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Il Consiglio d’ Europa: la tutela processuale della vittima alla luce

1. La tutela europea della vittima: le fonti che valorizzano la figura

1.5 Il Consiglio d’ Europa: la tutela processuale della vittima alla luce

Il Consiglio d’Europa (CdE) è un’organizzazione internazionale i cui scopi principali sono promuovere la democrazia, i diritti umani, l’identità culturale europea e ricercare soluzioni ai problemi sociali in Europa. Si tratta di un organismo estraneo all’Unione Europa e infatti va tenuto distinto da organi di quest’ultima quali il Consiglio dell’Unione Europea o il Consiglio europeo.

137 Ivi. p. 114-115. 138 Ivi p. 116-117.

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L’ istituzione ha mostrato particolare interesse per il tema della tutela della vittima del reato, in particolare per la protezione delle c.d. “supervittime”, quali donne e bambini.

Degni di analisi sono due suoi importanti accordi, la Conven- zione di Istanbul e quella di Lanzarote, volti rispettivamente a tutelare le donne dalle molteplici forme di violenza e i minorenni dai delitti che ne offendono la sfera sessuale. Si tratta di due fonti fondamentali di ispirazione per il Legislatore nazionale sull’argomento in esame, che hanno anticipato le tematiche poste ai Legislatori nazionali con la direttiva 29/2012/UE, richiedendo agli ordinamenti di attuare previ- sioni, seppure di natura speciale, rivolte nei confronti di determinate tipologie di persone offese: si è dunque prospettata e accentuata la necessità soggettiva di protezione in alcuni tipi di reato che, a causa delle caratteristiche che presentano, pongono la vittima in oggettive condizioni di debolezza meritevole di essere neutralizzata da regole di accertamento processuale ad hoc.139

La Convenzione per la protezione dei bambini contro lo sfrutta- mento e gli abusi sessuali, nota come “Convenzione di Lanzarote” in forza del luogo in cui è stata aperta alla firma il 25 ottobre 2007, rati- ficata in Italia con la L. n.172 del2012, punta a fornire un complesso di norme idoneo a prevenire e reprimere diversi fenomeni di sfrutta- mento sessuale, in particolar modo la prostituzione e la pornografia. Si vogliono fornire strumenti processuali in grado di soddisfare le esi- genze di verità e giustizia animanti la vittima e i suoi prossimi con- giunti e, contemporaneamente, cercare di coinvolgere il meno possibi- le la persona offesa minorenne all’interno del circuito penale.

139 D.FERRANTI, Brevi riflessioni sulla vittima del reato, in vista del recepimento della diretti- va 2012/29/UE, in Cass. Pen, fasc. 10, 2015, p.3415B.

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Secondo i dati UNICEF del 2015, circa due milioni di bambini sono ogni anno utilizzati nell’ “industria del sesso”; su internet esisto- no più di un milione di immagini di 10/20.000 bambini abusati ses- sualmente e di questi solo poche centinaia sono identificati. Il resto sono anonimi, abbandonati e molto probabilmente oggetto spesso di abuso.140

Dunque si tratta di un fenomeno suscitante un forte allarme so- ciale, il quale ha portato il Consiglio a perseguire tre obiettivi fonda- mentali attraverso la Convenzione: la prevenzione di fatti come sfrut- tamento e abuso sui minori, la tutela dei diritti delle vittime di questo genere di reati e, infine, la cooperazione nazionale e sovranazionale contro fenomeni di questo tipo.

L’accordo innanzitutto prevede un’identificazione dei destinatari della disciplina, qualificando come bambino “ogni persona di età infe- riore ai diciotto anni” (art. 3 lett. a) e come vittime “tutti i bambini soggetti passivi di sfruttamento o abusi sessuali (art. 3 lett. c). Sono quindi i minorenni “vittime vulnerabili” ad essere oggetto di interesse, senza discriminazione legata a sesso, religioni, opinioni politiche, condizioni di tipo economico o personale di vario genere.

Per quanto riguarda il contenuto, la Convenzione si muove lun- go due assi processuali portanti: “fare del processo uno strumento di tutela processuale della vittima e, al contempo, proteggere la vittima dalla violenza del processo”.141

Partiamo dal primo pacchetto di norme dedicate alla difesa della vittima per mezzo del processo penale: all’interno sono presenti nu- merose previsioni volte a garantire che i minori pregiudicati da fatti

140 Cfr.L.LUPARIA, Op. cit., p. 31. 141 Ivi, p. 33.

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criminosi a sfondo sessuale siano agevolati nella difesa e nel ripristi- no, per quanto possibile, dei diritti violati.

Per esempio, l’art. 31, comma 1, lett. a prevede che in tutti gli stadi delle indagini e dei procedimenti penali, gli Stati devono tenere le vittime “informate sui propri diritti e sui servizi a loro disposizione e, a meno che non vogliano ricevere tali informazioni, sui seguiti della loro denuncia, sui capi di accusa e in generale, sull’andamento delle indagini o del procedimento e sul loro ruolo in tale ambito.

Si tratta di una previsione particolarmente rilevante per il minore in quanto persegue anche l’obiettivo di tutelarla dal processo, garan- tendogli il c.d. “diritto all’oblio”, ossia la possibilità di tenersi lontano dalla sede processuale e dalle informazioni che la riguardano.

Sempre all’interno dell’art. 31, ma alle lett. c e d, sul piano della tutela attraverso il processo, si chiede agli Stati di far sì che le vittime vengano ascoltate, possano fornire elementi di prova, abbiano la pos- sibilità di fare presenti loro esigenze o bisogni alle autorità competenti e abbiano “un’assistenza appropriata affinché i loro diritti e i loro inte- ressi siano debitamente presentati e tenuti in conto”.

Il secondo nucleo di norme volte a garantire una tutela dalla vio- lenza del processo è molto più ricco, indubbiamente anche per la cate- goria particolarmente vulnerabile di soggetti che l’accordo si prefigge di tutelare.

Possiamo ricordare al riguardo, nell’evidente intento di garantire una protezione dell’incolumità personale delle vittime di questi reati in situazioni presumibilmente pericolose, la lett. b dell’art. 31 che im- pone agli Stati membri di assicurare “almeno nei casi in cui le vittime e le loro famiglie si trovino in una situazione di pericolo, che possano essere informate, se necessario, di qualsivoglia rimessa in libertà, temporanea o definitiva, della persona perseguita o condannata”.

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Altra norma a schermo protettivo inserita all’interno della Con- venzione è l’art.32, il quale prescrive di svincolare la perseguibilità dei reati stabiliti dall’accordo dalla manifestazione della volontà della vittima, facendo continuare il procedimento anche qualora quest’ultima decida di ritrattare. Si tratta, senza dubbio, di una dispo- sizione volta a declassare le scelte processuali dell’offeso, prediligen- do politiche di totale natura pubblicistica. 142

Il documento in analisi mette in primo piano la protezione pro- cessuale della vittima vulnerabile, pur mantenendo, comunque, un oc- chio di riguardo per i diritti dell’imputato.

Invero all’art.34 si dispone di assicurare che i provvedimenti adottati in conformità della Convenzione “non pregiudichino i diritti alla difesa e l’esigenza di un processo equo e imparziale, in conformi- tà dell’art. 6, comma II, CEDU.

Il secondo prodotto del Consiglio europeo degno di nota è la Convenzione di Istanbul143, anche essa così designata in virtù del Pae- se in cui è stata aperta alla firma l’11 maggio del 2011.

L’accordo, sottoscritto nel nostro ordinamento il 27 settembre 2012144 , è composto da Preambolo e 81 articoli; si occupa della pre- venzione e della lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica145.

Al pari della Convenzione di Lanzarote, anche in queste sede, si cerca di delimitare i destinatari della disciplina e definire il concetto di

142 Ivi, p. 37.

143 La Convenzione in commento, per entrare in vigore, necessita della ratifica di almeno 10 Stati, di cui 8 devono essere membri del Consiglio d’Europa: ad oggi è stata firmata da 32 Paesi e ratificata da 8, pertanto non è ancora entrata in vigore.

144 Poi il Parlamento ha autorizzato la ratifica con la L. n.77/2013.

145 Come vedremo nei nel Capitolo 3, anche il decreto legge n.93/2013 convertito in L. 15 ottobre 119/2013 ha attuato parte della Convenzione in analisi.

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violenza di genere: essa consiste in “qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale o che colpisce le donne in maniera spropor- zionata”. Dunque la normativa si rivolge a tutte le persone fisiche, di sesso femminile, anche minorenni, che subiscono atti o comportamen- ti violenti che “provocano o sono suscettibili di provocare danni o sof- ferenza di natura fisica, sessuale, psicologica, economica146 comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitra- ria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata”. 147

“Le donne, in quanto genus storicamente contrapposto a quello maschile, sono spesso vittime di radicati disequilibri sociali e cultura- li, a loro volta generatori di meccanismi di sopraffazione violenta da parte degli uomini, che si traducono in forme di molestie sessuali, vio- lenza domestica, mutilazione dei genitali, matrimoni forzati e altri fatti criminosi violenti di vario genere”. 148

La Convenzione all’art.3 precisa che la violenza contro le donna è una violazione dei diritti umani nonché una forma di discriminazio- ne contro le donne e si occupa di fronteggiare tutte queste situazioni in un’ottica sia preventiva che protettiva, spronando un coordinamento tra le autorità giudiziarie e una cooperazione tra varie organizzazioni extraprocessuali (servizi sociali, associazioni della società civile) al fine di assistere, prevenire e eliminare questi brutali eventi nei con- fronti di tutte le persone di sesso femminile. Un’attenzione particolare all’interno del testo è riservata alla violenza domestica: all’interno del preambolo viene sottolineato che i soggetti che subiscono danni da questo tipo di fatti aggressivi non sono solo le donne, ma anche i bambini, in virtù del loro essere testimoni di ciò che succede

146 Tale tipo di violenza consiste nel limitare o negare l’accesso alle finanze familiari ovvero negare l’accesso o l’abbandono del lavoro svolto dalla donna.

147 AA.VV. M.BARGIS E H.BELLUTA (a cura di), Op. cit., p. 71. 148Cfr.L.LUPARIA, Op. cit., p. 39.

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all’interno del loro nucleo familiare, subendo spesso conseguenze sul piano sia emotivo che psichico. Viene data anche una definizione del- la violenza in questione: per essa si intendono “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o nel nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivi- da o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima” (art. 3 lett. b). Dal punto di vista soggettivo si prevede che con il termine “vittima” in questo caso ci si riferisce a “qualsiasi persona fisica che ha subito atti o comportamenti di violenza di cui sopra” (art. 3 lett. e).

Come la Convenzione di Lanzarote, anche il documento in esa- me presenta una bipartizione interna: distinguiamo norme volte a pro- teggere la vittima attraverso il processo e misure di tutela della vittima dal processo.

Partendo con la prima categoria, meritevole di nota è l’art. 50, che prevede l’obbligo per gli Stati membri di svolgimento delle inda- gini “senza indugio ingiustificato, prendendo in considerazione i diritti della vittima in tutte le fasi del procedimento penale”.

Ricordiamo poi i vari doveri informativi nei confronti della per- sona offesa da reati violenti contenuti nell’ art. 56, quali il dovere di informazione in ordine ai suoi diritti, ai servizi a sua disposizione, all’andamento delle indagini e del procedimento penale e al suo ruolo all’interno di esso.

Sono presenti all’interno della Convenzione di Istanbul anche ulteriori norme volte all’esclusiva sicurezza delle vittime in pericolo: per esempio l’art.52 impone “alle Parti di creare condizioni legislative per poter adottare, in situazioni di pericolo immediato, misure cautela- ri di allontanamento urgente del reo dalla residenza della vittima o, comunque, dalla sua persona”. Lo scopo è impedire di avere contatti con la persona offesa avvicinandosi all’abitazione.

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Sul versante della tutela della vittima dal processo, all’interno dell’accordo, possiamo riscontrare quello che viene chiamato “noccio- lo duro di norme a tutela di tutte le persone offese”, una sorta di “piat- taforma comune di garanzia e protezione per tutte le tipologie di vit- tima”149 presente anche nel testo della Convenzione di Lanzarote : si

pensi, ad esempio, al dovere di protezione delle vittime ,delle loro fa- miglie e dei testimoni dal rischio di intimidazione, rappresaglie e ulte- riori vittimizzazioni ( art. 56, comma I, lett. b) o alla necessità di sal- vaguardare la vita privata e l’immagine della vittima ( art. 56, comma I, lett. f) , alla prescrizione di evitare- ove possibile- contatti tra vitti- ma e reo all’interno dei tribunali e uffici di servizio ( art. 56, comma I, lett. g) e di predisporre, in sede processuale, esami a distanza della vit- tima ( art. 56, comma I, lett. i).

Oltre al “nocciolo duro”, riscontriamo alcune previsioni tra cui, ad esempio, quelle che destano particolare interesse per la tutela delle sfere più intime e personali delle donne colpite da violenza di genere: si richiede, invero, agli Stati di far si che, nei procedimenti sia civili che penali, le prove concernenti i fatti sessuali e le condotte subite vengano ammesse solo se necessarie e pertinenti. Inoltre, in via ecce- zionale, all’interno dell’art. 30 viene disposta una tutela risarcitoria surrogatoria in capo allo Stato: per coloro che hanno subito pregiudizi fisici o biologici da questo genere di fatti violenti, qualora la ripara- zione dei danni non venga garantita da altre fonti quali l’autore del reato, un’assicurazione o servizi medici e sociali finanziati dallo Stato, il ristoro deve essere posto in essere da quest’ultimo, entro un termine adeguato e ragionevole, avendo diritto di rivalsa nei confronti del col- pevole.150

149 Cfr. L.LUPARIA, Op.cit., p. 42. 150 Cfr. Ivi, p. 43.

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Come indicato in precedenza, le Convenzioni sopra esaminate sono state rispettivamente attuate nel nostro ordinamento dalla L. 1° ottobre 2012, n. 172 e dal d.l. 14 agosto 2013, n. 93.

Tuttavia questi interventi riformisti del biennio 2012-2013 di- mostrano una “fatica del legislatore italiano nel soddisfare le esigenze della vittima, che in realtà si traduce in un ennesimo intervento di tipo casistico, destinato a creare irragionevoli disparità di trattamento lesi- ve dell’articolo 3 del nostro testo Costituzionale”151. Si pensi, ad

esempio, all’articolo 408, comma III-bis, c.p.p. che solo nei procedi- menti penali aventi ad oggetto delitti di violenza contro la persona prevede la possibilità di elevare a venti giorni il termine di proposi- zione di opposizione alla richiesta di archiviazione152; anche gli artico-

li 398 comma V-bis e 498 comma IV-quater c.p.p. prevedono ipotesi derogatorie alle ordinarie forme di esame, stabilendo che l’esame del testimone maggiorenne, che versa in condizione di particolare vulne- rabilità ( desunta anche solo da caratteristiche oggettive), possa essere posto in essere secondo i nuovi modelli protetti inseriti all’interno de- gli articoli sopra citati.

Dunque, il quadro analizzato in questo paragrafo ha avuto senza dubbio bisogno di una riforma normativa volta a introdurre un vero e proprio Statuto della vittima del reato. La direzione verso questo obiettivo è iniziata con la direttiva 2012/29/2012 e tuttora è in atto.

151 Cfr. AA.VV., M.BARGIS E H.BELLUTA (a cura di), Op. cit., p. 80. 152 Con la recentissima Riforma Orlando elevato a trenta giorni.

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