• Non ci sono risultati.

Vittima del reato ed atti persecutori: un'analisi della disciplina italiana alla luce di esperienze straniere

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Vittima del reato ed atti persecutori: un'analisi della disciplina italiana alla luce di esperienze straniere"

Copied!
219
0
0

Testo completo

(1)

Ma lui che l’insegue con le ali d’amore in aiuto corre di più non da tregua e incombe alle spalle della fuggitiva

ansimandole sul collo fra i capelli al vento

(2)

i

INDICE

Capitolo I

La vittima del reato: da figura dimenticata a

protagoni-sta dello scenario penale

1. Evoluzione storica della tutela della vittima ... 1

1.1 Il concetto di vittima: i problemi e le considerazioni definitorie ... 1

1.2 Dalla lunga indifferenza nei confronti della vittima alla sua riscoperta da parte della Scuola Positiva ... 4

1.3 Nascita e brevi cenni storici della vittimologia: una nuova concezione della figura ... 7

1.4 Una nuova dottrina: La “Vittimo-dogmatica” ... 12

2. La vittimizzazione e i vari modelli di tutela ... 13

2.1. Le sofferenze della vittima del reato ... 13

2.2 I modelli di tutela della vittima ex ante ... 17

2.3. I modelli di tutela ex-post: le vittime effettive ... 19

2.4. Una inscindibile interdipendenza tra le due forme di tutela ... 22

3. L’ingresso della vittima all’interno del processo penale ... 22

3.1 Dal Codice Rocco al Codice del 1988 ... 22

3.2 L’offeso e il danneggiato da reato: i nodi irrisolti ... 25

3.3 Le prime linee evolutive del ruolo dell’offeso: la L. n. 479 del 1999 e il D.lgs. n. 274 del 2000 ... 35

3.4 Poteri e diritti dell’offeso nel sistema Italiano: la normativa prima e dopo il d.lgs. n. 212 del 2015 ... 38

3.5 Ultimissime novità in tema di tutela della persona offesa: la riforma Orlando ... 47

(3)

ii

Capitolo II

La vittima del reato: luci e ombre della figura

nell’ambito del panorama legislativo europeo

1. La tutela europea della vittima: le fonti che valorizzano la figura ... 49

1.1 Le questioni definitorie e gli obiettivi a livello sovranazionale in tema di vittima di reato ... 49

1.2 La valorizzazione della persona offesa da parte della Giurisprudenza: La Corte di giustizia europea e la Corte di Strasburgo ... 51

1.3 Verso la tutela europea della vittima di reato ... 57

1.4 Le fonti comunitarie a carattere particolare ... 71

1.5 Il Consiglio d’ Europa: la tutela processuale della vittima alla luce delle Convenzioni di Lanzarote e di Istanbul ... 77

2. La posizione della vittima nel sistema processuale francese ... 86

2.1 Il processo penale in Francia: brevi cenni ... 86

2.2 Il ruolo della persona offesa all’interno del procedimento ... 88

3. La persona offesa nella procedura penale spagnola ... 95

3.1 Lo scenario processuale in Spagna ... 95

3.2 L’esperienza della persona offesa nel sistema penale spagnolo: “Lo Statuto delle vittime del reato” ... 99

3.3 I diritti di partecipazione al processo della vittima e “acusación particular”... 102

4. La disciplina tedesca in tema di vittima del reato ... 106

4.1 La procedura penale in Germania: uno sguardo d’insieme... 106

4.2 L’excursus della vittima all’interno della giustizia penale tedesca: tre decenni di riforme ... 109

(4)

iii

Capitolo III

La particolare tutela della vittima nel reato di stalking

1. Il delitto di stalking: nascita e definizione del reato ... 115 2. L’Italia e il delitto di atti persecutori ... 120

2.1 Premesse e motivi dell’intervento legislativo d’urgenza ... 120 2.2 Lacune normative e insufficienze incriminatrici dei reati di molestia o disturbo alle persone e di violenza privata prima dell’art.612-bis c.p. ... 122 2.3 Il nuovo delitto di atti persecutori: la legge n. 38 del 2009 e le

modifiche apportate dalla l. n. 119 del 2013 ... 124 2.4 Gli aspetti procedurali introdotti nel 2013 ... 130 2.5 Misure cautelari applicabili al delitto ... 132 2.6 Misure a sostegno delle vittime di atti persecutori e indicazioni in

tema di pubblica sicurezza ... 140 2.7 La “sindrome delle molestie assillanti” campanello di allarme su tutto

il territorio nazionale: la recentissima riforma del Codice Antimafia decide di equiparare gli stalker ai mafiosi ... 145 2.8 I profili in tema di danno derivante da stalking e le novità apportate

dal nuovo art. 162-ter c.p. ... 149 2.9 Il contributo della giurisprudenza: qualche interessante e recente caso

di stalking in Italia ... 156 2.10 Brevi cenni in tema di stalking in altri Paesi comunitari ... 161

(5)

iv

Capitolo IV

Le risposte nazionali ai temi oggetto di studio: un’analisi

comparativa

1. Notazioni a confronto sul piano della tutela della vittima del reato . 176

1.1 Le norme minime contenute nella direttiva 29/2012/UE: il panorama

negli ordinamenti esaminati ... 176

1.2 La ricerca di “buone prassi” nel panorama comparativo ... 183

2. Lo stalking in Europa: un’analisi comparativa. ... 187

2.1 Il concetto di violenza di genere negli strumenti internazionali e in sede comunitaria ... 187

2.2 La disciplina legale dello stalking in ambito europeo: notazioni comparate ... 191

2.3 Strategie di intervento e misure a sostegno delle vittime. ... 195

CONCLUSIONI ... 198

BIBLIOGRAFIA ... 202

SITOGRAFIA ... 209

GIURISPRUDENZA ... 210

(6)

1

Capitolo I

LA

VITTIMA

DEL

REATO:

DA

FIGURA

DIMENTI-CATA

A

PROTAGONISTA

DELLO

SCENARIO

PE-NALE

SOMMARIO: 1. Evoluzione storica della tutela della vittima. — 1.1 Il con-cetto di vittima: i problemi e le considerazioni definitorie. — 1.2 Dalla lunga indifferenza nei confronti della vittima alla sua riscoperta da parte della Scuola Positiva — 1.3 Nascita e brevi cenni storici della vittimologia: una nuova concezione della figura. — 1.4 Una nuova dottrina: la “Vittimo-dogmatica”. — 2. La vittimizzazione e i diversi modelli di tutela. — 2.1 Le sofferenze della vittima del reato. — 2.2 I modelli di tutela della vittima ex-ante. — 2.3 I modelli di tutela ex-post: le vittime effettive. - 2.4 Una inscin-dibile interdipendenza tra le due forme di tutela. — 3. L’ingresso della vitti-ma all’interno del processo penale. — 3.1 Dal Codice Rocco al Codice del 1988. — 3.2 L’offeso e il danneggiato da reato: i nodi irrisolti. — 3.3 Le prime linee evolutive del ruolo dell’offeso: la L. n. 479 del 1999 e il D.lgs. n.274 del 2000. — 3.4 Poteri e diritti dell’offeso nel sistema Italiano: la normativa prima e dopo il d.lgs. n. 212 del 2015. — 3.5 Ultimissime novità in tema di tutela della persona offesa: la riforma Orlando.

1. Evoluzione storica della tutela della vittima

1.1 Il concetto di vittima: i problemi e le considerazioni definitorie

Il vocabolo vittima, oggetto per secoli di scarse attenzioni a li-vello tanto politico-legislativo quanto scientifico, veniva in origine utilizzato per indicare qualsiasi persona che subisce in qualche modo gli effetti negativi dal reato1.

1 A. PAGLIARO, La rilevanza della vittima nel diritto penale sostanziale, in AA.VV. La vittima

(7)

2

Questa accezione morale e giuridica, nata a partire dal XVII se-colo, viene superata durante il secolo successivo dove conquista un si-gnificato sempre più vicino a quello attuale.

Il termine vittima, nell’ambito dell’ordinamento italiano, è stato a lungo sostituito da altri vocaboli sia all’interno del codice penale che del codice di procedura penale, dove troviamo espressioni come “l’offeso” (art. 70 n. 2, c.p.), “la persona offesa” (art. 92 e 122, com-ma 3, c.p.p.) o “la persona offesa dal reato” (art. 120 c.p. e 90 c.p.p.). Solo di recente è stato utilizzato, non si sa se volutamente o per svista, all’interno dell’art. 498 comma 4-ter introdotto dall’art. 13 della l. 3 agosto 1998, n. 269, legato al concetto di minore e maggiorenne in-fermo.

Ciò rappresenta una peculiarità rispetto ad altri ordinamenti co-me ad esempio quello francese dove il termine “victico-me” compare per la prima volta all’interno del codice di procedura penale nel 1970, senza però esser definito2.

All’interno delle norme del codice di procedura penale, oltre alla persona offesa dal reato, viene disciplinato anche il danneggiato da reato, che rappresenta colui che subisce un danno -patrimoniale o non- da un fatto penalmente rilevante.

Dunque possiamo distinguere il soggetto passivo, che solitamen-te coincide con il titolare del bene giuridico, e il danneggiato dal reato che non sempre corrisponde con la persona offesa.3

All’interno del sistema penale la persona offesa può essere an-che una persona giuridica se l’interesse fa capo a un soggetto di diritto

2 M. VENTUROLI, La vittima nel sistema penale. Dall’oblio al protagonismo, Jovene Editore, Napoli, 2015, p. 2.

3 Nell’omicidio all’art.575 c.p.p. il soggetto passivo è l’offeso, mentre i danneggiati possono essere anche i prossimi congiunti.

(8)

3

diverso dall’uomo: si pensi, ad esempio, ad un’appropriazione indebi-ta su beni di una società o di un ente pubblico.

Infine possiamo ricordare la categoria dei reati che necessaria-mente vanno ad offendere un ente collettivo, come i delitti contro la personalità dello Stato o contro la Pubblica Amministrazione e inoltre i reati in cui è difficile individuare il titolare dell’interesse protetto che viene leso, come i delitti contro l’economia pubblica o la fede pubbli-ca: in questi casi si parla di “delitti vaghi”. 4

A differenza del diritto vigente, la dottrina criminologica utilizza costantemente la nozione di “vittima del reato” distinguendo coloro che hanno subito una diretta lesione dal reato, ovvero le c.d. “vittime primarie”, da coloro che sono destinatari di effetti pregiudizievoli a seguito dell’illecito, come ad esempio i prossimi congiunti della vitti-ma privitti-maria, ovvero le c.d. “vittime secondarie”. Queste ultime subi-scono conseguenze negative sul piano emotivo e relazionale, derivanti dal contatto con il sistema della giustizia penale: spesso accade, infat-ti, che le vittime diventino tali per effetto dei metodi usati nei loro confronti dalle forze di polizia e dagli appartenenti al sistema giudizia-rio.

Possiamo ricordare, per esempio, la celebre definizione elabora-ta dal Professor Emilio C. Viano, secondo cui la vittima è “Qualsiasi soggetto danneggiato o che abbia subito un torto da altri, che percepi-sce se stesso come vittima, che condivide l’esperienza con altri cer-cando aiuto, assistenza e riparazione e che è riconosciuto come vittima e che presumibilmente è assistito da agenzie, strutture pubbliche, pri-vate o collettive”. 5

4 A. PAGLIARO, Op. cit., p. 30. 5 M. VENTUROLI, Op. cit., p. 20.

(9)

4

La visione nei confronti della vittima da parte della dottrina cri-minologica dunque è stata da sempre molto più interessata a valorizza-re la dimensione individuale ed esistenziale dell’individuo e in seguito ha dato la possibilità di porre in essere diverse classificazioni all’interno di essa a seconda delle sue caratteristiche personali e del suo ruolo nella realizzazione della fattispecie incriminatrice.

1.2 Dalla lunga indifferenza nei confronti della vittima alla sua risco-perta da parte della Scuola Positiva

La violenza è antica ed ha posto sempre in primo piano l’autore, quel primate aggressivo che è l’uomo, ponendo le sue vittime nell’ombra. La vittima è stata a lungo trascurata, nonostante che la sua immagine, la sua importanza e la soglia di visibilità abbiano subito di-versi cambiamenti all’interno della nostra società. 6

L’evoluzione della figura della vittima nella storia è rappresen-tata da un processo particolarmente lento e dai confini non ben deter-minati nel tempo. In epoca primitiva il reato era concepito come un fatto pregiudicante non solo la persona offesa bensì, generando una frattura tra l’uomo e la divinità, come un fenomeno fonte di turbamen-to per l’intera comunità. In quel tempo, dunque, era diffuso l’omicidio rituale della vittima: l’unione tra divinità e esseri umani permetteva alle popolazioni di chiedere ai propri dei pace e riconciliazione con essi. In questa prospettiva, il sacrificio umano può esser accostato e equiparato alla pena capitale, poiché, rimuovendo l’immagine dalla vittima, si pensa di liberarci dal male commesso. 7

6 A. BALLONI. Cause ed effetti del ritardato sviluppo della vittimologia, in La vittima del

rea-to, questa dimenticata, 2001, p. 13. 7 Ivi, p. 14.

(10)

5

A seguito del periodo a cavallo tra l’Antica Roma e l’Alto Me-dioevo, dove la violenza privata della persona offesa e dei suoi fami-liari rappresentava la risposta ordinaria ad un reato, la vittima ha subi-to una prolungata e sconcertante emarginazione. Questa figura è stata dimenticata per secoli, quasi del tutto esclusa dal processo, assumendo più un ruolo di mero testimone di uno scenario in cui i protagonisti principali risultavano essere lo Stato, nel ruolo di accusa, e il reo.

La profonda indifferenza persiste anche durante il periodo Illu-minista, dove l’attenzione era rivolta nei confronti della figura del colpevole: si pensi, ad esempio, ai pensieri di Rousseau o Beccaria, in cui si raffigura il reato come una vera e propria offesa alla società, una violazione del c.d. “contratto sociale” 8.

Pertanto da questi illustri autori viene attuata una “spersonaliz-zazione” dell’illecito penale senza tener in considerazione la vittima effettiva. 9

Questo processo di “estromissione” continua nel corso del XIX secolo con l’elaborazione del concetto di lesione del c.d. “bene giuri-dico”: il reato è visto non tanto come lesivo di un bene soggettivo in modo da valorizzare il ruolo dell’offeso e attribuire più voce alle sue istanze, bensì come fatto lesivo di un valore o un interesse che la nor-ma incriminatrice si prefigge di tutelare.

Infine la protezione penale nei confronti della vittima cessa de-finitivamente negli anni Trenta del secolo scorso, quando il bene giu-ridico ha iniziato a rivestire una semplice funzione classificatoria o

8 Nel Periodo Illuminista la vittima affidava allo Stato il potere punitivo mediante un contratto c.d. “contratto sociale”.

(11)

6

terpretativa degli illeciti penali: la vittima viene “quasi completamente inghiottita dal bene giuridico”. 10

All’interno della realtà italiana, in pieno Illuminismo, nasce la Scuola Classica in risposta al sistema penale vigente caratterizzato dall’utilizzo della tortura e dalla crudeltà delle pene. L’attenzione per la vittima continua in ogni caso ad esser scarso: a questa viene unica-mente riservato un risarcimento destinato a ristorare gli effetti pregiu-dizievoli- patrimoniali e non- derivanti dal reato. La pena invece è ri-volta al reo in un’ottica retributiva.

In altri termini possiamo concludere che le istanze della vittima potevano esser fatte valere solo al di fuori del sistema della giustizia criminale.

A cavallo tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX una nuova corrente comincia ad interessarsi alla figura: la Scuola Positiva fa rie-mergere la vittima tra i protagonisti del processo penale qualificando il risarcimento del danno come unico rimedio con cui lo Stato può porre in essere una tutela effettiva ed immediata della persona offesa. Era lo Stato a dover sempre corrispondere un risarcimento, che veniva garan-tito anche in ipotesi di insolvenza da parte del reo, attraverso la coer-cizione di quest’ultimo al lavoro.

Dunque, a differenza della Scuola Classica, i Positivisti qualifi-cano la riparazione del danno come sanzione punitiva e in alcune ipo-tesi un rimedio sostitutivo alla pena imponendo la coercizione al lavo-ro del reo insolvibile.

Il movimento positivista ha inoltre mostrato un interessamento peculiare nei confronti della vittima: essa è stata presa in

(12)

7

zione non tanto come soggetto a sé stante, quanto piuttosto in relazio-ne al delinquente, al firelazio-ne di comprenderrelazio-ne meglio la pericolosità. 11

Lo scopo dell’analisi era quello di individuare i mezzi preventi-vi del reato e neutralizzanti il criminale pericoloso: se il reo aveva commesso il reato in presenza della provocazione da parte della per-sona offesa doveva esser qualificato meno pericoloso e quindi meno bisognoso di misure di prevenzione. In un’ottica social difensiva dun-que, in queste ipotesi, si dovevano cercare rimedi preventivi idonei ad attenuare o neutralizzare il contributo della vittima.

1.3 Nascita e brevi cenni storici della vittimologia: una nuova conce-zione della figura

Dopo l’embrionale interessamento da parte della Scuola Positi-va, la vittima comincia ad essere destinataria di una sempre più cre-scente attenzione, in particolar modo nell’ambito della criminologia.

I primi studi iniziano negli anni Quaranta grazie al contributo di tre autori: innanzitutto ricordiamo H. Von Henting con la sua opera

“The criminal and his victim” pubblicata nel 1948, dove

“l’attenzione, prevalentemente focalizzata fino a quel momento sull’autore del reato, sulle sue caratteristiche e responsabilità, si con-centra invece sul carattere duale dell’interazione criminale, reo e vit-tima, un binomio inscindibile, una coppia di attori sociali, che non so-lo nella letteratura, ma anche nella prassi quotidiana, meritano la me-desima considerazione, affinché si possa intervenire in maniera ade-guata nel percorso di recupero di entrambi”. 12

11 M. VENTUROLI, Op. cit., p. 13.

12 S. SICURELLA, Lo studio della vittimologia per capire il ruolo della vittima, in Rivista di

(13)

8

Secondo opinione unanime in dottrina, tale elaborato è conside-rato quello che più di ogni altro ha aiutato la vittimologia ad affermar-si come disciplina in senso proprio. Il criminologo tedesco rappresenta la vittima del reato come una figura che contribuisce alla forma e al modello del criminale e del suo delitto. Egli ha operato una classifica-zione della categoria “vittima” dando vita a tre concetti:

a) Il criminale vittima (the doer-sufferer), nozione che compren-de sia colui che, a seconda compren-delle circostanze, può essere al contempo vittima e delinquente13 sia colui che si può considerare contempora-neamente criminale e in senso lato vittima14.

b) La vittima latente (the potential victim), un individuo che pre-senta caratteristiche inconsce, sporadiche o costanti, spesso legate all’età o alla professione svolta, che tendono a farlo divenire spesso oggetto di episodi criminosi. Si pensi, ad esempio, ai reati sui minori o nei confronti di chi svolge un’attività bancaria.

c) Il terzo concetto mette in risalto la relazione che intercorre tra reo e offeso. Si dà vita alla nozione di “coppia penale”: la vittima in alcuni casi partecipa attivamente al progetto criminoso attraverso comportamenti istigatori e provocatori. Lo scopo, in linea con quanto già sostenuto dalla Scuola Positiva in passato, è di individuare efficaci rimedi di prevenzione della vittimizzazione analizzando anche il con-tributo, seppur parziale, proveniente dalla persona offesa. 15

Un altro importante luminare della scienza criminologica è stato

F. Wertham, celebre per aver coniato il termine “vittimologia” nella

sua opera “The Show of silence” del 1949. Lo psichiatra statunitense si

13 Si pensi, ad esempio, a colui che è stato vittima durante l’infanzia di maltrattamenti e in età adulta diviene, a sua volta, autore dei medesimi reati.

14 Si pensi, ad esempio, al caso dell’omicidio seguito dal suicidio dell’autore del reato. 15 M. VENTUROLI, Op. cit., pp. 16-17

(14)

9

è largamente concentrato sul reato di omicidio arrivando ad affermare che in alcuni casi è il processo di “dis-umanizzazione” della vittima scelta a portare il delinquente a commettere il fatto criminoso. L’omicida in questo modo riesce a giustificare l’assassinio: l’impulso omicida non deve essere controbilanciato da meccanismi idonei a fermarlo. 1617

Infine ricordiamo l’avvocato B. Mendelsohn, il quale ha elabora-to il suo concetelabora-to di vittima attraverso lo studio dei casi a lui sotelabora-topo- sottopo-sti: in disaccordo con l’idea dei Classicisti di concentrarsi solo sul rea-to e con il pensiero positivista di porre prevalentemente l’attenzione nei confronti del reo, anche lo studioso israeliano propone di concen-trarsi sulla c.d. “coppia penale” analizzando dettagliatamente sia il criminale che la vittima. I suoi studi lo hanno portato ad operare una diversa classificazione rispetto ad Henting, dando vita a cinque tipolo-gie di vittime: la vittima totalmente innocente, che non ha minima-mente provocato l’azione che subisce; la vittima con colpa lieve ,che involontariamente contribuisce alla realizzazione del reato ; la vittima

volontaria, colpevole quanto il reo nella commissione del fatto

crimi-noso; la vittima maggiormente colpevole del delinquente, che conduce il reo all’azione criminosa ed infine la vittima con altissimo grado di

colpa, unicamente responsabile del reato compiuto. 18

La Storia della vittimologia è suddivisa in tre fasi che si diffe-renziano a causa del diverso approccio nei confronti della vittima del reato: la prima fase, appena descritta, è caratterizzata dalle riflessioni dei padri fondatori della disciplina sul ruolo dell’offeso e sui rapporti con il delinquente. La seconda fase, detta della “vittimologia critica o

16 Ibidem.

17 Ancora oggi esistono tendenze volte a disconoscere il carattere umano a determinate cate-gorie di vittime: si pensi, ad esempio, ai crimini di omofobia e xenofobia.

(15)

10

radicale”, ha visto la persona offesa non tanto più come un soggetto da studiare in astratto attraverso classificazioni e teorie, ma come un in-dividuo da proteggere in concreto. La vittima diventa oggetto di una vera e propria politica sociale a suo sostegno. Questo secondo mo-mento storico della disciplina infatti estende anche la nozione di offe-so, qualificando tale il destinatario di qualsiasi forme di oppressione: si pensi, ad esempio, non solo ai soggetti passivi di un reato, ma anche a tutti coloro che vengono pregiudicati dal processo penale, dalle forze di polizia o dalla violenza dello Stato. Il massimo esponente di questa fase è stato E. A. Fattah, di cui ricordiamo l’espressione “vittimologia dell’azione” o “vittimologia promozionale” con la quale si delinea un vero e proprio movimento politico-sociale in favore delle vittime con-traddistinto dallo sviluppo di idonei rimedi di assistenza e risarcimen-to e di analisi statistiche nel campo della vittimizzazione. 19

Infine il terzo ed ultimo momento storico si distacca da un ap-proccio scientifico della materia. Questo è stato caratterizzato dalla nascita e sviluppo di associazioni fra vittime, luoghi in cui quest’ultime hanno da sempre trovato assistenza e ascolto: finalmente l’offeso riesce ad uscire da quella situazione di oblio che per lungo tempo lo ha “soffocato”. Lo scopo delle riunioni era non solo far vale-re i diritti delle persone offese, ma anche sensibilizzavale-re la pubblica opinione e le forze politiche in merito ai loro bisogni, spesso trascura-ti.20

Possiamo concludere, dunque, affermando che la dottrina crimi-nologica ha sicuramente il merito di aver messo in luce la figura della vittima in modo diverso, ponendo fine alla prolungata disparità di trat-tamento tra reo e offeso.

19 Ivi, pp. 20-22. 20 Ivi, pp. 27-28.

(16)

11

La vittimologia restituisce dignità alle vittime e ne delinea i trat-ti, la vittima non è esclusivamente “la persona offesa dal reato”, ma è una persona che soffre, che improvvisamente subisce una brusca inter-ruzione del suo normale percorso di vita e deve, suo malgrado, fare i conti con una serie di problemi di non facile risoluzione. 21

21 S. SICURELLA, Lo studio della vittimologia per capire il ruolo della vittima, in Rivista di

(17)

12

1.4 Una nuova dottrina: La “Vittimo-dogmatica”

Negli anni ’80 alcuni studiosi tedeschi hanno dato vita a un nuo-vo orientamento dottrinale, che è stato definito “vittimo-dogmatica”. Secondo gli autori di questa dottrina il reato è da escludere quando la vittima, con gli strumenti a sua disposizione, avrebbe potuto evitare il fatto lesivo. I principi di sussidiarietà ed “ultima ratio” a fondamento della nuova corrente portano a ritenere ingiustificato l’intervento pe-nale dello Stato, in quanto sono presenti altre possibilità di tutela del bene giuridico. Inoltre, il riuscire a difendersi da solo, secondo alcuni autori, è un modo per realizzare sé stessi, perciò l’intervento pubblico è da evitare a meno che l’offeso non abbia le forze sufficienti e neces-sarie per proteggersi. 22

Siffatte opinioni dottrinali conducono a paragonare il principio di sussidiarietà a quel concetto di auto giustizia che il nostro ordina-mento ha sempre voluto evitare e limitare: l’intervento penale non de-ve esser concepito come sussidiario all’autodifesa privata, ma come uno strumento da escludere in presenza di un intervento pubblico me-no invasivo da attuare.

Inoltre, accettando i principi della “vittimo- dogmatica” si arri-verebbe a capovolgere il concetto di legittima difesa, uno degli istituti cardine del nostro sistema penale: l’autodifesa della vittima è sussidia-ria all’intervento pubblico nel nostro ordinamento, non viceversa. 23

Aderire a qualsiasi forma di questa dottrina condurrebbe a viola-re i principi fondamentali del nostro sistema penale come quello di prevenzione degli illeciti e di certezza del diritto.

22 A.PAGLIARO, Op.cit., pp. 36-37. 23 Ibidem.

(18)

13

La teoria in questione non si può avvalorare nemmeno se la si circoscrive ai delitti che richiedono la collaborazione della vittima come, ad esempio, il reato di truffa, dove il bravo imbroglione è incli-ne, la maggior parte delle volte, a cercare individui poco capaci di di-fendersi e in grado di lasciarsi ingannare facilmente: il fatto che la vit-tima sia particolarmente credulona non è un buon motivo per esclude-re il delitto in questione. Anche per quanto riguarda i delitti colposi non è corretto concepire la noncuranza della vittima come fatto idoneo ad escludere il reato. Ci sono, tuttavia, casi in cui il reato per colpa viene meno, ma ciò non dipende dalla “vittimo-dogmatica”, bensì dai meccanismi derivanti dalla teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento: per esempio, il reato colposo non si configura nei con-fronti di un camionista che uccide un passante con una manovra peri-colosa alla quale è stato indotto dalla polizia stradale, poiché l’obbligo di garantire la incolumità di terzi si è spostato in capo a quest’ultima.

24

2. La vittimizzazione e i vari modelli di tutela

2.1. Le sofferenze della vittima del reato

A seguito del compimento di un fatto criminoso, le conseguenze che la vittima può subire possono esser di vario genere e intensità: al-cune dipendono dal reato medesimo o da elementi ad esso collegati, altre invece sono solo indirettamente collegate all’illecito penale.

Innanzitutto definiamo la c.d. “vittimizzazione primaria” che consiste nel complesso degli effetti pregiudizievoli di natura fisica,

(19)

14

psicologica, economica e sociale diretti immediatamente sulle vittime del reato.25

Dobbiamo distinguere coloro che hanno subito conseguenze a carattere esclusivamente patrimoniale da coloro che lamentano anche e soprattutto danni di natura non patrimoniale: le prime, a seguito del-la denuncia presentata, hanno interesse ad ottenere una veloce risposta giurisdizionale, percependo in alcune ipotesi la partecipazione al pro-cesso come impegnativa e fastidiosa. In sostanza la vittima può e spesso vuole rimanere estranea e distante dal procedimento;26 il se-condo gruppo di offesi subiscono anche danni psicologici ed emotivi che difficilmente trovano una “giusta” riparazione in sede giudiziaria. L’Amministrazione Pubblica non può assecondare il desiderio di ri-valsa della vittima rischiando di trasformare la sanzione in una mera “vendetta per mano del Stato”.

Dunque in una prospettiva di questo genere la vittima può esser percepita come una presenza ingombrante, se non pericolosa, all’interno del procedimento penale. Tuttavia è innegabile che la rigo-rosa soluzione dell’estromissione dell’offeso dal processo possa pro-durre rilevanti controindicazioni: si può aprire, ad esempio, la strada a reazioni estranee alla sede giudiziaria e a impulsi di “giustizia priva-ta”27.

In questi casi la pronuncia di condanna può produrre effetti van-taggiosi di vario genere. Innanzitutto, la sentenza, riconoscendo un fatto come ingiusto e attribuendolo all’autore di esso, esclude una ras-segnata giustificazione da parte della vittima dell’accaduto come un “incidente” paragonabile a una catastrofe naturale. Allo stesso tempo è

25 M. VENTUROLI, Op. cit., p. 51.

26 L. PARLATO, Il contributo della vittima tra azione e prova, Palermo, 2012., p. 93. 27 Ivi, p. 94.

(20)

15

in grado di svincolare l’offeso da qualsiasi responsabilità in ordine al fatto criminoso e di conseguenza anche dall’idea di un proprio falli-mento. Infine a queste prospettive si aggiungono delle conseguenze “mediate” della pronuncia di condanna, la quale è in grado di spronare manifestazioni di solidarietà nei confronti della vittima.28

Passando agli effetti indirettamente legati al reato, si deve ana-lizzare prima di tutto la c.d. “neutralizzazione in sede processuale” nei confronti della vittima: essa viene considerata come un soggetto mar-ginale in seno al processo penale e questo può esser da lei percepito come una scarsa sensibilizzazione e attenzione da parte della Pubblica Autorità per le sue esigenze e istanze. Si evince, dunque, un’esclusione dall’intero procedimento della persona offesa, la quale soffre e sente inevitabilmente questa disparità.

Infine un’analisi approfondita merita la c.d. “vittimizzazione

se-condaria” che comprende tutti gli effetti negativi sul piano emotivo e

relazionale che possono derivare dall’impatto con il sistema giudizia-rio: a seconda delle modalità di svolgimento del processo poste in es-sere da forze di polizia, magistrati addetti ai servizi sanitari e sociali, l’offeso può subire un’ulteriore vittimizzazione. Molto spesso, invero, accade che le vittime vengano costrette a narrare nuovamente i fatti dolorosi al fine di verificare la loro credibilità o la personalità del reo oppure che le forze di polizia o i magistrati si relazionino con esse in maniera piuttosto “superficiale”, non facendo particolare attenzione al loro stato emotivo e psicologico.

Il tipo di vittimizzazione in esame è meritevole di particolare tu-tela poiché, altrimenti, si rischia di alimentare sentimenti come rabbia e paura che colpiscono le persone offese, soprattutto quelle più deboli come i minori, i minorati mentali e/o fisici e le donne vittime di reati

(21)

16

sessuali. È necessario cercare di conciliare al meglio la tutela della personalità dell’offeso con la necessità di perseguire penalmente gli autori e proteggere l’intera comunità. Se non si riesce a contemperare in maniera adeguata queste esigenze di rischia di alimentare inoltre una sempre più crescente sfiducia delle vittime nei confronti dell’ordinamento.

Bisogna, dunque, prestare particolare attenzione alle difficoltà personali, di vita e psicologiche della persona offesa: “la vittimizza-zione secondaria esperita durante l’avventura giudiziaria potrebbe in-fluire negativamente su altri ambiti della sfera personale e psicologica, come l’autostima, la fiducia nel futuro, in un mondo migliore e nella giustizia”. 29

Le organizzazioni sovranazionali sono state le prime a dare con-creta attuazione agli insegnamenti della dottrina criminologica, po-nendo in essere una vera e propria battaglia politico sociale volta ad ottenere interventi concreti a sostegno delle vittime: in particolare l’attenzione si è intensificata nei confronti della criminalità transna-zionale, che spesso va a pregiudicare le vittime particolarmente vulne-rabili e meritevoli di assistenza. 30

Ricordiamo, in merito, un primo tentativo di tutela effettiva del-la persona offesa neldel-la prima sezione deldel-la “Dichiarazione dei principi basilari della giustizia per le vittime di reato e abuso di potere” dell’Assemblea delle Nazioni Unite, pubblicata nel 1985: la vittima del reato è una persona sola o collettivamente intesa tale, che ha subito una sofferenza non solo fisica, ma anche psicologica. Conseguente-mente la vittima può subire ulteriori danni economici derivanti

29 G. FANCI, La vittimizzazione secondaria: ambiti di ricerca, teorizzazioni, scenari, in rivista Criminologia, Vittimologia e Sicurezza – Vol. V- N.3- settembre-dicembre 2011.

30 R. MENDICINO, La vittimizzazione secondaria, anno 6, N. 3, settembre 2015. In Giornale Scientifico a cura dell’Osservatorio Nazionale Abusi Psicologi.

(22)

17

dall’omissione di determinati atti da parte dell’Autorità Pubblica, per-tanto dovrà esser risarcita del pregiudizio subito nel più breve tempo possibile e con la minima sofferenza. Lo scopo è imporre ad ogni or-dinamento nazionale obblighi di informazione nei confronti della vit-tima in ordine ai suoi diritti, alla conduzione delle indagini e allo stato del processo. 31

A livello nazionale l’intento di attenuare ipotesi di vittimizza-zione secondaria è stato, di recente, attuato con il d.lgs. n. 212 del 2015, che ha introdotto misure di protezione della vittima vulnerabile già nel momento in cui questa viene chiamata a rendere dichiarazioni dinanzi alle forze di polizia: durante la seduta essa può avvalersi del sostegno di psicologi esperti in materia e deve esser obbligatoriamente ascoltata senza aver contatti con il reo. Inoltre non può esser sentita più volte a meno che non sia strettamente necessario. 32

2.2 I modelli di tutela della vittima ex ante

I mezzi di tutela ex ante, ossia la prevenzione della vittimizza-zione, concernono vittime potenziali, infatti operano prima del com-pimento di un fatto criminoso.

La prevenzione della vittimizzazione può esplicarsi in vari modi e interessare autori, persone offese e contesti in cui il reato è stato compiuto.

Lo strumento solitamente utilizzato a scopi preventivi è il diritto penale. Questa branca dell’ordinamento giuridico possiede due fun-zioni principali: la c.d. “prevenzione generale negativa”, attuata

31 Ibidem.

32 Cfr. AA.VV.A. GAITO E D. CHINNICI (a cura di), Regole europee e processo penale, CE-DAM, Milano, 2016, pp. 114-115.

(23)

18

verso la minaccia di una pena in astratto che mira a distogliere i con-sociati dalla commissione di reati e la c.d. “prevenzione speciale” che mira ad escludere la recidiva criminale da parte del reo.

All’interno del nostro ordinamento i mezzi con cui viene perse-guito questo secondo tipo di prevenzione sono sostanzialmente due: la “neutralizzazione” e la “rieducazione”. La prima, consiste nel rendere il colpevole incapace di delinquere di nuovo, attuando la c.d. neutra-lizzazione dell’autore per evitare ricadute nel reato. La seconda invece ha lo scopo di “risocializzare” il reo e può esser concretizzata in vari modi: l’organizzazione delle strutture penitenziarie molto spesso aiuta la rieducazione dei detenuti 33 e inoltre possiamo far leva su strumenti

concepiti per spronare il reo verso processi di miglioramento indivi-duale come, ad esempio, riduzioni di pena o condizioni di semi libertà. Infine, data l’accertata inclinazione al crimine presente nelle carceri, si può ricorrere a istituti volti ad evitare l’ingresso in strutture peniten-ziarie di soggetti moderatamente pericolosi come, ad esempio, misure alternative alla detenzione o il perdono giudiziale. 34

Gli scopi preventivi possono esser perseguiti anche con stru-menti extra penali.

La c.d. “prevenzione sociale” in primis, che si basa sull’idea che un individuo molto spesso viene indotto a delinquere dalle condi-zioni ambientali e sociali in cui vive. Questo tipo di prevenzione si suddivide in tre sfere: la “primaria”, la quale si interessa esclusiva-mente ad eventi della società umana di stampo generale ( si pensi, ad esempio, alla povertà e ai problemi sanitari) , la “ secondaria”, invece, interviene su fattori psico-sociologici individuali soprattutto legati all’ambito familiare ( per esempio problematiche infantili o

33 Si pensi, ad esempio, all’istruzione o al lavoro in carcere e all’assistenza psicologica e reli-giosa nei luoghi penitenziari.

(24)

19

scenziali) ; infine la “prevenzione sociale terziaria” che costa di tera-pie nei confronti di fanciulli e adolescenti in totale e aperto scontro con il gruppo sociale di appartenenza, a patto che tale conflitto non sia derivante da reato, poiché in tal caso si tratterebbe di “prevenzione so-cial- positiva”35.

Il secondo tipo di prevenzione extra penale è quella “comunita-ria” che punta a coinvolgere determinate fasce della popolazione e aree urbane nella lotta e nella prevenzione del crimine. Gli strumenti utilizzati a tal scopo possono esser di vario genere: si può, ad esempio, mobilitare l’intera comunità dei residenti a fini di controllo e preven-zione oppure creare forme di difese di carattere urbanistico.

Infine ricordiamo la “prevenzione situazionale” che mira a inci-dere sul contesto in cui il reato è stato commesso. Lo scopo consiste nel creare, in determinati ambienti, ostacoli volti ad evitare la com-missione di reati che, altrimenti, sarebbero di facile realizzazione. Tra i modelli largamente in uso ricordiamo i sistemi antifurto che vengono istallati sulle automobili e i sistemi di videosorveglianza che vengono inseriti in luoghi in cui la predisposizione al crimine è particolarmente elevata, come, ad esempio, una banca o un centro commerciale.

2.3. I modelli di tutela ex-post: le vittime effettive

I mezzi di tutela ex post, a differenza di quelli preventivi, si ri-volgono alle vittime “reali”, in quanto agiscono dopo il compimento di un fatto criminoso. Lo scopo principale è tutelare le persone che sono state offese da un reato “nel processo” e “dal processo” cercando

35 La “prevenzione sociale positiva” si ha quando ci si rivolge a soggetti correggibili, per cui la pena ha valenza terapeutica e persegue il fine di risocializzare colui che fu pericoloso

(25)

20

il più possibile di far valere tutte le loro aspettative nei confronti del reo e dello Stato.

Operazioni di protezione di questo tipo mirano alla c.d. “devit-timizzazione”, ossia alla reintegrazione all’interno della società della vittima attraverso misure riparative e ricostruttive 36 e possono venir attuate in vari modi.

Partiamo con l’analisi della prima modalità: la partecipazione dell’offeso al processo penale.

L’esilio dal procedimento penale della persona offesa dal reato, come abbiamo già descritto, è durato per molti secoli. L’introduzione all’interno del nostro ordinamento della nozione di “giusto processo” ha senza dubbio contribuito a una nuova concezione della figura. Gra-zie a questo concetto, che viene sancito dal secondo comma dell’articolo 111 del nostro testo Costituzionale37, la vittima ha

co-minciato ad esser contemplata in molti testi normativi come soggetto o parte processuale. Il procedimento penale, luogo di incontro tra Stato, reo e offeso, inizia concretamente a tenere in considerazione anche le esigenze di quest’ultimo.

Alla vittima iniziano ad esser riconosciuti una serie di diritti processuali, tra cui, perfino, il “potere” di avviare il procedimento pe-nale stesso mediante la querela (art. 336 c.p.p.), atto con il quale la persona offesa manifesta la volontà che si persegua penalmente il fatto di reato da essa subito. 38

Innanzitutto parliamo dell’attività risarcitoria a favore dell’offeso, che è stata a lungo l’unica forma di tutela ex post nei suoi

36 M. VENTUROLI, Op.cit., p. 64.

37 “Ogni processo si svolge nel contraddittorio fra le parti, in condizioni di parità, davanti a un giudice terzo ed imparziale”.

(26)

21

confronti. Si tratta di un’operazione antichissima, già contemplata nel Codice di Hammurabi e nelle Leggi delle XII Tavole, che oggi risulta esser particolarmente complessa in quanto esige la partecipazione di esperti in diversi settori al fine di valutare l’intero complesso di pre-giudizi subiti. Si tratta di un’analisi dei danni subiti posta in essere in relazione all’età e alle condizioni psichiche e fisiche della vittima svolta in contemporanea all’attività di verifica della sua personalità e dell’attendibilità delle sue dichiarazioni.

Il risarcimento può gravare sull’autore del reato o sullo Stato. All’interno del nostro ordinamento la prima ipotesi può essere attuata mediante sia la costituzione di parte civile nel processo penale, istituto che approfondiremo nel paragrafo successivo, sia l’esercizio di un’azione risarcitoria in sede civile.

La riparazione pubblica del danno prende origine nei Paesi an-glosassoni, giungendo con molta fatica in Italia. L’offeso, a seguito del reato di cui è stato oggetto, risulta solitamente esser portatore di molteplici bisogni non solo di natura patrimoniale. Tutte le vittime, in-fatti, subiscono “la percezione di una identità violata e spezzata ed una diminuzione dell’autostima che necessitano di esser raccontate per es-sere riconosciute ed oltrepassate, pena la sedimentazione di caratteri-stiche (quali la passività, la debolezza, il ripiegamento su se stessi) che aprono la strada a nuovi processi di vittimizzazione”39

Dunque, bisognerebbe sempre affiancare alle tutele ex post una tempestiva protezione assistenziale idonea a prevenire conseguenze negative di questo genere. Sfortunatamente i pregiudizi spesso presen-ti nei confronpresen-ti della vitpresen-tima, molto spesso raffigurata come un

39S.VEZZADINI, La vittima del reato tra negazione e riconoscimento, Clueb, Bologna, 2006, p. 58.

(27)

22

to animato dal solo desiderio di rivalsa nei confronti del reo, hanno impedito la piena affermazione di queste strutture assistenziali.

Un Centro ancora oggi in funzione, che persegue gli scopi in questione si trova in Inghilterra: il “Victim support” di Bristol è at-tualmente impegnato a fornire assistenza psicologica e materiale a tut-te le vittime presenti all’intut-terno del tut-territorio nazionale. Questa Na-zione, particolarmente sensibile a questa tematica, ha contribuito alla nascita di altri centri di supporto legale, psicologico ed economico per gli offesi, soprattutto negli Stati Uniti e negli Stati dell’Europa Conti-nentale.

2.4. Una inscindibile interdipendenza tra le due forme di tutela

Le vicende criminose che si verificano all’interno di un territorio sono un chiaro strumento per verificare l’efficacia dei controlli posti in essere delle forze dell’ordine e degli interventi preventivi.

È importante e necessaria la interrelazione tra le tutele ex ante ed ex post, poiché attraverso la partecipazione delle persone offese dal reato al processo e l’attività di sostegno a loro favore si possono rea-lizzare interventi preventivi sicuramente più precisi ed efficaci. La vit-tima in tal modo diventa il punto di partenza per il controllo della si-curezza sociale e della prevenzione di ogni forma di vittimizzazione.

3. L’ingresso della vittima all’interno del processo penale

3.1 Dal Codice Rocco al Codice del 1988

Il ruolo giocato dalla persona offesa non è sempre stato lo stesso all’interno della storia legislativa.

(28)

23

Il Codice Rocco, improntato sul presupposto di escludere qual-siasi interferenza tra privati e azione penale 40, attribuiva in sostanza solamente due prerogative alla vittima: il potere più incidente ed in-tenso di proporre querela e quello marginale di presentare memorie, indicare elementi di prova e proporre indagini all’organo istruttore, specificando che da ciò potesse derivare alcun altro diritto nel proce-dimento (art. 306 c.p.p. 1930). La gestione dell’azione penale da parte del Pubblico Ministero risultava porsi “come un argine: solo al suo in-terno, solo nell’alveo da essa tracciato può trovare spazio e voce la fi-gura e la disciplina dell’offeso”.41

Con il Codice del 1988, di stampo accusatorio, vengono sanciti nuovi principi e introdotte notevoli novità e, a maggior ragione, con il d.lgs. n. 274 del 2000 che ha attribuito all’offeso il ruolo di parte me-diante l’esercizio dell’azione penale diretta dinanzi al giudice di pace, come verrà più ampiamente trattato in seguito.42

Nonostante sia rimasto fermo il potere esclusivo in capo al Pub-blico Ministero di esercizio dell’azione penale, questo vede segnato in modo più netto il ruolo di parte. Questo cambiamento ha comportato una minor severità nel concepire l’esercizio dell’azione penale dei privati come interferenze.

Il nuovo testo ha notevolmente esteso la tutela della persona of-fesa sotto molti punti di vista:

a) Prima di tutto, è stata posto in essere un ampliamento della categoria: ad oggi si comprendono nella nozione di persona

40 R.KOSTORIS, La tutela della persona offesa nel procedimento penale, in La vittima del rea-to, questa dimenticata, 2001, pp. 44-45.

41 Ibidem, cit., p. 45. 42 Vedi paragrafo 3.3.

(29)

24

sa, attraverso una fictio iuris43, i prossimi congiunti della vittima

de-ceduta a seguito di un reato. Inoltre sono stati estesi i medesimi diritti e facoltà riservati all’offeso anche agli enti cui per legge è stata rico-nosciuta la tutela degli interessi lesi dal reato.

b) La sfera dei poteri dell’offeso viene notevolmente am-pliata soprattutto durante la prima fase del procedimento penale, ossia le indagini preliminari.

c) La persona offesa, per non acquisendo il ruolo di parte, viene qualificata soggetto del processo e autonomamente disciplinata all’interno del Titolo VI del Libro I del Codice. Risulta quindi avere una nuova collocazione anche sul piano formale.

d) Tra i nuovi poteri dell’offeso annoveriamo la sua possi-bilità di nominare un difensore di fiducia e di farsi aiutare da consu-lenti tecnici (art. 360 e 392 c.p.p.). In aggiunta vengono notevolmente ampliate le attribuzioni in materia probatoria: la persona offesa divie-ne destinataria al pari dell’indagato dell’informaziodivie-ne di garanzia (art. 369 c.p.p.) e a seguito delle modifiche introdotte dalla l. 332/1995 può, su sua richiesta, ricevere comunicazione in ordine alle iscrizioni presenti nel registro delle notizie di reato. Tuttavia, se dalla consulta-zione del registro in questione viene a conoscenza della pendenza di un procedimento penale nei suoi confronti, può chiedere al pubblico ministero di promuovere incidente probatorio e avrà diritto di presen-ziare a quest’ultimo nel caso in cui venga esaminato un testimone o un’altra persona; inoltre il suo difensore può chiedere al giudice la possibilità di rivolgere domande a questi soggetti.

43 La “fictio iuris” o “finzione giuridica”, venivo spesso utilizzata nel diritto romano. Si tratta di un fenomeno giuridico, per il quale una norma viene applicata ad una fattispecie diversa da quella per cui era stata posta, fingendo che si siano verificati i presupposti di fatto di questa.

(30)

25

e) Considerevoli sono, infine, le novità attinenti alla tutela dell’offeso in ordine al tempestivo esercizio dell’azione penale. In-nanzitutto egli può intervenire nel procedimento di proroga delle in-dagini preliminari, essendo destinatario, a cura del giudice, della noti-ficazione della richiesta di proroga e dell’avviso della facoltà di pre-sentare memorie entro cinque giorni dalla notificazione; inoltre, se il giudice ritiene che allo stato degli atti non si debba concedere la pro-roga, fissa la data dell’udienza in camera di consiglio e ne fa dare av-viso a pubblico ministero, indagato e persona offesa. (art. 406 comma 3 e 5 c.p.p.). In aggiunta, l’offeso può partecipare insieme alla persona sottoposta alle indagini e al pubblico ministero alla udienza fissata dal g.i.p. che non accolga la richiesta di archiviazione e può anche opporsi a tale richiesta ,chiedendo la prosecuzione delle indagini, indicandone oggetto e relativi elementi di prova (art. 409 comma II e 410 comma I c.p.p.) ; può chiedere al procuratore generale l’avocazione delle inda-gini preliminari in caso di inerzia da parte del pubblico ministero e, infine, può chiedere a quest’ultimo di proporre impugnazione ad ogni effetto penale.

3.2 L’offeso e il danneggiato da reato: i nodi irrisolti

La persona offesa dal reato è quel soggetto del procedimento ti-tolare dell’interesse giuridico protetto, anche in modo non prevalente, da quella norma incriminatrice che si assume sia stata violata dal fatto storico di reato. Il diritto vigente prevede che questa possa assumere la qualifica di “parte” solo ed esclusivamente se, in veste di danneggiato da reato, esercita l’azione risarcitoria costituendosi parte civile. 44

Dunque all’interno di un processo penale, la parte offesa, ossia la per-sona titolare del diritto violato dal reo, può non coincidere con il

(31)

26

neggiato dal reato, ovvero “chiunque abbia riportato un danno eziolo-gicamente riferibile all’azione o all’omissione del soggetto attivo del reato”4546

Invero, in merito alla distinzione tra le due figure, l’idea condi-visa è di ricondurre i termini a concetti giuridicamente autonomi: «il danneggiato da reato è legittimato a proporre l’azione civile nel pro-cesso penale per il risarcimento danni che assume aver subito, indi-pendentemente dalle azioni proposte o proponibili dalla persona offe-sa, che restano autonome e distinte»47. Seguendo tale linea di pensie-ro, si può affermare che sussiste un “rapporto di complementarietà” tra offeso e soggetto danneggiato: solo in seguito all’esercizio dell’azione penale, le vesti ricoperte dai due soggetti mutano e la per-sona offesa acquista un ruolo più residuale. 48

Analizzando più nel dettaglio l’azione in questione, prima di tut-to dobbiamo puntualizzare che, ai sensi dell’art. 74 c.p.p., la legittima-zione al suo esercizio spetta “al soggetto49 al quale il reato ha arrecato

danno, ovvero ai suoi successori universali50, nei confronti dell’imputato e del responsabile civile51”.52

45 Cass. pen. sez., VI, 10.7.2000, in F.P.GUIDOTTI, Persona offesa e parte civile: la tutela

processuale, Giappichelli editore, Torino, 2001, p. 169.

46 L’orientamento dottrinale prevalente postula come unico requisito fondamentale l’aver su-bito un danno, ignorando la necessità di un rapporto immediato e diretto con esso: si tratta di una soluzione perfettamente aderente all’interpretazione delle norme, poiché nessuna previ-sione legislativa impone che il danno debba avere obbligatoriamente le sopracitate caratteri-stiche. Cfr. F.P. GUIDOTTI, Op. cit., p. 170.

47 Cass, pen. Sez. I, 12 aprile 2005, n. 13408, in A.ANCESCHI, La Costituzione di parte

civi-le nel processo penacivi-le, Giappichelli editore, Torino, 2009, p. 95.

48 T. BENE, La persona offesa tra diritto di difesa e diritto alla giurisdizione: le nuove

tenden-ze legislative, articolo in ArchivioPenale.it, maggio-agosto 2013, fasc. 2 anno LXV, pp.

487-507.

49 E quindi anche da un ente collettivo, sprovvisto di personalità giuridica. 50 Locuzione idonea a ricomprendere anche le situazioni successorie fra enti.

51 Per responsabile civile si intende quella persona fisica o ente plurisoggettivo anche privo di personalità giuridica che, ai sensi dell’art. 185, comma II c.p., “è tenuto, a norma delle leggi civili, a rispondere per il fatto dell’imputato”.

(32)

27

Quanto ai rapporti tra azione civile e penale, l’art.75 dispone una relazione di autonomia tra le due: all’interno del comma I, il legi-slatore ha inserito la disciplina della trasferibilità in sede penale dell’azione esercitata dinanzi al giudice civile, contemplando la possi-bilità di trasferimento fino a quando all’interno del processo civilistico non venga emessa sentenza di merito anche non definitiva e puntua-lizzando che l’esercizio di tale facoltà comporta la rinuncia agli atti del giudizio azionato in sede privata. Degno di nota è soprattutto il II comma del medesimo articolo, il quale sottolinea la piena prosecuzio-ne e autonomia di un’azioprosecuzio-ne civile che “non è stata trasferita prosecuzio-nel pro-cesso penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costitu-zione di parte civile”; solo in via eccezionale, ex III comma, il proces-so civile deve rimanere proces-sospeproces-so in attesa del giudicato penale nei casi in cui l’azione sia stata esercitata in sede civilistica dopo sentenza pe-nale di primo grado o dopo la precedente costituzione di parte civile nel processo penale, fatte salve “le eccezioni previste dalla legge”.53

L’art. 76, comma I c.p.p., prevede la modalità di esercizio dell’azione in esame, affermando che questa può essere posta in esse-re, anche a mezzo di procuratore speciale, mediante la costituzione di parte civile, la quale, precisa il II comma della stessa disposizione, produce effetti in ogni stato e grado del processo. Invero solo attraver-so l’esercizio dell’azione il danneggiato assume il ruolo di parte nel processo penale, e per questo motivo è connotata dal requisito dell’eventualità. Quanto alla capacità processuale della parte civile, ai sensi dell’art. 77, “le persone che non hanno il libero esercizio dei di-ritti, non possono costituirsi parte civile nel processo penale se non sono rappresentate, autorizzate od assistite nelle forme previste per le

52 G.CONSO,V.GREVI,M.BARGIS (a cura di), Compendio di procedura penale, settima ed., CEDAM, Padova, 2014, p.121.

(33)

28

azioni civili”54; i commi II e III dell’art. 77 invece, contemplano due

correttivi per i casi in cui risulta impedito l’inserimento dell’azione ci-vile nel rito penale: si dispone la necessaria nomina di un curatore speciale nelle ipotesi in cui sia assente la persona cui spetterebbe la rappresentanza o l’assistenza e ricorrano ragioni urgenti e nei casi in cui sussista un conflitto di interessi tra l’incapace e il suo rappresen-tante legale; inoltre il IV comma del suddetto articolo prevede, solo sul presupposto di “assoluta urgenza”, che sia il pubblico ministero ad esercitare l’azione civile nell’interesse del minore o dell’infermo di mente, finché non subentri il rappresentante legale o il curatore di cui all’art. 77 comma II, c.p.p.55

Le formalità che devono essere osservate per la regolare costitu-zione vengono sancite dall’art. 78 c.p.p.: oltre e unitamente alla procu-ra, è necessaria la dichiarazione di costituzione che deve essere pre-sentata in udienza o depositata presso la cancelleria del giudice proce-dente e deve contenere determinate indicazioni stabilite dalla legge ( I comma); se presentata fuori udienza, deve essere notificata dalla parte civile a pubblico ministero e imputato, producendo effetti per ciascuna di esse dalla data in cui la notificazione è stata posta in essere ( II comma); qualora la procura non sia stata apposta in calce o a margine della dichiarazione di cui sopra e sia stata conferita nelle altre forme disposte all’art. 100, commi I e II56, c.p.p., essa è depositata in

cancel-leria o presentata in udienza assieme alla dichiarazione. Per quanto ri-guarda i termini, l’art. 79, comma I, c.p.p. dispone che la costituzione di parte civile debba avvenire “per l’udienza preliminare” e, dunque,

54 la norma si rivolge a minori, interdetti, persone giuridiche e rimanda in modo diretto alle norme relative la loro rappresentanza dettate in materia civile.

55 Ivi, p. 122.

56 La procura speciale, ai sensi dell’art. 100, comma I, c.p.p., viene conferita “con atto pubbli-co o scrittura privata autenticata dal difensore o da altra persona abilitata”; inoltre può anche apposta in calce o a margine della dichiarazione di costituzione di parte civile e di altri atti: in tali circostanze l’autografia della sottoscrizione della parte è certificata dal difensore (art. 100, comma II, c.p.p.)

(34)

29

anche in precedenza ad essa, basta che il pubblico ministero abbia già esercitato l’azione penale57; il termine finale è invece previsto a pena

di decadenza e coincide con il momento in cui il giudice del dibatti-mento di primo grado esegue gli accertamenti in ordine alla regolare costituzione delle parti di cui all’art. 484 c.p.p. (art. 79, comma II, c.p.p.). Tuttavia, occorre precisare che la costituzione di parte civile non impone in ogni caso una stabile permanenza della stessa all’interno del processo, poiché il nostro sistema processuale penale prevede la possibilità sia di una revoca volontaria della parte medesi-ma, sia di una sua eventuale esclusione. Le cause di esclusione sono contemplate all’interno degli artt. 80-81 c.p.p.: la prima ipotesi è quel-la che può essere domandata da pubblico ministero, imputato o re-sponsabile civile, in presenza di motivi di illegittimità come l’assenza di un danno risarcibile o la tardività della costituzione; si tratta di una domanda su cui il giudice ha l’obbligo di decidere con ordinanza. Il secondo caso invece è quello disposto, sempre con ordinanza inoppu-gnabile e prima dell’apertura del dibattimento di primo grado,

ex-officio dal giudice qualora accerti che non sussistono i requisiti

previ-sti ex-lege per la coprevi-stituzione in esame. Infine, la disciplina del reces-so spontaneo, espresreces-so o tacito, è contenuta nell’art. 82, commi I e II, c.p.p.: quanto alla revoca palese, si prevede che questa possa aver luo-go in ogni stato o grado del procedimento in corso attraverso una di-chiarazione resa personalmente o a mezzo di procuratore speciale, la quale può assumere una forma orale, se resa in udienza, o essere inse-rita in un atto scritto da depositare presso la cancelleria del giudice procedente e notificare alle altre parti; il recesso tacito invece si con-cretizza non presentando le conclusioni in sede dibattimentale a norma dell’art. 523 c.p.p. oppure promuovendo l’azione dinanzi al giudice

57 La previsione quindi esclude la possibilità per il danneggiato di partecipare alla fase inziale delle indagini preliminari. Invero, solo se riveste contemporaneamente anche la qualità di of-feso da reato può avvalersi dei diritti e facoltà che la legge riconosce in capo a quest’ultimo.

(35)

30

civile. Al di là della forma scelta, rimane ferma la regola generale in base alla quale la revoca della costituzione di parte civile non impedi-sce in seguito l’esercizio dell’azione risarcitoria in ambito civilistico.

58

Il reato, oltre ad arrecare pregiudizio a un bene giuridico, può aver provocato concretamente un danno. Le restituzioni e il risarci-mento danni vengono contemplate all’articolo 185, I e II comma c.p., il quale recita:

“Ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili” “Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale59, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui”. 60

Dunque, si evince che l’illecito civile e l’illecito penale derivano dal medesimo titolo, ossia dal fatto di reato.

All’interno del secondo comma si parla di danno sia patrimonia-le che non, pertanto la parte civipatrimonia-le può non solo domandare il ristoro di quel pregiudizio risultante dalla concreta diminuzione di ricchezza materiale commisurabile economicamente, ma anche richiedere il ri-sarcimento di ingiusti turbamenti conseguiti alla sfera psichica e di tutti i danni a beni come l’onore o la reputazione derivanti dell’illecito penale. La richiesta di risarcimento del danno morale, in virtù delle sue caratteristiche, non può che essere rigorosamente personale: tale connotato consente la legittimazione all’esercizio dell’azione anche alle persone giuridiche che hanno subito danni ad esempio al prestigio

58 G.CONSO,V.GREVI, M.BARGIS (a cura di), 2014, pp. 123-125.

59 Si pensi, ad esempio, al reato di lesioni personali (art. 582 c.p.) dove il danno consiste nelle perdite patrimoniali, nelle sofferenze subite e nel pregiudizio alla salute subito dalla vittima. Dunque in questa ipotesi riscontriamo danni patrimoniali, morali e biologici.

60 Ricordiamo che l’art. 2059 c.c. limita la risarcibilità del danno morale ai “casi determinati dalla legge”: uno di questi è proprio l’art. 185, II comma, c.p.

(36)

31

o all’identità personale a seguito del fatto criminoso. La Giurispruden-za Costituzionale ha inoltre esteso il concetto di danno morale, facen-do rientrare all’interno di tale nozione anche ulteriori pregiudizi come quello biologico. Le problematiche attinenti al danno di natura biolo-gica sono state definitivamente risolte dalla Corte con una sentenza in-terpretativa di rigetto emessa a seguito di una questione di costituzio-nalità dell’art. 2059 c.c. di cui era investita: la Consulta ha individuato il danno in questione e ha ammesso la sua risarcibilità in via autonoma e anche al di fuori dei casi in cui si sia ripercosso sul danno patrimo-niale o morale. Le questioni attinenti al danno ambientale sono più complesse a causa della lunga controversia dottrinale e giurispruden-ziale sulla tematica della legittimazione alla costituzione di parte civi-le degli enti esponenziali: sinteticamente si può affermare che, in tacivi-le ambito, la parte civile avente diritto alle restituzioni e al risarcimento è una persona giuridica pubblica, pertanto gli enti in questione possono esercitare l’azione acquiliana solo in ipotesi di lesioni concretamente subite, indipendentemente dal loro intervento a tutela di interessi dif-fusi e collettivi di tutela ambientale.61

Passiamo all’esercizio dell’azione civile all’interno del processo penale. I principi non espressi su cui si fonda sono sostanzialmente due: l’azione civile rimane “ospite” all’interno del procedimento pena-le ed è ancorata alpena-le regopena-le disciplinanti quest’ultimo.

Grazie alla prima caratteristica sopra menzionata, l’azione civile mantiene la sua natura e i suoi connotati. Essa rimane facoltativa e di-sponibile e invero il danneggiato può, in qualsiasi momento del pro-cesso, decidere di revocare la costituzione. 62

61 F. P.GUIDOTTI, Op. cit., pp. 174-177.

62 Si pensi, ad esempio, all’ipotesi in cui il danneggiato in veste di parte civile stipula una transazione con l’imputato una transazione sul risarcimento dovuto.

(37)

32

Tuttavia, nonostante il principio della “prevalenza della norma-tiva del processo penale”, alla parte civile è riservato un autonomo di-ritto di ricerca e ammissione della prova in ordine ai pregiudizi subiti. Ricordiamo infine che il giudice nel condannare a risarcimento l’imputato, non può oltrepassare la quantità di reintegrazione doman-data dalla parte civile.

Passiamo alle questioni irrisolte legate al rapporto tra le due fi-gure, persona offesa dal reato e danneggiato.

Il Codice del 1988, come abbiamo esposto, ha ampliato note-volmente il ruolo della persona offesa nella fase delle indagini preli-minari e nell’ambito delle procedure di controllo sull’esercizio dell’azione penale.

Il danneggiato da reato, invece, risulta esser estromesso dalla fa-se investigativa e potrà intervenire in processo, efa-sercitando tutti i dirit-ti che la legge prevede per le pardirit-ti di quella fase, attraverso la cosdirit-titu- costitu-zione di parte civile dopo l’esercizio dell’acostitu-zione penale, proprio nel momento in cui i poteri dell’offeso ormai si avvicinano ad eclissarsi.

63

Dunque, il legislatore ha stabilito che solo a seguito dell’esercizio dell’azione penale possa essere praticata l’altra azione, lasciando privo di protezione il danneggiato per tutta la fase investiga-tiva.

Questa scelta normativa è stata e viene tutt’ora accettata per il fatto che, secondo le statistiche, molto spesso l’offeso e la persona che ha subito un danno risarcibile coincidono soggettivamente e dunque, nella maggior parte delle ipotesi, i poteri che competono all’una e all’altra persona si integrano. Nonostante che la coincidenza dal punto

(38)

33

di vista soggettivo delle due figure si verifichi molto spesso, rimane ancora oggi irrisolta e priva di adeguata tutela la situazione del dan-neggiato da reato che non ricopre al contempo la veste di persona of-fesa.

La persona che subisce un danno risarcibile, nonostante sia una figura sconosciuta ai sistemi penali ispirati al modello accusatorio, è stata mantenuta all’interno del nostro ordinamento seguendo la tradi-zione di origine francese.

L’azione processuale della parte civile mira all’accoglimento di una domanda di tipo civilistico, precisata in sede di presentazione del-le conclusioni: gli interpreti concordano nel ritenere che l’esercizio dell’azione civile in sede penale sia visto con poco favore nel sistema: essendo portatrice di un interesse esclusivamente privato, l’intervento può appesantire l’iter processuale e di conseguenza rappresentare un ostacolo per una rapida definizione del processo. 64

L’esercizio dell’azione civile nel processo penale ha suscitato numerose critiche dottrinali, volte a “censurare l’introduzione e l’azione, nel giudizio, di una «figura anomala, ibrida, che esercita una cripto-accusa»”: si tratta di orientamenti legati spesso all’ “apparente convinzione che solo al reo-indagato-imputato-condannato debbano prestarsi garanzie”65

Non a caso sono presenti numerose congetture che mirano ad evitare l’esercizio della domanda risarcitoria in sede penale: si pensi, ad esempio, all’assenza di un meccanismo che metta a conoscenza il danneggiato dal reato dell’istaurazione del processo penale, non

64 G.P.VOENA, La tutela del danneggiato nel processo penale, in La vittima del reato, questa

dimenticata, 2001, p. 59.

Riferimenti

Documenti correlati

11, "Misùre urgenti in rnateria di sicurezza pubblica e dj contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori", che norma tra le

Sotto la spinta propositrice delle associazioni di volontariato delle persone affette da diabete mellito, il problema viene fatto emergere con evidenza e molte UUSSLL iniziano a

Secondo l’impostazione accolta nell’ambito della Scuola Classica, quindi, si è assistito al passaggio da un diritto penale che affidava alla vittima un

Tale differenza nella produzione dei rifiuti non può essere attribuita alla durata dei ricoveri: benché al- l’Ismett si eseguano quasi esclusivamente trapian- ti, la durata media

Signora Presidente, il primo commento che ci sentiamo di fare e`: «finalmente!»; un’esclamazione per salutare l’intro- duzione nel nostro ordinamento giuridico di una fattispecie

Tale assolutezza e inderogabilità «delegittima alla radice qualunque tentativo dei governi degli Stati di giustificare atti di tortura, in nome della particolare situazione

Nei casi di cui al comma 1 il cittadino straniero è estradato verso lo Stato nel quale è in corso il procedimento penale o è stata pronunciata sentenza di