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Il Pane tra Tradizione e Innovazione

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI

DI PISA

D

IPARTIMENTO

D

I

E

CONOMIA E

M

ANAGEMENT

Corso di laurea in

Strategia, Management e Controllo

IL PANE TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE

RELATORE CANDIDATO Prof. Maria Andreoli Simona Pratali

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INTRODUZIONE  ...  3  

1   IL  MERCATO  DEL  PANE.  UN  INQUADRAMENTO  GENERALE.  ...  7  

1.1   IL  MERCATO  DEL  PANE  NEL  TEMPO  ...  8  

1.2   LA NORMATIVA SUL PANE IN ITALIA  ...  21  

1.3   I VARI TIPI DI PANE IN ITALIA  ...  29  

2   IL  PANE  E  I  CONSUMATORI  ...  32  

2.1   IL  CONSUMATORE  OGGI  ...  32  

2.2   I  CONSUMI  ALIMENTARI  DEGLI  ITALIANI  ...  38  

2.3   ACQUISTO  DEL  PANE:  FATTORI  CHE  INFLUENZANO  IL  CONSUMATORE  ...  49  

2.3.1   Abitudini  nell’acquisto  e  consumo  del  pane  ...  49  

2.3.2   Attributi  ricercati  nell’acquisto  del  pane  ...  54  

2.4   LA  VENDITA  DEL  PANE  ...  57  

2.4.1   Dalla  Bottega  alla  Grande  Distribuzione  ...  57  

2.4.2   Panetterie  tradizionali  o  grande  distribuzione?  ...  62  

3   IL  PANE  TRA  TRADIZIONE,  ORIGINE  E  SALUTE  ...  69  

3.1   LA  QUALITÀ  AGROALIMENTARE  E  IL  SISTEMA  DELLE  ESSE  ...  69  

3.2   ASPETTI  SALIENTI  DELLA  TECNICA  DI  PANIFICAZIONE  ...  78  

3.3   TRADIZIONE  E  TIPICITÀ  ...  86  

3.4   ORIGINE  E  LEGAME  TERRITORIALE  ...  92  

3.5   ASPETTI  SALUTISTICI  ...  98  

3.6   TRADIZIONE,  TIPICITÀ,  ORIGINE  E  ASPETTI  SALUTISTICI  IN  ALCUNI  TIPI  DI  PANE  ...  106  

3.7   LA  PIRAMIDE  ALIMENTARE  TOSCANA,  LE  INIZIATIVE  DELLA  REGIONE  TOSCANA  E   NON  SOLO  ...  115  

4   STRATEGIE  AZIENDALI  DI  SUCCESSO:  IL  CASO  PRINCI  ...  126  

5   LA PANETTERIA DEL FUTURO  ...  137  

5.1   L’ORIENTAMENTO  STRATEGICO  DI  FONDO  ...  137  

5.2   LA  STRATEGIA  D’INGRESSO  ...  138  

CONCLUSIONI  ...  150  

  BIBLIOGRAFIA  ...  152  

SITOGRAFIA  ...  156  

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INTRODUZIONE

Questa tesi si pone l’obiettivo di riscoprire e reinterpretare in chiave moderna il pane, ovvero uno degli alimenti più semplici e più antichi della storia, dimostratosi nel corso del tempo come elemento centrale dell’alimentazione dell’uomo. Il pane è un alimento popolare, diffuso in tutto il mondo, oggi principalmente utilizzato come complemento ai pasti quotidiani.

Partendo dall’analisi del mercato del pane nel tempo, è stata esaminata l’evoluzione della normativa italiana in materia, per soffermarci successivamente sulle varie tipologie di pane esistenti in Italia.

Riscoprire il pane significa anche reinterpretarlo sulla base delle esigenze dei consumatori. Attraverso un’attenta ricerca bibliografica e lo studio delle ricerche effettuate dal Censis, sono state pertanto individuate le caratteristiche del consumatore moderno e le sue abitudini alimentari. I consumatori ricercano prevalentemente nei prodotti: la qualità, la genuinità, la biodiversità, il rapporto con il territorio, le tecniche di produzione tradizionali, il contatto diretto con i produttori e la filiera corta. Dallo studio fatto è inoltre emerso che nel tempo i consumatori hanno consolidato un forte interesse nei confronti dei prodotti salutistici per i quali sono disposti a pagare un

premium price.

L’attenzione alla qualità e salubrità degli alimenti è testimoniata anche dal fenomeno della panificazione domestica, scelta molto

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spesso come stile di vita o anche per selezionare meglio gli ingredienti utilizzati. Nel presente lavoro di tesi non viene approfondito questo fenomeno che, pur essendo tuttavia in crescita, appartiene alla realtà domestica e non può essere messo in correlazione con il settore produttivo della panificazione.

Il lavoro prosegue concentrando l’attenzione su due diversi studi, il primo riguarda un’indagine qualitativa sulle abitudini di acquisto e consumo del pane, il secondo riguarda gli attributi che il consumatore ricerca al momento dell’acquisto di questo prodotto. Sulla base di queste analisi sono stati definiti i fattori che influenzano i soggetti durante il processo di acquisto e consumo.

Un excursus storico sulle modalità di vendita e distribuzione del pane ci ha permesso inoltre di individuare e capire le modalità di offerta al pubblico e la loro evoluzione nel tempo. Soffermandoci sulla configurazione attuale del mercato, vengono analizzati i luoghi in cui vengono acquistati i prodotti della panificazione, anch’essi in grado di influenzare e differenziare la percezione che il consumatore ha del prodotto.

Nonostante le numerose varietà offerte, sia nelle panetterie tradizionali che nella grande distribuzione, il pane non trova tuttavia una collocazione ben precisa sul mercato, viene spesso percepito come un prodotto indifferenziato che suscita poco interesse nei consumatori. Alla luce delle informazioni acquisite è oggi possibile affermare che è assente dal mercato una modalità di produzione e distribuzione innovativa di prodotti di panificazione salutari, che soddisfano le esigenze dei consumatori attenti alla salute. Una parte di questi

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prodotti esistono già, ma non sono offerti in modo appropriato, mancano infatti negozi di produzione e vendita appositamente dedicati.

Il riposizionamento del pane sul mercato costituisce la nuova sfida che attende il settore della panificazione e dovrà essere orientata verso alimenti salutari. A tal proposito anche l’OMS1 sottolinea lo stretto legame e l’importanza del binomio “alimentazione e buona salute”, la nutrizione adeguata e la salute vengono infatti considerati diritti umani fondamentali. L’alimentazione costituisce uno dei fattori che maggiormente incidono sulla qualità della vita delle persone, una dieta equilibrata e sana è un valido strumento di prevenzione per molte patologie e di trattamento per molte altre.

A seguito di un’attenta ricerca bibliografica sono state individuate ed esaminate a titolo di esempio quattro tipologie di pani salutari e/o adatti alla cura di patologie specifiche.

La possibilità di innovare con successo un prodotto tradizionale come il pane viene dimostrata attraverso l’analisi del caso Princi. In un settore apparentemente maturo come quello del pane, l’innovazione di Princi è frutto dell’attenta combinazione di un mix di fattori, che vanno dalla qualità intrinseca dei prodotti all’immagine legata al punto vendita.

Il lavoro di tesi si conclude accettando la sfida che offre il settore della panificazione. Partendo dalle esigenze sentite dal consumatore,

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viene concepita una “panetteria del futuro” i cui punti di forza sono la produzione e vendita di un pane “al servizio della salute”.

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1 IL MERCATO DEL PANE. UN INQUADRAMENTO

GENERALE.

Il pane è il simbolo di nutrimento e sinonimo di lavoro, gioia di vivere, speranza e fede. “Due terzi della popolazione mondiale si nutre principalmente di cereali e prodotti derivati”.2

In passato il pane ha sempre avuto un ruolo sociale sia nella dimensione individuale che negli eventi collettivi più importanti. Esso, infatti, ha influenzato le abitudini, le leggi e il linguaggio comune.

I detti più comuni come “vivere di pane e acqua”, “non avere pane per i propri figli”, “chi ha il pane non ha i denti” etc. sottolineano come esso abbia rappresentato un livello base di sopravvivenza e addirittura un indice di stato. Non a caso il pane, in quanto indice minimo della salute del popolo, è stato spesso legato al problema dell’ordine pubblico e del controllo delle masse, scandendo anche gli avvenimenti della storia come le guerre. Ad esempio si è parlato di pane anche durante le guerre proprio perché nel corso di questi avvenimenti scarseggiava ed era introvabile.

Nel paragrafo 1.1 analizzeremo il mercato del pane nel tempo, nel paragrafo 1.2 verrà analizzata la normativa sul pane in Italia e nel paragrafo 1.3 verranno trattate le varie tipologie di pane presenti in Italia.

2 Consorzio di Promozione e Tutela del Pane Toscano a Lievitazione Naturale,

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1.1 Il mercato del pane nel tempo

La nascita del pane si può far coincidere con l’avvento dell’agricoltura e di riflesso con lo svilupparsi delle prime attività agricole.

“La prima testimonianza scritta, dove si parla di pane, la ritroviamo nel codice di Hammurabi, un sovrano della prima dinastia di Babilonia, vissuto intorno alla metà del 1.700 A.C”3. Inizialmente il

pane veniva prodotto con l’orzo, successivamente l’orzo venne sostituito con il grano poiché consentiva una panificazione migliore.

Sembra che, a iniziare per primi la coltivazione del grano, siano stati gli antichi abitanti della Siria e della Palestina e da qui passò poi in Egitto dove già si produceva l'orzo. Testi antichi e resti archeologici testimoniano che il pane veniva usato sia dagli antichi Egizi che dagli Etruschi, inoltre era un alimento comune per gli Ebrei, per i Greci e veniva comunemente consumato dai Romani.

Nelle tombe degli antichi Egizi si trovano affreschi raffiguranti rappresentazioni delle tecniche seguite per la panificazione. Si osservano le sequenze di pulitura dei cereali, setaccio e pestaggio in appositi mortai. La farina ottenuta veniva impastata a mano con acqua, usando come base una lastra di pietra oppure delle grandi giare. Secondo lo storico greco Erodoto gli Egizi conoscevano l’uso del lievito. La pasta inacidita era presente in ogni casa egizia, “era

3 Gruppo di Ricerche Archeostoriche del Lambro c/o Museo Civico di Biassono “Carlo Verri”, Il

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custodita come cosa sacra, per le sue capacità, quasi soprannaturali, di rendere il pane in cottura soffice e fragrante”4. Al pane, composto da

farina di farro impastata con acqua, veniva aggiunto come lievito un residuo di pasta del pane del giorno precedente. La cottura poteva avvenire sia in forno sia in forme fittili preriscaldate oppure su pietre arroventate. Le forme del pane erano di vario tipo: c’erano pani circolari, pani con forme di animali e pani a forma conica.

Per gli etruschi il nutrimento base, specialmente delle popolazioni rurali, era il farro, con il quale veniva realizzata la polenta e del pane sottile senza sale. Gli etruschi coltivavano e utilizzavano per la realizzazione di farine anche l’orzo comune e bianco, il miglio e una graminacea originaria dell’India.

Gli Ebrei sin dal IV secolo a.C. mangiavano pane azzimo, questo nome deriva dagli “azzimi” che sono i “pani non lievitati” 5. L’usanza di mangiare pane fatto con grani nuovi e senza lievito ha origine dalla festa agricola che segnava l’inizio della mietitura dell’orzo, la prima della stagione agricola. Il fatto che venisse realizzato senza lievito stava a simboleggiare la vita nuova, la liberazione dall’Egitto e l’entrata nella Terra Promessa.

Il clima e il terreno della Grecia erano poco favorevoli alla coltivazione del frumento e per questo motivo erano costretti ad importarlo. Il popolo greco realizzava pane e focacce impastando la

4 Ministero per i beni e le Attività Culturali, Soprintendenza Archeologica della Toscana,

L’Alimentazione nell’Antico Egitto. http://www.archeologicatoscana.it/wp-content/uploads/2009/11/Egitto_alimentazione.pdf (accesso del 25/10/2016)

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farina (originariamente di orzo) con acqua, ma anche con vino e miele.

I Romani fin dal II secolo a. C. cuocevano il loro pane in casa, sotto la brace o in forni. Impastavano direttamente acqua e farina senza l’utilizzo del lievito che non era ancora entrato nelle loro abitudini. Il pane entrò nell’uso quotidiano alla fine del periodo della Repubblica. Nel Terzo Secolo d.C. si contavano ben 254 botteghe per lo smercio di pane gestite dalla categoria dei fornai panettieri. Tale categoria poi riunita sotto forma di corporazioni provvedeva a fornire il pane a tutta la collettività.

Plinio, scrittore romano, descrive nei suoi testi, diverse tipologie di pane:

" Il ‘Panis streptipcius’ era composto da un impasto leggero di farina, acqua, latte, olio, strutto e pepe, e veniva cotto rapidamente a sfoglie sottili, forse definibile come un antenato dell’odierna pizza.

L'artologalum era una sfoglia di pane che serviva da antipasto. Il panis adipatus era condito con pezzi di lardo e pancetta.

Il panis testicius, l’antenato della piadina, era preparato e consumato dai legionari nei loro accampamenti. I cereali venivano macinati in mulini le cui macine erano azionate dalla forza dell’acqua, da animali da soma o braccia umane”6.

La fine dell’Impero Romano e le successive invasioni dei barbari non determinarono la scomparsa del pane. In quel periodo gli alimenti

6 Ministero per i beni e le Attività Culturali, Soprintendenza Archeologica della Toscana,

L’Alimentazione nell’Antico Egitto. http://www.archeologicatoscana.it/wp-content/uploads/2009/11/Egitto alimentazione.pdf (accesso del 25/10/2016)

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che contrassegnavano la dieta mediterranea erano il pane, l’olio e il vino, considerati sacri dalla liturgia cristiana. Il cristianesimo fu fondamentale nel contribuire all’incremento del consumo del pane anche perché vescovi e abati, promuovendo la semina del frumento, ne favorivano la diffusione. La conversione dei popoli barbari al cristianesimo sottolineò nuovamente l’importanza di questo prodotto. I monaci svolsero un ruolo determinante nella diffusione dei mulini, utilizzati per la macinazione dei cereali. Il mulino ad acqua esisteva già nel mondo antico, ma era più conveniente sfruttare l’abbondanza di schiavi a basso costo rispetto all’attivazione del mulino stesso. Fu l’ingegno dei monaci, lungo tutto il Medioevo, a permettere di riscoprirne il funzionamento e a consentire di apportargli migliorie tecniche importanti. Venne sostituito il lavoro dell’uomo con quello della macchina, ciò rese più facile la macinatura dei cereali, permettendo una migliore qualità della farina e una diffusione maggiore del pane.

Fino al X Secolo vi era un utilizzo comune dei mulini da parte della popolazione, successivamente la loro costruzione e il loro utilizzo venne monopolizzato dai signori feudali che potevano vantare diritti importanti su di essi.

La nascita delle prime città determinò anche l’avvento delle corporazioni7, che favorirono il distaccamento tra il signore feudale ed

il mugnaio stesso. Tra le varie corporazioni vi era anche quella dei fornai. In generale, nell’esercizio di ciascun mestiere, si dovevano

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rispettare delle regole per impedire frodi e garantire una buona esecuzione del lavoro. Per i fornai erano previste ispezioni tese a verificare peso e qualità del pane, inoltre, il futuro panettiere doveva effettuare un periodo di apprendistato (dai 2 ai 4 anni).

Con la fine del Medioevo le corporazioni erano sempre più tese a ricercare il profitto come unico obiettivo; nel caso della corporazione dei fornai veniva meno la garanzia di un prezzo equo per il pane. Le crisi economiche del periodo, caratterizzate da carestie, sottolineavano sempre di più l’importanza e il carattere vitale di questo alimento per tutta l’Europa. Basti pensare alla Rivoluzione francese, una delle cause sociali che la originarono era la mancanza di pane. In Italia, nel 1868 ci furono le rivolte del pane a seguito dell’istituzione della tassa sul macinato, mentre nel 1898 Milano fu segnata dalle proteste della folla per il rincaro del prezzo del pane (il costo era di 40 centesimi al chilo mentre lo stipendio medio era di 18 centesimi al giorno, morirono 700 persone8).

Riconosciuta l’esigenza di calmierare il prezzo del pane, in molti regni d’Europa vennero promulgate leggi su questo alimento.

Nei periodi successivi l’evoluzione della panificazione fu molto lenta. Dal Rinascimento fino alla Rivoluzione Industriale i cambiamenti più evidenti riguardavano i nuovi metodi di macinazione, di realizzazione degli impasti e di cottura. Durante il Rinascimento l'utilizzo di farine più raffinate e bianche e l’innovazione del processo di fermentazione con il lievito di birra

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determinarono un miglioramento nella produzione del pane. In questo periodo iniziò la produzione industriale del pane. Il pane si differenziava in base ai ceti sociali a cui era destinato. A titolo di esempio il pane del papa era bianco e raffinato, poi seguiva quello del cavaliere, del canonico e dello scudiero.

I Secoli XVII-XVIII furono caratterizzati da periodi di carestia, la farina era razionata e sostituita da foglie di olmo e, con i pochi ingredienti a disposizione, veniva realizzato un pane povero. Le due guerre mondiali e altri eventi come la grande carestia di inizio anni Trenta in URSS, determinarono un periodo tragico dal punto di vista alimentare. Il periodo della guerra 1915-1918 venne soprannominato il periodo “del pane grigio” poiché l’esercito consumava pane che arrivava al fronte sporco e ammuffito. Il 1930 fu il periodo della grande carestia causata da Stalin che, nei “piani quinquennali”, sovrastimò il raccolto di grano, imponendo ai contadini di consegnare quantità superiori rispetto a quelle effettivamente raccolte. Le famiglie rimasero senza cibo e morirono di fame circa 7 milioni di persone9.

Durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale l’unico alimento certo era il pane fatto di segale, ceci e segatura poiché la farina di grano mancava. I generi alimentari di prima necessità come il pane vennero tesserati. Ciascun individuo aveva una tessera personale che definiva la quantità di pane acquistabile giornalmente, le dosi erano definite uguali per tutti.

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Nel settembre del 1941 la razione giornaliera di pane era di 200 grammi per persona mentre nel marzo del 1942 scese a 150 grammi. Nella figura 1 si riporta la tessera del pane.

Figura 1 – Tessera del pane

Fonte : https://antoniomorellionline.files.wordpress.com

Dopo la Seconda Guerra Mondiale ci fu un incremento delle produzioni alimentari. Le carestie che si erano verificate negli anni precedenti avevano segnato la popolazione tanto che la produzione di cibo venne poi incrementata in modo eccessivo.

L’incremento della produttività nell’agricoltura avvenne soprattutto grazie alla Rivoluzione Verde (1940-1970). Con l’obiettivo di garantire il benessere generale si applicò un modello basato su capitale, scienza e capacità produttiva; in particolare si ricercarono varietà di cereali più produttive, si cercò di rendere le colture sempre più efficienti per es. “nel caso del mais le nuove tecniche colturali e i

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nuovi ibridi portano le rese da 10 a 100 quintali per ettaro”10. La Rivoluzione Verde ha determinato oltre all’aumento delle produzioni agricole di mais, riso, grano etc., l’impiego di concimi chimici, l’impiego di fitofarmaci, l’uso di tecniche di irrigazione innovative e lo scambio di colture tra i continenti. La Rivoluzione Verde ha portato anche lo sfruttamento irrazionale delle terre coltivabili con il conseguente degrado di grandi superfici coltivate, la riduzione delle varietà coltivate, la diminuzione del valore nutritivo dei prodotti alimentari dovuta all’impiego di fertilizzanti e antiparassitari. La dieta delle persone è diventata più povera e meno diversificata a causa dello sviluppo delle monoculture che hanno sostituito le colture più varie.

Negli anni Sessanta la crescita eccezionalmente forte e rapida ha portato allo sviluppo della “società dei consumi”. I livelli medi di vita delle popolazioni dei paesi sviluppati erano più che raddoppiati e, per la prima volta, le spese alimentari risultavano nettamente minoritarie nel bilancio di quasi tutte le famiglie (“dal 30 al 40% in Europa, verso la fine degli anni ’60”11) poiché aumentavano le spese per l’acquisto

di beni durevoli.

In Italia lo sviluppo del consumismo è stato segnato da due svolte fondamentali. La prima fa riferimento al passaggio dalla bottega artigiana al negozio (nel 1877 nasce a Milano il primo grande magazzino specializzato). La seconda svolta è costituita dal “Boom Economico” degli anni 1953-1963. Il consumo non veniva più visto

10 Ibidem.

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negativamente e diventò il nuovo modello di socializzazione nella vita urbana. In tale periodo avvenne la diffusione dei “beni di consumo durevoli” (es. automobili, motociclette, elettrodomestici) e il carbone venne sostituito dal petrolio e dal metano. La pubblicità passò dalla cartellonistica alla televisione; contemporaneamente si svilupparono autostrade, rete ferroviarie fondamentali per la distribuzione delle merci. Il modo di vivere, le abitudini della popolazione e l'aspetto delle città si modificarono completamente.

Alla fine degli anni Settanta le esigenze divennero sempre più individualistiche si parla infatti di “consumismo della distinzione” ovvero ciascuno cercava di possedere qualcosa di personalizzato prestando più attenzione all’acquisto.

Negli anni Ottanta il prodotto acquistato divenne simbolo dello

status sociale e con il passare del tempo i soggetti iniziarono ad

esprimere un’esigenza di consumo sempre più differenziata e mutevole effettuando le proprie scelte in base a più criteri.

Da questo breve excursus storico si vede come cambia l’atteggiamento del consumatore nei confronti dei beni di prima necessità e di riflesso anche del pane. Il pane, essere precedentemente considerato un prodotto indifferenziato utilizzato come alimento principale, assume marcate sfumature in composizione, pezzatura e costo.

La quantità di pane consumata da ciascun individuo diminuisce progressivamente dal XVIII fino a ora come riporta una ricerca condotta da Coldiretti.

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“Nel 1861, anno dell’Unità d’Italia, si mangiavano ben 1,1 kg di pane a persona al giorno; da allora si è verificato un profondo cambiamento degli equilibri nutrizionali della dieta, con una progressiva riduzione dei consumi del pane, che sono continuamente scesi: 197 gr nel 1990 180 gr nel 2000 120 gr nel 2010 106 gr nel 2012 meno di 100 gr nel 2013”12.

Nel 2014 Coldiretti ha calcolato che il consumo medio per persona è stato di circa 90 gr, pari a meno di due fette di pane al giorno (o due rosette piccole), per poi scendere nel 2015 a 85 gr 13 a

persona.

Per avere una visione d’insieme se consideriamo la “Top Ten Mondiale dei Consumi di Pane nel Mondo” (tabella 1) abbiamo “al primo posto la Turchia, con 105 chili di pane pro capite consumato, il triplo degli italiani, seguita dal Cile, con 96 chili. Al terzo posto gli argentini (76 chili pro capite annui), seguiti a pari merito da svizzeri, polacchi e greci, tutti con 70 kg annui. Poco sotto gli irlandesi (68

12 Staff Giovani Impresa, Expo 2015: consumi al minimo storico, pane Made in Italy in estinzione,

lunedì 15 Giugno 2015.

13 http://www.coldiretti.it/News/Pagine/100-%E2%80%93-13-Febbraio-2016.aspx (accesso del

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chili) che precedono ungheresi e olandesi, appaiati a quota 60 chili. Chiudono la classifica i tedeschi, con 55 chili”.14

Nazione   Consumo  [Kg/persona  x  anno]  

1   Turchia   105   2   Cile   96   3   Argentina   76   4   Svizzera   70   5   Polonia   70   6   Grecia   70   7   Irlanda   68   8   Ungheria   60   9   Olanda   60   10   Germania   55  

Tabella 1 - La Top Ten Mondiale dei Consumi di Pane nel Mondo” in kg per persona all’anno

Fonte: Elaborazioni Coldiretti

C’è da dire che in Italia, mentre è calato progressivamente il consumo di pane comune, è in crescita il consumo di pane congelato e prodotti sostitutivi del pane (crackers, grissini, pani morbidi); questo mette in pericolo il futuro dei fornai, figure professionali storiche dell’artigianato italiano.

Di contro “ad essere preferito, anche se il consumo è in costante calo, è il pane artigianale che rappresenta l’88% del mercato”15, al

tempo stesso si sta riducendo sempre di più la pezzatura (da 1,5 chili ad un solo chilo).

14 Ibidem. 15 Ibidem.

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Secondo l'Associazione italiana Bakery Ingredients la tendenza, per i prossimi anni, “è quella di un ulteriore aumento del pane particolare”16. Questa tendenza emerge dalla ricerca: "Il mercato della

pizza artigianale, del pane e della pasticceria industriale e artigianale", promossa da Aibi, ed elaborata da Databank.

Sono sempre più apprezzate le varianti salutistiche, ad alto valore nutrizionale (a lunga lievitazione, senza grassi, con poco sale, integrale, a km 0) si è sperimentata anche la riscoperta delle specialità tipiche e regionali. Inoltre dobbiamo sottolineare che i consumatori italiani si dimostrano sempre più attenti alla forma fisica e alla qualità.

Cresce del 2% l’interesse dei consumatori verso il pane biologico. L’aumento delle intolleranze e allergie ha consentito lo sviluppo di un nuovo filone, quello dei prodotti senza glutine e a base di cereali alternativi al frumento (ad es. farro).

16 http://www.ansa.it/canale_terraegusto/notizie/dolce_e_salato/2015/07/06/alimentare-dal-fornaio-spesa-salutistica-7-ma-3-consumi_fdb3795f-e876-496a-87be-4c60d486dd01.html (accesso 15/09/2016)

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Figura 2 – Immagine riassuntiva: “Tutti i numeri del pane” Fonte: elaborazione La Stampa su dati Coldiretti

Quindi, quello che un tempo era un semplicissimo impasto composto da farina, acqua, lievito e, non sempre, sale oggi può essere arricchito dai miglioratori chimici (additivi, preparati enzimatici etc.).

Il pane passa da essere un “alimento vivo”, non standardizzabile, indifferenziato, dipende da innumerevoli fattori quali ad esempio le condizioni metereologiche, la tipologia di acqua utilizzata, la località di produzione e così via, ad un prodotto precotto e surgelato, poi trasportato e finito di cuocere nel punto vendita o in alternativa il pane è: pane DOP, pane con marchio AgriQualità, pane biologico etc.

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Il pane lo si può definire come il prodotto glocal per eccellenza, “Il pane esiste in tutto in mondo, ma riesce ad essere diverso da parrocchia a parrocchia”17.

Il pane oggi non ha un posizionamento specifico, non è né un prodotto di nicchia né un prodotto low cost, oggi lo si può ricondurre direttamente alle percezioni e alle emozioni che esso suscita nel momento in cui viene acquistato.

1.2 La normativa sul pane in Italia

In Italia le prime norme sulla panificazione sono state emanate con la Legge 31/07/1956 numero 1002. Con questa legge è stato disciplinato esclusivamente l’impianto, la riattivazione, il trasferimento e la trasformazione dei panifici. Questa normativa mirava principalmente alla contingentazione delle licenze di panificazione prevedendo il rilascio di licenze previo esame della relativa richiesta da parte di una Commissione. Tale Commissione, costituita e presieduta dal presidente della Camera di Commercio, Industria e Agricoltura, accertava l’opportunità del nuovo impianto in relazione alla densità dei panifici esistenti e del volume della produzione nella località ove veniva richiesta l’autorizzazione.

Per l’apertura di nuovi panifici, muniti dell’autorizzazione di cui sopra, ma anche per le trasformazioni e i trasferimenti dei panifici già esistenti doveva essere poi rilasciato un ulteriore atto amministrativo

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denominato “licenza”. La “licenza” restava di competenza della Camera di Commercio, Industria Artigianato previa verifica sull’efficienza degli impianti e sulla rispondenza degli stessi ai requisiti igienico sanitari e tecnici previsti dalla stessa legge 1002. Inoltre trattandosi di “laboratori” rimaneva necessaria l’autorizzazione sanitaria di cui all’art 2 della legge 30/04/1962 numero 283 in materia di igiene degli alimenti e delle bevande. Quest’autorizzazione veniva rilasciata dal Comune in veste di autorità sanitaria locale previo accertamento tecnico delle AA.SS.LL..

Bisogna aspettare fino al 1967 per avere in Italia la prima legge che disciplina chiaramente le caratteristiche e le eventuali denominazioni del pane. La Legge n. 580 del 4 luglio 196718, è stata

promulgata dal Parlamento Italiano in un momento storico di ripresa economica che vedeva un forte sviluppo dell’intero sistema produttivo dopo gli anni della guerra.

La Legge 580/1967, nel Titolo III art. 14 primo comma, definisce merceologicamente il pane come “prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza aggiunta di sale comune”. Nel secondo comma si precisa che “se ottenuto da una cottura parziale, se destinato al consumatore finale deve essere contenuto in imballaggi singolarmente preconfezionati recanti in etichetta le indicazioni previste dalle disposizioni vigenti e, in modo

18 L. 4 Luglio 1967, n.580 Disciplina per la lavorazione e commercio dei cereali, degli sfarinati,

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evidente, la denominazione <<pane>> completa della menzione <<parzialmente cotto>> o altra equivalente, nonché l’avvertenza che il prodotto deve essere consumato previa ulteriore cottura e l’indicazione delle relative modalità della stessa”.

Il terzo comma precisa inoltre che, qualora si tratti di prodotto surgelato, si dovrà tener conto di quanto disposto dal comma precedente. L’etichetta dovrà indicare, oltre alla dicitura <<surgelato>>, ciò che è previsto dalle norme in materia di prodotti surgelati. Il quarto comma dispone che, il pane ottenuto attraverso completamento di cottura (pane parzialmente cotto, surgelato e non), deve essere messo in vendita in settori separati rispetto a quelli utilizzati per il pane fresco e con le indicazioni necessarie ad informare il consumatore in merito al prodotto.

Negli articoli successivi si vanno a specificare altre caratteristiche quali il contenuto di acqua da impiegare nella panificazione, stabilendone il massimo contenuto all'interno delle varie pezzature. Particolare importanza assume l’articolo 17 nel quale vengono stabilite le varie denominazioni del pane in relazione al tipo di farina utilizzata nonché il fatto che il pane di diversa denominazione deve essere collocato in scomparti separati.

L’articolo 17 dispone infatti che:

“Il pane prodotto con farina di grano tenero avente le caratteristiche del tipo 00 è denominato <<pane di tipo 00>>.

Il pane prodotto con farina di grano tenero avente le caratteristiche del tipo 0 è denominato <<pane di tipo 0>>.

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Il pane prodotto con farina di grano tenero avente le caratteristiche del tipo 1 è denominato <<pane di tipo 1>>.

Il pane prodotto con farina di grano tenero avente le caratteristiche del tipo 2 è denominato <<pane di tipo 2>>.

Il pane prodotto con farina integrale è denominato <<pane di tipo integrale>>.

Il pane prodotto con semola o con semolato di grano duro, ovvero con rimacine di semola o semolato, è denominato rispettivamente <<pane di semola>> e <<pane di semolato >> .

Nei locali di vendita i vari tipi di pane devono essere collocati in scomparti o recipienti separati, recanti un cartellino con l’indicazione del tipo di pane e del relativo prezzo”.

Il pane, in quanto prodotto agroalimentare, è soggetto alla normativa agroalimentare generica oltre che a quella specifica. La normativa agroalimentare generica disciplina le seguenti aree tematiche: Additivi e Aromi, Commercializzazione e Imballaggi, Contaminanti e Antiparassitari, Controlli e Etichettatura, Ogm e Pacchetto Igiene nonché la Sicurezza Alimentare. La normativa può essere classificata in: normativa Comunitaria, normativa Nazionale, normativa Regionale e normativa Consensuale Nazionale19.

Nel corso degli anni, la Legge del 1956, è stata molto criticata perché, di fatto, ostacolava l’ingresso di nuovi panificatori e limitava la crescita per quelli già presenti sul territorio. Nell’Ottobre del 2002 l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Antitrust) si era

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inoltre pronunciata sulla legge, evidenziandone i caratteri distorsivi della concorrenza e il protezionismo a favore dei panifici già esistenti con conseguente danno nei confronti di chi voleva entrare per la prima volta sul mercato.

Nell’anno 2006 il legislatore è nuovamente intervenuto sulla materia con il Decreto Legge 4/07/2006 n. 223 convertito con modifiche nella Legge 4/08/2006 n. 248 che abroga totalmente la legge n. 1002/56. Tale Decreto Legge, fortemente voluto dall’allora Ministro dello Sviluppo Economico Bersani, è dedicato alle liberalizzazioni o più precisamente “al cittadino consumatore”, e tocca diversi settori tra cui il pane.

Con le nuove disposizioni per aprire un panificio è sufficiente presentare una dichiarazione d’inizio attività al Comune con l’attestazione del possesso dei requisiti igienico sanitari, urbanistici e ambientali. Con tale abrogazione lo scopo del legislatore è di eliminare gli attuali limiti numerici delle licenze di panificazione, al fine di consentire una maggiore concorrenza e assicurare ai consumatori una maggior accessibilità ai prodotti stessi. Con la nuova Legge viene conferita la competenza sulle funzioni di vigilanza ai Comuni e alle AA.SS.LL. e ai NAS20. Il sindaco del Comune in cui

hanno avuto luogo le sanzioni amministrative, è l’autorità competente per la gestione delle sanzioni.

Il Decreto Legge n. 223 del 2006, poi convertito nella Legge n. 248 del 4/08/2006, all’Articolo 4 recava “Disposizioni urgenti per la

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Liberalizzazione dell’attività di produzione di pane” rimandando l’attuazione a un Decreto Ministeriale che non è stato mai varato. Ad oggi, il consumatore, non è garantito dalla Legge nel riconoscere il pane fresco artigianale dal pane sfornato ma prodotto con base surgelata, e il pane prodotto in Italia dal pane prodotto altrove (anche fuori dall’UE).

Nell’anno 2015 le Associazioni dei Panificatori italiani, in collaborazione con il Deputato Giuseppe Romanini, hanno pianificato una serie d’incontri e riunioni per esaminare le problematiche connesse alla produzione e commercializzazione del pane. Partendo dalla constatazione del lungo vuoto legislativo, è stata elaborata una proposta di Legge contenente gli elementi necessari per riconoscere e valorizzare i produttori di pane fresco e dare le corrette informazioni a chi lo consuma.

La proposta di Legge ha i seguenti obiettivi: “Garantire il diritto all’informazione dei consumatori, valorizzare il pane fresco, fissare la definizione di pane, di prodotto intermedio di panificazione, di lieviti utilizzabili e di paste acide”.21 Attualmente, tale proposta di Legge, è

ferma alla Camera, in Commissione Agricoltura, a Montecitorio. Fortunatamente l’esigenza di tutelare il pane fresco e le imprese artigiane locali, rispetto all’industria di panificazione nazionale ed estera, è stata recepita da varie normative regionali. La Regione Toscana ha legiferato in merito nell’anno 2011; il Veneto, la

21http://www.regioni.it/agricoltura/2016/08/10/alla-camera-ce-una-proposta-del-pd-per valorizzare-il-pane-fresco-focus-471878/ (accesso del 22/10/2016).

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Lombardia ed il Piemonte hanno legiferato nel 2013; la Regione Sardegna ha disciplinato la materia solamente nell’anno 2016.

La Legge Regionale n. 36 del 24/12/2013 della Regione Veneto definisce all’articolo 2, secondo comma quanto segue:

“La denominazione ‘pane fresco’ ai sensi dell’articolo 4, comma 2 ter, lettera b), del decreto legge 4 luglio 2006, n. 223 ‘Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale’ convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, è riservata al pane prodotto secondo un processo di produzione continuo, privo di interruzioni finalizzate al congelamento, alla surgelazione o alla conservazione prolungata delle materie prime, dei prodotti intermedi della panificazione e degli impasti, fatto salvo l’impiego di tecniche di lavorazione finalizzate al solo rallentamento del processo di lievitazione, da porre in vendita entro un termine che tenga conto delle tipologie panarie esistenti a livello territoriale e comunque entro e non oltre la giornata nella quale è stato completato il processo produttivo”.

La Regione Toscana, mediante la Legge Regionale n.18 del 6/05/2011, disciplina l’attività di panificazione, l’esercizio della stessa, la valorizzazione, l’orario di vendita e riposo settimanale, le sanzioni e le disposizioni transitorie. A differenza del Veneto non viene riportata la definizione di “pane fresco”.

A seconda degli ingredienti utilizzati nella preparazione del pane è possibile parlare di pane comune e pane speciale. La differenza fondamentale tra questi due tipi di pane sta nella farina utilizzata. Il

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pane comune si ottiene mediante pasta lievitata composta da: farina di grano, lievito, acqua e sale (quest’ultimo non viene utilizzato in tutti gli impasti). La farina di grano può essere di grano duro, tenero, bianca o integrale. La definizione del tipo di pane varierà in base al tipo di farina utilizzata, quindi: 00, 0, 1, 2 o integrale.

Il pane speciale, invece, è realizzato sostituendo oppure aggiungendo altri ingredienti es. olio, burro, malto, zucchero, latte o frutta; in alcuni casi alla farina di grano vengono mescolate altre farine es. d’orzo, di segale, di soia, di mais etc.

L’art 3 del D.P.R. 30/11/1998 n. 50222 definisce le “Aggiunte” ovvero

l’impiego, in aggiunta agli ingredienti previsti dalla Legge 4/07/1967 n.580, di determinate sostanze come: farine di cereali maltati, estratti di malto, alfa e beta amilasi ed altri enzimi presenti negli sfarinati utilizzati etc. Vengono anche specificate le quantità delle sostanze per esempio “il pane con aggiunta di sostanze grasse deve contenere non meno del 3 per cento di materia grassa totale riferito alla sostanza secca”.23

22 Regolamento recante norme per la revisione della normativa in materia di lavorazione e di

commercio del pane, a norma dell’articolo 50 della legge 22/02/1994 n.146.

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1.3 I vari tipi di pane in Italia

“I pani tradizionali italiani sono di oltre 250 tipi diversi, con oltre mille varianti, che vanno dalle isole alle Alpi”24.

Percorrendo l’Italia da Nord a Sud variano le tipologie di pane poiché variano gli ingredienti che storicamente le regioni avevano a disposizione. Ad esempio nel Meridione d’Italia viene impiegata la farina di grano duro tradizionalmente utilizzata per la pasta. Il risultato è caratterizzato da un pane con consistenza leggera. In Emilia Romagna e in Lombardia viene realizzato il pane giallo prodotto mescolando la farina di mais con la farina di grano. Nelle regioni mediterranee, soprattutto nel Sud d’Italia, si ha il pane con le olive, mentre nelle regioni di montagna è tipico il pane di segale (Valle d’Aosta, Piemonte,Trentino Alto Adige e Valtellina).

Addentrandoci nelle varie comunità troviamo pani meno noti, come quelli preparati con la frutta e altri pani speciali, che vengono realizzati ad es. in Umbria e Basilicata in occasione della Pasqua ed in Sardegna per feste e matrimoni.

Oltre a variare gli ingredienti variano anche le pezzature e sono anch’esse riconducibili alla storia ed ai costumi locali.

Qui di seguito viene riportato un piccolo elenco, non esaustivo, delle varie tipologie di pane.

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Il biovone all’alvà è il pane tradizionale dei contadini piemontesi, infatti alvà è il termine tradizionale che indica l’impasto a base di farina acqua e zuccheri.

Il brazdei è un pane di segale lombardo, ha la forma di una ciambella bassa e viene relizzato in forni a legna, tipico della zona della Valtellina.

Il buscel di fich anch’esso tradizionale della Valtellina, è un filoncino di pane con fichi, dal sapore dolce e dal colore scuro.

Il pane casereccio di Genzano IGP è una specialità tipica laziale, ha ottenuto il riconoscimento del marchio europeo IGP.

Il cavaduzzi è una pane speciale siciliano, legato ad episodi storici e simbolici ed è realizzato con particolari accortezze.

Il filoncino con i semi di sesamo, pane della tradizione siciliana, molto saporito, eredità della lunga denominazione araba sull’isola.

La ciabatta nasce in Lombardia, è un tipo di pane molto diffuso, preparato con farina di grano tenero, acqua, sale, olio extravergine di oliva e lievito di birra; ha una crosta croccante e pasta stirata, con forma lunga e schiacciata.

La coppia ferrarese IGP è un pane di pasta dura, croccante tipico della Romagna, la sua forma bizzarra ad “x” lo rende ideale per la cottura (il corpo cetrale è morbido all’interno e la crosta è lucida all’esterno). Ha ottenuto il riconoscimento del marchio IGP ed è tutelato dall’Associazione per la valorizzazione del pane tipico ferrarerese.

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Le freselle sono invece una specialità pugliese, celebre in tutta Italia. Sono ciambelle croccanti oppure piccoli pani lunghi e stretti, caratterizzate da doppia cottura per renderle croccanti e biscotatte.

La Marocca è il curioso nome di un pane scuro poiché preparato con farina di castegne; tipico della Lunigiana, in particolar modo della provincia di Massa-Carrara. Altri esempi più noti, e quindi degni di nota sono il pane di Altamura, il pane di Matera, il pane di Terni. Di seguito viene riportata la mappa dell’Italia con alcune tipologie di pane presenti nelle varie regioni.

Figura 3 – “Pani tipici d’Italia” Fonte: Gobetti e Corsetti, 2010

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2 IL PANE E I CONSUMATORI

I cambiamenti che avvengono negli stili di vita e nei valori dei consumatori si riflettono nelle abitudini alimentari degli stessi.

In questo capitolo cercheremo di approfondire questi aspetti. Si delineano le caratteristiche del consumatore di oggi e le sue abitudini alimentari. Vengono approfonditi i fattori che influenzano i soggetti durante il processo di acquisto del pane. Il capitolo termina analizzando i luoghi in cui viene acquistato il pane, anch’essi in grado di differenziare la percezione che il consumatore ha del prodotto.

2.1 Il consumatore oggi

Il mutamento dello stile di vita degli ultimi anni e la crisi, con il crollo conseguente dei consumi hanno mutato il profilo del consumatore che al momento attuale ha necessità e priorità molto diverse rispetto ad un passato, anche relativamente “prossimo”.

Nel 2009, agli albori della crisi economica, l’associazione Consumers’ Forum effettua un’indagine di mercato i cui risultati sottolineano che gli items meno condivisi da parte dei consumatori sono: “spendo tutto, non mi interessa risparmiare, scelgo la confezione

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più bella, non è necessario leggere le etichette dei prodotti di marca, sono sempre più deluso dai prodotti che acquisto etc.”.25

I consumatori a causa della crisi sono costretti a risparmiare e acquistano prodotti a prezzi medio-bassi, che alle volte si dimostrano di qualità superiore rispetto a quella aspettata, rinforzando così tale scelta.

Nel settore alimentare assumono notevole importanza la qualità dei prodotti, la biodiversità, il rapporto con il territorio, il contatto diretto con i produttori, la filiera corta etc.

Viene abbandonata l’equazione più “consumi=più felicità”. I comportamenti compulsivi subiscono una battuta d’arresto, si predilige la qualità alla quantità, il senso della misura è alla base delle scelte dei consumatori; infatti si ha un aumento della domanda di prodotti biologici che costano anche il 15% in più rispetto a quelli tradizionali. Per il consumatore sono importanti gli attributi di prodotto (caratteristiche organolettiche, forma, servizi aggiuntivi) e di processo (genuinità, legami con il territorio, tecniche di produzione tradizionali).

Degni di particolare nota sono i prodotti alimentari “a basso valore unitario ad acquisto ripetuto”26, ad esempio il pane. Parliamo di

convenience goods quando ci riferiamo a beni di prima necessità o di

25 Consumers’ Forum, Osservatorio sui Consumi degli italiani. Seconda edizione. Sinopsi, Roma 4

Novembre 2009, p. 7.

26 Belletti G., Marescotti A., Le nuove tendenze nei consumi alimentari, Rivista di Economia

(35)

largo consumo, che vengono acquistati con una certa frequenza27 perché indispensabili e messi in commercio a prezzi altamente concorrenziali. Il consumatore di fronte a tali beni registra una diminuzione della sensibilità al prezzo di mercato.

Come già sottolineavano Belletti e Marescotti28 l’acquisto e il

consumo di cibo vengono sempre più a dipendere da un insieme di situazioni soggettive (come dimensione della famiglia, tempo disponibile per la preparazione dei cibi etc.). Tali situazioni soggettive devono essere necessariamente ricondotte a variabili osservabili, che dipendono da un insieme di fattori di diversa natura: demografica, economica e culturale.

Il consumo non è più un singolo atto ma un processo costituito da più fasi interconnesse tra di loro: inizialmente abbiamo la ricerca di informazioni, poi del luogo di acquisto e successivamente del prodotto. Il processo è caratterizzato da più attività, ciascuna legata a quella precedente e successiva, quindi la percezione della qualità da parte del consumatore non è più limitata ad una singola fase, ma si estende a tutte le fasi del processo. Assumono un’importanza basilare: cosa si acquista, dove si acquista, quando e come si fruisce di ciò che si è acquistato. La variabile tempo, la sfera socio-economica, quella socio-culturale ed il prezzo diventano importanti e vengono definite variabili esplicative del consumo.

27http://www.abi.cab.banche.meglio.it/voce.htm?i=178 (accesso del 6/11/2016)

(36)

Il tempo viene visto come un fattore del processo di consumo, infatti il consumatore è orientato ad acquistare tempo incorporato nei prodotti e/o servizi commerciali (time buying consumer). Il tempo è anche la dimensione entro la quale le fasi del processo si collocano e si articolano. Inoltre si definiscono i seguenti termini timeliness29 come il lasso di tempo necessario affinché il prodotto sia disponibile per il consumatore che lo ha richiesto; time to market30 cioè

l’ammontare di tempo necessario affinché un’impresa possa rendere disponibile il prodotto sul mercato; ed infine l’order to delivery lead

time31 indica l’intervallo di tempo che intercorre dal momento in cui il

consumatore ordina un prodotto al momento in cui esso viene ricevuto dal soggetto stesso.

Vi sono poi le variabili relative alla sfera socio-economica. Queste definiscono le condizioni oggettive del consumo, impongono cioè dei vincoli al comportamento del consumatore. Tra esse abbiamo le variabili relative al cambiamento demografico, ad esempio il rallentamento natalità, l’invecchiamento della popolazione, la riduzione del numero dei componenti della famiglia. Altre variabili di tipo socio-economico si riferiscono alle condizioni generali di consumo cioè l’urbanizzazione, la diffusione dei mezzi di trasporto etc. In tale sfera assumono importante rilievo il concetto di time

29 Cooper, Martha C., Douglas M. Lambert, and Janus D. Pagh. "Supply chain management: more

than a new name for logistics." The international journal of logistics management 8.1 (1997): 1-14.

30 Ibidem. 31 Ibidem.

(37)

saving e la tendenza alla destrutturazione dei pasti, oltre che ai

mutamenti dell’organizzazione del lavoro (es. estensione orario), alla diffusione di famiglie dual-career, al ricollocamento del ruolo dei pasti e cosi via.

Le variabili riguardanti la sfera socio-culturale fanno riferimento a come ciascun individuo esplichi le scelte alimentari in base alle proprie aspirazioni, regole di condotta e preferenze. Possiamo definire due dimensioni che caratterizzano tale sfera: la prima fa riferimento all’attenzione rivolta al contesto esterno al consumatore, la seconda fa riferimento alla ricerca del benessere a livello soggettivo.

Assumono importanza quelle che vengono definite le dimensioni materiali e immateriali dei consumi.

La dimensione materiale riguarda ad esempio la richiesta di prodotti light, privi di grassi e zuccheri, arricchiti di vitamine, sali minerali, prodotti realizzati con sistemi di produzione biologica etc.

Nell’ambito della dimensione immateriale il consumatore mira alla realizzazione della propria personalità e unicità cercando di soddisfare i propri gusti e concentrando l’attenzione sull’aspetto estetico del prodotto. Per il consumatore è importante come il prodotto è realizzato, la natura delle materie prime utilizzate, il rispetto da parte dell’impresa di determinati principi morali.

Esistono tre parole chiave utilizzate da Belletti e Marescotti che sono in grado di definire le nuove tendenze del consumatore: varietà, variabilità e specializzazione.

La varietà fa riferimento al moltiplicarsi delle occasioni di consumo. E’ il riflesso di un costante atteggiamento di ricerca del

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nuovo e si manifesta attraverso la moltiplicazione dei luoghi di acquisto frequentati, le fonti d’informazione utilizzate e i tempi dedicati alle diverse attività di consumo.

La variabilità riguarda l’atteggiamento del consumatore che tende a rievocare le scelte fatte. L’incremento dell’informazione e il livello culturale del consumatore medio determinano una velocizzazione dei cambiamenti e un allontanamento della fedeltà alla marca, al prodotto, al servizio e al canale di acquisto. Possiamo parlare di coesistenza, all’interno dello stesso consumatore, di più criteri di consumo.

“La specializzazione si riferisce al fatto che uno stesso consumatore può utilizzare un criterio di consumo diverso o addirittura in contrasto con quelli adottati per altre attività di consumo”.32

Quindi cosa ricerca il consumatore?

• Elevato contenuto di servizio time-saving.

• Un servizio commerciale sempre più qualificato e vario. • Assortimento dei prodotti.

• Praticità nel reperire il prodotto e nell’accedere al servizio. • Legame con la tradizione (assume importanza la

presentazione del prodotto nelle varie forme, dimensioni e formulazioni).

(39)

• Pasti semplificati, adatti a una pluralità di occasioni di consumo.

• Individualità e personalizzazione.

Possiamo concludere che non esiste più il consumatore-tipo nel quale si uniformano i comportamenti di consumo. I soggetti, nel momento in cui devono scegliere se acquistare o no un determinato prodotto, si affidano al bagaglio informativo di cui dispongono e alla propria esperienza pregressa.

2.2 I consumi alimentari degli italiani

Gli attributi che spiegano gli alimenti più desiderati dagli italiani nei primi anni del Nuovo Millennio sono genuinità, sicurezza, autenticità e salubrità. A prevalere è la logica “del consumare meno, consumare meglio”33.

I consumi alimentari negli anni 2007-2015 sono calati del 12,2% in termini di valore reale (perdendo 1,6 punti ogni anno)34. L’avvento

della crisi ha determinato una modificazione del contesto economico e sociale con una conseguente riduzione del reddito, del PIL, dell’occupazione e dei consumi.

33 Censis, Gli italiani a tavola: Cosa sta cambiando Il valore sociale dell’alimento carne e i rischi

delle nuove disuguaglianze Rapporto Finale, Roma, 26 Ottobre 2016, p. 16.

(40)

Nonostante la dieta degli italiani sia considerata in tutto il mondo come un modello unico a cui ispirarsi, ci sono una serie di fattori che stanno “scombinando” questo decantato equilibrio nutrizionale.

Tali fattori sono:

• Il Food Social Gap;

• Le falsità che circolano su certi alimenti.

Le diete alimentari sono condizionate dalla capacità di spesa e dalle disponibilità di reddito delle famiglie35. La spesa alimentare è

duramente colpita dalla diversificazione sociale, ciò è dimostrato dal divario sempre più ampio tra le fasce più abbienti e quelle meno abbienti della popolazione. La riduzione del potere di acquisto ha determinato minore libertà di scelta alimentare e quindi una progressiva esclusione delle possibilità di accesso a una dieta equilibrata, completa e salutare36.

Secondo recenti studi elaborati dal Censis37 possiamo parlare di

Food Social Gap questo fenomeno viene definito come la diversa

possibilità, intesa in termini di capacità economica, di poter seguire una dieta di tipo mediterraneo (cibi genuini, sani, buoni e salutari).

35 Parliamo di famiglie meno abbienti nelle quali includiamo quelle operaie e di persone in cerca di

occupazione.

36 Molte persone seguono diete alimentari costituite da squilibrio nutrizionale (es. alimenti non

proteici a basso costo).

37 Censis, Gli italiani a tavola: Cosa sta cambiando Il valore sociale dell’alimento carne e i rischi

(41)

Oltre a coloro che non “possono” seguire una dieta sana e varia ci sono anche italiani che per motivi culturali, oppure per scelta escludono determinati alimenti costituitivi della Dieta Mediterranea.

Tutto ciò ha determinato un forte cambiamento della dieta. Gli alimenti per i quali si registra una riduzione dei consumi sono principalmente carne (alimento simbolo del nuovo benessere), frutta, verdura e pesce. Cresce invece la spesa alimentare delle famiglie per pane e cereali. Una visione d’insieme nel dettaglio è riportata nella tabella 2 elaborata dal Censis38.

Tabella 2 - Composizione della spesa alimentare delle famiglie. Anni 1975- 2015 (val. in miliardi di Euro correnti e val. %)

Fonte: Censis, Gli italiani a tavola: Cosa sta cambiando Il valore sociale dell’alimento carne e i rischi delle nuove disuguaglianze Rapporto Finale, Roma, 26/10/2016, p 41.

(42)

Riferendoci al pane (questo discorso vale anche per molti altri alimenti) sono varie le falsità che circolano al riguardo.

“Il pane fa male”; “i cibi ricchi di carboidrati, come il pane, fanno ingrassare”; “I cibi ricchi di carboidrati, come il pane, fanno venire il diabete”39 questi sono alcuni esempi delle tante “idee

sbagliate” sul pane evidenziate dalla Federazione Italiana panificatori, pasticceri e affini. A sostegno di queste ci sono spesso diete sbilanciate e credenze che “convincono” i consumatori a limitare al massimo l’utilizzo del pane sostituendolo, molto spesso con sostituti (snack, grissini, crackers etc.) che invece sono ricchi di grassi.

La Federazione Italiana panificatori, pasticceri e affini cerca di apporre a tali “leggende metropolitane” una serie di “è falso”, lo scopo è quello di far luce sul fatto che tali leggende sono senza fondamento e inducono comportamenti alimentari sbagliati nei consumatori.

Con la crisi emerge l’attenzione al rapporto con il cibo che costituisce un elemento centrale nella vita degli italiani. Secondo quanto risulta dall’indagine Censis del 2015 “Gli italiani e il cibo Rapporto su un’eccellenza da condividere” 40 il 27,9 % degli italiani

definisce il rapporto con il cibo come salutare “perché attraverso esso le persone si prendono cura della propria buona salute”, per il 26,7% il legame con il cibo è divertente, mentre è motivo di orgoglio e fattore identitario per il 17,9% degli intervistati (tabella 3).

39http://www.fippa.it/cinque-idee-sbagliate-sul-pane/ (accesso del 1/11/2016)

40 Censis Expo 2015 Padiglione Italia, Gli italiani e il cibo Rapporto su un’eccellenza da

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Tabella 3 - Italiani e cibo: la definizione di un rapporto (val.%)

Fonte: Indagine Censis, 2015 - Censis Expo 2015 Padiglione Italia, Gli italiani e il

cibo Rapporto su un’eccellenza da condividere Nota sintetica dei principali risultati,

Milano, 4 Luglio 2015, p.14.  

Il 39,4% degli italiani presta attenzione alla componente relazionale dei locali di ristorazione; la convivialità è il motivo principale per il quale si decide di mangiare fuori casa. Il 32,2% degli italiani si dimostrano attenti alla qualità dei prodotti offerti, si ricerca un cibo buono, di qualità, in un ambiente piacevole e che favorisca al meglio la relazionalità a tavola (tabella 4).

(44)

Tabella 4 - I criteri di scelta dei locali in cui gli italiani mangiano (val.%). Fonte: Indagine Censis, 2015 - Censis Expo 2015 Padiglione Italia, Gli italiani e il cibo Rapporto su un’eccellenza da condividere Nota sintetica dei principali risultati, Milano, 4

Luglio 2015, p.15.

Per gli italiani il baricentro dei criteri di scelta dei prodotti alimentari è caratterizzato dalla qualità. La territorialità trasparente e la certificazione guidano le scelte alimentari e sono garanzia di qualità, sicurezza e salubrità del cibo. L’87,6% degli italiani dichiara che “conta molto” (46,4%) o abbastanza (41,2%) “la tipicità e il radicamento territoriale del prodotto”; per l’86,3% “conta molto o abbastanza la certificazione Doc, Docg e Dop (di cui per il 44,4% è molto importante e per il 41,9% lo è abbastanza). Nella Tabella 5 viene esaminato nel dettaglio quanto sopra detto precisando il fatto che la marca viene richiamata come criterio di scelta per il 59% degli intervistati.

(45)

Tabella 5 - Criteri di scelta dei prodotti alimentari (val.%)

Fonte: Indagine Censis, 2015 - Censis Expo 2015 Padiglione Italia, Gli italiani e il cibo Rapporto su un’eccellenza da condividere Nota sintetica dei principali risultati, Milano, 4

Luglio 2015, p.16.

I consumatori decidono e si orientano verso determinati prodotti trasportati “da una miscela originale di motivazioni e obiettivi”,41 che

definiscono una specifica mappa di alimenti e luoghi di acquisto. Secondo quanto emerso dal Primo Rapporto sulle Abitudini Alimentari degli italiani realizzato da CENSIS42 e dagli studi effettuati

in occasione dell’Expo 2015 per il Padiglione Italia43 oggi è possibile

parlare di “politeismo alimentare”. Parliamo di abitudini alimentari soggettive, mutevoli, frutto dell’io che decide cosa acquistare, in base alle proprie preferenze, aspettative, abitudini e risorse di cui dispone.

41Censis-Coldiretti, Primo rapporto sulle abitudini alimentari degli italiani, Sintesi dei principali

risultati, (First report on Italian food habits: A summary of main results), 2010, Rome, Italy p. 2.

42

Ibidem, p.1.

43 Censis Expo 2015 Padiglione Italia, Gli italiani e il cibo Rapporto su un’eccellenza da

(46)

Il modello alimentare prevalente è, in realtà, un “patchwork di opzioni”,44 spesso apparentemente contradditorie. La qualità si unisce

alla praticità. Tra le persone che dichiarano di “acquistare regolarmente prodotti DOP e IGP, e quindi che sono attente alla qualità, quasi “un terzo”45 acquista regolarmente anche cibi precotti,

“addirittura più di due terzi acquista scatolame, oltre tre quarti surgelati”46. Questo costituisce un esempio di politeismo alimentare.

Le persone mangiano di tutto, generano combinazioni soggettive di alimenti e di luoghi dove acquistarli.

In tutto questo c’è da considerare che la crisi degli ultimi anni ha ridotto gli atteggiamenti compulsivi nei consumi. Con la crisi si è incrementato il numero degli acquisti diretti dal produttore, visti come soluzione che risponde a esigenze come prezzo conveniente, genuinità e sicurezza del prodotto.

I beni acquistati con maggiore frequenza e trasversalità si definiscono beni “sentinella”47. Le caratteristiche di questi beni

definiscono i fattori di scelta che i consumatori ritengono importanti, e connotano in modo molto netto il rapporto che gli acquirenti hanno con il cibo e/o con le modalità di acquisto dello stesso. L’analisi della graduatoria dei beni sentinella più acquistati dagli italiani evidenzia che la spesa alimentare delle famiglie è “orientata prioritariamente a

44 Ibidem. 45 Ibidem. 46 Ibidem. 47 Ibidem, p. 10.

(47)

rapidità e facilità di utilizzo, durata del prodotto e garanzia di sicurezza, oltre ovviamente alla convenienza dei prezzi”48.

Nell’analisi condotta dal Censis-Coldiretti si indaga anche “la frequenza media con cui durante i sette pranzi e le sette cene vengono consumati i vari alimenti”49 (tabella 6).

Tabella 6 - Gli alimenti che gli italiani mettono in tavola (valori medi) Fonte: Indagine Censis-Coldiretti, Primo rapporto sulle abitudini alimentari degli

italiani, Sintesi dei principali risultati, (First report on Italian food habits: A summary of

main results), 2010, Roma, p.5.

48 Ibidem, p.11.

49Censis-Coldiretti, Primo rapporto sulle abitudini alimentari degli italiani, Sintesi dei principali

(48)

In quest’analisi si considera l’arco temporale di una settimana, durante il quale si suppone che vengano consumati sette pranzi e sette cene. Nei pranzi la frutta, il pane e la verdura sono presenti 5 volte su sette, la pasta 4,6 volte su sette, la carne 3 volte su sette e, poi, il dolce è sulla tavola per due pranzi a settimana, vale lo stesso per il riso e il pesce. Le cene hanno caratteristiche non molto diverse dai pranzi. Per 5 volte a settimana gli italiani dichiarano di mettere in tavola la verdura, la frutta e il pane. I giorni feriali a pranzo, quasi 4 volte su cinque, gli italiani mangiano pane, invece oltre 3 volte su cinque mangiano pasta.50 A cena verdura e pane sono nei piatti 3,6 volte su 5,

la pasta meno di 2 volte su cinque, così la carne, mentre il pesce 1,4 volte su 5; nei fine settimana la dieta non si modifica in modo sostanziale.

Dall’indagine è emerso che, riguardo al pane, la categoria di “coloro che dichiarano di mangiarlo sempre a pranzo e/o a cena”,51

conta 17 milioni di “folli” per il pane.

Viceversa 930 mila persone non mangiano mai pane rientrando fra “gli italiani che non mettono mai in tavola certi alimenti”.52

Dall’analisi delle abitudini alimentari degli italiani, emerge il fatto che il consumo di pane avviene quasi esclusivamente durante i pasti principali e che il suo uso a colazione è molto ridotto. Questo è

50 “la verdura è nei piatti 3,6 volte su 5, la carne 2 volte su cinque, la frutta quasi 4 volte su 5, il

pesce 1 volta su 5”Ibidem.

51 Ibidem, p. 6. 52 Ibidem.

(49)

confermato anche dall’”Indagine qualitativa sulle abitudini di acquisto e di consumo del pane”, condotta dall’Istituto di Ricerca Metron per conto di PAN&CO e si può verificare attraverso quanto riportato dalla Tabella 7.

Tabella 7 - In quale occasioni si consuma pane nella sua famiglia, % su totale interviste on-line+ telefoniche (N 765=100%)

Fonte: PAN&CO, Indagine Quantitativa sulle Abitudini di Acquisto e di Consumo del Pane, 2011, p.9.

(50)

2.3 Acquisto del pane: Fattori che influenzano il consumatore Quando il consumatore si trova a scegliere cosa acquistare è influenzato da più fattori che concorrono a determinare la sua scelta finale. L’influenza dei diversi fattori sulle decisioni di acquisto del pane è stata analizzata da diversi studi, fra i quali abbiamo scelto di analizzare quello dell’Istituto di Ricerca Metron e quello di Gava, Bartolini e Brunori53. La prima è un’indagine qualitativa sulle

abitudini di acquisto e consumo del pane, la seconda riguarda gli attributi che il consumatore ricerca nel momento in cui acquista il pane.

2.3.1 Abitudini nell’acquisto e consumo del pane

Nel 2011 PAN&CO54 ha commissionato all’istituto di ricerca

Metron un’indagine di mercato su più fasi per comprendere e interpretare i bisogni, le dinamiche e gli sviluppi del comparto pane

L’indagine svolta da Metron è stata condotta attraverso 765 interviste (600 on-line e 165 telefoniche) a persone residenti al Centro e Nord Italia responsabili degli acquisti alimentari della famiglia e consumatori di pane.

53 Gava, O., Bartolini, F., & Brunori, G., Factors in bread choice, Rivista di Economia Agraria,

71(1),2016, pp. 229-237.

54

Azienda leader austriaca, reparto panetteria. Per ulteriori informazioni consulta www.panundco.com

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