Watch è stata fondata da Harald Hoppner il 19 maggio del 2015 unitamente ad altri quattro imprenditori tedeschi che acquistarono un vecchio peschereccio olandese, Sea Watch 1.

In seguito l'ONG ha acquistato un seconda imbarcazione Sea Watch 2 sostituita poi da Sea Watch 3.

L'ONG Sea Eye, invece, fu fondata nell'autunno del 2015 da Michael Buschheuer, e ha sede a Regensburg in Germania.

Tale ONG per svolgere le operazioni di soccorso nel Mar Mediterraneo ha acquistato due imbarcazioni, la Sea Eye e la Seefuchs.

Dai dati riportati dalla stessa ONG sul proprio sito ufficiale, in data 19 maggio 2017, risulta che Sea Eye abbia salvato 8.352 persone46.

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3. Il Codice di condotta delle ONG.

Una delle critiche rivolte più spesso alle organizzazioni non governative consiste nel fatto che queste agiscono in mancanza di una specifica normativa che tenga debitamente conto delle peculiarità e delle finalità delle navi utilizzate47.

Considerata la complessità del fenomeno migratorio, difficile da regolamentare, essendo caratterizzato al tempo stesso da una natura strutturale e da tratti dinamici48, il Governo italiano ha sentito l'esigenza di predisporre una serie di regole, articolate in forma di Codice di condotta, volte a disciplinare l'operato delle organizzazioni non governative impegnate nelle operazioni di salvataggio dei migranti nel Mar Mediterraneo.

In data 16 maggio 2017, la Quarta Commissione Permanente (Difesa) del Senato ha approvato un documento a conclusione di un'indagine conoscitiva, proposta nella seduta del 27 marzo 2017, intitolata "Sul contributo dei militari italiani al controllo dei flussi migratori nel Mediterraneo e l'impatto delle attività delle organizzazioni non governative".

47F. Mussi, op. cit., pag. 3 ss.

48A. Rauti, Il codice di condotta per le ONG ed il controllo sul mare extraterritoriale, in Quaderni costituzionali, Fascicolo 4, dicembre 2017. pag 899 ss., www.rivisteweb.it.

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Sebbene da tale documento non emergano fatti evidenti che possano provare eventuali collusioni tra le ONG e i cosiddetti scafisti49, il Ministro dell'Interno italiano Marco Minniti ha voluto predisporre ugualmente il Codice di condotta per le ONG.

Quest'ultimo infatti, dopo aver ottenuto il sostegno da parte dei Ministri dell'Interno francese e tedesco e dal Commissario Europeo per le migrazioni gli affari interni e la cittadinanza, in un incontro informale tenutosi a Parigi in data 2 luglio 2017, ha inviato alle ONG attive nel Mediterraneo una prima proposta di Codice di condotta.

Tale proposta è stata discussa nel corso di due successivi incontri tenutisi il 25 e 28 luglio.

E' stato redatto infine il documento definitivo poi sottoposto alle firme delle ONG nel corso di un ulteriore incontro svoltosi il 31 Luglio 201750. In tale ultimo incontro sono state nuovamente rappresentate le ragioni che hanno portato alla redazione del Codice e l'intesa con la commissione che ha seguito la redazione e la messa a punto del documento51.

49Il Direttore Esecutivo di Frontex, Fabrice Leggeri, in una intervista rilasciata ad un quotidiano tedesco, ha ritenuto sussistenti fatti che provano collusioni tra le ONG e gli scafisti. Tale tesi è sostenuta inoltre dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania, Carmelo Zuccaro, il quale ha avviato una indagine conoscitiva, sulla scorta dei sospetti avanzati da Fabrice Leggeri, sull'origine dei finanziamenti che consentono alle ONG di sostenere le proprie attività di ricerca e soccorso in mare. F. Mussi, op. cit., pag. 5 ss.

50 Il testo è reperibile in www.interno.gov.it/sites/default/files/allegati/codice_ condotta_ong.pdf.

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Il Codice rappresenta dunque un tentativo di dare ordine a tale materia, richiesto dalla gestione del fenomeno degli sbarchi che ha assunto per l’Italia dimensioni enormi52.

Con la firma del Codice, le ONG assumono gli impegni indicati nei 13 punti che lo compongono, ovvero non entrare nelle acque territoriali libiche, salvo in situazioni di grave e imminente pericolo che richiedano assistenza immediata53, e non ostacolare l’attività di Search and Rescue (SAR) da parte della Guardia costiera libica; non spegnere o ritardare la regolare trasmissione dei segnali qualora installati a bordo; non effettuare comunicazioni o inviare segnalazioni luminose per agevolare la partenza e l’imbarco di natanti che trasportano migranti, fatte salve le comunicazioni necessarie nel corso di eventi SAR per preservare la sicurezza della vita in mare; comunicare al competente MRCC l’idoneità tecnica (relativa alla nave, al suo equipaggiamento e all’addestramento dell’equipaggio) per le attività di soccorso, fatte salve le applicabili disposizioni nazionali ed internazionali concernenti la sicurezza dei

52A. Rauti, op. cit., pag. 900.

53Il Codice di condotta italiano afferma nel suo incipit che «l’obiettivo principale delle autorità italiane nel soccorso dei migranti è la tutela della vita umana e dei diritti delle persone». Alcune delle sue disposizioni sembrano però andare contro gli obblighi internazionali degli Stati e dei comandanti in materia di salvataggio. Il testo del Codice è piuttosto contorto a questo riguardo, in quanto richiede alle ONG di impegnarsi «a non entrare nelle acque territoriali libiche, salvo in situazioni di grave e imminente pericolo che richiedano assistenza immediata». Questa disposizione, se presa alla lettera, limiterebbe illegalmente il diritto di passaggio inoffensivo di cui godono tutte le navi nel mare territoriale altrui, comprese le navi delle ONG impegnate in operazioni di salvataggio. Se invece questa disposizione intende impedire che navi di ONG stazionino nel mare territoriale libico al fine di prestare soccorso, allora sarebbe contraria a quanto previsto dall’art. 18, par. 2, CNUDM. I. Papanicolopulu, op. cit., pag. 25.

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natanti e le altre condizioni tecniche necessarie alla loro operatività; assicurare che, quando un caso SAR avviene al di fuori di una SRR ufficialmente istituita, il comandante della nave provveda immediatamente ad informare le autorità competenti degli Stati di bandiera, ai fini della sicurezza, e il MRCC competente per la più vicina SRR; tenere costantemente aggiornato il competente MRCC; non trasferire le persone soccorse su altre navi, eccetto in caso di richiesta del competente MRCC; assicurare che le competenti autorità dello Stato di bandiera siano tenute costantemente informate dell’attività intrapresa dalla nave; cooperare con l’MRCC, eseguendo le sue istruzioni ed informandolo preventivamente di eventuali iniziative intraprese autonomamente perché ritenute necessarie ed urgenti; ricevere a bordo, eventualmente e per il tempo strettamente necessario, su richiesta delle Autorità italiane competenti, funzionari di polizia giudiziaria affinché questi possano raccogliere informazioni e prove finalizzate alle indagini sul traffico di migranti e/o la tratta di esseri umani, senza pregiudizio per lo svolgimento delle attività umanitarie in corso; dichiarare, conformemente alla legislazione dello Stato di bandiera, alle autorità competenti dello Stato in cui l’ONG è registrata tutte le fonti di finanziamento per la loro attività di soccorso in mare e a comunicare, su richiesta, tali informazioni alle Autorità italiane nel rispetto dei principi di trasparenza; cooperare lealmente con l’Autorità di Pubblica Sicurezza

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del previsto luogo di sbarco dei migranti, anche trasmettendo le pertinenti informazioni di interesse a scopo investigativo alle Autorità di Polizia; recuperare, durante le attività, una volta soccorsi i migranti e nei limiti del possibile, le imbarcazioni improvvisate ed i motori fuoribordo usati dai soggetti dediti al traffico/tratta di migranti54.

Se da un lato il Codice è stato accolto con toni entusiastici da parte dei Ministri degli Interni degli Stati membri dell'Unione europea, in occasione di un vertice informale tenutosi il 6 luglio a Tallin, dall'altro lato le ONG hanno visto in senso negativo l'adesione a tale documento, in quanto porterebbe le stesse a perdere l'indipendenza che le caratterizza.

Non tutte le organizzazioni hanno infatti accettato di firmare il Codice. Due in particolare sono le clausole che hanno indotto alcune ONG a non sottoscrivere il documento.

La prima riguarda l’impegno a ricevere persone armate a bordo che secondo le ONG violerebbe il c.d. principio di neutralità condizionando alcune missioni umanitarie.

La seconda clausola riguarda invece l’impegno a non trasferire le persone soccorse su altre navi.

Una simile limitazione, secondo le organizzazioni non firmatarie, non sarebbe infatti contenuta in alcuno dei Trattati che regolano le operazioni di soccorso in mare e, anzi, potrebbe andare contro gli obblighi che

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gravano sui comandanti di mettere al sicuro le persone soccorse e di trattare queste ultime con umanità nel rispetto dei loro diritti.

Il trasporto di persone su altre navi al contrario faciliterebbe, secondo le ONG, la conduzione in luogo sicuro e potrebbe permettere alle persone di beneficiare di condizioni migliori dal punto di vista umanitario55.

Le ONG che ad oggi risultano vincolate dal Codice sono Sos Mediterranee, Proactiva Open Arms, Migrant Offshore Aid Station (Moas), Sea Eye e Save the Children.

Particolare è la posizione tenuta da Medici senza frontiere che ha consegnato una lettera al ministro Minniti, con la quale ha messo in luce che i principi umanitari di indipendenza, imparzialità e neutralità non consentono la firma assieme alle altre organizzazioni.

Nonostante ciò, Medici senza frontiere ha ritenuto liberamente di adeguarsi alla gran parte dei principi del Codice da loro condivisi.

Di conseguenza si è posto il problema di come comportarsi nei confronti di quelle ONG che non hanno aderito al Codice di condotta.

A tal proposito è importante sottolineare che, nel paragrafo conclusivo della seconda stesura del documento, non è stata ripresa l'originaria previsione della sanzione di "diniego da parte dello Stato italiano

dell'autorizzazione all'ingresso nei porti nazionali..." in caso di mancata

sottoscrizione del Codice di condotta o di mancato rispetto degli obblighi da esso previsto.

(50)

Dunque nella versione finale del Codice è previsto che "La mancata

sottoscrizione di questo Codice di Condotta o l’inosservanza degli impegni in esso previsti può comportare l’adozione di misure da parte delle Autorità italiane nei confronti delle relative navi, nel rispetto della vigente legislazione internazionale e nazionale, nell’interesse pubblico di salvare vite umane, garantendo nel contempo un’accoglienza condivisa e sostenibile dei flussi migratori.

Il mancato rispetto degli impegni previsti dal presente Codice di Condotta sarà comunicato dalle Autorità italiane allo Stato di bandiera e allo Stato in cui è registrata l’ONG"56.

(51)

4. La qualificazione giuridica del Codice di condotta.

Tra le questioni più controverse che il Codice di condotta del Governo italiano ha sollevato figura sicuramente la sua incerta qualificazione giuridica.

Un primo interrogativo, che ci si è posti in riferimento alla natura giuridica di tale documento, è se esso possa essere considerato quale trattato internazionale.

Quest'ultimo per definizione consiste nella concorde manifestazione di volontà resa reciprocamente da due o più soggetti di diritto internazionale, allo scopo di produrre effetti giuridicamente vincolanti nei loro rapporti internazionali57.

Tenendo in considerazione questa definizione appare evidente come il Codice di condotta per le ONG non possa essere qualificato come trattato di diritto internazionale per un duplice ordine di ragioni.

Innanzitutto le organizzazioni non governative, nonostante la loro attività nella società internazionale abbia un notevole rilievo, non vengono riconosciute quali soggetti di diritto internazionale, in quanto generalmente sono qualificate come meri enti privati58.

Inoltre il Codice non prevede un coinvolgimento paritario delle parti, infatti esso è stato sottoscritto unicamente da alcune ONG e non

57P.M. Dupuy, Y. Kerbrat, Droit international public, Paris, Dalloz, 2016, p. 271.

58 E. Tramontana, Organizzazioni non governative e ordinamento internazionale, Padova, Cedam, 2013, pag. 6.

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dall'Italia e dunque comporta obblighi giuridici in maniera unilaterale solo in capo alle ONG.

Di conseguenza, non potendo considerare il Codice quale atto di diritto internazionale o di diritto dell'Unione europea, si ritiene, in via residuale, che esso debba essere qualificato come strumento di diritto interno59. Anche in merito a questa qualificazione, tuttavia, sorgono delle problematiche in riferimento alla sua posizione all'interno della gerarchia delle fonti dell'ordinamento italiano.

Il Codice, infatti, non essendo stato adottato mediante i procedimenti previsti dall'ordinamento italiano all'art. 70-74, 76 e 77 della Costituzione, non presenta i caratteri formali né delle leggi ordinarie né degli atti aventi forza di legge quali decreti legislativi e decreti legge. Inoltre è stata esclusa anche la possibilità di qualificare il Codice come fonte di diritto secondario, in forma di regolamento, in quanto, in tale materia, non esiste un'apposita attribuzione di competenza riconosciuta dalla legge ordinaria.

Considerando tale impostazione, ne deriva che la mancata sottoscrizione del documento da parte di alcune ONG non può avere alcuna conseguenza giuridica nei confronti delle stesse.

Non è pertanto legittima alcuna reazione del governo nei confronti delle ONG non firmatarie se non nei casi e nei limiti sanciti dalle norme nazionali e internazionali, a differenza di quanto era stato previsto nella

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