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Ordine europeo di indagine penale. Analisi della normativa di riferimento e prospettive di funzionamento

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Academic year: 2021

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Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di

Laurea

L’ordine europeo d’indagine penale:

analisi della normativa di riferimento e prospettive

di funzionamento

Candidato Relatore

Nicola Anastasio Prof.ssa Benedetta Galgani

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SOMMARIO

CAPITOLO I

LA DIRETTIVA 2014/41/UE: UNA “NUOVA IMPOSTAZIONE” PER LA COOPERAZIONE GIUDIZIARIA FRA GLI STATI MEMBRI

1. Questioni preliminari ... 5 1.1 Premessa ... 5 1.2 Il quadro normativo europeo (pre-)vigente ... 9 1.3 All’interno dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia: il Capo IV del TFUE ... 22 2. I considerando: questione di coerenza ... 42 2.1 Le intenzioni del legislatore: oltre le inefficienze ... 42 2.2 All’interno della Direttiva: l’iniziativa legislativa e analisi dei considerando ... 48 3. La “nuova impostazione”: l’OEI ... 64 3.1 Disposizioni preliminari: il Capo I della Direttiva ... 65 3.2 Procedure e garanzie per lo Stato di emissione e per lo Stato di esecuzione: il Capo II e il Capo III della Direttiva ... 78 3.3 Disposizioni specifiche per determinati atti d’indagine: il Capo IV della Direttiva ... 93

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3.4 Intercettazione di telecomunicazioni: il Capo V della Direttiva... 100

3.5 Provvedimenti provvisori e le Disposizioni finali ... 103

CAPITOLO II LA DISCIPLINA D’ATTUAZIONE DELL’OEI NEL NOSTRO ORDINAMENTO NAZIONALE 1. Premessa ... 108

1.1 Dalla legge delega al decreto legislativo n. 108 del 21 giugno 2017. Cenni preliminari ... 108

1.2 La nuova configurazione dell’assistenza giudiziaria e lo snellimento della procedura ... 111

1.3 Oltre le previgenti discipline sovranazionali ... 118

2. Il Decreto Legislativo n. 108 del 21 giugno 2017 ... 129

2.1 La legge delega e la road map del decreto d’attuazione ... 129

2.2 La procedura passiva: riconoscimento ed esecuzione dell'OEI ... 132

2.3 Specifiche disposizioni per il riconoscimento e l’esecuzione di determinati atti di indagine ... 156

(4)

3

2.5 Specifiche disposizioni per l’emissione di un OEI relativo a

determinati atti di indagine ... 177

CAPITOLO III CRITICITÀ E PROSPETTIVE DI FUNZIONAMENTO DELLA “NUOVA IMPOSTAZIONE” 1. Spunti di riflessione a margine della normativa ... 186

1.1 La Direttiva 2014/41/UE attraverso il Decreto legislativo 108 del 2017: missione compiuta ... 186

1.2 La disciplina applicabile. Problema risolto? ... 192

1.3 Il principio di proporzionalità: àncora di garanzia contro ... 195

1.4 Luci e ombre in tema di ammissibilità della prova ... 198

1.5 Le prerogative difensive: un progresso ulteriore verso una compiuta parità delle armi all’interno del processo ... 201

Conclusioni ... 211

Bibliografia ... 217

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4

C

APITOLO

I

L

A

D

IRETTIVA

2014/41/UE:

UNA NUOVA IMPOSTAZIONE PER LA COOPERAZIONE

GIUDIZIARIA FRA GLI

S

TATI MEMBRI

1. Questioni preliminari

1.1 Premessa

«Vi faccio un esempio pratico, così è più facile capire. Io mi trovavo a Rotterdam e stavamo intercettando, su nostra richiesta, con rogatoria internazionale, un olandese, il quale il giorno dopo sarebbe dovuto andare a prelevare un container di cocaina al porto di Rotterdam. Noi non conoscevamo il numero dei container. Dovevamo solo seguire questa persona, per vedere come faceva a uscire dal porto di Rotterdam con questo container. Il procuratore di Rotterdam mi disse che dovevano arrestarlo. Io risposi che, se l'avessimo arrestato, avremmo perso il container. Lui ribatté che, visto che dall'intercettazione emergeva che questo aveva due chili di cocaina a casa, lui non poteva ritardare il sequestro di cocaina e, dal momento che entrando in questa casa avrebbe trovato due chili di cocaina, avrebbe dovuto arrestarlo. [...]Noi in Italia, giustamente, pensiamo alla gallina domani e non all'uovo oggi. […] Tuttavia, questo non vuol dire che la legislazione antimafia italiana mi appaghi. […] Tornando al punto, in Olanda non è possibile ritardare l'arresto o il sequestro, quindi per

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5

noi è molto difficile fare indagini. La stessa cosa riguarda Belgio, Germania, Spagna e Portogallo. Noi siamo in Europa per cosa? Per discutere due mesi delle quote latte e per discutere dieci giorni della lunghezza delle banane da importare, e poi non ci preoccupiamo della sicurezza?».1

Non proprio una frase ad effetto si potrebbe dire, ma certamente un aneddoto utile per entrare in sintonia con la materia oggetto di studio. Il tema della raccolta e della circolazione transfrontaliera della prova, infatti, non è certamente un campo privo di

1 V. Seduta 14 aprile 2014, n. 27, “Commissione parlamentare di inchiesta

sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere”, resoconto stenografico, p. 8. L’allora Procuratore aggiunto presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Reggio Calabria, Nicola Gratteri, attualmente Procuratore del Tribunale di Catanzaro, più volte intervenuto sul tema dell’inefficienza della normativa nazionale – troppo morbida e poco dissuadente nei confronti del fenomeno mafioso – ed europea – spesso sorda e ignava rispetto al contrasto dell’attività criminale delle mafie – fu in quell’occasione chiamato in audizione per esporre la situazione della criminalità organizzata calabrese, in particolare di quella operante sul versante ionico, nonché in merito al ruolo della ’ndrangheta nel traffico internazionale di stupefacenti. Nel caso di specie viene richiamato l’istituto dell’arresto in cd. flagranza differita, prevista dal Testo unico delle leggi in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope, all’art. 98 del D.P.R. 309/1990, con il quale l'autorità giudiziaria con decreto motivato poteva dilazionare l'emissione o disporre che la polizia giudiziaria ritardasse l'esecuzione di provvedimenti di cattura, arresto o sequestro «quando sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori ovvero per l'individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti di cui agli articoli 73 e 74» (produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope e associazione finalizzata al traffico illecito di dette sostanze). L’articolo citato è stato abrogato dall'art. 8, co. 2, lett. b), legge n. 136 del 13 agosto 2010.

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6

insidie e contraddizioni2, sia perché l’attività investigativa strumentale

all’accertamento processuale può, per sua natura, essere “apprensiva” sulla sfera della libertà personale dell’individuo; sia perché essa – nell’inevitabile instaurarsi di un rapporto di cooperazione – coinvolge la sovranità di uno o più Stati. Ed entrambe le situazioni sono meritevoli di eguale tutela, attraverso un sistema adeguato di garanzie: da un lato, quello dell’individuo, attraverso la previsione di un modello procedurale definito che bilanci adeguatamente l’accertamento e il rispetto dei diritti; dall’altro, quello dello Stato, attraverso la previsione di un adeguato sistema di verifica dei requisiti che rendano «realizzabile il

2 In particolare, aspetti contraddittori possono essere rilevati nelle modalità

in cui gli ordinamenti degli Stati membri dell’Unione europea trattano alcune fattispecie di reato o ad alcune regole processuali, spesso differentemente, rendendo col tempo difficile la definizione comune – o per meglio dire “comunitaria” – della lotta al crimine transfrontaliero; obiettivo, fra gli altri, che proprio attraverso il principio dell’armonizzazione delle discipline e delle procedure in materia penale il legislatore europeo si era fissato dopo il Trattato di Lisbona - così G.GRASSO, Il Trattato

di Lisbona e le nuove competenze penali dell'Unione europea, in Studi in onore di Mario Romano, Napoli, 2011, vol. IV, p. 2326-2331.

Esempio specifico può essere proprio il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso ex art. 416-bis c.p.p., unicum in Europa, nonostante paesi quali Spagna, Francia, Germania e Regno Unito costituiscano mercati ormai consolidati in cui operano organizzazioni criminali di origine italiana; in Spagna, nonostante con la Ley Orgànica 5/2010 si sia introdotto il reato di organizaciòn criminal all’art 570-bis del

Còdigo penal, così come in Francia, in cui è presente una fattispecie

concorsuale di délit d'association de malfaiteurs, prevista agli art. 450 e ss. del Code pénal, non sono presenti fattispecie comparabili alla definizione del 416-bis, sia dal punto di vista sostanziale che procedurale (si pensi solamente alla durata delle indagini prorogabile fino a due anni dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato, il trattamento penitenziario differenziato al quale può essere sottoposto il condannato). In generale, nella maggior parte degli ordinamenti europei è difficile distinguere la fattispecie dell’associazione a delinquere di stampo mafioso da quelle dirette alla commissione di attività terroristiche. Per una ricognizione sul tema v. G. TURONE, Il delitto di associazione

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7

rapporto di cooperazione giudiziaria senza che siano intaccati

irrimediabilmente principi e valori propri dell’ordinamento nazionale».3

Più specificamente, si avrà modo di valutare la disorganicità che caratterizza questo lato della sfera giuridica dell’ordinamento comunitario misurandosi con lo studio dell’Ordine europeo d’indagine (OEI), introdotto dalla Direttiva 2014/41/UE. In queste prime battute può esser sufficiente riferire come l’OEI, strumento processuale a disposizione dell’autorità giudiziaria per la ricerca della prova e la circolazione probatoria oltre i confini giurisdizionali di ciascuno Stato membro dell’Unione Europea, nasca proprio per sopperire alle patologie ed alle inefficienze – evidenti – che in tale ambito si sono susseguite nel

corso della progressiva evoluzione dell’Unione europea4.

Evoluzione che, confermando quanto sottolineato anche dal Procuratore Gratteri, non ha sortito gli effetti sperati sul deprecabile diffondersi, nel panorama internazionale, di fenomeni criminali riconducibili ad organizzazioni mafiose o terroristiche; a causa – anche – della mancata armonizzazione delle discipline sostanziali e processuali interne degli

Stati membri5.

Questo è sicuramente – fra gli altri – uno dei “moventi” che ha spinto il legislatore europeo a semplificare una disciplina quanto mai

3 Cfr.F.SIRACUSANO, Tra semplificazione e ibridismo: insidie e aporie dell’Ordine

europeo di indagine penale, in Arch. Pen., n. 2, 2017, p. 1-3.

4 Per una ricognizione storica dell’evoluzione e del processo di integrazione

all’interno dell’Unione Europea si v. A. M. CALAMIA - V. VIGIAK, Diritto

dell’Unione europea. Manuale breve, VIII ed., Milano, 2015, p. 5-36.

5 Puntuale sul tema è la riflessione di C.PONTI, Il diritto internazionale e la

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8

frammentaria e composita come quella afferente alla circolazione della prova in ambito europeo.

1.2 Il quadro normativo europeo (pre-)vigente

Per comprendere come il tempo in cui si scrive sia di forte fermento basta notare l’apparente incertezza sulla vigenza che si desume dal titolo di questo paragrafo; un espediente esemplificativo, evidentemente.

La necessità di adeguare la disciplina nazionale di ciascun Stato membro alla Direttiva 2014/41/UE – e di forte interesse sarà notare gli effetti che tale strumento produrrà sul nostro ordinamento giuridico – fornisce per l’appunto il giusto pretesto per scattare una fotografia all’impianto normativo che si sta per superare in materia di ricerca e circolazione della prova a livello transnazionale.

Sullo sfondo di questa “istantanea”, la situazione immortalata offre la possibilità di notare come l’attività di cooperazione fra gli Stati europei si sia evoluta cronologicamente, attraverso il susseguirsi di tre strutture normative diverse.

In primo luogo, occorre tener presente la disciplina che “storicamente” ha regolato la circolazione probatoria extranazionale: la

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9

Convenzione europea d’assistenza giudiziaria penale del 19596 in

materia di rogatorie7. Alcuni Stati europei, e non solo, all’indomani della

firma del Trattato di Roma istitutivo della Comunità Economica

Europea8, decisero di dotarsi di un meccanismo di cooperazione capace

di unire gli sforzi investigativi nella lotta alla criminalità transfrontaliera. Tale meccanismo venne incanalato nelle forme dell’assistenza giudiziaria reciproca fra gli Stati aderenti, basato sullo strumento della rogatoria internazionale. In questo senso, senza pretese di esegesi, è possibile arricchire le intenzioni della famosa Dichiarazione Schuman (1950), inserendo lo strumento dell’assistenza giudiziaria – e in generale il concetto, più moderno, di cooperazione – fra quelle «realizzazioni

concrete»9 attraverso le quali doveva raggiungersi l’integrazione politica

europea.

6 Convenzione Europea di Assistenza Giudiziaria in materia penale, firmata a

Strasburgo in data 20 aprile 1959 - ratificata dall’Italia il 23 agosto 1959 con la legge n. 215 del 23 febbraio 1961, pubblicata in G.U. n. 92 del 13 aprile del 1961, ed entrata in vigore il 12 giugno 1962 - sottoscritta e ratificata dai 47 Stati membri del Consiglio d'Europa e da 3 Stati non membri del Consiglio medesimo (Cile, Corea ed Israele).

7 Cfr. G.DELLA MONICA, voce Rogatoria, in Enc. giur. Treccani, Diritto on line,

2012, p. 1-11, il quale definisce «con il termine rogatoria – in aderenza al significato del verbo latino rogare (stendere la mano, implorare), che esprime la proposizione di una domanda per ottenere qualcosa – si fa riferimento alla richiesta dell’autorità giudiziaria indirizzata ad un organo autonomo (e, quindi, non tenuto ad eseguire la richiesta per ragioni di subordinazione funzionale) per il compimento di un determinato atto processuale».

8 Trattato che istituisce la Comunità economica europea, firmato a Roma il 25

marzo 1957, entrato in vigore il 1° gennaio 1958.

9 Cfr. R. SCHUMAN, Dichiarazione Schuman – 9 maggio 1950, estrapolato da

https://europa.eu/ in cui è chiaro il monito: «L'Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».

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L’assistenza giudiziaria si basava su un sistema “a richiesta” per lo svolgimento di un’attività istruttoria utile ad acquisire e far circolare

prove ed elementi di prova10 relative ad un certo reato – siano esse

l'audizione di testimoni e imputati, il sequestro conservativo e la

10 Sul tema della prova è bene esser chiari fin dall’inizio. All’interno di un

processo, il «giudice deve formarsi un sapere concreto in ordine a determinati accadimenti e a determinate situazioni»; e ciò, nella maggior parte dei casi, allo scopo di giungere alla pronuncia di una risoluzione, motivata con convinzioni di «non fittizia credibilità dimostrativa», che definisca chiaramente i fatti storici “determinabili” (nei limiti del possibile, «sapendo che non potrà mai esserci un’assoluta sicurezza sull’effettivo raggiungimento della verità»). Le prove rispondono proprio a tale funzione: esse dimostrano la sussistenza di un fatto (cd. “rappresentato”) oppure sono idonee ad assumere quella dimostrazione (del cd. “fatto rappresentativo”). Nell’arena processuale esse costituiscono allo stesso tempo un diritto per le parti chiamate ad accusare o difendersi e la base necessaria delle motivazioni di una pronuncia giudiziale.

Sono inoltre necessarie delle distinzioni semantiche fra alcune espressioni che spesso accompagnano il tema della prova; in particolare gli elementi di prova e le fonti di prova. Nell’ottica della possibilità di spacchettare il concetto di prova – possibilità suggerita, tra l’altro, da alcuni articoli che valutano l’attendibilità di un fatto o una dichiarazione congiuntamente ad «altri elementi di prova» – i primi si riferiscono a quella pluralità di dati che non sono autonomamente in grado di reggere le decisioni del giudice, ma sono idonei a sostenere le argomentazioni di difesa ed accusa. Per questo, la differenza fondamentale con la prova è data dal fatto che questa si forma in dibattimento nel contraddittorio delle parti davanti a un giudice terzo e imparziale, mentre gli elementi sono raccolti dalle parti nella fase delle indagini preliminari e non hanno valore probatorio (salvo i casi in cui vengano acquisiti nelle forme dell’incidente probatorio). Le fonti di prova, invece, corrispondono alle cose o alle persone da cui può derivare l’assunzione della prova (ad es. il sangue sull’arma di un delitto o il testimone oculare di un furto). Secondo l’art. 190 c.p.p. esse sono ammesse a richiesta di parte: è perciò compito delle parti ricercare e assicurarsi le fonti di prova, valutandone la necessità per il sostegno della propria tesi e chiedere al giudice l’ammissione (con ordinanza, salvo i casi in cui siano vietate dalla legge, manifestamente superflue o irrilevanti). Questa è la limpida lezione fornita sul tema da M.CHIAVARIO, Diritto processuale penale, VI ed., Torino,

2015, p. 348-351. Per gli spunti interpretativi forniti dalla giurisprudenza si tenga in considerazione V.BONINI, Le Prove, in AA.VV. (a cura di)E.MARZADURI

-R.BRICCHETTI, Codice di procedura penale commentato, Milano, 2008, p.

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consegna di prove, documenti ed altre cose pertinenti al reato, la

perquisizione, la notificazione di sentenze e di altri atti giudiziari11 – non

eseguibile nel territorio dello Stato richiedente. Le rogatorie dunque venivano utilizzate dal magistrato che doveva svolgere indagini nel territorio di uno Stato estero per chiedere alle autorità giudiziarie di quello Stato di eseguirle su richiesta del primo, provvedendo al compimento degli atti rogati e trasmettendone i risultati documentali al Paese richiedente, ai fini del loro utilizzo nel processo. Tale tipo di collaborazione, oltre a risultare conveniente dal punto di vista logistico e dal punto di vista economico, permetteva di superare i limiti giurisdizionali connessi al principio di sovranità, determinandone una

ragionevole e temporanea attenuazione12.

In secondo luogo, un passaggio fondamentale è sicuramente rappresentato dall’adozione dell’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985 relativo alla graduale eliminazione dei controlli alle frontiere

11 Cfr. art. 1, § 2, Conv. cit.: ‹‹La presente Convenzione non si applica

all’esecuzione delle decisioni di arresto e di condanna né ai reati militari che non costituiscono reati di diritto comune.››.

12 Sul punto molto chiaro è G.DARAIO, La circolazione della prova nello spazio

giuridico europeo, contributo in L. KALB, Spazio europeo di giustizia e

procedimento penale italiano. Adattamenti normativi e approdi giurisprudenziali (Grandi temi del diritto Il processo penale), Torino, 2012, p.

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12

comuni13: da alcuni concetti chiave presenti nell’accordo è possibile

delineare la sagoma che la cooperazione giudiziaria ha assunto negli anni successivi in ambito europeo. Tale accordo, sulla base dell’iniziativa di un primo gruppo di stati – gli Stati membri dell’Unione del Benelux, la Germania e la Francia, ai quali ben presto si aggiunsero Italia, Grecia, Portogallo e Spagna – cristallizzò la decisione di dotarsi di un impianto che programmasse nel tempo la tendenziale eliminazione dei controlli frontalieri, con l’intento di favorire «l'unione sempre più stretta fra i popoli degli Stati membri delle Comunità europee» e «rafforzare la solidarietà fra i propri popoli rimuovendo gli ostacoli alla libera circolazione attraverso le frontiere comuni».

È però necessaria una precisazione. Gli aspetti di maggiore innovazione introdotte dall’Accordo non furono “solo” l’agevolazione della circolazione e l’alleggerimento delle pratiche di controllo dei visti alle persone e ai mezzi di trasporto: allora, infatti, non mancavano esempi in cui questi rapporti erano oggetto di regolamentazione

13 L’Accordo di Schengen – del 14 giugno 1985 a Schengen, pubblicato in GUCE

L 239/2000, p. 13-18 – e la Convenzione di applicazione dell'Accordo di Schengen – del 19 giugno 1990, pubblicato in GUCE L 239/2000, p. 19-62 – compongono l’Acquis di Schengen. In occasione della firma del Trattato di Amsterdam, tale blocco normativo è stato incorporato nel quadro giuridico e istituzionale comunitario, determinando la “comunitarizzazione” delle materie da esse regolate, sottratte al metodo della cooperazione intergovernativa. Lo stesso protocollo al Trattato con quale si è proceduto all’incorporazione ha affermato che l’Acquis di Schengen si applica agli Stati firmatari membri dell’Unione europea (con esclusione di Gran Bretagna e Irlanda, che possono comunque aderirvi in futuro), alla Norvegia e all’Islanda. Tale incorporazione nella legislazione dell’UE ha come primario effetto quello di vincolare gli Stati che in futuro decideranno di aderire all’Unione: questi dovranno accettare integralmente l’Acquis di Schengen.

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bilaterale fra gli Stati interessati14. La parola nuova e forte che Schengen

introduce come prospettiva innovativa della cooperazione fra gli Stati membri – che ha acquisito un significato ben preciso nei successivi trattati che hanno modificato l’assetto europeo – è sicuramente

l’“armonizzazione” delle discipline15. L’accordo, infatti, strutturato in due

titoli – «misure applicabili a breve termine» e «misure applicabili a lungo termine» – nel secondo dedica quasi la totalità dell’articolato all’importanza dell’armonizzazione, ad esempio in materia di divieti e restrizioni alla circolazione (art. 17), in materia di stupefacenti, armi ed esplosivi (art. 19), in materia di politica sui visti e sulle condizioni di ingresso nel territorio (art. 20). Tale prospettiva auspicata da Schengen – l’armonizzazione delle discipline – va intesa come quella attività di coordinamento tra ordinamenti nazionali atta ad eliminare o ridurre le diversità dispositive sostanziali e procedurali. Essa, che pure costituisce un traguardo consapevole per gli Stati aderenti fin dall’inizio della

esperienza comunitaria16, soprattutto per il buon funzionamento del

mercato comune, continua a rappresentare oggi la vera sfida del futuro

per l’Unione europea, ancor di più dopo la firma del Trattato di Lisbona17

con il quale l’Unione europea è diventata soggetto di diritto

14 A titolo esemplificativo si v. l’Accordo tra l'Italia e la Svizzera che completa la

Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20.04.1959 e ne agevola l'applicazione, firmato a Roma il 10 novembre 1998; l’Accordo aggiuntivo alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20.04.1959 ed inteso a facilitarne l'applicazione firmato a Vienna il 20 febbraio 1973.

15 V. art. 19 Accordo di Schengen: «le Parti si adopereranno per armonizzare le

legislazioni e i regolamenti».

16 Così R.MASTROIANNI, Ravvicinamento delle legislazioni nel diritto comunitario,

in Dig. pubbl., XII, Torino, 1997, p. 457 ss.

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internazionale. Pare ora il caso di sottolineare, inoltre, almeno per ciò che interessa l’OEI, che l’armonizzazione rappresenta l’unico mezzo di sopravvivenza dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. E nei prossimi paragrafi avremo modo di capire in che termini.

È stato sottolineato però che, in merito al concetto di riavvicinamento delle discipline interne fra gli Stati, sia possibile descrivere una gradazione di intensità, nella quale l’armonizzazione occupa un posto intermedio: dalla più tenue influenza rappresentata dall’attività di coordinamento, ovvero la «mera adozione di disposizioni comuni intese non ad incidere sul contenuto delle norme interne, ma semplicemente a creare dei meccanismi per evitare che la loro applicazione divergente

possa dar luogo a contrasti»18, si può passare ad un maggior grado di

incidenza, che si sostanzia nell'armonizzazione delle legislazioni, diretta a

modellare le stesse su di una normativa comune19 allo scopo di

raggiungere «una vera e propria uniformazione delle legislazioni, con sostituzione diretta e contestuale delle diverse normative nazionali

mediante una disciplina univoca».20 Ciò detto, la direzione presa dal

legislatore europeo sembra effettivamente orientata nel senso suggerito dal concetto di armonizzazione, in linea con i principi affermati dal Trattato di Lisbona, e in particolare nel Capo IV del TFUE dedicato allo Spazio europeo di Libertà, sicurezza e giustizia.

18 Così F. POCAR, Il ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella Comunità

europea, in (a cura di) M.MISTRI -A.PAPISCA, La sfida europea, Padova, 1984,

93 ss., spec. 96.

19 Così R.MONACO, Le rapprochement des législations nationales dans le cadre

du marché commun, in AFDI, 1957, 558 ss., spec. 568.

20 Questa la congettura, C.AMALFITANO, voce Ravvicinamento delle legislazioni,

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15

In terzo luogo, viene in considerazione la Convenzione relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri

dell'Unione europea del 200021. Essa può senza dubbio considerarsi una

pietra miliare della cooperazione giudiziaria almeno per due ragioni. Sotto un primo profilo, la Convenzione costituisce anch’essa un punto

intermedio, fra la “struttura a pilastri” del Trattato di Maastricht22 e il

nuovo assetto introdotto dal Trattato di Lisbona23.

21 V. Atto del Consiglio europeo del 29 maggio 2000, firmato a Bruxelles il 29

maggio 2000 e pubblicato in GUCE C 197/2000. Ampiamente esaustivo sugli effetti prodotti dalla Convezione sui rapporti giurisdizionali con autorità straniere è il contributo di N.TRIGGIANI, In divenire la disciplina dei rapporti

giurisdizionali con autorità straniere: appunti sulla L. 21 luglio 2016, n. 149. La ratifica della Convenzione di Bruxelles del 2000 sull’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, le deleghe al Governo per la sua attuazione e per la riforma del libro XI del c.p.p., le modifiche in tema di estradizione, in Dir. Pen. Contemp., n. 6, 2016.

22 Il Trattato sull’Unione Europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, è

entrato in vigore il 1° novembre 1993, a seguito di ratifica da parte degli Stati membri delle Comunità europee, GUCE C 191/1992.

23 Il Trattato di Lisbona firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007, entrato in vigore

il 1º dicembre 2009 e pubblicato in GUUE C 306/2007, va a modificare il Trattato sull'Unione europea (TUE) e il Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE); quest’ultimo viene rinominato «Trattato sul funzionamento dell'Unione europea» (TFUE), mentre il termine «Comunità» cede il passo al termine «Unione» in tutto il testo. L’importanza di questo Trattato, in cui l’Unione diventa il successore sul piano giuridico della “Comunità”, è riscontrabile soprattutto nel cambiamento del modus operandi dell’Unione europea e nelle novità sul concreto funzionamento dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. La più significativa delle novità apportate, per quel riguarda la prospettiva di studio dell’OEI, non può che essere l’eliminazione della struttura a tre pilastri (in continuità con l’intento espresso già nella Costituzione europea); essa ha determinato la trasposizione all’interno del Titolo V del TFUE (e tal proposito, alla cooperazione giudiziaria in materia penale è dedicata un’analisi più avanti, v. nota 21 e infra §1.1.3) delle materie in origine appartenenti al terzo pilastro, per le quali il Parlamento europeo era semplicemente consultato.

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16

La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale24, infatti, si era

fino ad allora basata sul metodo “intergovernativo”25.

Quest’ultimo venne scalzato dalla creazione di specifiche materie

attribuite alla competenza dell’Unione Europea26 – superando gli

evidenti limiti27 che aveva dimostrato questo metodo decisionale, in

24 La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale era inserita

originariamente nel Terzo Pilastro del Trattato di Maastricht riguardante la giustizia e gli affari interni. Esso nasce come un ambito di cooperazione intergovernativa e viene comunitarizzata solamente col Trattato di Amsterdam del 1997, sostituta dal progetto più ampio dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia; la stessa perifrasi utilizzata per descrivere tale competenza ha trovato parimente fortuna anche nell’assetto dell’Unione dopo Lisbona (v. infra 1.3).

25 Esso consisteva nel processo decisionale, in origine preferito al metodo

“comunitario” (v. nota 20), nel quale la caratteristica fondamentale era rappresentata dalla preminenza della tutela degli interessi individuali degli Stati membri: da questa derivavano un diritto di iniziativa legislativa della Commissione generalmente condiviso con gli Stati o per lo più limitato a specifiche materie, la centralità del Consiglio europeo e l’unanimità nella deliberazione, la riduzione del Parlamento europeo ad un’attività di carattere principalmente consultiva.

26 Secondo il principio di attribuzione, la competenza in ambito legislativo ex

art. 5 TUE, dell’Unione Europea è stabilita dai Trattati. Tale competenza, distinta in esclusiva, concorrente (o condivisa) e di sostegno, è regolata dagli articoli 2 ss. del TFUE: la prima, all’art. 3 riguarda settori prettamente comunitari quali ad esempio l’unione doganale e la politica commerciale; la seconda, regolata dall’art. 4, riguarda materie come l’energia e l’ambiente che, in ordine ai principi di sussidiarietà e proporzionalità, per scelta dei Paesi contraenti, possono essere normati dagli Stati membri singolarmente qualora l’UE abbia deciso non regolare una materia o cessare di regolarla (per quest’ultima ipotesi v. la dichiarazione 18 del Trattato di Lisbona). Quanto alla legislazione di sostegno, essa, prevista all’art. 6, si estrinseca in attività legislativa di promozione e completamento in settori quali la cultura e il turismo. Chiude il pacchetto della competenza l’art. 5 – con una formula quanto mai ampia – il quale affida all’Unione la competenza ad emanare atti legislativi idonei a promuovere il coordinamento fra i Paesi membri nelle politiche sociali e nelle politiche economiche – escluso quella specificatamente monetaria.

27 Le riflessioni sul metodo governativo e i suoi limiti hanno segnato di fatto la

maturità dell’Unione europea. Tale metodo, pur garantendo in qualche maniera la condivisione delle decisioni fra gli Stati europei, risultava in ogni caso poco efficace nella misura in cui non permetteva la concreta

(18)

17

favore di quello “comunitario”28 – all’interno delle quali poteva

legiferare con la procedura legislativa ordinaria29; adottando, dunque,

atti legislativi propri: regolamenti, direttive e decisioni30.

configurazione di una politica comune, e, se lecito, una consapevolezza comune dei cittadini europei: i limiti di legittimità, di trasparenza democratica e di capacità decisionale da ricondurre alla mancanza di una forte coscienza di tale decisione da parte dell’opinione pubblica e all’assenza di un iter “parlamentare” hanno permesso da sempre di connotare questo sistema decisionale come un «negoziato diplomatico» più che un processo “legislativo”, dando preminenza al ruolo dei governi. Questa è del resto l’opinione di S.ALOISIO, Superare il metodo intergovernativo nella riforma dei

trattati: quali ulteriori passi avanti in direzione Costituente?, in Il Federalista,

2008, n. 3, p. 82 e ss., il quale, non lesinando critiche al sistema governativo – si veda sempre S.ALOISIO, Attualità delle riflessioni di Piero Calamandrei sul

procedimento costituente europeo, in A.LANDUYT -D.PASQUINUCCI (a cura di),

L’unione europea tra Costituzione e governance, Cacucci, 2004, p. 102 e ss. –

sostiene l’importanza di nuovo momento costituente che conduca ad una compiuta unione politica degli Stati membri.

28 Un passaggio sicuramente non immediato: l’introduzione dei “Pilastri di

Maastricht” aveva in origine previsto il metodo “comunitario” solo per il primo pilastro (CEE), lasciando gli altri due (PESC e GAI) sotto il sistema decisionale “intergovernativo”. La delicatezza e l’importanza delle materie inserite nel primo pilastro giustificavano la preminenza della comunità sovranazionale che caratterizza il metodo “comunitario”: esso infatti risalta il ruolo della Commissione e del Parlamento rispetto al metodo “intergovernativo”, affidando alla prima il diritto esclusivo di iniziativa legislativa, al secondo un potere consultivo e emendativo, dando vita in molti casi ad un processo codecisionale con il Consiglio (v. nota 21); in ultimo, scelta obbligata non poteva che essere quella del voto a maggioranza, seppur qualificata, rispetto alla deliberazione all’unanimità.

Sul processo di estensione della “comunitarizzazione” avviato del Trattato di Amsterdam e completato dal Trattato di Lisbona, con particolare attenzione anche all’attività creatrice della giurisprudenza europea, v. C. AMALFITANO,

Commento art. 82 TFUE, in A.TIZZANO, Trattati dell’Unione europea, Milano,

(19)

18

Il secondo profilo da tenere presente è quello che attiene alla funzione “maieutica” riconducibile alla Convenzione nell’approvazione di alcune direttive adottate successivamente rispetto al Trattato di Lisbona.

29 Procedura legislativa ordinaria che, regolata dall’art. 294 TFUE, rappresenta

la naturale evoluzione della procedura di codecisione introdotta dal Trattato di Maastricht. Essa prevede un ruolo attivo del Parlamento, prima, e del Consiglio, in seconda battuta, i quali, sulla base di una proposta inviata dalla Commissione – di iniziativa propria o su richiesta di altre istituzioni o paesi dell'UE, oppure dando seguito ad un'iniziativa dei cittadini – la esaminano e la votano a maggioranza. Il Parlamento europeo adotta la sua posizione in prima lettura e la trasmette al Consiglio per l’approvazione che può dar vita all’adozione dell’atto, in caso di approvazione, oppure alla formulazione di una posizione propria, diversa, sull’atto. Il Parlamento deve, entro tre mesi, dalla comunicazione approvare la posizione del Consiglio in prima lettura, e ciò può condurre all’adozione dell’atto in caso di approvazione. Al contrario può, nello stesso termine, respingere a maggioranza la posizione del Consiglio facendo caducare l’atto, oppure proporre emendamenti e trasmettere il testo emendato al Consiglio. Entro un termine di tre mesi da tale comunicazione il Consiglio può approvare tutti gli emendamenti, nel qual caso l'atto si considera adottato, oppure non approvare gli emendamenti; in quest’ultimo caso viene convocato entro sei settimane il Comitato di conciliazione, il cui compito è quello di giungere ad un accordo su un progetto comune a maggioranza qualificata dei rappresentanti del Consiglio e a maggioranza dei rappresentanti del Parlamento europeo, entro un termine di sei settimane dalla convocazione, basandosi sulle posizioni del Parlamento europeo e del Consiglio in seconda lettura. Il testo prodotto dal Comitato di conciliazione viene sottoposto alla terza lettura del Parlamento e del Consiglio per la sua approvazione; pena la mancata adozione.

30 Sono questi i tre atti legislativi “vincolanti”, ai quali si aggiungono i pareri e le

raccomandazioni, non vincolanti, aventi valenza consultiva. Sulla definizione degli stessi si v. l’art 288 TFUE:

“Per esercitare le competenze dell'Unione, le istituzioni adottano regolamenti, direttive, decisioni, raccomandazioni e pareri.

Il regolamento ha portata generale. Esso è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi.

La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi. Se designa i destinatari è obbligatoria soltanto nei confronti di questi.

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19

La Convenzione di Bruxelles, infatti, costituisce il sostrato normativo necessario per tre direttive mediante le quali si è voluto dar attuazione al Capo IV sulla «Cooperazione giudiziaria in materia penale» all’interno del

Titolo II – lo «Spazio di libertà, sicurezza e giustizia» (SLSG)31 – del TUE32;

la Convenzione ha svolto qui il ruolo di “traghettatore”: dall’assistenza giudiziaria del Trattato di Amsterdam fino alla “maturità” della cooperazione giudiziaria del TUE.

Si vuole in questo passaggio far riferimento alle “recenti” direttive (e le rispettive discipline d’attuazione, altrettanto recenti nel nostro Paese):

• Direttiva 2014/41/UE, relativa all'ordine europeo di indagine penale, che sarà oggetto di studio in questo elaborato;

31 Vedi infra 1.3.

32 Il TUE e il TFUE sono i due testi normativi che compongono il Trattato di

Lisbona. Essi hanno identico valore giuridico e sono così strutturati: il TUE si compone di 55 articoli ed è il trattato con cui gli Stati contraenti istituiscono l’Unione europea, alla quale attribuiscono competenze per conseguire i loro obiettivi comuni; il TFUE, invece, regola il funzionamento dell’Unione e disciplina nei suoi 358 articoli i settori, i limiti e le modalità d’esercizio delle materie di sua competenza. Ai presenti Trattati fanno seguito 37 Protocolli (che hanno lo stesso valore giuridico dei Trattati e si occupano di specifici ambiti del funzionamento dell’Unione), 2 Allegati e 65 Dichiarazioni (utilizzabili alla stregua di lavoratori preparatori: sono strumenti di interpretazione delle disposizioni alle quali sono riferite e non hanno valore normativo), insieme a 2 Tavole di corrispondenza (tra gli articoli del precedente TUE e le nuove numerazioni dal Trattato di Lisbona) e alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (diventata vincolante nell’ordinamento dell’Unione al pari valore giuridico dei Trattati secondo l’art. 6 TUE).

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20

• Direttiva 2014/42/UE33, relativa al congelamento e alla confisca

dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea;

• Direttiva 2013/48/UE34, relativa al diritto di avvalersi di un

difensore nel procedimento penale e nel procedimento di esecuzione del mandato d’arresto europeo, al diritto di informare un terzo al momento della privazione della libertà personale e al diritto delle persone private della libertà

personale di comunicare con terzi e con le autorità consolari.35

33 Direttiva 2014/42/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile

2014, entrata in vigore il 19 maggio 2014, pubblicata in GUUE L 127/2014, p. 39–50. Le formalità di recepimento sono state espletate con D. Lgs. n. 202 del 29 ottobre 2016, entrata in vigore 24 novembre 2016, pubblicata in GU, Serie Generale n. 262 del 09.11.2016.

34 Direttiva 2013/48/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre

2013, entrata in vigore il 27 novembre 2013, pubblicata in GUUE L 294/2013; attuata in Italia il 15 settembre 2016 (era infatti da sottoporre a trasposizione entro il 27.11.2016) con D. Lgs. n. 184, pubblicata in GU, Serie Generale n. 231 del 03.10.2016.

Per un analisi specifica della direttiva, si v. F.A. BUBULA, La Direttiva

2013/48/UE sul diritto al difensore e a comunicare con terzi e autorità consolari in caso di privazione della libertà personale, in www.penalecontemporaneo.it, 29 novembre 2013; e, in ottica ricognitiva, v. M.BARGIS, Il diritto alla “dual defence” nel procedimento di esecuzione del

mandato di arresto europeo: dalla direttiva 2013/48/UE alla direttiva (UE) 2016/1919, in www.penalecontemporaneo.it, 14 dicembre 2016.

Sul tema, invece, più generale delle novità procedurali e sulle “garanzie” processuali per l’imputato, v. M. CAIANIELLO, Dal terzo pilastro ai nuovi

strumenti: diritti fondamentali, “road map” e l’impatto delle nuove direttive,

in www.penalecontemporaneo.it, 4 febbraio 2015.

35 Con queste tre direttive si è voluto far riferimento alle discipline che hanno di

fatto preso in mano le redini della cooperazione giudiziaria in materia penale. Si pensi ad esempio al fatto che la Convenzione non tratta espressamente il tema della confisca. Esse segnano il passo in avanti rispetto alla Convenzione del 2000 – superata di fatto in molte parti – e pongono rimedio a lacune normative presenti nella Convenzione. Dette direttive hanno permesso dato operatività al regime normativo del Capo IV, Titolo V TFUE.

(22)

21

Ciò detto, la Convenzione nasce con il preciso intento di non modificare o sostituire nessuno degli strumenti già previsti dalla Convenzione del 1959, dall’Accordo di Schengen – compreso il suo protocollo addizionale

del 197836 – così come non intende pregiudicare l’applicazione di

strumenti maggiormente efficaci37. Pare il caso di concludere che la

funzione ad essa attribuita è stata quella di completare le disposizioni che regolano i diversi strumenti di assistenza giudiziaria; un obiettivo evidentemente antitetico rispetto alle intenzioni di riordino e accentramento della Direttiva 2014/41/UE.

1.3 All’interno dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia: il

Capo IV del TFUE

Il “panorama” nel quale la Direttiva 2014/41/UE si inserisce non può non tener conto, infine, del Capo IV del TFUE. Esso è, infatti, il tessuto normativo principale di cui le direttive sopra menzionate non sono altro che articolazioni operative. In virtù di tale stretta relazione è doveroso in questa sezione prendere in considerazione un concetto più volte menzionato finora, individuabile come il fondamento della cooperazione giudiziaria in materia penale: con quest’ultima si è soliti far riferimento ad una serie di misure e strumenti utili alla collaborazione fra gli

36 Protocollo Addizionale alla Convenzione Europea di Assistenza Giudiziaria in

materia penale, firmato a Strasburgo il 17 marzo 1978, entrata in vigore il 12 aprile 1982. Firmata dall’Italia il 30 ottobre 1980 e ratificata il 26 novembre 1985 con L. n.436 del 24 luglio 1985, in vigore dal 24.02.1986; pubblicata in GU n.197 del 22 agosto 1985.

(23)

22

operatori giudiziari dei Paesi membri utili al consolidamento di «uno

spazio giudiziario europeo»38.

Si è già accennato al fatto che il Trattato di Lisbona abbia come principale merito quello di aver sottolineato la centralità della “comunità degli Stati europei”, l’ente sovranazionale attraverso il quale gli stessi avevano deciso di portare avanti iniziative comuni: l’Unione Europea appunto. È in quest’ottica che il TUE e TFUE, sulla base del percorso di “comunitarizzazione”, hanno introitato sotto forma di principi giuridici un concetto centrale strumentale alla creazione di un’area “comune” di azione: lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG). Già a partire dal preambolo del TUE, infatti, emerge chiaramente la volontà degli Stati aderenti di «agevolare la libera circolazione delle persone, garantendo nel contempo la sicurezza dei popoli con l’istituzione di uno spazio di libertà sicurezza e giustizia, in conformità alle disposizioni» dei trattati.

Da una prospettiva grandangolare appare chiaro dunque che lo SLSG

debba essere inteso come una delle politiche dell’Unione europea39,

38 Espressione che avuto fortuna nella letteratura giuridica – utilizzata per la

prima volta dal Presidente della Repubblica francese Giscard d’Estaing nel dicembre 1977 durante il Consiglio europeo di Bruxelles – con la quale ci si riferisce al progetto di integrazione degli allora Stati membri – parallelo a quello economico creato dai trattati economici (CECA, EURATOM e CEE) – nel settore della cooperazione. Si v. C. AMALFITANO, Conflitti di giurisdizione e

riconoscimento delle decisioni penali nell'Unione Europea, Milano, 2006 p.

52-82.

39 Lo SLSG infatti – secondo l’art 4, par. 2, lett. j) del TFUE – non è solo un

impegno programmatico inserito nel preambolo del trattato, ma rappresenta soprattutto uno dei settori in cui l'Unione ha una competenza concorrente con quella degli Stati membri, assieme al mercato interno, la politica sociale, la coesione economica, sociale e territoriale, ecc.

(24)

23

nata all’indomani del superamento della struttura a pilastri40. L’obiettivo

di realizzare «uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri», contenuto nell’incipit del Titolo V del TFUE, all’art. 67, si palesa nell’intento di sviluppare una politica comune in materia di controllo del frontiere esterne, di asilo e immigrazione che si fondi sul principio di solidarietà e che sia operata

secondo un’equa ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri41.

Il legislatore europeo, nel perseguire tale obiettivo, riconosce favorevolmente l’importanza della cooperazione giudiziaria fra i Paesi

40 Osserva M.CARTA, La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale

dopo il Trattato di Lisbona, in Democrazia e sicurezza (rivista on line), sez.

Saggi, 2012, II, n. 2, che la «riconduzione delle materie dell’ex terzo pilastro, relative appunto alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, ad un unico contesto anche istituzionale nel Titolo V del Trattato sul Funzionamento dell'ʹUnione Europea (TFUE), dedicato allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia» […] «conclude il processo iniziato con il Trattato di Amsterdam che aveva inaugurato la fase dell’applicazione del “metodo comunitario”, e non più intergovernativo, alle materie in questione con conseguenze […] di sicuro rilievo. In particolare la struttura unitaria del sistema viene garantita poiché le materie dell’ex terzo pilastro ancora disciplinate dal Trattato sull’Unione Europea (TUE) (Titolo VI, artt. 29 ‐ 42) vengono ora collocate nel TFUE, ove un riformulato Titolo V (artt. 67 ‐ 89), denominato “Spazio di libertà, sicurezza e giustizia” va a sostituire il pre‐esistente Titolo IV (artt. 61 ‐ 69) del TCE, relativo a visti, asilo, immigrazione ed altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone».

41 Si tratta di un principio di portata generale in materia di asilo, immigrazione e

controlli alle frontiere, riconosciuto dall’art. 80 TFUE, in base al quale «le politiche dell’Unione e la loro attuazione sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario». Tale articolo, con sola eccezione riguardante l’estensione dell’ambito di applicazione della solidarietà all’intero settore delle politiche relative alle materie richiamate e l’estensione della portata di tale principio a tutti gli Stati membri, riproduce per intero i contenuti del precedente, fallimentare, art. III-268 del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa.

(25)

24

membri: sia per ciò che riguarda la materia civile, con l’introduzione del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziaria ed extra-giudiziali; sia per quel che concerne la cooperazione giudiziaria in materia penale, in favore della quale, oltre al principio del riconoscimento reciproco, è stata prevista la possibilità di emanare norme minime relative alle definizioni comuni di reati e sanzioni penali, soprattutto con riguardo alla criminalità grave (con quest’ultimo profilo si è voluto chiaramente porre le basi per la definizione e l’organizzazione della repressione di quelle forme di criminalità che presentano dimensione transnazionale come terrorismo, traffico illecito di sostanze stupefacenti, criminalità organizzata, ecc.). Per entrambi i campi d’azione – civile e penale – della cooperazione giudiziaria, sono state inoltre previste delle disposizioni particolari quali, ad esempio, il diritto

d’iniziativa per gli Stati membri42, l’estensione del potere di censura da

parte della Corte di giustizia anche all’ambito della cooperazione e, non certo ultimo per importanza, il superamento degli intoppi che in fase decisionale poteva provenire dal veto opposto da taluni Stati membri – limitato chiaramente a specifiche condizioni e modalità, ultronee rispetto alla procedura legislativa ordinaria – attraverso la cd.

42 Proprio con riguardo alla cooperazione giudiziaria in materia penale o la

cooperazione di polizia, l’art. 76 del TFUE prevede questa possibilità:

«Gli atti di cui ai capi 4 e 5 e le misure di cui all'articolo 74 che assicurano la cooperazione amministrativa nei settori di cui a tali capi sono adottati: a) su proposta della Commissione, oppure

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25

“cooperazione rafforzata”.43 Inoltre il Trattato, si fa carico dell’impegno

di istituire una Procura europea fondata sul sistema di Eurojust44 che

abbia il compito di combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell’Unione. Allo stesso tempo, il Trattato si impegna a consolidare tutte le autorità di polizia competenti negli Stati membri – creando un parallelo sistema di cooperazione di polizia fra i servizi di polizia, i servizi

43 Generalmente, le norme di diritto europeo si applicano in tutti i 28 paesi

membri dell’U.E.; dunque la formazione di una “posizione” legislativa comune deve essere necessariamente condivisa fra la maggioranza di questi. Il Trattato di Lisbona ha però lasciato spazio a zone di flessibilità in merito a tale “cogenza”.

Definite dall’art. 20 del TUE come quelle forme di cooperazione «intese a promuovere la realizzazione degli obiettivi dell’Unione, a proteggere i suoi interessi e a rafforzare il suo processo di integrazione» ed esercitate «applicando le pertinenti disposizioni dei trattati, nei limiti e con le modalità previste […] negli articoli da 326 a 334» del TFUE, le cooperazioni rafforzate sono esperibili «nel quadro delle competenze non esclusive dell’Unione Europea». Esse sono sviluppate dagli Stati membri o dalla Commissione – e in capo a quest’ultima l’art. 328, par. 1 del TFUE affida il compito di adoperarsi «per promuovere la partecipazione del maggior numero di Stati membri» – e sono promosse, secondo l’art. 329 del TFUE attraverso la trasmissione di una richiesta alla Commissione precisando il campo di applicazione e gli obiettivi che intende perseguire. La Commissione, se non presenta una proposta propria, chiede al Consiglio di autorizzarne la procedura, previa approvazione del Parlamento europeo. Solo nel caso in cui la cooperazione rafforzata riguardi la politica estera e la sicurezza comune il par. 2 dell’art 329 prevede un iter differente: la richiesta è trasmessa direttamente al Consiglio, che decide all’unanimità, con la partecipazione consultiva dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza. Norma di chiusura è la clausola dell’art. 334: al Consiglio e alla Commissione spetta il compito di assicurare «la coerenza delle azioni intraprese» dalla cooperazione rafforzata «con le politiche dell’Unione». Da non confondersi con il meccanismo di opt-in e opt-out dalla legislazione europea: vale a dire la possibilità di un Paese di rinunciare a subire gli effetti dell’adozione di una certa normativa europea. È il caso ad esempio della rinuncia nell'ambito dell’Acquis di Schengen concessa al Regno Unito e all'Irlanda, esercitando l’opportunità di partecipare o meno a una politica comunitaria in tema di controlli alle dogane.

(27)

26

di dogana e altri corpi specializzati – che conferisce un maggiore ruolo ad

Europol.

Strettamente collegato al cambio di rotta appena indicato è l’ulteriore merito che va infine riconosciuto al Trattato di Lisbona: attraverso il trasferimento delle materie della cooperazione alle altre politiche interne dell’Unione viene estesa la possibilità di invocare e applicare il

principio della leale cooperazione45 in sede giurisdizionale.46

Tale principio fu pensato in origine per “punire” la mancata collaborazione degli Stati con gli organi dell’Unione, in particolare le istituzioni deputate al controllo – ad esempio la Commissione europea – sul rispetto del diritto europeo. Da un lato, l’obbligo di cooperazione

45 L’ art. 4, par. 3 del TUE stabilisce infatti che: “In virtù del principio di leale

cooperazione, l'ʹUnione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell'adempimento dei compiti derivanti dai trattati. Gli Stati membri adottano ogni misura di carattere generale o particolare atta ad assicurare l'esecuzione degli obblighi derivanti dai trattati o conseguenti agli atti delle istituzioni dell'ʹUnione. Gli Stati membri facilitano all’Unione l’adempimento dei suoi compiti e si astengono da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi dell'ʹUnione”.

46 M. CARTA, La cooperazione, cit., sottolinea che «la portata pratica del

principio che induce a considerarlo non solo quale regola di condotta, quasi di

soft law, alla quale debbono ispirarsi i comportamenti delle istituzioni

dell’Unione e degli Stati membri, ma come fonte di un autonomo obbligo la cui sindacabilità in sede giurisdizionale, quale parametro di legittimità degli atti e dei comportamenti tenuti, è riconosciuta da una giurisprudenza sviluppatasi a partire dagli anni ‘70.»

Quanto all’orientamento della giurisprudenza, la Corte di Giustizia in passato aveva già stabilito che «sarebbe difficile per l’Unione adempiere efficacemente alla sua missione se il principio di leale cooperazione, che implica in particolare che gli Stati membri adottino tutte le misure generali o particolari in grado di garantire l’esecuzione dei loro obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea non si imponesse anche nell’ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, che è del resto interamente fondata sulla cooperazione tra Stati membri e le istituzioni». (Corte di Giustizia, 16 giugno 2005, causa C‑105/103, Pupino, punto 42, in Raccolta, p. I‑5285).

(28)

27

imponeva alle istituzioni nazionali di assumere tutti i comportamenti necessari alla piena esecuzione delle norme del diritto dell’U.E. e al perseguimento degli obiettivi dei Trattati; dall’altro, imponeva agli stessi di astenersi dall’adozione di misure contrarie o compromettenti per la realizzazione degli obiettivi comunitari e per l’uniforme applicazione del

diritto U.E.47 Detto questo, il principio ora definito sarebbe secondo

alcuni, non a torto, estensibile attraverso l’interpretazione analogica anche alla materia della cooperazione giudiziaria, potendo quindi essere oggetto di censura in sede contenziosa e giurisdizionale presso la Corte

di Lussemburgo48.

47 Rileva M. CARTA, La cooperazione, cit., che «l’obbligo di astenersi da atti e

comportamenti volti a compromettere lo sviluppo delle politiche europee e ad alterarne l’efficacia […] e l’attività delle stesse istituzioni può ritenersi violato, secondo la Corte di giustizia, addirittura quando la misura nazionale va ad incidere non solo in merito ad atti già perfezionatisi o a disposizioni dei Trattati, ma anche relativamente all’adozione di atti che sono semplicemente in fase di preparazione da parte delle istituzioni a livello U.E.». L’autore si riferisce in questo caso al punto 28 della pronuncia CGCE 5 maggio 1981, 804/79, Commissione c. Regno Unito: «gli Stati membri hanno l ' obbligo di facilitare alla Comunità l'assolvimento dei suoi compiti e di astenersi da qualsiasi provvedimento che possa mettere a repentaglio la realizzazione delle finalità del trattato. Questa disposizione impone agli Stati membri doveri particolari di azione e di astensione in una situazione in cui la Commissione, per far fronte ad esigenze urgenti di conservazione, ha presentato al Consiglio proposte che, pur se non adottate da quest' ultimo, rappresentano il punto di partenza di un'azione comunitaria concertata».

48 Questa è l’opinione, non priva di fondamento, del M.CARTA, La cooperazione,

cit., il quale afferma che «per quanto riguarda la sfera di applicazione del principio appare opportuno precisare che gli obblighi sono indirizzati non solo al legislatore nazionale, ma anche agli organi ed alle autorità amministrativi e giudiziarie». Cosi come di C. Amalfitano, La competenza penale dell’Unione

europea dopo il Trattato di Lisbona, in L.CAMALDO (a cura di), L'istituzione del

procuratore europeo e la tutela penale degli interessi finanziari dell'Unione europea, Torino, 2014, p. 3-34. Ciò troverebbe riscontro sul punto anche nella

giurisprudenza della Corte di Giustizia con la sentenza del 13 luglio 2004, causa C 82/03, Commissione c. Italia, in Raccolta, p. I-6635.

(29)

28

A sostegno di quanto affermato finora, i riscontri necessari in chiave di continuità sono cronologicamente collocabili nel dicembre 2009 quando,

con il Programma di Stoccolma (2010 – 2014)49 che segue il Programma

dell'Aia (2004-2009)50, il Consiglio europeo – con la programmazione

pluriennale che ha tradizionalmente caratterizzato l’evoluzione dello SLSG – ha adottato un piano di azione comune orientato in tal senso: in questa sede viene sollecitata l’estensione del principio del mutuo

riconoscimento a tutti i tipi di sentenze e decisioni giudiziarie51 e, allo

stesso tempo, vengono forniti nuovi “spunti di riflessione” normativa in

materia di ricerca della prova.52 E proprio in uno dei punti di questo

programma, nella sezione riservata al diritto penale, è possibile rinvenire l’idea, la necessità di uno strumento quale l’OEI.

49 “Programma di Stoccolma - Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela

dei cittadini”, adottato a Stoccolma il 10 e 11 dicembre 2009, pubblicato in GUUE C 115/2010.

50 “Programma dell’Aia: 10 priorità per i prossimi cinque anni”, adottato dal

Consiglio europeo del 4 e 5 novembre 2004, pubblicato in GUCE C 236/2005.

51 «Il riconoscimento reciproco potrebbe essere esteso a tutti i tipi di sentenze

e decisioni di natura giudiziaria, che possono avere, a seconda del sistema giuridico, carattere penale o amministrativo» (punto 3.1.1. dell’allegato al Programma di Stoccolma).

52 «Per migliorare la cooperazione basata sul riconoscimento reciproco,

andrebbero risolte inoltre alcune questioni di principio. Occorre, ad esempio, dotarsi di un approccio orizzontale in relazione a taluni problemi che ricorrono durante i negoziati sugli strumenti. Il ravvicinamento, ove necessario, del diritto sostanziale e procedurale dovrebbe agevolare il riconoscimento reciproco. […] Gli strumenti esistenti nel settore costituiscono una disciplina frammentaria. È necessario un nuovo approccio che, pur ispirandosi al principio di riconoscimento reciproco, tenga conto altresì della flessibilità del sistema tradizionale di assistenza giudiziaria reciproca. Tale nuovo modello potrebbe essere di più ampia portata e dovrebbe contemplare quanti più tipi di prove possibile, nel rispetto delle misure interessate» (punto 3.1.1. dell’allegato al Programma di Stoccolma).

(30)

29

Gli sforzi di questa programmazione sono confluiti nel Capo IV del Trattato, oggetto delle pagine che seguono. Pare il caso di notare che ad esso è riservata la definizione dei principi che governano la realizzazione dello SLSG per quel che riguarda il versante della cooperazione giudiziaria in materia penale. Passando in rivista le disposizioni degli articoli che compongono il Capo IV del Titolo V del TFUE emerge come il legislatore europeo abbia fornito delle coordinate d’azione che partono dai principi che “governano” la cooperazione fino ad offrire aree di opportunità legislativa a iniziativa diretta degli Stati membri, attraverso le forme della direttiva.

L’art. 8253 definisce le fondamenta della cooperazione giudiziaria in

materia penale affermando il principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie: con questo, aggiunto ai cenni già fatti in precedenza in merito al Programma di Stoccolma, si definisce l’intento programmatico di adottare, attraverso la legislazione ordinaria, provvedimenti idonei alla definizione di norme e procedure che assicurino il riconoscimento in tutta l’Unione di qualsiasi tipo di sentenza e di decisione giudiziaria. Il rispetto di tale principio, che concorre alla

53 Corrispondente al vecchio art. 31 TUE, prima che fosse modificato dal

Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, nella precedente fattispecie la cooperazione era adottata attraverso le forme dell’«azione comune» consistente in un'azione coordinata dagli Stati membri per definire una strategia attribuibile all’ente sovranazionale, solitamente riservata a regolare materie comuni di interesse rilevante per gli Stati membri – su materie quali: la cooperazione fra ministeri compete e autorità giudiziarie competenti degli Stati membri; la facilitazione delle pratiche di estradizioni; la compatibilità delle normative applicabili negli Stati membri; la progressiva adozione di norme minime relative agli elementi costitutivi di reati e le relative sanzioni, soprattutto con riguardo alla criminalità organizzata, il terrorismo e il traffico di stupefacenti. Per fare questo, veniva fortemente incoraggiato l’utilizzo di Eurojust.

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30

realizzazione del SLSG, si fonda chiaramente sulla reciproca fiducia tra gli Stati membri. Equilibrio programmato poiché non immediatamente

raggiungibile54; soprattutto in un panorama comunitario che registra una

marcata disomogeneità fra le legislazioni in cui «un clima di reciproca fiducia» risulta sicuramente una necessità improrogabile, ma che addirittura potrebbe rivelarsi «non sufficiente ai fini del reciproco riconoscimento in ambito probatorio, potendo il “trapianto” della prova allogena provocare vere e proprie “crisi di rigetto”, se non accompagnato anche da una preventiva armonizzazione almeno di un nucleo minimo di regole probatorie, intese a disciplinare l’ammissione e

54 Fa notare R.DEL COCO, Ordine europeo di indagine e poteri sanzionatori del

giudice, in www.penalecontenporaneo.it., 2016, p. 2, che la programmazione

legislativa, a partire dalle conclusioni del Consiglio di Tampere del 1999, seppur folta di impegni presi dalla comunità degli Stati europei, non ha prodotto effetti concreti; al contrario, sforzi positivi sono stati realizzati dalla giurisprudenza interna ai Paesi membri («a dare concreto impulso al mutuo riconoscimento è stata la fiducia e il naturale pragmatismo dei giudici nazionali»). L’autrice, infatti, sottolinea che la Corte Suprema Spagnola, già con la decisione del 19 gennaio 1995 – STS 13/1995 e con la successiva decisione del 20 settembre 2005 – STS 1142/2005, «aveva statuito l’ammissibilità delle prove formate all’estero secondo la procedura dello Stato di esecuzione, precorrendo, di fatto, gli strumenti del mutuo riconoscimento». Allo stesso tempo viene citato anche il “nostro” giudice di legittimità, rivelatosi anch’egli precursore nella misura in cui, con la sentenza del 4 marzo 1994, ha sottolineato la rilevanza dell’adesione agli impegni internazionali di fonte pattizia, dalla quale deriva «l’implicito riconoscimento della diversità dei singoli ordinamenti e dell’impegno a riconoscere gli atti compiuti secondo i diversi sistemi, in armonia con il principio di prevalenza delle norme pattizie su quelle interne, riconosciuto dall’art. 696 c.p.p.» (Cass. pen., sez. VI, 4 marzo 1994, Palamara, in Cass. pen., 1995, p. 2647).

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