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Metafore e conoscenza, il ruolo delle metafore e dei valori estetici nella ricerca scientifica.

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere

Corso di laurea magistrale in Filosofia e Forme del Sapere

Metafore e conoscenza,

il ruolo delle metafore e dei valori estetici

nella ricerca scientifica

Candidato:

Relatore:

Amedeo Angelo Burrelli

Prof. Pierluigi Barrotta

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Ai miei nonni, che ne possano essere orgogliosi, un sincero grazie

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Indice

Introduzione ... 2

Capitolo 1, Oltre l’empirismo ... 5

1.1 L’utilizzo di metafore nella scienza, alcuni casi storici ... 7

1.2 Tra empirismo e razionalismo ... 12

1.3 Conoscere le cause ... 17

1.4 Limiti della logica induttiva ... 20

Capitolo 2, Metafore e modelli nella ricerca scientifica ... 25

2.1 Le metafore epistemiche ... 26

2.2 Determinazioni non definitorie ... 31

2.3 Utilizzo dei modelli nella ricerca: due diversi punti di vista... 34

2.4 Metafore e paradigmi ... 39

2.5 Tra empirismo e relativismo ... 45

2.6 Conclusioni ... 53

Capitolo 3, Valori estetici e valori epistemici ... 56

3.1 I valori nella scienza ... 59

3.2 Valori estetici nella ricerca scientifica ... 64

3.3 Retorica della scienza ... 74

3.4 Il bello nella scienza ... 83

Capitolo 4, Il modello atomico di Rutherford, un caso storico ... 90

4.1 Metafore, analogie e conoscenza ... 92

4.2 La struttura dell’atomo ... 97

4.3 Conclusioni ... 111

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Introduzione

Scienza e metafore vengono comunemente intese come elementi molto distanti. La scienza dovrebbe riguardare solo il sapere certo, costruito su evidenze empiriche meticolosamente rilevate ed apparati matematici capaci di elaborarle in sistemi complessi. La metafora invece dovrebbe essere uno strumento meramente letterario, utilizzato da poeti e scrittori per impressionare le fantasie dei propri lettori. Nella scienza non dovrebbe esserci alcuno spazio per suggestioni fantasiose, le metafore al contrario non dovrebbero avere niente a che fare con la conoscenza- se non quella critico-letteraria.

Tuttavia le analisi epistemologiche recenti hanno messo in luce che lo sviluppo delle conoscenze scientifiche è molto più complesso e contraddittorio di quanto possa apparire ad uno sguardo esterno e posteriore al suo sviluppo. Prima che sia possibile raccogliere le evidenze empiriche sulle quali fondare le nostre teorie la comunità scientifica dibatte e ragiona su quali modelli possono essere associati ad un dato fenomeno; una volta raccolte le evidenze le teorie che possono implicarle non sono univocamente determinate, lasciando spazio a più possibilità di spiegazione.

In questo complesso processo di sviluppo conoscitivo gli scienziati spesso si affidano a metafore sulle realtà che stanno indagando, in modo da poter inquadrare il fenomeno che stanno studiando in un sistema pre-esistente di leggi e proprietà, tramite le quali è possibile compiere previsioni da poter riscontrare sperimentalmente. Il dibattito scientifico può così spostarsi dal piano congetturale a quello delle esperienze, ed il verdetto esprimersi sui maggior affidabili campi dell’esperienza.

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La seguente trattazione ha come scopo quello di mettere in luce come la metafora ed il ragionamento metaforico possa aiutare la comunità scientifica a raggiungere la conoscenza. A tal fine nel primo capitolo si partirà da alcuni casi storici nei quali le metafore hanno mostrato di avere un ruolo importante, guidando e permettendo alla ricerca scientifica di progredire.

In secondo luogo si mostrerà come posizioni epistemologiche di estremo empirismo non siano sufficienti a spiegare ciò che lo studio storico ha messo in evidenza, costringendoci ad ampliare il nostro orizzonte filosofico di riferimento.

Nel secondo capitolo saranno analizzate le varie tipologie di metafore per capire di quale natura siano quelle rilevanti scientificamente. Una volta determinata la natura di queste metafore si indagherà in quali circostanze possano effettivamente avere un ruolo necessario.

Sarà così affrontato anche il ruolo dei modelli della scienza, notando come quest’ultimi siano costruiti e sviluppati tramite processi metaforici di interazione.

Il terzo capitolo affronterà il problema della scelta di modelli rivali nei quali inquadrare un fenomeno. Visto che il dato empirico ha bisogno di una teoria di riferimento per poter essere determinato, il problema della scelta dei modelli non può essere interamente risolto dagli esperimenti. Il dibattito scientifico può dunque spostarsi dal piano empirico a quello valoriale. Sarà dunque analizzato il ruolo che possono avere anche valori estetici nella ricerca scientifica, concentrandosi in particolare sui valori di simmetria e bellezza.

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atomico da parte di Rutherford. Nell’analizzare il processo scientifico che ha portato a questa scoperta si darà enfasi al ruolo che vi hanno avuto i modelli scientifici, a come questi modelli siano nati e progrediti, ed alle motivazione che hanno portato la comunità scientifica ad accettarli piuttosto che rifiutarli, spesso incuranti degli stessi responsi empirici.

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Capitolo 1, Oltre l’empirismo

Lo sviluppo tecnico e scientifico degli ultimi due secoli ha portato l’uomo verso conquiste che sarebbero parse imponderabili durante la gran parte della storia umana. Le conoscenze che abbiamo adesso sull’universo travalicano i confini dei nostri sensi e del nostro tempo in maniera esponenziale, e la tecnologia ci permette di compiere opere per cui non basterebbe la forza fisica di migliaia di uomini.

L’enorme successo dell’impresa scientifica ha per molti aspetti dell’incredibile, e noi increduli, non possiamo che domandarci dove stiano le fondamenta di una tale vertiginosa ascesa.

È noto e comunemente accettato che la spinta alla rivoluzione scientifica sia stata data dall’abbandono di vecchie credenze metafisiche sull’universo, dovute alla chiesa ed alla tradizione aristotelica, a favore dell’analisi e dello studio della realtà. Hypotheses non fingo e fiducia solo nel verdetto empirico degli esperimenti furono i dettami dei due padri della scienza Newton e Galilei.

Ma può darsi il dato empirico senza alcuno schema nel quale poterlo inquadrare? E se questo schema dev’essere una teoria scientifica in cui poter leggere il fenomeno, come può questa teoria a sua volta derivare dal dato?

Forse pecca di ingenuità una teoria epistemologica che vuole fondare il sapere sul solo dato empirico, senza riconoscere alcun ruolo all’immaginazione umana ed alla sua capacità di determinare il dato in infiniti modi diversi.

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Studieremo per rispondere a questi quesiti il ruolo che la metafora ha nella ricerca scientifica, sia storicamente che teoricamente. Partiremo per far ciò dalla presentazione di alcuni casi storici in cui la metafora pare essere stata rilevante per la ricerca, per poi passare allo studio dell’empirismo logico come rappresentante dell’estremo empirismo, e vedremo nelle sue lacune se e come la metafora possa inserirsi come strumento epistemico per ovviarle.

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1.1 L’utilizzo di metafore nella scienza, alcuni casi storici

Secondo la tradizione comunemente accettata un accostamento tra metafore e ricerca scientifica pare del tutto incoerente. La metafora viene solitamente vista come uno strumento prettamente letterario, che può essere usato talvolta con intenzioni pedagogiche ma non può mai avere un valore cognitivo.

Lo studio e l’analisi della storia della scienza mostra però dei risvolti differenti. La metafora viene ampiamente utilizzata dagli scienziati in svariate modalità e l’impiego per i soli fini pedagogici non può del tutto spiegarle.

Vi sono molti esempi in cui l’utilizzo della metafora nella scienza ha di fatto determinato la ricerca spingendola in una direzione piuttosto che un’altra, influenzando la comunità scientifica nell’accogliere o meno una teoria o esortando i ricercatori ad investigare determinate caratteristiche dei fenomeni piuttosto che altre.

Un primo esempio potrebbe essere la comunità scientifica alle prese con lo studio della struttura interna dell’elettrone; durante il ‘900 la comunità dei fisici mondiale si dedicò allo studio dell’elettrone e delle sue caratteristiche interne. Dopo una fase di iniziali successi, negli anni ‘20 la teoria atomica di Niels Bohr e la vecchia teoria dei quanti iniziarono ad entrare in crisi1. Il “principio di corrispondenza” utilizzato era insoddisfacente sul piano teorico, inoltre entrò in crisi nello spiegare gli effetti del campo magnetico sugli spettri atomici (effetto Zeman) e su fasci di particelle (esperimento di

1 A. PASCOLINI, Metafore e comunicazione scientifica. Università di Padova, 2004. Disponibile

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Stern e Gerlach). A questo punto nel 1920 Arnold Sommerfeld introdusse un nuovo numero quantico, collegato alla dinamica del sistema, senza ulteriori spiegazioni. Lo chiamò numero quantico interno, e poteva assumere i valori di +1\2 e -1\2. Inizialmente non fu associata nessuna spiegazione fisica al nuovo numero, ma serviva per far coincidere i risultati con la formula.

Nel 1925 Goudsmith ed Uhlenbeck avanzarono un’interpretazione, i due nuovi gradi di libertà del sistema erano da associarsi ad un’ipotetica rotazione interna dell’elettrone.

Questa interpretazione sulle prime turbò la comunità scientifica, l’elettrone era sempre stato visto come puntiforme dunque incapace di rotazione e momento angolare interno. Comunque questa descrizione permetteva di risolvere una serie di problemi interni e chiarire questioni ancora oscure, come gli spettri fini e i momenti angolari magnetici degli atomi.

Anche Fermi e Rasetti intervennero sul problema nel 1926 affermando che:

[...]l’ipotesi dell’elettrone rotante non debba per questo venir abbandonata. Naturalmente noi non riteniamo che essa debba venir presa troppo alla lettera, nel senso che ci si debba veramente figurare l’elettrone come un corpo macroscopico carico di elettricità e rotante attorno a se stesso, poiché quello che è essenziale per le applicazioni è che l’elettrone possegga un momento meccanico e un momento magnetico, indipendentemente da rappresentazioni modellistiche troppo particolari sopra l’origine di questi.2

Dunque per Fermi e Rasetti il modello dell’elettrone rotante rappresentava una metafora della realtà fisica, capace di spiegare caratteristiche che

2 F. RASETTI e E. FERMI, Sopra l’elettrone rotante, in «Nuovo Cimento» III (1926), pp.226-235,

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altrimenti sarebbero restate senza motivazione. Adesso lo Spin dell’elettrone è una caratteristica scollegata dalla sua connotazione metaforica, una catacresi utile per lo studio del fenomeno da parte della comunità scientifica.

In questo caso dunque un’anomalia rilevata nelle previsioni compiute dalle teorie dell’atomo ha portato ad individuare un nuovo parametro, inizialmente posto ad hoc per sistemare i conti. Fu una spiegazione avanzata come una metafora a far progredire la ricerca, infatti Goudsmit ed Uhlenbeck spiegarono il fenomeno come se l’elettrone ruotasse, cosa che per la teoria accettata era del tutto impossibile poiché per un corpo puntiforme è impossibile una rotazione su se stesso.

Un altro caso interessante è quello delle metafore nella psicologia cognitiva tratte dalla terminologia della scienza dei computer3. Ad esempio asserire che il pensiero sia un tipo di “elaborazione dell’informazione”, il cervello una sorta di “computer”, vedere certi processi motori o cognitivi come “pre-programmati”, suggerire che certe informazioni siano “codificate” o “indicizzate” in “memorie” mediante “etichette”, l’opinione che l’apprendimento sia una reazione di adattamento di una “macchina autoadattante”, oppure vedere la coscienza come un fenomeno di feedback. Queste metafore svolgono un ruolo indispensabile nella formulazione ed espressione di posizioni teoriche per gli psicologi cognitivi, anche tra quelli più scettici sulla possibilità che le macchine possano simulare la cognizione umana. Infatti nessun psicologo saprebbe fornire parafrasi letterali tali da poter rendere le metafore non più necessarie, dunque il loro contenuto cognitivo non può essere tradotto in termini espliciti.

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Un ultimo esempio può essere quello dell’albero della vita in biologia per spiegare l’evoluzione delle specie e le relazioni genealogiche. Questa

metafora è stata utilizzata almeno dai tempi di Darwin (1859)4, e non è mai

stata utilizzata come mero strumento pedagogico né tanto meno come immagine figurativa il cui unico scopo poteva essere quello di guidare l’intuizione dello scienziato.

Bensì il suo utilizzo ha portato la ricerca ad interessarsi ai comuni aspetti filogenetici delle varie specie ed a spiegarli con l’origine comune della vita, inoltre il suo utilizzo pratico è stato per la comunità biologica di enorme importanza per classificare in maniera ordinata le diverse specie. Questo variegato utilizzo della metafora “albero della vita” è stato possibile poiché non è mai stata trattata come analogia morta da prendere così come veniva presentata ma compiendo adattamenti e modificazione ha cercato di inglobare tutti i nuovi dati che venivano scoperti. Ha inoltre avuto un enorme valore euristico nel ricostruire scenari per l’evoluzione degli organismi.

Dunque non un’ipotesi falsificabile né uno strumento pedagogico, ma anche in questo caso la metafora è stata protagonista dello sviluppo teorico.

Certo il loro status di metafora è alquanto diverso da quello delle più proprie metafore letterali. In primo luogo le metafore nella letteratura non vanno soggette all’espressione e sviluppo pubblico cui sono soggette quelle scientifiche, una metafora letteraria infatti risiede in una specifica opera di un determinato autore, e nel caso venga usata da altri spesso è un riferimento implicito al primo autore. Nel caso in cui invece venga usata spesso e da diversi autori come metafora “si congela” e diviene uno nuova

4 D. P. MINDELL, The Tree of Life: Metaphor, Model and Heuristic Device, in «Systematic

Biology», Vol. 62, III (MAY 2013), pp. 479-489. Disponibile all'indirizzo: http://www.jstor.org/stable/23485206.

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espressione letterale.

Le metafore scientifiche d’altra parte quando vengono usate divengono di dominio dell’intera comunità scientifica, che si ripropone di indagarla in tutte le sue implicazioni. Dunque, anche qui a differenza delle metafore letterarie, si cerca di spiegare la metafora nel miglior modo possibile, anzi si potrebbe affermare che scopo della comunità scientifica una volta proposta la metafora è proprio quello di tentare di esplicitarla nel miglior modo possibile.

Gli esempi portati ci mostrano come la trattazione della metafora deve superare il classico punto di vista per il quale possegga solo valore letterario. I suoi utilizzi sono molteplici, all’interno della ricerca scientifica pare abbia avuto un ruolo molto più importante di quanto saremmo indotti a credere ad una prima analisi.

Per studiarne questi aspetti si partirà dallo studio dell’empirismo logico e dal ruolo che è stato riconosciuto alla metafora in questo modello di scienza.

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1.2 Tra empirismo e razionalismo

L’empirismo logico nasce all’inizio del XX secolo per rispondere alle esigenze di giustificazione epistemologica create dalle recenti scoperte scientifiche. In particolare la scoperta di nuove geometrie non euclidee aveva minato le fondamenta razionali individuate da Kant nel sintetico a priori5.

La conoscenza umana è sempre stata polarizzata dal dato empirico da una parte e dalle deduzioni fornite dalla ragione dall’altra; da Platone a Hume i filosofi hanno tentato di spiegare come potesse rispecchiarsi l’accordo delle idee nella realtà fisica. Per Platone la geometria e la matematica erano la forma di conoscenza pura, con un grado di realtà superiore alle verità sensibili in quanto derivate dalla ragione ed applicabili a molteplici realtà fisiche. Hume d’altro canto portò l’empirismo alle sue estreme conseguenze, affermando che l’unica possibilità di verità sintetiche è rifarsi a verità di fatto, dati empirici, il resto erano solo verità tautologiche, analitiche, che non potevano dirci niente di nuovo sul mondo fisico.

Kant tentò di sintetizzare i due poli affermando che le verità della ragione erano condizioni trascendenti delle verità empiriche; lo spazio è una forma di intuizione a priori che deriva dalla ragione, ma è anche un presupposto necessario di tutte le asserzioni sintetiche e quindi descrittive del mondo fisico.

Per Kant questo spazio si traduceva nella geometria Euclidea, dunque la scoperta di geometrie non euclidee, e la possibilità di applicarle a sistemi teorici coerenti dello spazio-universo fece del tutto crollare le basi epistemologiche della conoscenza.

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In questo contesto si inserisce il Neopositivismo logico e il suo tentativo di unificare nuovamente empirismo e razionalismo.

Tutto ciò che sappiamo dal mondo è tratto dall’esperienza e le trasformazioni dei dati empirici sono puramente tautologiche, analitiche6

questa è la tesi di Reichenbach che può essere vista come esemplare per l’empirismo logico o Neopositivismo. Dunque l’unico elemento di conoscenza è il dato empirico, mentre le operazioni che compiamo con esso non aggiungono niente alla nostra conoscenza, in quanto analitiche. È opinione diffusa presso i neopositivisti che l’unica utilità della filosofia risieda nell’analisi logica. Il resto delle problematiche che non può rifarsi o a questioni di fatto o ad analisi logica è vuota metafisica, da smascherare ed eliminare come priva di senso.

Carnap afferma che la filosofia deve essere sostituita dalla logica della scienza7. In filosofia si è infatti sempre fatta grande confusione circa i problemi che le sono propri, occupandosi talvolta di problemi oggettivi, talvolta di problemi logici. I primi sono quelli che si riferiscono ad oggetti concreti, per esempio la società, il linguaggio, la storia; mentre i secondi emergono specialmente nella logica, anche quella applicata o nell’epistemologia. Da rinnegare, come pseudo-problemi, sono tutti quei problemi che si presentano come oggettivi ma dei quali è impossibile individuare l’oggetto a cui si riferiscono, per esempio l’essere, la cosa in sé, l’assoluto; problemi di cui principalmente si occupa quel ramo della filosofia detta metafisica.

6 F. BARONE, Il Neopositivismo Logico, Laterza, Bari 1986, p. 44. 7

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Dunque è necessario chiarire di cosa si sia occupata finora la filosofia, stabilendo a quali oggetti si sia riferita e in che maniera. Spesso, secondo Carnap, il punto di vista dei filosofi tendeva a confondere problemi logici con problemi psicologici, generando non poca confusione. Una volta però fatta chiarezza sulle questioni filosofiche ci si rende conto che «gli unici genuini problemi scientifici sono quelli dell’analisi logica della scienza, delle sue proposizioni, termini, concetti, teorie, e simili»8.

Una volta che la filosofia è stata purificata da tutti gli elementi non scientifici non resta altro che l’analisi logica della scienza, cioè l’analisi logica dei concetti e delle proposizioni delle scienza, «dato che la logica

della scienza non è altro che la sintassi logica del linguaggio della scienza»9,

infatti è possibile secondo Carnap riportare tutti i problemi logici della scienza, compresi quindi anche quelli materiali riguardanti il senso e il significato, a problemi puramente sintattici- a condizione che siano ben formulati10.

Le uniche proposizioni reali sono quelle sintetiche, empiriche, mentre le altre proposizioni matematico-logiche sono analitiche e prive di contenuto reale, rappresentano solo ausili formali.

Non c’è spazio nella conoscenza per il sintetico a priori kantiano, le categorie dedotte come forme pure dell’intuizione non hanno carattere di fissità; bensì la ragione ha un carattere adattivo alle varie forme di esperienza possibili11. La validità delle categorie dell’intelletto, necessarie per inquadrare i fenomeni empirici, è data solo dalla possibilità di fare

8 ivi, p. 378. 9

ivi, p. 16.

10 ivi, p. 386.

11 F. BARONE, op. cit., p. 60. La capacità adattiva dell'intelletto in varie forme categoriali, e non

solo quelle dettate dall'appercezione trascendentale, può essere vista come capacità metaforica della ragione.

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inferenze sulle osservazioni future. Le categorie dedotte dalla ragione non possono però garantire di essere adeguate per qualsiasi esperienza possibile, dunque secondo l’empirismo logico vanno abbandonate a favore di una visione plastica e adattiva della ragione.

Il costante sviluppo delle teorie e delle leggi naturali non permette più infatti di potersi fermare ad un punto della ricerca per poter dire di aver finalmente trovato la verità immutabile che si cercava. Gli scienziati\filosofi del Circolo di Vienna hanno ben presente che le leggi fisiche, come quelle biologiche, cambiano natura proprio come un organismo in continua evoluzione, capace di mutare insieme al contesto intorno a lui.

Come possiamo vedere in questa trattazione non c’è alcuno spazio per le metafore. Secondo i neopositivisti lo scopo dell’epistemologo è appunto quello di valutare e analizzare le implicazioni logiche delle teorie avanzate, se queste possano essere consistenti o meno con gli enunciati osservativi. L’aspetto psicologico, intuitivo, della scoperta da parte dello scienziato non deve interessare il filosofo della scienza, ma semmai più uno psicologo o sociologo.

Infatti vi è una separazione nell’impresa scientifica tra il contesto della scoperta e il contesto della giustificazione, il primo è appunto quello che riguarda gli aspetti irrazionali e soggettivi dell’impresa scientifica, il secondo invece è la costruzione logica vera e propria delle teorie o ipotesi.

L’atto della scoperta sfugge all’analisi logica; non vi sono regole logiche in termini delle quali si possa costruire una ‘macchina scopritrice’ che assolva la funzione creativa del genio.12

12 H. REICHENBACH, The Rise of Scientific Philosophy, University of California Press, 1951

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Compito del logico è quello di indagare la connessione tra i dati di fatto e le teorie avanzate, egli non può e non deve chiarire la genesi delle scoperte scientifiche. Dunque il suo campo di indagine è solo il contesto della giustificazione, ovvero della connessione dei termini della teoria con i dati dell’osservazione, cioè l’oggetto della logica induttiva.

Quindi, secondo i neopositivisti logici, la metafora potrebbe al massimo essere inserita nel contesto della scoperta, mai in quello della giustificazione.

Questo però pare non soddisfare gli esempi che abbiamo portato, rendendo necessaria un analisi più approfondita sia della metafora che dell’impresa scientifica. È possibile sostituire alle vecchie teorie della conoscenza una forma nuova, più plastica e adattiva all’infinità di fenomeni che ci compaiono davanti agli occhi? Può il sapere essere visto come sapere metaforico intorno ai fenomeni, utile come strumento, ma mai definitivo?

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1.3 Conoscere le cause

Innanzitutto per poter rispondere a queste domande è necessario chiederci quale sia lo scopo della scienza, tentando di esemplificarne al meglio le caratteristiche principali.

È chiaro che scopo primario della scienza sia la conoscenza, però quello a cui mira non è una conoscenza generica di raccolta di fatti ed evidenze empiriche, come cioè se fosse sufficiente possedere il maggior numero di evidenze empiriche, sistemate secondo appropriate categorie -visione che si rifà semmai alla concezione della scienza aristotelica prima della rivoluzione scientifica-, per poter affermare di conoscere un fenomeno. In realtà quello verso cui mira la scienza è la capacità di poter conoscere eventi non noti, partendo da alcuni noti. Non vi è differenza temporale tra gli eventi presi in esame, infatti potremmo voler conoscere eventi del passato a partire da evidenze presenti, o tentare di indovinare il corso futuro di un fenomeno a partire dai dati di cui disponiamo, logicamente questi processi sono equivalenti.

In primo luogo il principio di causalità afferma che gli eventi naturali sono uniti, o perlomeno possono venir collegati, in modo tale che in base a eventi noti è possibile prevedere eventi sconosciuti13

questo è quello che Reichenbach chiama il principio di causalità induttivo, e può essere visto come paradigmatico per la ricerca scientifica moderna. Il processo di ricerca consiste dunque nell’individuare delle regolarità nei fenomeni naturali, e tentare di spiegare queste regolarità tramite relazioni

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funzionali; spetta a queste relazioni poi collegare il dato non osservato con quello osservato. Estrapolando una funzione approssimativa per le regolarità riscontrate, l’esperienza soggettiva dello scienziato diviene oggettiva, e pretende di poter essere applicata anche a tutte le esperienze che si presenteranno in futuro.

Quello che ci interessa a questo punto della trattazione è come vengono individuate queste funzioni da parte degli scienziati. Inizialmente lo scienziato si troverà di fronte una serie casuale di fenomeni affini, nell’infinità di caratteristiche e proprietà che è possibile isolare in qualsiasi fenomeno, lo scienziato deve individuare delle regolarità sulle quali poi fonderà la sua prima ipotesi.

Una volta individuate queste regolarità da trattare, chiamate parametri,- ad esempio ricercare gli elettroni che ruotano intorno al nucleo -lo scienziato formula una prima funzione approssimativa che tenta di rispondere alle evidenze riscontrate

Fr(p1....pr)

in cui p1....pr sono proprio i parametri individuati. A questo punto si dovranno fare nuove esperienze, cercando di variare il più possibile i parametri che abbiamo sotto attenzione, per vedere se si accordano o meno con la funzione individuata. Nel caso in cui la corrispondenza tra i dati individuati e la funzione non sia troppo accurata sarà possibile individuare nuovi parametri, chiamati parametri aggiuntivi che corrispondano ad altre cause individuate. Si avrà allora una funzione

F’r+s( p1....pr,pr+1....pr+s)

dove r+s sono i nuovi parametri individuati ritenuti importanti nello studio del fenomeno- in questo caso possiamo pensare proprio allo Spin dell’elettrone.

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La cosa importante da notare in questo processo di apprendimento dall’esperienza è che è del tutto impossibile estrarre una teoria dal dato empirico soltanto. Come si nota dalla ricostruzione fatta lo studio vero e proprio del fenomeno inizia quando associamo una funzione F alla nostra serie di dati, prima di allora non possiamo stabilire alcuna caratteristica del fenomeno in quanto manchiamo totalmente di mezzi di paragone per poterlo studiare, potremmo solo compiere qualche aggiustamento ad hoc di vecchie teorie, ma per procedere nella ricerca abbiamo bisogno di un’iniziale spiegazione per poterne dedurre almeno qualche conseguenza ignota. A questo proposito lo scienziato è spesso portato ad utilizzare teorie o funzioni associate ad altri fenomeni noti, comparando i due in modo da poter cogliere le caratteristiche comuni e differenti di entrambi, una

metafora dunque tra due fenomeni distinti14.

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1.4 Limiti della logica induttiva

Dunque già nel primo processo di apprendimento per induzione, abbiamo visto come una metafora possa essere utile allo scienziato per iniziare la trattazione15, proprio per individuare quella prima funzione che ci possa fornire le previsioni da riscontrare con i nuovi dati empirici. Ma vediamo più in dettaglio i problemi che genera questa semplice ricostruzione della logica induttiva. In primo luogo la quantità di parametri da indagare per ogni fenomeno è potenzialmente infinita; potremmo concentrarci su una caratteristica piuttosto che un altra, dare maggior peso alla seconda anziché la prima, studiare il rapporto tra le due e così via. Quindi è necessario uno schema antecedente la teoria o legge che andremo a formulare che ci permetta di individuare quello che effettivamente andremo a indagare.

In secondo luogo una volta individuate le caratteristiche del fenomeno da studiare abbiamo bisogno di una funzione che ci permetta di confrontare il dato raccolto con quello previsto. Questa funzione sarà suggerita dai dati raccolti fino a quel punto, ma non potrà mai essere dettata solo da questi in quanto è essa stessa un mezzo necessario per sviluppare il processo induttivo, e si rischierebbe quindi un circolo vizioso.

Sarà forse allora l’intuito, il genio, dello scienziato a saper individuare di volta in volta quale sia la spiegazione, la legge, più probabile per un dato fenomeno. Però in questo primo approccio non potrà far altro che guardare l’oggetto come se fosse ciò che ha immaginato, e spesso traendo le sue conclusioni proprio dalle conoscenze riscontrate in altri campi o oggetti. In

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altre parole pare che lo scienziato per iniziare la sua ricerca abbia bisogno proprio di una metafora che gli permetta di inquadrare il fenomeno e di poterlo vedere alla luce di una lente calcolabile.

Ma una volta inquadrato il fenomeno, come viene scelta dalla comunità scientifica la funzione più adatta tra tutte quelle empiricamente sostenibili? Infatti è possibile trovare numerose funzioni che corrispondano ai dati empirici, ed il dato non può essere in questo caso un criterio di scelta. Molti scienziati ed epistemologi concordano riguardo a questo problema ad affidarsi al criterio di semplicità. La funzione Fr+s dovrebbe essere la più

semplice di quelle che possono spiegare il fenomeno, ma il concetto di semplicità non è facile da definire e lo si potrebbe collegare alla matematica. Una funzione lineare è più semplice di una di secondo grado, che sarà più semplice di un’esponenziale, e così via.

Questo principio pare però troppo vago e avremo modo di tornarci sopra in seguito.

Un ulteriore problema individuabile in questo processo è che si presenta come potenzialmente infinito. Le nuove misurazioni infatti possono scostarsi significativamente da ciò che la teoria prevede, oppure nuove conoscenze di contesto possono farci individuare nuovi parametri da studiare che prima ignoravamo. Ciò può portare ad una serie F, F’, F’’... di funzioni e non sappiamo mai quando sarà lecito fermarci.

Nessuna regola del linguaggio fisico è definitiva; tutte le regole vengono enunciate con la riserva che sia possibile modificarle non appena sembri opportuno.16

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Ma se in linea di principio sappiamo già che ogni nostra teoria andrà prima o poi incontro ad una confutazione o modifica, perché tentare di descrivere il processo della sua costruzione come un processo così lineare e infallibile? È possibile accostare alla troppo schematica ricostruzione induttiva dell’indagine scientifica un punto di vista più fluido, considerando il ruolo che vi ricopre uno strumento proprio della poetica come la metafora.

Si potrebbe forzare un po’ la mano e vedere le teorie scientifiche proprio

come metafore della realtà17, in cui i due termini posti a confronto sono da

un lato l’evidenza sensibile dall’altro le strutture plastiche della nostra ragione. Permettendoci così di ignorare i problemi della logica induttiva in quanto l’utilità della metafora dura fin quando la tensione tra i due termini è ancora proficua, nel senso che genera significato in chi la legge. Non importa se la serie di leggi così individuata sarà infinita, in quanto ogni elemento della serie sarà solo un’approssimazione alla realtà.

Può essere anche abbandonato il criterio di semplicità, a favore di un criterio di significanza. La teoria non dovrà essere la più semplice possibile, bensì quella capace di stimolare maggiormente l’attività di ricerca degli scienziati.

In questo senso è possibile accostarsi al punto di vista della metodologia dei programmi di ricerca scientifici di Imre Lakatos18. Secondo il filosofo ungherese infatti una volta superato il falsificazionismo di Popper, poiché non è mai del tutto possibile falsificare una teoria, l’unica guida per lo scienziato può essere quella di affidarsi al programma di ricerca che permette slittamenti di problemi progressivi. Lakatos parla di programmi di ricerca poiché è impossibile giudicare una teoria singolarmente, è

17 Ben consapevoli di stare compiendo noi stessi una metafora sulla metafora. 18

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necessario prendere l’insieme di tutte le teorie, le strumentazioni ed anche le costellazione di valori che fanno parte di un programma di ricerca per poter valutare se siano effettivamente progressivi o regressivi.

Per progressivo Lakatos intende che il nuovo programma di ricerca spieghi tutti o quasi i fatti del precedente, ed inoltre ne preveda nuovi. Dunque non un criterio di verità o falsità della teoria, ma la teoria continua ad essere valida fin tanto che permette allo scienziato di interpretare i fenomeni in maniera feconda per la ricerca.

In questo senso l’accostamento con le metafore pare appropriato, infatti anche le vere metafore- quelle che non si dissolvono in una catacresi- sono quelle che permettono un continuo passaggio di significato tra il termine principale e quello secondario, creando di volta in volta le loro stesse

analogie ed ampliando il significato del termine focus19. È possibile dunque

vedere la teoria come un polo della metafora ed il fenomeno studiato come l’altro polo, e la metafora sarà il nostro programma di ricerca scientifica. Il programma continuerà ad essere progressivo fin tanto che nuove analogie saranno trovate tra i due termini, cioè nuove possibilità di accostamento tra la teoria e i fenomeni studiati, o in alternativa si troveranno nuovi fenomeni sui quali applicare la teoria.

Vale la pena notare come i passaggi di significato debbano andare nelle due direzioni tra i termini, ovvero nel caso delle teorie scientifiche deve essere la teoria a spiegare il dato, ma anch’esso può e deve suggerire modifiche nella teoria stessa.

Tra i modelli teorici e le evidenze empiriche dunque si apre uno spazio di inter-relazione, e fin quando questo spazio resta dinamico la teoria è progressiva e permette l’evoluzione dell’umanità, come questo spazio

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invece si cristallizza sull’uno o l’altro dei due poli la teoria è regressiva e

dovrebbe essere abbandonata20.

Dunque la metafora può essere accostata alla ricerca scientifica, e può aiutare a ovviare quei problemi che il neopositivismo logico ha il merito di aver messo in luce. Nel prossimo capitolo tenteremo dunque di sviluppare la nostra analisi delle metafore, ed in particolare del loro ruolo nella ricerca scientifica, per vedere se è possibile confermare ciò che la storia della scienza ci aveva suggerito, ovvero che le metafore possono avere un valore epistemico.

20 Dovrebbe poiché non è mai possibile dire fin quando una teoria resterà regressiva, si veda P.

FEYERABEND, Tesi sull'anarchismo, in I. LAKATOS e P. FEYERABEND, Sull'orlo della

(27)

Capitolo 2,

Metafore e modelli nella ricerca scientifica

Nel precedente capitolo abbiamo visto come una visione puramente induttiva della conoscenza scientifica non riesca a giustificare l’ampio utilizzo delle metafore nella pratica scientifica. La storia della scienza infatti ci mostra come nell’avvicendarsi delle teorie scientifiche le metafore giochino un ruolo primario, e questo non solo in un senso pedagogico per insegnare le teorie a nuovi membri della comunità, o persuasivo per convincere altri della validità della propria teoria. Vari esempi ci mostrano che l’utilizzo delle metafore permea la ricerca scientifica a più livelli ed in diverse modalità.

Lo studio del neopositivismo logico ci ha mostrato di tenere in conto solo l’aspetto soggettivo dell’uso delle metafore. Separando nettamente il contesto della scoperta da quello della giustificazione infatti, si riesce a tener conto del ruolo della metafora nel solo contesto della scoperta, come strumento euristico utile per lo scienziato, e perciò inaccessibile all’indagine logica, il cui oggetto deve essere solamente il contesto della giustificazione.

Separando così nettamente i due contesti, viene però preclusa ogni possibilità di indagine razionale dell’uso della metafora e viene così tralasciata gran parte dell’attività scientifica che si fonda su di essa. Tenteremo dunque in questo capitolo di proporre delle concezioni alternative della scienza in modo da potere, una volta specificatone meglio le tipologie, inquadrare il ruolo della metafora nella scienza.

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2.1 Le metafore epistemiche

Per conseguire il nostro obbiettivo è utile partire da una definizione della metafora che sia congrua con il suo utilizzo epistemico. Il primo autore a trattare la metafora nella scienza fu Max Black, inizieremo dunque dalle sue definizioni di metafora per la nostra indagine21.

La metafora è composta da una parola od espressione detta focus cioè la parte della frase utilizzata in senso propriamente metaforico; e da un contesto, il resto della frase, detto frame. Portiamo alcuni esempi per chiarirne meglio la struttura: l’atomo è un sistema solare, l’albero della vita dell’evoluzione delle specie. In questi due esempi, tratti dalla fisica e dalla biologia, i termini sistema solare ed albero sono usati in senso metaforico, contrapposti al resto della frase che dovrebbe mantenere il suo significato

letterale22. Da notare che il senso della metafora non cambia nel caso in cui

traducessimo tutti i termini in un altro linguaggio, in quanto la metafora ha a che fare con il significato dei termini e non con la loro struttura

grammaticale, con il loro uso semantico e non sintattico23. Inoltre il frame è

essenziale quanto il focus per il risultato della metafora, infatti un contesto diverso potrebbe far risultare il significato del termine utilizzato metaforicamente completamente diverso.

Black distingue principalmente tre tipologie di metafora24, o meglio di modi

per poter intendere la metafora: metafora come sostituzione, metafora come

21 M. BLACK, Metaphor, «Proceedings of the Aristotelian Society, New Series», LV 1954,

pp.273-294.

22

Dico 'dovrebbe' anticipando quella che sarà la concezione interattiva della metafora, che verrà spiegata più avanti.

23 Questa caratteristica è fondamentale per superare lo scoglio epistemologico

dell'incommensurabilità, come si vedrà in seguito.

24

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comparazione, e metafora come interazione.

Quando vediamo la metafora in senso sostitutivo intendiamo un’espressione metaforica (M) sovrapposta all’espressione letterale (L) che avrebbe potuto sostituire quella metaforica. Tornando agli esempi avremmo potuto dire che l’evoluzione delle specie segue continue biforcazioni partendo da un inizio comune anziché parlare di albero della vita. Il primo sarebbe l’espressione letterale e la seconda quella metaforica.

In questo caso trovare L è un po’ come svelare l’enigma che si cela dietro la metafora, ed una volta individuato non abbiamo più bisogno della metafora per capirne il significato. L’uso della metafora appare dunque in questa concezione non necessario, se non per ragioni stilistiche; oppure necessario solo nel caso in cui non esista un termine o un’espressione letterale per dire ciò che intendiamo, in questo caso la metafora agisce da catacresi dando nuovo significato al termine utilizzato metaforicamente, facendo in seguito sparire del tutto la metafora. Ad esempio l’utilizzo del termine corrente elettrica era inizialmente inteso in senso metaforico notando le somiglianze con le correnti d’acqua ed il loro scorrere, tuttavia dato che non esistevano altri termini per designare lo scorrere della carica elettrica l’iniziale uso metaforico è scomparso per lasciare un nuovo significato letterale del termine corrente.

La concezione comparativa della metafora può essere vista come una sotto-classe della sostitutiva. Qui l’autore non ci dà direttamente il significato (s) che vuole comunicarci, ma una sua funzione f(s) alla quale il lettore deve applicare f-1 per ottenere s, seguendo la formula inversa f-1f(s)=s. Nello specifico della visione comparativa sarebbero presenti come funzioni di significato delle analogie o similitudini, sulle quali però spetta completamente al lettore individuare le caratteristiche comuni dei due termini.

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È questa una delle debolezze principali della visione comparativa, cioè che per capirla dovremmo in qualche modo entrare nella testa dello scrittore per capire quale funzione abbia usato per nascondere il significato che voleva comunicarci; si presuppone inoltre che le analogie siano oggettivamente date o comunque rintracciabili dal lettore. La metafora comparativa però non definisce del tutto queste analogie quando viene formulata, ci dice solo che due termini sono legati da delle relazioni di analogia. Un esempio potrebbe essere quello di dire “Riccardo è come un leone”, che può significare che Riccardo è coraggioso come un leone, ma anche feroce o fiero. Le caratteristiche che vengono prese di volta in volta in esame sono dunque soggettivamente scelte dal lettore, prese tra le caratteristiche ritenute comuni di entrambi i termini della metafora. Si crea così un continuo confronto tra i due termini che rimanda ad una serie L1, L2, L3.... di

significati letterali nei quali il senso della metafora può essere interpretato. Tornando all’esempio dell’albero della vita, questa metafora può significare che l’evoluzione si dirama come un albero, oppure cresce e si sviluppa da un medesimo tronco, oppure parte da delle radici comuni sviluppandosi in varie direzioni e sempre più in alto. In un certo senso è la metafora stessa che crea le similitudini tra i due termini.

Arriviamo così all’ultima concezione della metafora presentataci da Black, ovvero la metafora come interazione. Qui Black prende spunto dalle analisi

di I.A. Richards sulle metafore25, che intende la metafora come un processo

dove vengono tenuti insieme pensieri su due cose distinte supportate da un’unica parola o frase. Il significato della metafora viene appunto dall’interazione dei due termini, che cooperano nel creare un unico significato inclusivo. Il frame dà un estensione al senso letterale del focus.

25

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Le caratteristiche comuni dei due termini sono il terreno della metafora -ground- sul quale si sviluppa l’uso metaforico della parola. Queste caratteristiche non sono però date precedentemente alla metafora, come nella concezione comparativa, ma decise e selezionate dalla metafora stessa. Il lettore in questo gioco dinamico tra i due termini è forzato a connettere le due idee, e qui sta il valore cognitivo della metafora e non solo stilistico o letterario.

La metafora viene considerata come una sorta di filtro, attraverso il quale selezioniamo le caratteristiche dei due termini messi a confronto. Black

propone l’esempio l’uomo è un lupo26, mostrando come nel tenere insieme

questi due termini all’interno della metafora il lettore viene portato a selezionarne quelle caratteristiche che ritiene siano comuni ad entrambi, come l’aggressività o la ferocia. Questo vale per quegli aspetti ritenuti conoscenza comune riguardo all’uomo ed al lupo, è chiaro che l’esperto di lupi potrebbe cogliere svariati aspetti nel lupo che l’uomo comune non potrebbe mai sapere, e di questi alcuni potrebbero anche essere condivisi con il genere umano, però per capire la metafora anche l’esperto dovrebbe riferirsi solo a quegli aspetti appartenenti al sapere volgare.

Un altro esempio potrebbe essere quello di descrivere una guerra come una partita di scacchi, in questo caso la metafora porta a cogliere certi aspetti della guerra ed a tralasciarne del tutto altri, ad esempio se ne potrebbe cogliere la strategia e la logistica della battaglia, non considerando però del tutto gli aspetti emotivi e passionali dello scontro.

Quest’ultimo tipo di metafora, quella come interazione, è l’unico secondo Black che possa avere rilevanza cognitiva o filosofica. Gli altri due infatti possono essere totalmente aggirati esplicandone il significato letterale,

26

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questo non è invece possibile nelle metafore interattive.

In queste il soggetto secondario viene visto attraverso le lenti del soggetto primario, generando una serie di sotto-metafore e di slittamenti di significati nei termini che li accomunano impossibile da invertire e da esplicare totalmente. Sono queste metafore che secondo Black hanno lo stesso ruolo in letteratura dei modelli nella scienza, e di cui ci occuperemo da qui in avanti tralasciando le altre due tipologie.

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2.2 Determinazioni non definitorie

Richard Boyd nel suo saggio Metafora e mutamento delle teorie: La “metafora” di che cosa è metafora?27 illustra un ruolo importante per la

metafora nella ricerca scientifica. La sua tesi riprende in qualche modo quello che già avevamo accennato a proposito dell’inizio di un’indagine empirica, nella quale lo scienziato necessita di alcune ‘metafore’ iniziali per poter iniziare la sua ricerca.

Intendo infatti focalizzare l’attenzione, prendendo spunto da Boyd, sulla necessità di utilizzare le metafore per lo studio empirico di fenomeni ancora non inquadrati in nessuna teoria precisa. Boyd parte dal saggio Metaphor di Max Balck, e concorda che le metafore interattive sono quelle ad avere rilevanza epistemica. Tuttavia a differenza di Black, Boyd nota che in alcuni casi queste metafore vengono ad avere un ruolo tipo catacresi pur mantenendo caratteristiche in comune con le metafore interattive.

Queste metafore vengono utilizzate per introdurre termini teorici là dove non esistevano in precedenza, mantenendo alcune caratteristiche di interazione poiché il loro successo non dipende del tutto dalla trasmissione di aspetti di somiglianza o di analogia. Mantengono un carattere aperto ed indefinito, e spesso proprio chi le usa non è in grado di specificare gli aspetti rilevanti di somiglianza e analogia dai quali dovrebbero dipendere. Sono dunque insostituibili per la teoria, almeno per un certo periodo, e non assolvono semplicemente compiti euristici od esegetici.

Questa tipologia di metafore diviene particolarmente importante per le scienze appena formate, come esempio si potrebbero prendere le metafore

27

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della psicologia cognitiva tratte dalla terminologia dell’informatica. Si asserisce infatti che il pensiero sia un tipo di “elaborazione dell’informazione”, il cervello una sorta di “computer”, si vedono certi processi motori o cognitivi come “pre-programmati”, e ancora si vede la coscienza come un fenomeno di “feedback”. Queste metafore sono costitutive di teorie, infatti gli psicologi non saprebbero come offrire parafrasi letterali che esprimano le stesse tesi teoriche28, ed è proprio il loro utilizzo che permette l’avanzare dell’indagine empirica fornendo termini teorici per concetti che altrimenti non saremmo in grado di esprimere, e quindi nemmeno di formulare per compiere le nostre indagini. Scopo di queste metafore tuttavia, a differenza delle metafore interattive di Black, è quello di riuscire a esplicitare completamente le loro caratteristiche analoghe in modo che la metafora stessa diventi infine superflua. Questo però è di solito l’esito di una lunga ricerca, che necessita per iniziare delle metafore stesse e della loro apertura induttiva29. Il lettore ed il ricercatore vengono infatti invitati da queste metafore ad applicare il focus offerto dalla metafora alla comprensione del frame, esplorando le somiglianze e le analogie tra i due argomenti e sono incentivati a scoprirne anche caratteristiche nuove. La parte importante del presentare queste metafore sta nel suggerire strategie per ricerche future, investigando ad esempio sia uomo che macchine per scoprire aspetti nuovi comuni ad entrambi.

Dunque ad un livello pre-teorico di ricerca, ovvero quando un gruppo di ricercatori si trova ad affrontare un fenomeno del tutto nuovo per cui non possiede alcuna teoria per poterlo inquadrare, le metafore appaiono uno strumento necessario per poter fornire delle determinazioni teoriche non

28 ivi, p. 27. 29

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definitorie. Senza alcun riferimento la ricerca sarebbe un compito impossibile, tuttavia non si può fornire un riferimento certo senza una teoria compiutamente formulata.

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2.3 Utilizzo dei modelli nella ricerca: due diversi punti di vista

Il precedente capitolo illustrava la funzione più importante delle metafore nella ricerca scientifica secondo Boyd, ovvero quella costitutiva delle teorie che consiste nel fissare un riferimento. Tuttavia Boyd individua anche altri due aspetti nei quali la metafora può avere un ruolo all’interno della ricerca scientifica, che sono quello esegetico e pedagogico.

Ad esempio le teorie delle “gallerie dei tarli” nella relatività generale, o la descrizione della localizzazione spaziale degli elettroni legati nei termini di una “nuvola elettronica” o ancora la descrizione degli atomi come “sistemi

solari in miniatura”30, sono esempi di metafore importanti dal punto di vista

esegetico e pedagogico. I primi due esempi sono troppo vaghi ed offrono una percezione insufficiente a livello teorico, l’unico compito che sembrano poter assolvere è quello dell’esegesi pedagogica, infatti riflettere sui tarli simultaneamente alle strutture dello spazio-tempo non offre alcuna intuizione fondamentale in fisica , lo stesso vale per la nuvola come metafora per la struttura atomica.

Il terzo caso è quello più rilevante, poiché l’atomo come sistema solare è un modello, in particolare il modello atomico di Rutherford. Boyd in questo caso ammette che vi sia una certa comprensione intuitiva nel presentare il modello ma sostiene che questa comprensione non derivi dall’adeguatezza della metafora, né dal suo carattere aperto a successivi sviluppi.

30

(37)

Definire il concetto di modello si presenta da subito un compito arduo, in quanto spesso a questo termine vengono attribuiti significati diversi o viene utilizzato per riferirsi ad entità del tutto eterogenee31. Per fare alcuni esempi di modello ci si può riferire a un modello logico o matematico, ma anche analogico, teorico, immaginario. Secondo l’epistemologia neopositivistica il modello è un insieme di proposizioni che ha la stessa struttura logica della teoria, viene interpretato dunque come un calcolo della teoria del quale è isomorfo.

In questa interpretazione modello e teoria non potranno mai venire a coincidere, gli atomi non sono sistemi solari così come le molecole dei gas non sono palle da biliardo. Per la concezione neopositivista il modello può essere o semplicemente isomorfo alla teoria, nel qual caso il confronto è fra due diversi modelli di uno stesso calcolo; oppure il modello può essere identificato con la teoria, dunque la teoria può essere ridotta a una più generale che comprende il modello come sua parte.

Queste definizioni comunque riescono a riconoscere un ruolo molto limitato del modello all’interno delle teorie scientifiche: può sviluppare la teoria suggerendo nuove ipotesi, ci permette di lavorare su sistemi isomorfi più semplici, di comprendere meglio la teoria, ma non sembra avere un ruolo necessario all’interno della ricerca. Dunque considerare l’analogia puramente formale limita molto il ruolo riconosciuto al modello nella teoria, riteniamo invece che il modello abbia un ruolo più importante nella ricerca.

La “tesi modellista”32

sostiene che il modello ci guidi nella scelta di una

31 M. B. HESSE, Modelli e Analogie Nella Scienza, Feltrinelli, 1980, p. 7 ( trad. it. di C. Bicchieri). 32

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struttura formale, interpreti completamente i termini teorici, dando significato alla teoria la connette con i dati sperimentali ed infine estende la teoria a nuovi osservabili. Questa diversa interpretazione dei modelli all’interno della teoria dipende da una diversa analisi della loro struttura. Si parla di modello riferendosi a un insieme di leggi o ad una teoria il cui dominio è diverso da quello della teoria che stiamo sviluppando, ma anche riferendosi all’insieme di assunzioni sugli oggetti di cui tratta la teoria il cui dominio coincide con quello del modello. Ad esempio il modello atomico di Rutherford se inteso come sistema planetario non è parte della teoria, ma se lo si intende come l’insieme di assunzioni sull’atomo di idrogeno composto da un nucleo e l’elettrone che vi ruota attorno, e si interpretano le variabili quantitative del calcolo come rappresentanti il raggio delle orbite, le energie dell’atomo negli strati corrispondenti, e le frequenze della radiazione emessa, allora modello e teoria parlano dello stesso oggetto, identificandosi. Tornando a Boyd ed alla sua interpretazione dell’atomo di Rutherford, dobbiamo notare che Boyd del modello coglie solo gli aspetti di somiglianza con la teoria, tralasciando del tutto le relazioni di differenza o quelle ancora da indagare tra teoria e modello. Qui risiede la diversa interpretazione del modello tra Boyd e Kuhn. Per il primo è possibile dire esattamente sotto quali aspetti l’atomo assomigli ad un sistema solare senza usare alcun espediente metaforico- e questo fin dal momento in cui la metafora fu presentata- rendendo così di fatto la metafora non necessaria ai fini dello sviluppo della teoria.

Dunque il ruolo del modello per Boyd nella ricerca è meramente pedagogico, utile per comunicare ed insegnare una teoria, ma non necessario all’interno della teoria stessa.

Kuhn d’altra parte individua per i modelli un ruolo molto più attivo non dimenticando di considerare anche le componenti di discordanza tra

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modello e teoria.

Analizzando ancora l’esempio del modello atomo-sistema solare nota che questo modello andò a sostituire l’iniziale metafora del sistema solare, presentando gli elettroni e il nucleo come frammenti di materia carica ed interagenti secondo le leggi della meccanica e dell’elettromagnetica.

Tale modello sostituiva la metafora del sistema solare, ma non, così facendo, un processo simile alla metafora.33

Questo processo consisteva nel non considerare il modello in modo del tutto letterale, elettroni e nuclei non dovevano essere percepiti interamente come palle da biliardo ma soggetti solo ad alcune leggi della meccanica e della teoria elettromagnetica. Il compito della comunità scientifica era proprio quello di accertare dove e sotto quali aspetti queste leggi e queste similitudini potevano applicarsi, sviluppando in questo modo la teoria quantistica.

Inoltre anche quando il processo di esplorazione di somiglianze era spinto al suo limite, il modello rimaneva essenziale alla teoria. Infatti senza il suo aiuto non si potrebbe scrivere l’equazione di Schrödinger, poiché i vari termini contenuti nell’equazione si applicano al modello e non direttamente alla natura34.

Concludendo le diverse concezione del modello da parte di Boyd e Kuhn possono essere inquadrate all’interno della teoria della metafora di Black. Entrambi infatti sostengono la tesi di Black che il modello abbia all’interno della scienza lo stesso ruolo che ha la metafora in letteratura, però Boyd pare concentrarsi solo sulla relazione di somiglianza tra modello e teoria, tralasciando il continuo slittamento di significato tra i termini che non fanno

33 R. BOYD e T. KUHN, op. cit., p. 106.

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parte dell’analogia positiva. Questo accostamento tra termini eterogenei che costringe il ricercatore a indagare la natura per vedere fino a che punto l’analogia tra modello e teoria possa spingersi è invece per Kuhn una parte fondamentale della ricerca, in quanto la sprona ad ampliare il suo dominio.

(41)

2.4 Metafore e paradigmi

È chiaro che il punto di vista epistemologico dal quale partono Boyd e Kuhn è molto diverso da quello neopositivista dal quale eravamo partiti. Le critiche di Popper e Kuhn al modello induttivo ed ipotetico-deduttivo non permettono più una visione ingenua della scienza nella quale riusciamo a far derivare interamente le nostre teorie dal puro dato empirico. Per indagare l’infinita varietà dei fenomeni naturali e le loro diverse modalità, quantomeno per poterlo fare come una comunità, è necessario accordarsi sui simboli da utilizzare, sul modello di fenomeno a cui ci stiamo riferendo e sui casi esemplari da dover studiare35. Questi rappresentano gli elementi principali del paradigma scientifico, necessari per formare comunità scientifiche le quali solitamente condividono anche un’educazione comune, fatta sugli stessi manuali, nonché obbiettivi condivisi per lo sviluppo della loro disciplina.

È necessario dunque per poter far progredire la scienza condividere determinati punti di partenza, come assiomi indimostrabili sui quali costruire le nostre deduzioni. In contrasto dunque con la visione di Popper della scienza, nella quale gli scienziati vengono visti alla continua ricerca di

confutazioni delle loro teorie per poterne trovare di nuove e più generali36,

la comunità ha bisogno di certezze, anche se non dimostrabili o addirittura ritenute false, per poter continuare il processo di adattamento delle teorie

alle evidenze empiriche.

35 T. S. KUHN, La Tensione Essenziale, Piccola Biblioteca Einaudi Filosofia (trad. it. di M.

Vadacchino).

36

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La scelta di un paradigma non è però mai una scelta definitiva, possiamo sempre tornare indietro, riaffidarci a paradigmi vecchi e trovarne di nuovi. Questo perché le verità che riusciamo a trovare sono sempre dipendenti dal paradigma con le quali le troviamo, quindi mai del tutto assolute, e portano con sé sempre un elemento di soggettività cui la comunità scientifica tutta non può mai rinunciare.

I paradigmi sono composti principalmente da simboli, modelli e casi esemplari37. I simboli condivisi sono necessari per la comunità scientifica poiché senza un insieme di generalizzazioni simboliche la logica e la matematica non potrebbero essere applicate nel lavoro della comunità. Come esempio per chiarire questo accordo simbolico si può portare l’equazione f=ma, l’accordo simbolico prevede che i membri della comunità fisica deducano logicamente o matematicamente le stesse conclusioni dalla formula. Dei modelli abbiamo già parlato nel capitolo precedente e chiariremo in seguito il loro ruolo all’interno del paradigma. I casi esemplari sono gli elementi più importanti dei paradigmi, in un certo senso possono essere visti come essi stessi la parte fondamentale del paradigma, almeno così sono stati interpretati da una considerevole parte della critica.

Per capirli è necessario interrogarsi sul funzionamento delle

generalizzazioni simboliche, torniamo all’esempio di f=ma per la comunità dei fisici. L’accordo generale su questa formula è un presupposto per qualsiasi studio in campo fisico, tuttavia se analizziamo nel dettaglio l’utilizzo di questa formula scopriamo che a diversi tipi di fenomeni viene di volta in volta applicata una versione modificata della formula. Ad esempio se applicata alla caduta dei gravi troviamo mg=md2s\dt2, per il

37

(43)

pendolo semplice diviene mgsenθ=-d2θ\dt2 etc... Dunque per quanto una certa generalizzazione simbolica appartenga a tutta la comunità scientifica, ad esempio il caso di f=ma, ogni classe di fenomeno richiede un suo proprio formalismo. Questo fatto conduce ad un interessante osservazione, contrariamente a chi vede le teorie scientifiche come sistemi formali puri nei quali il riferimento empirico entra dal basso una volta applicate tutte le deduzioni necessarie, si nota che i formalismi nella scienza aderiscono alla natura anche dall’alto. Prima che le manipolazioni logiche portino lo scienziato a formulare quelle previsioni da riscontrare empiricamente, dovrà chiedersi quale forma di f=ma sia più adatta per spiegare quel determinato fenomeno, e nel farlo non potrà usare procedure solo sintattiche ma dovrà in qualche modo utilizzare anche del contenuto empirico.

A ogni relazione sull’apparato conoscitivo di una comunità scientifica si può chiedere ragionevolmente di dirci qualche cosa sulle modalità con le quali i membri del gruppo identificano, in anticipo sull’evidenza empirica direttamente pertinente, lo speciale formalismo appropriato a un particolare problema, specialmente a un nuovo problema[...]vi è spazio, in realtà necessità, per verifiche empiriche del formalismo speciale proposto per un nuovo problema.38

Tuttavia, prosegue Kuhn, i formalismi speciali sono accettati come plausibili o respinti come non plausibili in anticipo rispetto all’esperimento. Questa procedura non può essere solamente sintattica, ma come detto il contenuto empirico deve entrare anche dall’alto. Se ci chiediamo come tale processo sia possibile la risposta che ci viene fornita probabilmente consiste in un elenco di regole di corrispondenza, considerate come definizioni operazionali dei termini scientifici39 ma non è ora mio interesse trattare

38 ivi, p. 137. 39

(44)

queste regole e le problematiche ad esse associate. Mi basta notare che fornire una serie di regole per collegare termini teorici a fenomeni naturali in realtà non fa altro che collegare termini ad altri termini di fatto non

riuscendo a sfuggire alle problematiche della determinazione40.

Il processo sul quale vorrei porre l’attenzione ora è invece quello che riguarda l’apprendimento tramite l’analogia su quale formula utilizzare ed in quali casi. È infatti il notare similitudini tra il fenomeno preso in esame e soluzioni analoghe trovate in precedenza che permette a diversi scienziati il concordare su quale formalismo è lecito utilizzare o meno.

Lo studente scopre un modo di vedere il suo problema come se fosse un problema che ha già incontrato. Una volta che sono state individuate le somiglianze o le analogie, restano solo difficoltà di manipolazione.41

È dunque una capacità acquisita di vedere somiglianze tra problemi che appaiono diversi che svolge nella scienza il ruolo generalmente attribuito alle regole di corrispondenza, ed è dunque tramite analogia con altri casi ritenuti simili che lo scienziato riesce a far aderire i suoi schemi concettuali al fenomeno anche dall’alto, prima di un riscontro deduttivo sperimentale. Un criterio di similarità guida la ricerca scientifica prima che vengano individuati criteri stringenti ai quali doversi attenere.

La visione paradigmatica della scienza, unita al fatto che è impossibile falsificare qualsiasi teoria42, può portare i filosofi della scienza a posizioni

40 Queste sono le critiche solitamente sollevate all'individuazione di un linguaggio osservativo di

base.

41

ivi, p. 142.

42 Lakatos confuta il falsificazionismo dogmatico di Popper usando tre argomentazioni principali:

in primo luogo non esiste una demarcazione naturale tra proposizioni osservative e proposizioni teoriche, in secondo luogo nessuna proposizione fattuale può mai essere dimostrata da un esperimento, infine le più prestigiose teorie scientifiche non riescono a vietare alcun stato di cose osservabili. Per sostenere l'ultima affermazione porta come esempio un immaginario pianeta che si “comporta male” , nel senso che devia dalla traiettoria calcolata secondo l'allora accettata teoria di Newton, a questo punto secondo un falsificazionismo ingenuo la teoria dovrebbe essere

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