• Non ci sono risultati.

L'italian sounding nel mondo tra minaccia e opportunità. Sviluppo del progetto Eataly a Stoccolma

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'italian sounding nel mondo tra minaccia e opportunità. Sviluppo del progetto Eataly a Stoccolma"

Copied!
153
0
0

Testo completo

(1)

1

UNIVERSITA' DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in Strategia, Management e Controllo

Tesi di Laurea

L'Italian Sounding nel mondo tra minaccia e opportunità.

Sviluppo del progetto Eataly a Stoccolma

Candidato: Relatrice:

Antonio d’Amore Prof.ssa Angela Tarabella

(2)

2

INDICE

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO 1 UNA NUOVA TECNICA DI CONTRAFFAZIONE: L’ITALIAN SOUNDING ... 7

1.1 L ’immagine dell’Italia nel mondo attraverso il Made in Italy: definizione e origine. ... 7

1.2 Il Made in Italy nel settore agroalimentare ... 13

1.3 Made in Italy tra contraffazione e Italian Sounding ... 22

1.3.1 Le differenti tipologie di imitazione ... 24

1.3.2 I danni derivanti dalle imitazioni ... 30

1.4 L’Italian Sounding tra soluzione normative e di comunicazione nell’ambito europeo: la disciplina sull’etichettatura dei prodotti e la loro tracciabilità ... 34

CAPITOLO 2 L’ITALIAN SOUNDING IN AMBITO INTERNAZIONALE: FOCUS STATI UNITI ... 43

PREMESSA ... 43

2.1 Il prodotto italiano negli Stati Uniti ... 45

2.2 Politiche pubblicitarie e promozione dei prodotti italiani ... 49

2.3 Il differenziale di prezzo con i prodotti ingannevoli: analisi dei prodotti DOP nel mercato statunitense ... 54

2.4 Il contesto normativo sulle indicazioni geografiche negli stati uniti per contrastare l’Italian Sounding . ... 56

2.4.1 La convenzione di Parigi del 1883 ... 58

2.4.2 Accordo di Madrid e Convenzione di Lisbona ... 59

2.4.3 Gli Accordi TRIPS ... 61

2.4.4 La disciplina delle indicazioni geografiche negli Stati Uniti ... 64

2.5 Le azioni di difesa: studio ICE e Camera di Commercio di Parma ... 67

CAPITOLO 3 EATALY: LO SVILUPPO DEL PROGETTO STOCCOLMA ... 73

PREMESSA E MANIFESTO DI EATALY ... 73

3.1 La storia di Eataly ... 77

3.2 Eataly e slow food: l’organizzazione a category ... 82

3.3 Struttura societaria e le acquisizioni strategiche ... 97

3.4 Progetti nazionali e sviluppi internazionali: focus Stati Uniti, Giappone e Russia ... 102

(3)

3

3.5 “Alti cibi a prezzi sostenibili”: modello di business tra marketing e strategie di

comunicazione ... 114

3.6 Eataly come promotore del Made in Italy in ambito nazionale e internazionale: il progetto FICO Eataly World Bologna e lo sviluppo del progetto Stoccolma. ... 122

3.6.1 Il progetto FICO Eataly World Bologna ... 123

3.6.2 Lo sviluppo del progetto Stoccolma ... 129

3.7 Critiche dirette ad Eataly ... 132

CONCLUSIONI: ITALIAN SOUNDING , MINACCIA O OPPORTUNITA’? ... 138

BIBLIOGRAFIA ... 143

(4)

4

INTRODUZIONE

L’eccellenza dei prodotti agroalimentari italiani sta subendo negli ultimi anni delle pratiche concorrenziali sleali, protese ad un’appropriazione indebita del Made in Italy e definite con il nome di Italian Sounding . Si tratta di un vero e proprio furto d’identità da parte di produttori esteri che approfittano dell’importanza e della qualità attribuita al Made in Italy agroalimentare per commercializzare prodotti che utilizzano in maniera impropria parole, immagini, marchi e ricette che richiamano l'Italia, ma che non hanno nulla a che fare con la realtà nazionale. Si tratta di un fenomeno che tende a ingannare i consumatori facendo pensare loro che si tratti di un prodotto originale italiano con conseguente perdita di fette di mercato da parte delle aziende italiane. L’obiettivo dei produttori esteri è ovviamente quello di sfruttare l’indiscussa popolarità dei prodotti nazionali, in particolare agroalimentari, giocando sul “suono” del relativo nome o marchio. Il fenomeno molto probabilmente costituisce il principale ostacolo, per peso economico e carenza di strumenti giuridici di tutela, alla diffusione delle specialità agroalimentari italiane nel mondo e al pieno sviluppo della nostra industria alimentare, infatti tale forma di imitazione arreca un notevole danno all’economia nazionale, quantificabile, secondo diverse stime della Federazione Italiana dell’Industria Alimentare, in un giro di affari che si aggira intorno ai 60 miliardi di euro di cui circa 6 riguardano la contraffazione vera e propria e i restanti 54 miliardi l’imitazione dei nostri prodotti, ovvero circa la metà del fatturato totale prodotto dall’industria alimentare italiana. Sulla base delle stime e di quanto detto precedentemente risulta essenziale una presa di coscienza da parte di tutti, in quanto non bastano più i regolamenti a fermare questo illecito commerciale ma diviene necessario l’intervento delle istituzioni italiane, affinché i consumatori stranieri possano apprezzare e individuare il vero prodotto italiano a discapito di quello imitativo. Per le suddette ragioni nella presente tesi verranno esposte non solo le iniziative e i regolamenti che regolano il commercio mondiale, ma anche le strategie e le aziende che si occupano della promozione del vero Made in Italy nel mondo. Lo studio partirà dalle peculiarità

(5)

5

che ruotano attorno al concetto di “Made in Italy; dopo alcuni cenni di base, si analizzeranno la nascita e i fattori che ne hanno consentito lo sviluppo, per poi giungere alla presentazione dei dati percentuali sull'export dei settori cardini del Made in Italy, ovvero quelli che Fortis sintetizza come le “4A” (Abbigliamento moda, Agro-alimentare, Automazione-meccanica, Arredo-casa). Nel primo capitolo, quindi, verrà trattato il tema del Made in Italy, non solo come asset fondamentale dell’economia nazionale ma anche come espressione capace di evocare, in tutto il mondo, l'idea dei prodotti italiani. Successivamente, verrà sottolineata la differenza che sussiste tra le vere e proprie falsificazioni del Made in Italy (contraffazione) e le diverse modalità con cui prende forma il prodotto

Italian Sounding con una particolare analisi delle diverse soluzioni adottate e

quelle a cui si potrebbe ricorrere in futuro. Si andranno a definire i confini della disciplina nazionale, europea e internazionale, evidenziando quali sono i punti quantomeno oscuri e quali potrebbero essere le soluzioni a questo problema. Nel secondo capitolo si tratterà della diffusione del fenomeno nel mondo con un particolare riferimento agli Stati Uniti grazie al successo che il cibo italiano ha saputo riscuotere in quella zona geografica e grazie anche ad una legislazione molto permissiva relativa alla disciplina e tutela dei marchi. Verranno analizzate le politiche promozionali che vengono attuate nel territorio americano, per pubblicizzare i prodotti italiani e per educare il consumatore ad avvicinarsi alla cultura agroalimentare italiana. Verrà messo in evidenza l’accordo istaurato tra l’ICE e il colosso Walmart, che prevede la creazione di una linea di prodotti Made in Italy a marchio Walmart, destinati a una rete di oltre 3.600 negozi negli Stati Uniti e denominata “Sam’s Choice Italia” ed infine verrà rappresentato il fenomeno dell’Italian Sounding dal punto di vista della proprietà intellettuale e identificate, secondo questa prospettiva, le forme di tutela giuridica che gli operatori nazionali del settore agro-alimentare devono attivare negli USA, i margini di successo nell’intraprendere azioni legali, gli aspetti rilevanti dell’attuale dibattito internazionale sulle indicazioni geografiche con le relative ricadute sull’industria italiana del comparto. Il terzo capitolo è interamente dedicato a una nuova azienda, Eataly, la cui inaugurazione è avvenuta nel 2007 a

(6)

6

Torino. Tale impresa, che si occupa di distribuzione agroalimentare, presenta un Business Model innovativo, il quale è stato interamente progettato e immesso sul mercato grazie alla collaborazione tra l’imprenditore, Oscar Farinetti, e il movimento sociale, Slow Food. Verrà analizzata l’azienda come promotrice dei valori del cibo buono, pulito e giusto, istruendo i consumatori sull’importanza del mangiare sano. Nel medesimo capitolo verrà presentata, inoltre, la storia di Eataly dalla nascita ad oggi, la struttura societaria, lo stretto legame con Slow Food, i progetti nazionali e internazionali, passati e futuri. In fase conclusiva si presenteranno le tesi che sostengono che l’Italian Sounding sia una minaccia e le tesi che supportano la teoria che possa essere un’opportunità. Sarà spiegato il perché parlando del Made in Italy e dei fenomeni imitativi si è scelti di trattare un’azienda come Eataly e di come Farinetti attraverso il suo lavoro di imprenditoria è riuscito a sfruttare tale fenomeno come indicatore per i suoi investimenti esteri.

(7)

7

CAPITOLO 1

UNA NUOVA TECNICA DI CONTRAFFAZIONE:

L’ITALIAN SOUNDING

1.1 L ’immagine dell’Italia nel mondo attraverso il Made in Italy:

definizione e origine.

“Made in” è un'espressione inglese che equivale a quella italiana “fabbricato in” o “prodotto in”, apposta sulle etichette dei prodotti per indicarne la provenienza geografica. Tuttavia, quando si parla di Made in Italy non si fa riferimento solo ad un'etichetta di origine applicata su tutti i prodotti fatti in Italia per esplicarne la provenienza ma ad un insieme di valori che richiamano lo stile italiano: è sinonimo di qualcosa di unico, fatto a mano, di alta qualità, di grande stile, originale e curato nel minimo dettaglio. Per poter arrivare ad una definizione esaustiva del Made in Italy bisogna fare un passo indietro ed esaminare questo “brand” nel suo contesto storico. Il talento italiano ha origini antiche: la capacità di avvicinare e combinare stili, materiali e sapori diversi con armonia e senza mai cadere nell'eccesso e nella stravaganza ci hanno fatti diventare grandi nel mondo1. Probabilmente il Made in Italy è nato con la comparsa della prima forma di moda italiana. È noto però che, sin dagli inizi degli anni Quaranta del Novecento, le case di alta moda producevano i loro abiti copiandoli dai bozzetti “rubati” o acquistati a caro prezzo dai più celebri atelier parigini e dalle riviste femminili. Tuttavia, con la fine della Seconda guerra mondiale, è cominciato un processo di emancipazione progressiva dei sarti italiani di alta moda, sviluppatosi sempre più nel corso dei decenni successivi2. Negli anni Cinquanta si assiste allo sviluppo del settore dell'arredamento e del design. Gruppi di imprenditori e architetti italiani forti delle loro potenzialità danno vita a realtà industriali

1 E. CORBELLINI, S. SAVIOLO, “La scommessa del Made in Italy”, Etas editore, Milano, 2004, p. 3 2

(8)

8

importanti e a oggetti innovativi in grado di comunicare allo stesso tempo comfort e bellezza3. Negli anni Sessanta, invece, è lo sviluppo del settore alimentare che comincia a rubare la scena riuscendo ad uscire dagli schemi tipici della produzione locale e ad ottenere un visibilità tale da renderlo oggi il brand più ricercato e imitato al mondo. È un settore che ultimamente ha avuto un notevole rilancio grazie al recupero di prodotti e modelli culturali legati alla tradizione, come quelli che sono stati ripresi dall'associazione no profit Slow Food4, che si pone l'obiettivo di promuovere nel mondo il cibo buono, pulito e giusto5. Negli anni Novanta si giunge alla piena affermazione mondiale delle specializzazioni italiane: nel 1990 “Made in Italy” diventa marchio di garanzia, donando ad ogni produzione italiana un gran prestigio. Ci si trova di fronte ad un fenomeno degno di una crescente importanza, percepito come tale ed in particolare dall'opinione pubblica italiana e internazionale. Un rilievo particolare, ai sensi della nostra analisi, viene assunto dal sotto-periodo che va dal 1958 al 1963. In questo periodo, infatti, gli investimenti nell’industria manifatturiera salirono al 5,2% del PIL, nel 1953, fino a toccare il 6,3% nel 1963, contro un valore medio nel decennio precedente pari al 4,5%. Tra il 1950 ed il 1961 il prodotto interno lordo registrò un incremento annuo medio del 6,7%. La produzione industriale arrivò ad occupare il 47% del PIL, mentre la bilancia commerciale passò da un disavanzo di 343 milioni di dollari nel 1952, ad un avanzo di 745 milioni di dollari nel 1959.6 E’evidente, dunque, che tale periodo, costituisce una tappa fondamentale dello sviluppo del tessuto di imprese che, al giorno d’oggi, danno vita ai prodotti simbolo del “Made in Italy”. Risulta, dunque evidente che, per comprendere come è nato il “Made in Italy”, è necessario osservare ed analizzare come sono nate le imprese che lo portano alla luce. Occorre infatti premettere che il “Made in Italy” nasce in un contesto abbastanza particolare , costituito da imprese di medie e piccole dimensioni, che si son dovute adattare ai rapidi cambiamenti del mercato. Nonostante le

3

R. DE FUSCO, “Made in Italy, storia del design italiano”, Laterza, Roma-Bari, 2009

4

http://www.slowfood.it.

5 A. BUCCI, V. CODELUPPI, M. FERRARESI, “Il Made in Italy”, Carocci editore, Roma, 2011, p.14 6

(9)

9

premesse, tutt’altro che incoraggianti, a partire dal 1950 l’Italia intraprese una fase di crescita ed espansione che l’avrebbe portata, di lì a poco tempo, ad occupare un ruolo di primo piano nell’economia mondiale e a collocarsi tra i primi dieci paesi al mondo per livello di reddito pro-capite7. Gli studiosi di questo periodo hanno individuato una moltitudini di fattori e connessioni che consentono di dimostrare il verificarsi di tale fenomeno. Tra i diversi elementi che la letteratura ha messo in luce per spiegare la crescita economica di quegli anni, ve ne sono alcuni che meritano di essere ricordati poiché significativi ai fini della nostra analisi. Uno degli elementi che, secondo il parere di autorevoli interpreti, ha dato il maggiore contribuito alla crescita dell’economia italiana durante il periodo del “miracolo”, è costituito dalla presenza di una grande disponibilità di manodopera a basso costo, che è stata in grado di fornire, per lungo tempo, un vantaggio competitivo in termini di costi alle imprese italiane. Questo ha consentito alle loro merci di essere esportate a prezzi ridotti sul mercato internazionale, che proprio in quel periodo stava attraversando una fase di apertura ed integrazione8. Gli studiosi del cosiddetto “miracolo economico” sono concordi nel riconoscere che la crescita legata a quel periodo è da individuare in una particolare attenzione ai settori industriali e ad una più alta propensione ad investire capitale nell’intento di riprendere la via dell’industrializzazione aperta da Giolitti agli inizi del secolo. In epoche più recenti, tuttavia, altri studiosi hanno messo in luce altri aspetti del “miracolo economico” che, per lungo tempo, erano stati trattati superficialmente. In tale periodo, infatti, si assistette alla nascita di una miriade di piccole imprese, spesso a carattere familiare, costituite da artigiani od operai specializzati che sceglievano di mettersi in proprio e di allargare la loro attività.9 All’interno di tali imprese, ciò che cambia è solo l’organizzazione del processo: si passa da una produzione svolta all’interno delle botteghe ad una produzione all’interno di uno stabilimento ben organizzato e strutturato ampliando la produzione, ma lasciando

7

Castronovo V., L’Italia della piccola industria. Dal dopoguerra a oggi., Laterza, 2013

8

Castronovo V., Storia economica d’Italia. Dall’Ottocento ai giorni nostri., Einaudi, 2013

9 Becattini G., Il calabrone Italia. Ricerche e ragionamenti sulla peculiarità economica italiana. Il Mulino,

(10)

10

inalterata l’attenzione per la qualità dei prodotti e delle materie prime. E’ in questo contesto che si vengono a delineare i primi tratti peculiari dei prodotti “Made in Italy”: la produzione delle piccole e medie imprese italiane, si focalizza principalmente su prodotti che possono essere definiti “tradizionali”, quali i capi di abbigliamento, gli accessori per la persona, i mobili ed il comparto alimentare. Sono produzioni caratterizzate da basso contenuto tecnologico, ma, al contempo, dotate di straordinaria distinzione. I processi produttivi da cui derivano hanno origini secolari che richiedono particolari conoscenza tecniche, tanto che sono gli stessi artigiani a traferire tali conoscenze per una produzione su scala più grande e per dei risultati migliori.

Una volta effettuato tale excursus storico ci si può concentrare sulla definizione di Made in Italy.

Quando si prova a definire un concetto come il Made in Italy ci si rende conto che, pur essendo intuitivamente chiaro ciò di cui si sta parlando, è molto difficile darne una definizione rigorosa e univoca. Di conseguenza, a ogni definizione del Made in Italy, corrisponde una sua quantificazione che può essere anche molto diversificata. L’elemento comune a tutte le definizioni è, ovviamente, un’idea qualitativa del prodotto legata alla sua origine italiana, riferita al luogo di produzione e trasformazione rispetto alla materia prima, e alla sua“esportabilità”. Nell'immaginario internazionale, comprare un prodotto Made in Italy sta quindi a significare acquistare eleganza e stile unico nel loro genere, creati da mani esperte che magari da generazioni sono specializzate nella realizzazione di quel bene10. Letteralmente, un prodotto è Made in Italy se viene progettato, fabbricato e confezionato in Italia. Ma oggi, in un'epoca dominata dalla globalizzazione e dalla delocalizzazione produttiva, esistono diverse percentuali possibili di realizzazione di un prodotto in un Paese. Nella realtà dei fatti, è possibile inserire il marchio d'origine “Made in Italy” se il prodotto è stato interamente realizzato in Italia o se in Italia ha subito l'ultima trasformazione sostanziale. Secondo

10 A. MUZIO, A. A. PISANO, “L'impatto economico del private equity nel Made in Italy”, Liuc papers, n°

(11)

11

quanto detto dall'Avv. Antonio Bana, dobbiamo partire dalla distinzione tra due Made in Italy, quello previsto dalla legge 350/2003 che lo lega al criterio selettore del Codice doganale comunitario del 1992, e quello introdotto dal Dl 135/2009 (art. 6, comma 1) che tratta del cosiddetto “full Made in Italy”. La legge 350/2003 (legge finanziaria 2004, art. 4, comma 49) specificava che “costituisce falsa indicazione la stampigliatura Made in Italy su prodotti e merci

non originari dall'Italia ai sensi della normativa europea sull'origine”11. La norma rinviava, dunque, al Codice doganale comunitario CE 2913/1992 (articoli 23-24), secondo il quale “una merce alla cui produzione hanno contribuito due o

più paesi è originaria del paese in cui è avvenuta l'ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un'impresa attrezzata a tale scopo, che sia conclusa con la fabbricazione di un nuovo prodotto o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione”. Questo è stato poi sostituito dal nuovo Codice aggiornato

(regolamento CE 450/2008), che disciplina nell'art. 36 due principi: “le merci

interamente ottenute in un unico paese o territorio sono considerate originarie di tale paese o territorio. Le merci alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l'ultima trasformazione sostanziale”12. Un altro problema definitorio è rappresentato dal fatto che spesso i prodotti sono trasformati in Italia ma richiedono una notevole quantità di materie prime importate (come nel caso dell'olio d'oliva e della pasta). L'ampiezza e le caratteristiche del Made in Italy dipendono, quindi, dal limite posto ad elementi quali il livello di trasformazione e il grado di dipendenza dalla materia prima non locale. Da un ragionamento così strutturato deriva l’eccellente definizione di “Made in Italy” che è stata sviluppata da Marco Fortis, secondo il quale esso può essere definito come “l’insieme dei prodotti di un complesso di settori che, nell’immaginario collettivo

del mondo, sono strettamente associati all’immagine del nostro paese,

11

http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2013-11-20/cosa-e-made-italy-e-cosa-no-140026.shtml?uuid=ABS7YSe

12

(12)

12

consacrata e ribadita ossessivamente dai media”13. Marco Fortis, a tale

proposito, identifica quattro categorie merceologiche particolarmente

rappresentative del “Made in Italy”, identificate attraverso le cosiddette “quattro A”, ovvero l’Abbigliamento-Moda, l’Arredo-Casa, l’Automazione-Meccanica e il comparto Alimentare14. Infatti, sin dagli anni '70 i marchi della moda italiana sono i più richiesti nel panorama internazionale. Stesso discorso vale per la cucina, con tutte le specialità agro-alimentari annesse, e per i prodotti e marchi dell'arredamento italiano. Il quarto settore, quello dell'Automazione-meccanica, si è sviluppato anche grazie ai primi tre: per essere in grado di trasformare le materie prime in prodotti finiti si è reso necessario costruire i macchinari che lo permettessero. Ne sono un esempio le macchine per il dosaggio, il confezionamento e l'imballaggio utilizzate in diversi settori15. Altri autori rivedono nel Made in Italy i settori definiti “delle tre F”: food, fashion e forniture. Infatti, tessile-abbigliamento e accessori, arredamento e design, alimentari e bevande rientrano tra i settori cardine del Made in Italy manifatturiero16. I settori appena delineati costituiscono, come detto in precedenza, la colonna portante della struttura economica italiana ed il loro apporto si è dimostrato fondamentale sia in termini di occupazione generata che per il contributo al mantenimento in equilibrio della bilancia commerciale, che risente costantemente del peso delle importazioni di energia e materie prime industriali. Da tutto ciò si deduce l’importanza cruciale di perseguire politiche idonee al mantenimento e all’accrescimento delle posizioni di competitività all’interno di questi comparti. “Vivere italiano infatti è diventato sinonimo di vivere bene” in ogni aspetto della vita quotidiana, dal vestire, al mangiare fino al circondarsi di oggetti pensati e costruiti per migliorare la qualità della vita.17

13 Becattini G., Il calabrone Italia. Ricerche e ragionamenti sulla peculiarità economica italiana. Il Mulino,

2007

14

Fortis M., Le due sfide del Made in Italy: globalizzazione e innovazione. Profili di analisi della Seconda Conferenza Nazionale sul commercio con l’estero. Il Mulino, 2005

15

Muzio A., Pisano A. A., L'impatto economico del private equity nel Made in Italy, Liuc Papers n°270, gennaio 2014

16 Fortis M., Il Made in Italy, Il Mulino, Bologna, 1998 17

(13)

13

1.2 Il Made in Italy nel settore agroalimentare

Il modo più semplice per definire il Made in Italy agroalimentare è il diretto richiamo all’italianità del prodotto. Secondo tale definizione, il Made in Italy è composto da «tutti quei prodotti in grado di richiamare il concetto di italianità, indipendentemente dal fatto di essere o non essere prodotti di esportazione netta per il nostro Paese»18. A questa definizione possono essere collegati sia prodotti a saldo normalizzato positivo, sia prodotti che, pur avendo un saldo negativo o oscillante, evocano la tipicità italiana (come, ad esempio, alcune categorie di olio di oliva o di formaggi). A loro volta, questi prodotti possono essere distinti in funzione del grado di trasformazione:

– “tal quale” (prodotti freschi, come ad esempio la frutta e gli ortaggi);

– primi trasformati, cioè prodotti il cui grado di trasformazione è relativamente basso e spesso il processo di trasformazione avviene ancora in fase agricola (tra questi, ad esempio, rientra il vino);

– secondi trasformati, cioè prodotti ad un più spinto grado di trasformazione, che usano primi trasformati come input per un secondo processo di trasformazione (ad esempio la pasta, che utilizza la semola).19

In ambito internazionale l’Italia è considerata come uno dei paesi dotati del più ricco e variegato patrimonio agroalimentare, nel quale le produzioni tipiche nazionali (ossia quelle caratterizzate dai marchi di qualità) costituiscono l’orgoglio di un portafoglio prodotti altamente differenziato, la cui ricchezza e varietà rappresenta un punto di forza in un contesto di crescente apprezzamento verso i prodotti diversificati e con un forte contenuto di tipicità20. È noto come la tradizione produttiva nel campo agroalimentare, unita a quella della cucina

18

Istituto Nazionale di Economia Agraria (Inea), “Il commercio con l’estero dei prodotti agroalimentari”, anni vari

19

FEDERALIMENTARE, Cibo italiano, tra imitazione e contraffazione, Roma, 2003

20Carbone A. (2006) “Le esportazioni agroalimentari Made in Italy: posizionamento e competitività”, QA Rivista dell’Associazione Rossi-Doria

(14)

14

italiana e al profondo legame tra produzioni agricole, alimenti, cultura e ambiente, rappresentino un elemento identitario particolarmente forte e importante, specie in questo ambito produttivo ed economico. Proprio in questo profondo intreccio di natura multidimensionale, la qualità della produzione agroalimentare italiana ha costruito gran parte della sua reputazione, identificandosi come un vero e proprio pilastro economico. Le esportazioni di prodotti agroalimentari legati al Made in Italy, infatti, rappresentano una componente particolarmente importante dell’intera bilancia commerciale; basti pensare alle esportazioni di formaggi a Denominazione di Origine Protetta, a quelle di salumi Dop e Igp (Indicazione Geografica Protetta), come pure ai vini, all’olio di oliva, a una parte rilevante dei prodotti ortofrutticoli sia freschi che trasformati, ma anche ai dolci, alla pasta, al caffè, per limitarsi solo agli esempi principali21. L'export, in questo settore, risulta sempre più in crescita: il 2013 rappresenta il record storico per il settore agro-alimentare, trainato dal vino che ha permesso di raggiungere 33 miliardi di euro su 132 miliardi totali (+ 6% rispetto al 2012). La componente più significativa delle esportazioni agroalimentari dell’Italia è quella degli alimenti trasformati (circa 20 miliardi di euro), seguita a distanza dalle bevande (circa 7 miliardi di euro) e dal settore primario (circa 6 miliardi di euro). La maggior parte delle esportazioni interessa i paesi dell'Ue per un valore stimato di 22,5 miliardi (+5 %), ma il Made in Italy cresce anche negli Stati Uniti con 2,9 miliardi (+6 %), nei mercati asiatici (+8 %, 2,8 miliardi) e in quelli africani dove si è avuto un incremento del 12%, arrivando a quota 1,1 miliardi. Il miglior risultato è, però, quello che viene dall'Oceania, con un +13 %. Un prodotto largamente esportato si conferma il vino, con 5,1 miliardi (+8 %) davanti all'ortofrutta fresca (4,5 miliardi di euro) che cresce del 6 %, mentre l'olio fa segnare un +10 % che porta il valore complessivo a 1,3 miliardi. Aumenta pure la pasta che rappresenta una voce importante del Made in Italy sulle tavole straniere con 2,2 miliardi (+4 %). Il vino tricolore cresce in Francia (+11 %), Stati Uniti (+8 %), Australia (+21 %) e

21

Arfini F., Belletti G., Marescotti A., “Prodotti tipici e Denominazioni geografiche: strumenti di tutela e valorizzazione”, Quaderni Gruppo 2013., Gruppo 2013 Coldiretti, Edizioni Tellus, 2010

(15)

15

nel Cile (+66 %). Lo spumante tricolore si afferma in Cina (+101 %) Gran Bretagna (+50 %) e in Russia (+31 %), ma va forte anche la birra che conquista i paesi nordici, dalla Germania (+66 %), alla Svezia (+19 %), fino all'Olanda

(+9%)22. Da non dimenticare le performance internazionali nel comparto

caseario: dopo un 2012 chiuso con un record di export (300mila tonnellate per un valore di 2 miliardi), nel 2013 le esportazioni volano a + 7,5 %. Tra i prodotti non menzionati, ma meritevoli di essere ricordati per le loro ottime performance nell'export abbiamo anche i salumi, pomodori pelati e conserve, dolci, legumi, ecc. Il concetto di qualità nel Made in Italy agro-alimentare risulta essere, quindi, di difficile definizione, o meglio può avere diversi significati: non si limita alla bontà e genuinità, ma significa anche garanzia, salubrità e origine, diventando così un fattore centrale di competitività23 . In questo ambito i concetti generici si arricchiscono di contenuti e significati specifici finalizzati a dare maggiori garanzie ai consumatori, per questo tutelati da un'apposita legislazione nazionale e sovranazionale e da standard di applicazione volontaria. Diversi sono i fattori che concorrono a determinare la qualità di un prodotto Made in Italy e possono essere riassunti nel seguente modo:

- La sicurezza alimentare, con particolare riferimento all'igiene e alla salubrità, rappresentante un pre-requisito per qualsiasi tipologia di

prodotto alimentare e una base necessaria ma non sufficiente per poter competere nei mercati nazionali e internazionali24. La sicurezza in ambito alimentare negli ultimi anni è sentita dall’opinione pubblica e dai consumatori come esigenza sempre più crescente e che si concretizza in una maggiore richiesta di informazione e garanzie di prodotti sani e di “qualità”. Lo scenario attuale si è delineato con l’intervento dell’Unione Europea e con la pubblicazione del Libro Bianco sulla Sicurezza Alimentare, avvenuta nel 2000. L’intento della Commissione Europea era

22

IL SOLE 24ORE, “Record per l'export agro-alimentare nel 2013 grazie a vino, ortofrutta e olio”, 3 gennaio 2014

23

L.TOSI, “Qualità come punto di forza del Made in Italy”, 6° Censimento Generale dell'Agricoltura Istat, 2010, p. 1

24 Franco S. (a cura di), Il ruolo della ricerca per l'innovazione del settore agroalimentare. Considerazioni

(16)

16

quello di raggruppare una serie di misure atte a soddisfare l’esigenza di garantire un elevato livello di sicurezza nei prodotti alimentari. Ma in particolare l’obiettivo principale era quello di creare un nuovo quadro giuridico che coprisse l’intera catena alimentare (dalla fattoria e dal campo alla tavola), compreso il settore dei mangimi per l’alimentazione animale e che attribuisse in modo chiaro la responsabilità primaria di una produzione alimentare sicura alle industrie, ai produttori e ai fornitori. Per questo motivo oggi le imprese del settore agroalimentare sono soggette a pressioni sempre più crescenti, sia legislative, sia in seguito alle richieste di sicurezza e garanzia dei prodotti alimentari dei consumatori finali. Il sistema principale su cui si fonda è il metodo HACCP (Hazard Analysis and Critical Control Points) un insieme di procedure, volto a prevenire i pericoli di contaminazione alimentare, reso obbligatoria dal Decreto Legislativo 155/97, poi abrogato dal D.lgs. 193/2007 in attuazione del regolamento CE 852/2004. Esso si basa sul monitoraggio dei punti della lavorazione degli alimenti in cui si prospetta un pericolo di contaminazione sia di natura biologica che chimica o fisica. È sistematico ed ha basi scientifiche. La sua finalità è quella di individuare ed analizzare pericoli e mettere a punto sistemi adatti per il loro controllo. Obiettivo dell’ottenimento della certificazione è dimostrare l’adozione di misure di prevenzione rischi per la sicurezza alimentare. I rischi per l’igiene e la sicurezza di alimenti e bevande possono essere diversi e di diversa natura. Pertanto il sistema HACCP prevede, innanzitutto, un’attenta valutazione dei rischi (chimici, biologici, fisici) che possano eventualmente compromettere la salubrità degli alimenti.

- Le qualità organolettiche e nutrizionali di un prodotto: La qualità

organolettica, o meglio sensoriale, degli alimenti è data dall’insieme delle caratteristiche di aspetto, sapore, odore e consistenza di un prodotto, percepite attraverso gli organi di senso. Quando si consuma l’alimento, le

(17)

17

molecole chimiche responsabili delle sensazioni dell’aroma, del gusto, e tattili (nel loro insieme definite con il termine anglosassone di “flavour”) sono trasferite agli organi di senso che le percepiscono25. Allo stesso tempo la consistenza, con altri fattori come il colore e l’aspetto, può contribuire a influenzare il grado di soddisfazione del consumatore, e quindi la scelta o il consumo stesso del prodotto. La seconda è definita dal suo contenuto di principi nutritivi. Rappresenta, dunque, la capacità nutritiva dell’alimento stesso. La qualità nutrizionale di un alimento può essere intesa sotto:

- l’aspetto quantitativo, che è dato dalla quantità di energia chimica che

esso apporta;

- l’aspetto qualitativo, che è dato dalla combinazione degli elementi

nutritivi in esso contenuti.

La qualità nutrizionale degli alimenti va garantita a ogni livello del processo produttivo, a partire dalla scelta delle materie prime26. Tale caratteristiche si identificano i beni della dieta mediterranea e con produzioni tipiche del nostro Paese, figlie di un territorio dove geografia, clima, tradizione, cultura, innovazione e gusto si fondono per dare vita ad un prodotto unico. Per fornire un' adeguata informazione al cliente che, oggigiorno, presta molta attenzione ai contenuti salutistici degli alimenti, diventa centrale il ruolo svolto dalle informazioni presenti nell'etichetta. Il motivo è semplice: l'esplicitazione delle qualità nutrizionali risulta essere una componente fondamentale per accrescere il livello di qualità percepita, in quanto la sua assenza farebbe scaturire una situazione di forte asimmetria informativa, apportando incertezza nei consumatori e permettendo ai produttori di porre in essere comportamenti scorretti (moral hazard). Tutto questo si ripercuoterebbe negativamente sul

25

http://www.corriere.it/salute/nutrizione/frutta_verdura_trattamento_conservazione_4d9a858c-2b01-11dd-9793- 00144f02aabc.shtml

26

(18)

18

benessere sociale, danneggiando sia i consumatori che i produttori. I consumatori, infatti, potrebbero rischiare di acquistare un prodotto che non soddisfi i loro bisogni a livello qualitativo a causa della scarsa informazione comunicata attraverso il prodotto. Nel caso dei produttori, invece, si potrebbe verificare la situazione per cui ad essere avvantaggiati sarebbero coloro che non operano correttamente e/o producono beni di minore qualità con costi inferiori rispetto ai concorrenti, comportando una scomparsa, nel tempo, sia dei beni di alta qualità che dei produttori stessi, con un conseguente appiattimento verso il basso del livello qualitativo e la riduzione della varietà di prodotti disponibili sul mercato27.

- i fattori culturali quali tradizione, appartenenza locale, genuinità. Tali

fattori sono disciplinati dai Regolamenti Comunitari in materia di prodotti a Denominazione di Origine Protetta (DOP) , Indicazione Geografica

Protetta (IGP) e Specialità Tradizionale Garantita (STG)28. Queste

certificazioni di qualità hanno la funzione di “identificare un paese, una regione o una località quando siano adottate per designare un prodotto che ne è originario e le cui qualità, reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente all'ambiente geografico di origine, comprensivo dei fattori naturali, umani e di tradizione29”. Si intende per Denominazione di Origine Protetta “il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese, la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e la cui produzione,

27

Piciocchi N., La qualità degli alimenti, Rivista di agraria n.74, 1 febbraio 2009

28

Queste certificazioni di qualità nascono dalle normative comunitarie Regolamento CEE n. 2081/92 per DOP E IGP (abrogato dal Reg. CE 509/2006 relativo alle denominazioni di origine e indicazioni

geografiche dei prodotti agricoli e alimentari) e Regolamento CE 2082/92 per STG (abrogato dal Reg. CE n. 509/2006 relativo alle specialità tradizionali garantite dei prodotti agricoli e alimentari)

(19)

19

trasformazione e elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata”30 . Le DOP, in relazione alla produzione di vini si classificano in DOCG e DOC31: tali indicazioni sono utilizzate dall'Italia per designare i prodotti vitivinicoli DOP, come regolamentati dalla Comunità Europea . Per i vini, le IGP comprendono anche le IGT: quest'ultima indicazione viene utilizzata dall'Italia per designare i vini IGP, come regolamentato dalla Comunità Europea32.

- La gestione della qualità del sistema e del processo con cui il prodotto viene preparato: può essere certificata attraverso le norme ISO 9000,

internazionalmente riconosciute e ampiamente diffuse, rappresentanti la base di una moderna gestione aziendale orientata al processo e al cliente. Le richiamate norme sono direttive tecniche internazionali che descrivono i requisiti dei Sistemi di Gestione per la Qualità (SGQ) che le imprese dovrebbero possedere. Sono state emanate nel 1987 ed hanno subito delle variazioni nel corso degli anni. Dopo ogni revisione effettuata dall’Organizzazione Internazionale di Standardizzazione (ISO), le stesse sono state recepite dagli Organismi di Normazione Europea (CEN) e successivamente dagli Enti normatori nazionali (l’UNI per l’Italia). Le UNI EN ISO serie 9000 sono un insieme di politiche, di regole e di attività necessarie per assicurare la qualità dei prodotti e dei servizi di un’impresa: esse forniscono un modello di riferimento per la progettazione, la realizzazione e l’attuazione dei Sistemi di Gestione per la Qualità aziendale. Ottenere e mantenere la certificazione richiede l'impegno di tutti i livelli aziendali. La prima fase dell’iter è la scelta dell’Ente di Certificazione accreditato. Tale Ente analizza la documentazione predisposta dell’azienda e verifica, tramite audit (ovvero “verifica ispettiva”), che il SGQ sia conforme alle norme e realmente ed efficacemente applicato. Dopo aver comprovato la conformità, viene

30 Pelluzzo M., La contraffazione alimentare. Disciplina, reati e sanzioni amministrative, 2013 31

Decreto legislativo 8 aprile 2010, n.61, recante “Tutela delle denominazioni di origine e delle

indicazioni geografiche dei vini, in attuazione dell'art.15 della legge 7 luglio 2009, n.88, in G.U. N°96 del 26 aprile 2010

32

(20)

20

rilasciata la certificazione relativa alle norme di riferimento. Il SGQ viene successivamente monitorato attraverso visite di sorveglianza mirate a confermare la certificazione33. Le norme ISO sono state periodicamente riviste: una prima riedizione si ebbe nel 1994, che non apportò modifiche sostanziali rispetto, invece, a quella del 2000. L'ultima edizione, quella attualmente vigente, ha apportato una revisione delle norme in momenti successivi. ISO 9000, intitolata “Sistemi di gestione per la qualità - Fondamenti e vocabolario”, vede la sua ultima revisione nel 2005 (ISO 9000:2005), recepita nello stesso anno dall'UNI (UNI EN ISO 9000:2005). La norma descrive il vocabolario ed i principi essenziali dei sistemi di gestione per la qualità e della loro organizzazione; la norma UNI EN ISO 9001 intitolata “Sistemi di gestione per la qualità – Requisiti”, presenta la sua ultima revisione nel 2008 (ISO 9001:2008) e viene recepita nello stesso anno dall'UNI (UNI EN ISO 9001:2008). Essa contiene i requisiti da applicare nella progettazione ed implementazione del SGQ ed è l’unica che, alla sua applicazione, permette di ottenere la certificazione. I requisiti espressi sono di carattere generale e possono per tale motivo essere implementati da ogni tipologia di organizzazione; infine abbiamo la norma UNI EN ISO 9004 intitolata “Gestire un'organizzazione per il successo durevole - l'approccio della gestione per la qualità”, che presenta la sua ultima revisione nel 2009 (ISO 9004:2009) e viene recepita nello stesso anno dall'UNI (UNI EN ISO 9004:2009). Essa fornisce delle linee guida complementari ai requisiti della norma ISO 9001 per migliorare l’efficacia e l’efficienza di un SGQ e per migliorare le prestazioni di una organizzazione. Non includendo requisiti, la certificazione di qualità, ai sensi della norma ISO 9000, non è conseguibile. In conclusione, l’unica norma della famiglia ISO 9000 per cui una azienda può essere certificata è la ISO 9001 mentre le altre sono solo guide utili, ma facoltative, per favorire la corretta applicazione ed interpretazione dei principi del sistema qualità.

33

(21)

21

- La tracciabilità della filiera produttiva: a fronte delle crescenti esigenze

di sicurezza alimentare, in particolare a seguito della BSE (Bovine Spongiform Encephalopathy) nota come crisi della “mucca pazza” degli anni ’90, l’Unione Europea si è imbarcata in una riforma totale delle sue politiche e regolamenti in relazione alla sicurezza alimentare. La tracciabilità degli alimenti rappresenta il fondamento di quella riforma. Stiamo parlando del regolamento CE n° 178 del 2002, che istituisce l'European Food Safety Authority (Efsa). La definizione di tracciabilità, presente anche in norme nazionali o internazionali (UNI 10939, UNI 11020, ISO 9000, ISO 9001), è riportata nel regolamento come segue: “ la

possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento, di un mangime, di un animale destinato alla produzione alimentare o di una sostanza destinata o atta ad entrare a far parte di un alimento o di un mangime attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione”34. Il regolamento richiede che ogni settore alimentare in Europa sia dotato di una tracciabilità e un sistema di ritiro. In caso di incidente alimentare, la tracciabilità permette l’identificazione e la successiva revoca o il ritiro di alimenti non sicuri dal mercato. Se l’alimento non ha raggiunto il consumatore si intraprende la revoca dal commercio. Se l’alimento ha raggiunto il consumatore si intraprende il ritiro del prodotto che comprende l’informazione al consumatore attraverso avvisi nei negozi e comunicati stampa. La tracciabilità e il ritiro dei prodotti sono importanti perché permettono alle aziende alimentari di rispondere velocemente agli incidenti di sicurezza/qualità alimentare, assicurando così che l’esposizione del consumatore al prodotto coinvolto venga impedita o minimizzata. Un buon sistema di tracciabilità assicura che le revoche o i ritiri siano limitati ai prodotti coinvolti, minimizzando così i danni al commercio e alle finanze delle aziende. Tutti i settori alimentari e mangimistici devono quindi essere in grado di identificare da

34

(22)

22

dove provengono le proprie materie prime (ad es. ingredienti e confezione) e dove i propri prodotti sono destinati e sono andati, cioè devono essere in grado di identificare un gradino prima e uno dopo nella catena. alimentare. Inoltre, vi sono anche requisiti legali per tenere registri, applicare le informazioni sulla tracciabilità al prodotto e ai documenti e fornire queste informazioni all’autorità competente su richiesta. Non vi sono requisiti legali per incrementare la tracciabilità interna che segue gli ingredienti degli alimenti e i prodotti quando si muovono lungo il processo di produzione35. Tuttavia, in molti casi l’industria alimentare ha incrementato la tracciabilità interna per assicurare complessivamente l’integrità dei propri sistemi di tracciabilità. Il tipo di sistema di tracciabilità alimentare incrementato può variare da azienda ad azienda; tuttavia, lo scopo complessivo è di incorporare sia i requisiti legali che volontari. Questi sistemi possono essere semplici come la registrazione dei codici di lotto degli ingredienti ad ogni stadio di produzione o sofisticati come il codice a barre computerizzato per seguire e controllare il movimento degli ingredienti e delle merci finite. Molte compagnie nell’industria alimentare hanno sviluppato tali sistemi e usano le buone norme o gli standard volontari come l’ISO 22005:2007 per portare a termine o incrementare i requisiti minimi per la tracciabilità e il ritiro36.

1.3 Made in Italy tra contraffazione e Italian Sounding

Il valore economico del legame con l’Italia di questi prodotti genera delle forti spinte verso la nascita e lo sviluppo di fenomeni di imitazione che cercano di

35

A CURA DI EUFIC (EUROPEAN FOOD INFORMATION COUNCIL), “Tracciabilità degli alimenti: fondamento delle politiche europee sulla sicurezza alimentare”, Febbraio 2014,

http://www.eufic.org/article/it/artid/Tracciabilita_degli_alimenti_fondamento_delle_politiche_europee _sulla_sicurez za_alimentare/

36 Sacchetti G., Norme UNI EN ISO 9000 (Elementi introduttivi),

(23)

23

trarre vantaggio in modo improprio da un’identità e da una reputazione che non solo non hanno contribuito a generare e che quindi “sfruttano” in modo indebito, ma che il più delle volte intaccano negativamente. Questo, in sintesi, spiega la ragione del proliferare di diverse tipologie di imitazioni che, in modo diverso,

generano impatti negativi sull’economia nazionale e in particolare

sull’agroalimentare, ma senza trascurare le implicazioni anche sull’ambiente, sulla finanza pubblica, sul lavoro, sulla crescita economica, sulla legalità e sulla criminalità.

Rispetto al tema delle imitazioni dei prodotti italiani (e non solo agroalimentari), si fa spesso riferimento a una terminologia diversa, talvolta non ben definita e potenzialmente ambigua. Per tale ragione si ritiene utile proporre una distinzione tra i falsi veri e propri (o contraffazioni) e il cosiddetto Italian Sounding . Per contraffazione si intende un particolare tipo di frode alimentare in commercio che riguarda prevalentemente illeciti relativi alla violazione di marchi, design, indicazioni di provenienza e brevetti, tesa a copiare l'aspetto dei prodotti originali. Tale scambio di identità può avvenire durante la fabbricazione o la commercializzazione per conseguire profitti supplementari o per creare un mercato di sbocco a prodotti altrimenti incapaci di catturare il gradimento dei consumatori. L’Italian Sounding , invece, consiste nell’utilizzo di etichette, colori, figure sull’imballaggio o altri simboli che evocano l’italianità del luogo di origine della materia prima, della ricetta, del marchio o del processo di trasformazione di prodotti fabbricati all’estero e che di italiano hanno solo la parvenza, con il chiaro intento di indurre in errore il consumatore convincendolo che sta acquistando un prodotto italiano37. L’origine del fenomeno Italian

Sounding affonda le radici nelle attività degli immigrati di inizio secolo che nei

nuovi paesi si diedero subito da fare, cucinando e producendo prodotti alimentari simili a quelli realizzati in Italia. Anche se, in assenza della materia prima, cominciarono presto ad adattare le ricette creando in alcuni casi prodotti che avevano sempre meno a che fare con quelli originali. Successivamente i

37

(24)

24

discendenti degli italiani espatriati hanno industrializzato la produzione ed usato come marchio il cognome della famiglia o i nomi di alcune città italiane. Questo ha finito per influenzare i consumatori locali lasciando credere che si trattasse di prodotti tradizionali italiani. Ma c’è anche un motivo economico che induce alcune fasce di consumatori esteri (di livello più basso) a preferire i prodotti Italian Sounding , ovvero le differenze di prezzo tra il prodotto imitato e quello autentico, che si attestano su una media del -30% rispetto all’originale ma che in alcuni stati raggiungono punte del -80%. Oltre alla concorrenza del fenomeno Italian Sounding ci sono anche altri fattori che contribuiscono a frenare il Made in Italy nel mondo. In primis la presenza di barriere doganali e tariffarie in tanti mercati di sbocco, che rappresentano un ostacolo difficile da superare. Determinante anche la ridotta dimensione di molte imprese del settore agroalimentare, molto spesso aziende familiari poco strutturate, che non possono permettersi investimenti per raggiungere mercati esteri. Ed infine, uno degli elementi più importanti per l’esportazione, la mancanza di piattaforme distributive italiane all’estero che hanno invece fatto la fortuna dei prodotti francesi.

1.3.1 Le differenti tipologie di imitazione

È necessario effettuare una precisazione: per prodotti Italian Sounding si intendono anche quelli effettivamente “Made in Italy”, che chiaramente presentano in etichetta dei richiami all’ italianità, non fosse altro per il nome del prodotto o dell’azienda produttrice. Possiamo quindi dividere i prodotti Italian

Sounding in due categorie: da un lato quelli che realmente sono fatti in Italia

ovvero i Made in Italy o che comunque seguono i disciplinari di produzione (nel caso di DOP, IGP, STG), e dall’altro le imitazioni (prodotti fake).

(25)

25

Forme di imitazione Casi di illegalità Casi di non illegalità

Marchio Ovunque registrato Se non registrato

Design, modello, ricetta registrata

Ovunque registrato Se non registrato

Made in Italy In Italia Difficile da perseguire

Denominazioni di origine (DOP-IGP)

Nell’UE e ovunque vi siano accordi bilaterali sul tema

In molti paesi importanti: ad esempio USA e

Canada

1.3.1 Fonte canali Nel caso della contraffazione, o “falso”, così come si può vedere dalla tabella in alto, si hanno vere e proprie imitazioni illegali di marchi, design, modelli o ricette, effettivamente registrati da un’impresa; si possono avere veri e propri falsi anche quando vi siano imitazioni di prodotti Dop o Igp, che in quanto tali devono rispettare disciplinari e regole ben definite a livello comunitario. Un’altra forma di contraffazione che è possibile riscontrare nel campo dell’agroalimentare si ha quando un prodotto è considerato originario dell’Italia o di una sua regione, pur essendo stato ottenuto o prodotto in altri Paesi. Esempi di questo tipo si possono avere, nel caso di ortofrutticoli freschi per i quali c’è l’obbligo di indicazione del Paese di origine. Non di rado si fa confusione tra questi casi di vera e propria contraffazione e casi diversi che rientrano nel cosiddetto Italian

Sounding . Identificare le diverse tipologie e modalità di falsificazione o di

imitazione dei prodotti agroalimentari italiani rappresenta il primo passo utile per una successiva valutazione sia dell’ impatto del fenomeno sul sistema economico e agroalimentare nazionale, sia per la messa a punto delle strategie di contrasto da parte del nostro Paese e delle sue imprese. È infatti necessario sottolineare che, mentre le vere e proprie contraffazioni possono essere perseguite con appositi strumenti giuridici, nel caso dell’Italian Sounding questa possibilità è spesso proibita. Inoltre, riguardo ai falsi e alle contraffazioni, per l’Italia diviene essenziale estendere la tutela delle Dop e delle Igp al di fuori del contesto europeo e degli accordi bilaterali con i quali l’Ue ha sottoscritto norme

(26)

26

sul riconoscimento delle denominazioni di origine (ad esempio, con la Cina e con la Svizzera). Infatti, negli Stati Uniti e in Canada, non è possibile perseguire legalmente gli abusi relativi all’impiego di nomi che identificano Dop e Igp europee (quindi anche italiane) perché questi Paesi non riconoscono il valore internazionale di tali marchi. Spostando la nostra attenzione sui prodotti Italian

Sounding , è possibile fare una classificazione in base alle modalità nelle quali

l’imitazione si può presentare38

.

Forme di imitazione Casi di illeglità Casi di non illegalità

Ricette italiane non

registrate

- Ovunque

Colori e immagini

evocativi dell’Italia

- Ovunque

Parole in italiano quali:

cognomi, marchi

registrati fuori dall’Italia, nomi di imprese, nomi di prodotti

- Ovunque tranne i casi nei

quali i riferimenti

possono trarre in inganno i consumatori

Bandiera italiana e/o

nomi geografici italiani (anche se tradotti)

- Ovunque tranne i casi nei

quali i riferimenti

possono trarre in inganno i consumator

Riferimento allo stile

italiano

- -

1.3.1 Fonte Canali Una prima classificazione è legata all’ “imitazione di indicazioni geografiche italiane”, ossia i prodotti in cui il richiamo all’Italia è chiaro ed esplicito e che mirano ad evocare nel consumatore gli elementi della tradizione gastronomica

38NOMISMA ,“Prodotti tipici e sviluppo locale. Il ruolo delle produzioni di qualità nel futuro

(27)

27

italiana attraverso l’utilizzo di richiami a produzioni tipiche e ad aree geografiche del nostro Paese. In pratica, i prodotti che rientrano in questo modello di imitazione, associando il proprio nome a luoghi, sedi di produzioni e di qualità, si appropriano della notorietà e del successo internazionale delle produzioni alimentari italiane come mezzo di affermazione sul mercato. All’interno di questo modello di imitazione delle indicazioni geografiche il riferimento esplicito alle denominazioni tutelate italiane è stato considerato il grado di imitazione più forte, proprio perché richiama produzioni che, almeno in ambito comunitario,

sono protette dal Regolamento (UE) 1151/201239, che ne impedisce l’utilizzo se

non sono rispettati i relativi disciplinari di produzione.

Una seconda classificazione fa riferimento ai prodotti e nomi italiani, all’interno della quale sono presenti prodotti che sono associati al nostro Paese attraverso citazioni di merceologie italiane o, semplicemente, attraverso parole o nomi italiani. La suddetta classificazione presenta forme di imitazione meno immediate ed esplicite rispetto a quella delle indicazioni geografiche, ma pur

sempre dannose per l’immagine del Made in Italy40

. A questo punto è possibile citare come esempio l'utilizzo di una ricetta italiana non registrata: quando sull'etichetta di un prodotto, ad esempio, si scrive “Bolognese sauce” o “Italian dressing” dovrebbe essere implicito che il riferimento è alla sola ricetta e non alla tradizione culinaria che vuole evocare, per cui i consumatori non dovrebbero essere indotti a pensare che si tratti di un prodotto italiano. Molto spesso, infatti, queste ricette che rimandano al nostro Paese non corrispondono a elementi realmente italiani (come dimostrato dagli esempi sopra citati). In ogni caso, l'uso di una ricetta di origine italiana non può essere vietato se non risulta registrata in quel Paese41. Ancora, è possibile far riferimento all’utilizzo di segni grafici e/o fotografici che evocano espressamente il nostro Paese: i colori della nostra

39

REGOLAMENTO (UE) N. 1151/2012 DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 21 novembre 2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari

40VIII Rapporto Nomisma”, Coldiretti (1999)

41 De Filippis F., L'agro-alimentare italiano nel commercio mondiale. Specializzazione, competitività e

(28)

28

bandiera, il disegno dell'Italia o di una sua regione, immagini di monumenti italiani. Inoltre, vengono spesso utilizzati nomi generici di prodotti italiani ( vedi mozzarella, spaghetti, parmigiano, pizza, ecc.) che non hanno nessun legame produttivo con la nostra terra. In questi casi risulta oggettivamente difficile ipotizzare delle azioni legali poiché molto spesso i nomi dei cibi italiani sono diventati universalmente conosciuti e, nonostante richiamino il nostro Paese, i consumatori dovrebbero essere consapevoli che il loro acquisto non implichi l'origine italiana. Vi sono dei casi in cui, in alcuni Paesi extra-Ue, i consumatori non fanno caso ad alcun collegamento con l'origine italiana ed altri in cui, invece. il ricorso a questi nomi è palesemente ingannatore poiché il produttore usa volontariamente una serie di elementi per suscitare nei consumatori l'impressione di un legame con le produzioni italiane. Tale variabilità rende complessa e scoraggiante ogni possibile azione legale nei confronti del fenomeno42. Spesso

capita che le diverse modalità di imitazione vengano utilizzate

contemporaneamente sullo stesso prodotto e sulla stessa etichetta: pensiamo alla combinazione tra l'utilizzo di una ricetta italiana e altri simboli quali la bandiera italiana, una foto dell'Italia o la presenza di una località geografica (Roma, Tuscany, ecc.). In questo caso è molto chiara la volontà di ingannare il consumatore e di agire scorrettamente a livello concorrenziale nei confronti degli altri produttori italiani. Tra i prodotti alimentari più imitati, al primo posto, c’è il formaggio. Tra tutti primeggia il Parmigiano Reggiano (esempi di Italian

Sounding : Parmesan, Reggianito, Pamesello etc). Solo negli Stati Uniti le

imitazioni dei nostri formaggi certificati fruttano ben 2 miliardi di dollari. Interessante anche il caso del Pecorino romano, diretto negli USA per un quota pari a circa tre quarti del totale esportato. Le esportazioni verso questo mercato, pari nel 2008 a 81 milioni di euro, sono diminuite del 15% rispetto al 2000. Il continuo calo delle esportazioni di questo prodotto è determinato, tra le altre cose, dalla massiccia presenza di prodotti di origine sudamericana o estera con

42 De Filippis F., L'agro-alimentare italiano nel commercio mondiale. Specializzazione, competitività e

(29)

29

nomi simili ad un prezzo inferiore43. Infatti, se la preoccupazione dei produttori del vero Made in Italy è molto forte rispetto a questo tema, va anche sottolineato, ancora una volta, che i produttori degli “originali” non sono i soli soggetti danneggiati da queste pratiche commerciali sleali: i consumatori dei mercati sui quali questi prodotti di imitazione vengono venduti sono ugualmente danneggiati a causa della mancata corrispondenza tra le caratteristiche qualitative attese dal prodotto e quelle che effettivamente in esso si trovano al momento del consumo. Il tema delle imitazioni del Made in Italy va trattato in parallelo anche con altri fenomeni che a causa del loro intrecciarsi causano conseguenze potenzialmente negative. Ci si riferisce alle adulterazioni dei prodotti agroalimentari, ai problemi connessi con la sicurezza sanitaria degli alimenti, alle vere e proprie frodi commerciali. Quando questi problemi si collegano con quelli dell’imitazione del Made in Italy (contraffazione o Italian Sounding ), le ricadute negative per l’immagine dei prodotti italiani sono fortemente amplificate, sia che si verifichi sul mercato nazionale che su quello europeo o globale. D’altro canto è anche corretto ricordare che problemi di frodi commerciali, adulterazioni o sicurezza sanitaria degli alimenti, talvolta si verificano anche per i prodotti del “vero” Made in Italy. In questi casi, il danno di immagine non è minore, anzi. Per queste ragioni le attività di controllo, che già sono importanti, non possono per nessuna ragione essere ridotte o rese meno efficaci. Se anche i prodotti che dovrebbero avere caratteri qualitativi di eccellenza non rispettano norme cogenti o impegni liberamente assunti nel momento in cui un produttore decide di sottoporsi al rispetto di un disciplinare, allora l’immagine e il valore della reputazione del Made in Italy ne può risultare profondamente compromessa.

L’Italian Sounding colpisce, dunque, i prodotti più rappresentativi dell’identità alimentare nazionale; il comune denominatore degli esempi di imitazione e contraffazione di prodotti agroalimentari italiani è l’opportunità, per un’azienda all’estero, di ottenere sul proprio mercato di riferimento un vantaggio

43

A CURA DEL SENATO DELLA REPUBBLICA, COMMISSIONE AGRICOLTURA E PRODUZIONE agro- alimentare, “Audizione nell'ambito dell'indagine conoscitiva sul fenomeno delle frodi nel settore agro-alimentare”, Roma, 4 marzo 2014, p. 5

(30)

30

competitivo associando, indebitamente, ai propri prodotti l’immagine del Made in Italy apprezzata dai consumatori stranieri, senza alcun legame con il sistema produttivo italiano e facendo concorrenza sleale nei confronti dei produttori nazionali impegnati a garantire standard elevati di qualità.

1.3.2 I danni derivanti dalle imitazioni

È utile ricordare che secondo gli ultimi dati presentati dal Censis44, il mercato nazionale della contraffazione ha una dimensione stimata di 6,9 miliardi di euro, considerando i beni di tutti i settori. Con riferimento al mercato del nostro Paese, rispetto al fenomeno delle contraffazioni, altre fonti indicano valori non dissimili: secondo Sos Impresa-Confesercenti, il valore complessivo (non solo agroalimentare) di questo mercato sarebbe pari a 6,5 miliardi, mentre la Dia ha stimato un valore compreso tra 3,5 e 6 miliardi di euro e Confindustria un valore di 7 miliardi di euro. A livello internazionale, l’OCSE ha stimato che l’8% del commercio mondiale riguarderebbe prodotti contraffatti, per un valore di circa 250 miliardi di euro; stime della Banca Mondiale portano il volume d’affari complessivo a 350 miliardi di euro. Ovviamente la diffusione di prodotti contraffatti o di imitazione crea anche un danno all’immagine dei prodotti autentici italiani, infatti la scarsa qualità delle imitazioni può far si che i consumatori siano più restii all’acquisto del prodotto autentico e di conseguenza può comportare una minore disponibilità a pagare per il prodotto non contraffatto, generando quindi un effetto depressivo sul suo prezzo. In tali condizioni questo può avere effetti significativi anche in termini di impatto generale sui prezzi per le materie prime agricole utilizzate nella produzione dell’alimento. Se si passa invece ai dati relativi all’Italian Sounding , le stime portano a valori complessivi diversi, anche se le difficoltà e le incertezze di

44

Centro Studi Investimenti Sociali (Censis),“L’impatto della contraffazione sul sistema-Paese:

dimensioni, caratteristiche e approfondimenti”. Sintesi per la stampa, Ministero dello sviluppo

(31)

31

valutazione sono notevoli. Al Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione la Coldiretti45

ha fatto il punto sul fenomeno, affermando che la falsificazione dei prodotti alimentari Made in Italy ha superato i 60 miliardi di euro di fatturato l’anno, cifra decisamente elevata, specie se comparata con il valore delle esportazioni agroalimentari dell’Italia, pari a circa la metà di questa cifra (33,4 miliardi nel 2013). In termini di valore aggiunto, e quindi di remunerazione dei fattori produttivi impiegati nei settori interessati, la perdita dovuta alle contraffazioni è stata complessivamente stimata in 5,5 miliardi di euro (lo 0,35% del Pil italiano). In termini di occupazione, invece, il danno all’economia legale è stato stimato pari a ben 110.000 unità di lavoro a tempo pieno perse (o meglio, non attivate), sempre con riferimento al totale dei beni. Inoltre, in termini di mancate riscossioni di imposte dirette e indirette, il danno ammonterebbe a 1,7 miliardi di euro se si considerano i soli prodotti finali ottenuti; se si tiene conto anche della produzione di beni e servizi indotta dalla produzione legale sostituita, il danno aumenterebbe fino a 4,6 miliardi di euro46. Nonostante questa rappresenti la valutazione più esaustiva e completa disponibile, essa non è evidentemente ancora in grado di fornire un quadro perfetto. Anzitutto perché l’analisi si limita, proprio per la scelta stessa dell’oggetto, ai fatti penalmente perseguibili cioè alle vere e proprie contraffazioni non riuscendo ad includere anche i danni derivati dalla eventuale sostituzione, parziale o totale, delle altre imitazioni (Italian Sounding ) con i prodotti italiani. Ma i dati riportati non sono esaustivi anche per altre ragioni. Ad esempio non si considera, e sarebbe veramente difficile farlo anche con altre metodologie, il danno derivante dalla selezione distorta che il fenomeno induce, tra le diverse aziende: il fenomeno del falso e delle imitazioni favorisce le imprese illegali o che producono mere imitazioni rispetto a quelle che producono i prodotti autentici. In senso dinamico questo danno potrebbe anche essere

45Coldiretti - Eurispes, “Agromafie – Primo rapporto sui crimini agroalimentari in Italia”, 2011

46

Centro Studi Investimenti Sociali (Censis),“L’impatto della contraffazione sul sistema-Paese:

dimensioni, caratteristiche e approfondimenti”. Sintesi per la stampa, Ministero dello sviluppo

(32)

32

decisivo per taluni comparti, distretti produttivi, o territori, quando si consideri che si sta parlando di prodotti agroalimentari, e quindi anche di possibili contraffazioni di Dop e Igp. Restano poi da valutare anche il danno che le contraffazioni e le imitazioni generano sui consumatori. Nella misura in cui essi sono tratti in inganno, subiscono una perdita di benessere che, per quanto di difficile quantificazione non è, né può essere giudicata trascurabile. Questo comporta un esborso monetario eccessivo, corrispondente alla qualità attesa ma non a quella effettivamente acquistata, e una minore soddisfazione nel momento del consumo, data la mancata corrispondenza in termini di qualità. Tra i danni che il fenomeno della contraffazione può generare, non va dimenticato il fenomeno che recentemente è stato identificato con il termine di “Agromafie”, ossia la presenza e l’interesse delle associazioni criminali verso le attività economiche dell’agroalimentare. Da notare anche che le possibilità commerciali per i prodotti falsi o di imitazione si sono sviluppate grazie alla diffusione di forme di vendita su internet su base nazionale e internazionale. Se da un lato, infatti, la rete è uno strumento utile per la vendita sui mercati esteri di prodotti agroalimentari di qualità per molte piccole imprese, dall’altro essa ha permesso e talvolta favorito lo sviluppo sia del fenomeno della contraffazione che di quello dell’imitazione. In sintesi, i danni generati da falso e imitazioni del Made in Italy, anche agroalimentare, riguardano in primo luogo i consumatori e i produttori dei prodotti originali, ma pure tutto l’indotto e le intere filiere produttive, a partire dal fattore lavoro per giungere fino alle ricadute sulle casse dello Stato47. Sulla base di questi dati diventa necessario limitare i prodotti “Italian Sounding fake” presenti sul mercato, ricordando che, al giorno d’oggi, per i produttori, risulta estremamente difficile proteggersi dalla copiatura, poiché una normativa che regoli tale attività è ancora difficile da concepire. Per questo motivo è compito delle istituzioni italiane muoversi affinché i consumatori stranieri possano apprezzare il vero cibo italiano a discapito di quello imitativo, anche perché i

47Canali G., “Falso Made in Italy e Italiansoupnding: le implicazioni per il commercio

agroalimentare” in “L’agroalimentare italiano nel commercio mondiale. Specializzazione, competitività e dinamiche”, Edizioni Tellus, 2012

Riferimenti

Documenti correlati

Descrivere il concetto di “trasferimento del rischio al privato” .nei contratti di PPP ; elencare le3 tipologie di rischio, dicendo il numero minimo di esse che devono

Il Ministero della Salute ha precisato con due note (n. 22996 del 3-12-2013) che tutti gli api- coltori devono eseguire nel corso dell’anno almeno due trat- tamenti acaricidi contro

Eventuali variazioni al Programma di informazione e promozione dei prodotti di qualità devono essere comunicate e preventivamente sottoposte all’approvazione della struttura

-Confronto varietale e prove agronomiche su mais su 13.19 ha; -Confronto varietale e prove agronomiche su soia su 3.61ha;. -Confronto varietale di ibridi di mais su 20.58 ha;

POR Puglia 2000-2006, Asse IV, Misura 4.13, Sottomisura 4.13 c "Promozione delle produzioni e ricerca di nuovi sbocchi di mercato".. Informazioni

Natura dell'innovazione Innovazione di processo / prodotto Caratteristiche dell'innovazione Per la programmazione delle politiche Forma di presentazione del prodotto Rapporti e

Le tecnologie di ottimizzazione di processi e di prodotti per migliorare la qualità e la sicurezza degli alimenti: Sviluppo di prodotti lattiero caseari con

Ottimizzare le materie prime per la produzione di pane e prodotti da forno, attraverso l'utilizzo di nuove varietà di grano duro di alta qualità panificatoria, la messa a punto