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Le azioni di difesa: studio ICE e Camera di Commercio di Parma

CAPITOLO 2 L’ITALIAN SOUNDING IN AMBITO INTERNAZIONALE:

2.5 Le azioni di difesa: studio ICE e Camera di Commercio di Parma

A livello internazionale, gli strumenti non sembrano sufficientemente adeguati a realizzare l’obiettivo citato. Lo squilibrio esistente tra la protezione accordata alle indicazioni geografiche generalmente considerate, il cui uso è vietato, ex art 22 dell’Accordo TRIPs, solamente quando il pubblico possa essere ingannato sulla reale origine del prodotto stesso, e quella per le indicazioni geografiche di vini e , non utilizzabili, ex art. 23 del TRIPs, per un prodotto non proveniente dal luogo

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Wrobel A. e Lubasz D. (2015). PDO's and PGI's Scope of Protection - The Polish Case of Wine Yeast (145th Eaae Seminar, Parma 14-15 April, 2015

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Thévenod-Mottet E. (2015), Open issues for GIs in light of the Ttip and general Discussion (145th Eaae Seminar, Parma 14-15 April, 2015)

101 ERP DESK rapporto sulla contraffazione negli stati uniti : approfondimento sui prodotti italiani

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indicato dall’indicazione geografica, indipendentemente dall’esistenza di un rischio di inganno, costituisce un serio pericolo quantomeno con riferimento a quei Paesi, come l’Italia, presi di mira dai fenomeni d’imitazione. Non sarà possibile usare indicazioni quali “Vino frizzante stile Champagne, prodotto in Cile” o “Swiss Tequila”, mentre vi potrà essere un “Formaggio Roquefort,

prodotto in Norvegia”, o dei “Tappeti Bukhara, made in Usa”102

. In questi ultimi casi, infatti, qualsiasi giudice potrebbe non ravvisare un rischio di inganno per il consumatore, essendo indicata la vera origine del prodotto. È necessario, a livello UE, rivedere la disciplina europea in materia di etichettatura, così da rendere sempre obbligatoria l’indicazione geografica in etichetta, e ottenere, a livello internazionale, un riconoscimento sempre maggiore di Dop e Igp europee, soprattutto in quei Paesi dove è più diffuso il fenomeno imitativo (Canada, Stati Uniti, Australia) e che quindi sviluppano una forte domanda del Made in Italy. 127 Il settore imprenditoriale, d’altra parte, dovrebbe elaborare campagne di sensibilizzazione ed educazione alla qualità alimentare, istruendo il consumatore a saper riconoscere e distinguere il vero prodotto italiano da quello Italian

Sounding . È interessante, a tal proposito, richiamare l’indagine compiuta dalla

Camera di Commercio di Parma, nel 2012, circa le opportunità offerte dal mercato statunitense per le nostre specialità agroalimentari, che ha rilevato, da una parte, che il consumatore desidera ricevere un’informazione sui prodotti autentici italiani, dall’altra, quanto sia importante il ruolo giocato dalle scuole di cucina per saper apprezzare la qualità103. Le misure di difese da un punto di vista normativo potrebbero essere, quindi, la registrazione del marchio aziendale presso lo USPTO e presso le dogane statunitensi la stipula, sempre, di un accordo di distribuzione dove siano definite le modalità di uso del marchio e la titolarità del diritto sullo stesso. Anche se risulterebbe molto più facile introdurre disposizioni regolamentari sulla corretta informazione al consumatore statunitense piuttosto che ipotizzare appositi marchi comunitari/nazionali che si

102 IPR DESK RAPPORTO SULLA CONTRAFFAZIONE NEGLI STATI UNITI : APPROFONDIMENTO SUI

PRODOTTI ITALIANI FALSIFICATI OTTOBRE 2010

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I Consumi fuori Casa negli USA: La Grande Opportunità per Prodotti Autentici Italiani, relazione presentata da Camera di Commercio di Parma e Fiere di Parma Spa nel corso di Cibus 2012, Salone Internazionale dell’Alimentazione

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andrebbero ad aggiungere e non certo a sovrapporre alle molteplici forme di richiamo all'italianità e che, pertanto, non aiuterebbero il consumatore nell'individuazione dell'origine del prodotto. D'altro canto, risulterebbe poco realistico anche solo immaginare di poter accomunare in un unico marchio comunitari o nazionale le diverse specificità delle produzioni alimentari italiane: dai prodotti strettamente legati al territorio e quindi all'origine della materia prima utilizzata ai prodotti la cui peculiarità sta propriamente nella sapiente maestria della ricetta italiana e nella ricerca accurata di materie prime che, a prescindere dalla loro origine, ne esaltino la qualità del prodotto104. A queste azioni bisogna affiancare le corrette pratiche marketing, come protocollo standard per ogni azienda che esporti all’estero e che intenda seriamente prevenire illeciti sul marchio, fattispecie di concorrenza sleale o anche casi di pubblicità falsa ed ingannevole. Secondo uno studio avviate dall’ICE le strategie partono dalla identificazione del target, ossia dei consumatori da “spostare” verso i prodotti alimentari autentici italiani. Il target ideale, secondo lo studio ICE, è costituito dai foodies, ossia i 30 milioni di consumatori (prevalentemente donne) con reddito di oltre 50.000 dollari, “che si distingue nel comportamento di acquisto per creatività, particolare attenzione ai prodotti e una marcata propensione positiva nei confronti di ciò che è nuovo”105. I foodies abitano nelle regioni che costituiscono i principali mercati degli alimentari italiani (le aree metropolitane di New York, Boston, Philadelphia, Washington, Miami, Chicago e Los Angeles) e ritengono che la cucina italiana, quella che preferiscono, sia “la cucina perfetta, semplice, appetitosa, informale, col vero sapore di casa”. Con l’ausilio di focus groups, lo studio ICE ha identificato una serie di comportamenti tipici di questa categoria di consumatori106. I foodies, ad esempio, privilegiano i prodotti autentici, quindi importati dall’Italia, quando si tratta di cibi “freschi” (salumi, formaggi, olio d’oliva), mentre accettano i prodotti imitativi conservati. Però spesso vengono colti dal dubbio, perché non è chiaro se i prodotti che intendono acquistare sono autentici italiani oppure no, in quanto le etichette non

104 http://www.uibm.gov.it/attachments/article/2006088/rapporto_contraffazione. 105 http://www.uibm.gov.it/attachments/article/2006088/rapporto_contraffazione. 106 http://www.uibm.gov.it/attachments/article/2006088/rapporto_contraffazione.

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sono sufficientemente chiare. Non hanno mai sentito parlare di marchi di protezione geografica degli alimentari (ma sanno che esistono per i vini), e non conoscono l’esistenza del consorzio del Parmigiano Reggiano e del Prosciutto di Parma. Hanno come fonte di informazione principale, per la tavola, le trasmissioni televisive del “Food Network”, i cui personaggi “godono di una popolarità a livello delle star di Hollywood”. Cercano le ricette su Internet, e navigano anche sui siti di aziende che consentono di chattare su argomenti gastronomici. E citano di frequente l’inserto di gastronomia Dining Out”” che molti quotidiani americani pubblicano ogni mercoledì107. Identificato il target, e dato per scontato che l’avvenire degli autentici prodotti italiani in Nord America è condizionato dal mantenimento di livelli di qualità elevati, e che i differenziali di prezzo fra i prodotti autentici e le imitazioni, in base alle indicazioni raccolte mediante i focus groups. Lo studio ICE premette che occorre definire obiettivi diversi a seconda dei prodotti, che vengono raggruppati in tre categorie: “sottorappresentate” (ossia paste fresche, affettati in vasca frigo, sughi per pasta, primi piatti surgelati e conserve sott’olio e sott’aceto); “critiche” (specialità di salumeria, formaggi, pomodori in scatola, caffè e biscotti); e “mature” (ossia risi,

paste alimentari, aceti e oli d’oliva)108

. Per la prima categoria

(sottorappresentate), i compilatori dello studio ritengono che “le azioni da intraprendere debbano essere portate avanti principalmente in Italia” con l’organizzazione di incontri nel nostro Paese con rappresentanti dei produttori” allo scopo di informarli sulle opportunità attualmente esistenti in Nord America. La seconda categoria (critiche), ossia quei prodotti per i quali la percentuale di autentico Made in Italy rispetto all’Italian Sounding oscilla fra il 10% e il 50%, è quella che, secondo lo studio ICE, “può garantire la possibilità di recuperare quote di mercato in tempi brevi”. Le azioni da intraprendere devono essere portate avanti in America e impostate su campagne di educazione/informazione

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Opportunità e e problematiche per i produttori italiani alimentari Informazioni sul Mercato USA degli Alimentari – 2008 International Fancy Food & Confections Show ICE – Istituto Nazionale per il

Commercio con l’ Estero – Ufficio di New York

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Opportunità e e problematiche per i produttori italiani alimentari Informazioni sul Mercato USA degli Alimentari – 2008 International Fancy Food & Confections Show ICE – Istituto Nazionale per il

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del consumatore. I margini di manovra, nel caso delle categorie “mature”, sono più ristretti, perchè i prodotti autentici rappresentano già quote del mercato dell’Italian Sounding superiori al 50%. Le azioni promozionali, quindi, andranno pensate prodotto per prodotto, puntando sulla qualità e, in certi casi, andando a cercare ulteriori spazi fuori dal ristretto campo dell’Italian Sounding , entrando in diretta concorrenza con i produttori americani sul loro terreno. Da questa analisi scaturiscono le strategie che l’ICE suggerisce agli operatori italiani. In generale, sostiene lo studio, “è assolutamente necessario stabilire più stretti rapporti con i distributori USA più attenti al tema della qualità e dell’autenticità”. E lo si può fare dimostrando a questi distributori “la maggiore redditività dello scaffale all’aumentare della quota dei prodotti autentici, sia per quanto riguarda l’offerta dei singoli brand, sia, soprattutto, per la riconversione ad autentico delle loro marche private”. E anche necessario fare in modo che i prodotti autenticamente italiani possano essere reperiti e individuati facilmente, perché l’attuale “confusione di denominazioni tricolori e slogan finti italiani” esaspera il target dei foodies i quali vorrebbero fossero create, all’interno dei supermercati “isole di prodotti autentici italiani”, contenenti prodotti freschi e conservati. Lo studio raccomanda, inoltre, la creazione di centri espositivi e mercati dei prodotti alimentari e dei vini (quando, per quanto riguarda questi ultimi, la legislazione locale sugli alcolici lo consenta). La difesa dai prodotti imitativi, peraltro, deve cominciare già in Italia, con il mantenimento da parte dei produttori di standard qualitativi elevati che giustifichino il differenziale fra i prezzi del prodotto autentico e quelli delle imitazioni. Lo studio ICE raccomanda, a questo proposito, l’istituzione di un marchio di qualità, che potrebbe essere rappresentato dagli stessi marchi di provenienza geografica per i prodotti protetti, che sono già presenti sulle etichette dei prodotti originali. Per questi stessi prodotti protetti, lo studio raccomanda anche la messa in cantiere di massicce campagne promozionali e pubblicitarie, dirette essenzialmente ai foodies, per educare i consumatori nordamericani e convincerli del valore aggiunto dei prodotti autentici italiani, coinvolgendo anche catene “di punta” come Balducci, Citarella, Trader Joe’s, Whole Foods e Wild Oats. Si consiglia

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anche di ricorrere il più possibile alle prove di assaggio che si sono dimostrate “uno degli strumenti di promozione più efficaci”. L’opzione del ricorso alle vie legali per la difesa dalle imitazioni, invece, è scoraggiata per i piccoli e medio/piccoli produttori, in quanto comporta costi considerevoli, che difficilmente possono essere stimati preventivamente. E’ stata però utilizzata con successo dai Consorzi del Parmigiano Reggiano e del prosciutto di Parma. Rifacendoci invece , ad un’analisi effettuata dalla camera di commercio di Parma si può notare come uno degli obiettivi potrebbe essere quello di conquistare almeno una parte della quota di mercato riservata oggi al prodotto imitativo nel mercato della ristorazione. Secondo le nostre prime stime, se si occupassero il 50% del market share dei prodotti imitativi, si potrebbe ricavare più 1,5 miliardi di dollari in più (prezzi alla ristorazione). Per raggiungere questo obiettivo, a nostro avviso e’ necessario attivare azioni di sistema che aumentino il livello di educazione al prodotto italiano degli chef/manager USA. Gli chef americani con cui si è entrati in contatto hanno affermato di essere curiosi e prontissimi a “fidelizzarsi”, alle specialità’ italiane, se qualcuno gli spiegasse meglio storia, tradizione, ricette e “trucchi” per valorizzare al massimo i nostri ingredienti. Qualsiasi azione che serva a aumentare il livello di educazione va quindi nella giusta direzione. Il ruolo delle scuole di cucina, in Italia e in America, è la chiave per raggiungere l’obiettivo. Per esempio ALMA ha creato una partnership con the International Culinary Center di New York che ha portato a un programma congiunto. Il corso prevede periodi di studio e training di giovani chef americani in Italia (ogni anno in differenti Regioni). Altre partnership possono e devono essere attivate, con istituti culinari USA autorevoli come il Culinary Institute of America (CIA) o con associazioni di categoria come l’American Culinary Federation (ACF) o la National Restaurant Association (NRA).

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