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Il settore della depurazione delle acque reflue e del trattamento dei liquami: il caso G.I.D.A. S.p.A. e un’analisi empirica dei grossisti toscani

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Indice

Introduzione 3

1. IL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO, LA DEPURAZIONE E IL

TRATTAMENTO LIQUAMI 8

1.1 Considerazioni introduttive 8

1.2 L’acqua nel diritto europeo 10

1.3 La normativa in Italia 12

1.4 Ripartizione delle competenze 16

1.5 Autorizzazione integrata ambientale 18

1.6 Metodo tariffario del sistema idrico integrato 19

1.7 Depurazione acque reflue 22

2. DINAMICHE STRATEGICHE NEL BUSINESS DELLA DEPURAZIONE

E TRATTAMENTO LIQUAMI ALL’INGROSSO IN TOSCANA 25

2.1 Il modello toscano 25

2.2 I servizi all’ingrosso 29

2.3 Strategie tariffarie per i grossisti 32

2.4 Analisi delle forze competitive nel settore della depurazione e trattamento

liquami all’ingrosso 36

3. IL CASO G.I.D.A. S.P.A. 43

3.1 G.I.D.A. S.p.A. 43

3.2 Analisi della strategia di G.I.D.A. S.p.A. 47

4. ANALISI STRATEGICA DEI GROSSISTI IN TOSCANA 52

4.1 Il campione di aziende 52

4.2 Acque Industriali S.r.l. società unipersonale 58

4.2.1 Acque Industriali S.r.l. società unipersonale analisi bilanci 2010-2014 61

4.3 Aquapur Multiservizi S.p.A. 62

4.3.1 Aquapur Multiservizi S.p.A. analisi bilanci 2010-2014 65

4.4 BIO-ECOLOGIA S.r.l. 66

4.4.1 BIO-ECOLOGIA S.r.l. analisi bilanci 2010-2014 68

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2

4.6 Coger S.r.l. 72

4.7 Integra Concessioni S.r.l. 74

4.7.1 Integra Concessioni S.r.l. analisi bilanci 2010-2014 76

4.8 Valdera Acque S.r.l. 77

4.9 Considerazioni sul campione di aziende 79

4.10 Conclusioni sul campione toscano 83

CONCLUSIONI 84

BIBLIOGRAFIA 89

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3

Introduzione

Il presente lavoro di tesi ha per oggetto l’analisi del settore della depurazione delle acque reflue e del trattamento dei liquami e si pone l’obiettivo di interpretare le dinamiche competitive e le strategie adottate da alcune piccole aziende che operano in questo settore come grossisti in Toscana.

La nascita del settore della depurazione è dovuta ad una crescente sensibilità nei confronti del bene acqua e, conseguentemente, ad una maggiore attenzione verso le modalità attraverso le quali viene esercitata la gestione di tale risorsa.

Infatti l’acqua viene utilizzata in grandi quantitativi sia per le attività sociali, produttive e ricreative in ambito urbano; che per le attività di produzione industriale. La conseguenza diretta dell’utilizzo di tale risorsa è la generazione di scarichi che, per poter essere restituiti all’ambiente, devono necessariamente essere sottoposti ad un trattamento depurativo poiché i recapiti finali come il terreno, il mare, i fiumi e i laghi non sono in grado di ricevere una quantità di sostanze inquinanti superiore alla propria capacità autodepurativa senza vedere compromessi i normali equilibri dell’ecosistema. Il processo volto alla decontaminazione di tali acque, viene definito trattamento delle acque reflue (o depurazione delle acque reflue) e consiste in una serie di procedimenti volti alla rimozione dei contaminanti da un’acqua reflua di origine urbana o industriale, ovvero di un effluente che è stato contaminato da inquinanti di natura organica o di natura inorganica e chimica.

Nel nostro lavoro ci occuperemo in particolare di aziende che svolgono attività all’ingrosso, quindi di società che svolgono alcune delle attività relative alla gestione della risorsa idrica per conto dei Gestori1 nei comuni dove quest’ultimi non possono offrire un servizio di qualità. Queste aziende si occupano principalmente del trattamento di:

 acque reflue industriali e civili;

 fanghi derivanti dal processo di depurazione;

 liquami provenienti dallo spurgo delle fosse settiche e il percolato di discarica.

1 I gestori sono colori che sono stati incaricati della gestione di tutte le attività relative il Servizio Idrico

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Per quanto riguarda il ciclo depurativo delle acque reflue, sia di natura domestiche che industriali, il processo si svolge per mezzo di una combinazione di più procedimenti che possono essere di natura chimica, fisica e biologica.

Negli impianti di depurazione tradizionali, a servizio di uno o più centri urbani (impianti consortili) sono di norma trattate diverse tipologie di acque reflue che possono essere suddivise nelle seguenti categorie:

 acque reflue domestiche; “acque reflue provenienti da insediamenti di tipo residenziale e da servizi e derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da attività domestiche” D. Lgs 152/06 - art. 74, comma 1 lett.g. Queste sono acque che si originano nell’esercizio delle normali attività domestiche quali, cucinare lavare o eseguire attività del tempo libero o modesti lavori e provengono da abitazioni residenziali;

 acque reflue urbane; “il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue industriali, e/o di quelle meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche separate, e provenienti da agglomerato” D. Lgs 152/06 - art. 74, comma 1 lett.i. Queste acque provengono da agglomerati e comprendono diverse tipologie di acque reflue che “viaggiano” all’interno delle fogne. Tra queste vi sono le acque di ruscellamento, che sono quelle provenienti dal lavaggio delle strade e le acque pluviali. Contengono, in concentrazione diversa, le stesse sostanze presenti nei reflui domestici ma inoltre possono presentare una serie di microinquinanti quali gli idrocarburi, i pesticidi, i detergenti i detriti di gomma ecc. Una delle principali caratteristiche dei reflui urbani è la biodegradabilità, che ne rende possibile la depurazione attraverso trattamenti biologici;

 acque reflue industriali; “qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento, intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento” D. Lgs 152/06 - art. 74, comma 1 lett.h. Sono acque che dunque si originano dalle lavorazioni industriali che vengono svolte all’interno degli stabilimenti;

 acque reflue industriali assimilabili alle domestiche; “acque reflue provenienti da installazioni commerciali o produttive che per legge oppure per particolari

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5

requisiti qualitativi e quantitativi, possono essere considerate come acque reflue domestiche” (art. 101 co. 7 d.lgs 152/06).

I fanghi provenienti dallo scarto del ciclo di depurazione delle acque, possono essere spesso contaminati con sostanze tossiche per l’ambiente. Tali fanghi contengono, in concentrazione superiore rispetto alle acque reflue, sostanze inorganiche ed organiche in gran parte biodegradabili che ne rendono possibile il trattamento di natura biologica. Possono quindi essere depurati anch’essi tramite una serie di trattamenti di depurazione dei fanghi, utili a renderli idonei al loro smaltimento come ad esempio in discariche specializzate o al riutilizzo in agricoltura o in un impianto di compostaggio per ridargli nuova vita.

Le aziende oggetto di questo studio si occupano anche del trattamento dei liquami provenienti dallo spurgo delle fosse settiche ed il percolato da discarica.

Il percolato è un liquido che trae prevalentemente origine dall’infiltrazione di acqua nella massa dei rifiuti o dalla decomposizione degli stessi. Il percolato prodotto dalle discariche controllate di rifiuti solidi urbani (R.S.U.) è un refluo con un tenore più o meno elevato di inquinanti organici e inorganici, derivanti dai processi biologici e fisico-chimici all’interno delle discariche. In presenza di ogni discarica, quindi, si avrà produzione di percolato, ma la quantità prodotta varia in funzione di alcuni aspetti fondamentali, quali: la piovosità; la temperatura e ventosità del sito; le caratteristiche del rifiuto come la sua umidità media e il grado di compattazione. Anche la “qualità” del percolato può variare in maniera significativa poiché dipende dalla composizione dei rifiuti presenti in discarica, dalla loro pericolosità, nonché dalla presenza di metalli e di ione di ammonio.

Questi aspetti non sono controllabili e questo rende instabile la produzione di percolato e conseguente andamento altalenante dei conferimenti di liquame alle aziende addette al trattamento.

Lo scopo dei trattamenti dei rifiuti liquidi analizzati è ovviamente quello di rimuovere sostanze inquinanti presenti nella composizione chimica dei liquami al fine di favorire il riutilizzo delle acque, il risparmio idrico e garantire una riduzione dell’impatto ambientale generato da industria e discariche. Il riutilizzo delle acque reflue depurate può essere considerato un espediente innovativo ed alternativo nell’ambito di un uso più razionale della risorsa idrica. Tramite questa politica si può ottenere un notevole vantaggio economico consistente nella fornitura alla comunità di un approvvigionamento idrico, almeno per alcuni usi per i quali non si

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richieda acqua di elevata qualità, a costi più bassi, poiché il riciclo costa meno dello smaltimento.

Il business della depurazione si distingue quindi per un marcato profilo ambientale, volto alla valorizzazione della risorsa idrica al quale si accompagna ad altre caratteristiche dei servizi pubblici prevalentemente determinate dalla rilevanza sociale dell’acqua e della sua essenzialità per la vita dei cittadini.

Il settore però si presenta come in forte crescita e con una regolamentazione giovane. Molte aziende hanno saputo cogliere l’opportunità che queste esigenze di tutela ambientale, ravvisate negli anni tramite una considerevole attività normativa, hanno fatto emergere, creando stabilimenti e impianti volti a realizzare i processi di depurazione e smaltimento.

La normativa di riferimento è contenuta nel Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 detto anche “Testo Unico Ambientale” che contiene tutte le norme in materia ambientale ed ha come obbiettivo la promozione dei livelli della qualità della vita umana tramite la salvaguardia e la valorizzazione delle risorse naturali. La normativa, che verrà approfondita nel presente elaborato, rimane ad oggi non del tutto matura e lascia alcuni spazi di soggettività a svantaggio di alcuni operatori. Ai fini del presente contributo è stato fatto ricorso a diverse tipologie di fonti:

 siti di regioni, provincie ed ARPA regionali per ottenere informazioni sulle autorizzazioni e caratteristiche degli impianti;

 colloqui telefonici con alcune delle aziende oggetto di analisi per ottenere informazioni relative alle caratteristiche degli impianti;

 banca dati AIDA Bureau van Djik per la ricerca delle aziende e delle informazioni relative ai bilanci, relazioni sulla gestione e note integrative dal 2010 al 2014, relative agli assetti proprietari e alcuni grafici relativi all’andamento delle principali voci di bilancio;

 seminari tenuti presso l’Università di Pisa in occasione del programma “Jean Monnet European Water Utility Management”;

 documenti di ricerca. Alcuni di essi realizzati dalla prof.ssa Romano G. e prof. Guerrini A., altri disponibili sul sito di REF ricerche.

Il presente elaborato si sviluppa in quattro capitoli così articolati:

 il primo capitolo offre una visione d’insieme della normativa italiana ed europea che disciplina e regola il settore. Verranno analizzate quindi le

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fondamenta sulle quali si basa la regolamentazione del Servizio Idrico Integrato ed i ruoli dei principali operatori pubblici;

 nel secondo capitolo verrà spiegato com’è strutturato il settore idrico in Toscana, chi sono i principali attori e quali sono le problematiche e le forze competitive che caratterizzano il business della depurazione e trattamento liquami per i grossisti;

 nel terzo capitolo verrà analizzata la storia e l’attività di un’azienda toscana - la G.I.D.A. S.p.A. - che da più di trent’anni è attiva nel settore idrico svolgendo varie attività all’ingrosso che vanno dalla depurazione dei reflui industriali provenienti dal settore del tessile di Prato, fino al trattamento del percolato di discarica e dei liquami provenienti dallo spurgo di fosse settiche;

 infine nel quarto capitolo verranno messi a confronto i risultati reddituali e finanziari di alcuni concorrenti di G.I.D.A. in Toscana, proponendo un’analisi strategica volta ad individuare quale di questi possa offrire una partnership di successo con G.I.D.A.

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8 IL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO, LA DEPURAZIONE E IL

TRATTAMENTO LIQUAMI

1.1 Considerazioni introduttive

Il settore idrico è legato alla gestione amministrativa della risorsa idrica, volta a perseguire la tutela della qualità e dell’equilibrio quantitativo del ciclo idrico, nonché la protezione dell’ambiente e degli ecosistemi connessi ai corpi idrici.

Tale settore presenta la configurazione industriale caratteristica dei monopoli naturali, con molteplici e complesse cause di “fallimento del mercato”.

In favore di questa visione giocano l’elevatissima vita economica delle infrastrutture, la presenza di investimenti non recuperabili, la necessità di un rapporto duraturo con il territorio servito, ecc.

Queste prerogative non permettono che sia il mercato a disciplinare il settore, consentendo solo ai soggetti più efficienti e innovativi di reggere la spinta competitiva. Lo strumento dunque della concorrenza “per” il mercato (e non “nel” mercato) tramite gare d’appalto diventa utile per garantire un contesto di maggiore efficienza. Sarà inoltre necessario un intervento che protegga i consumatori contro gli arbitrii del monopolista con strumenti quali le politiche tariffarie, il controllo della qualità dei servizi, la disciplina antitrust, i contratti di programma, ecc.

La mancanza di concorrenza anche potenziale, rappresenta dunque una caratteristica strutturale del settore e ciò fa perdere in gran parte significato alla pretesa di efficienza produttiva e gestionale.

Il compito principale della regolamentazione economica pertanto è quello di introdurre dei sistemi che simulano il mercato, in modo da sottoporre le imprese a stimoli analoghi a quelli forniti dalla concorrenza e fornire ai gestori dei servizi gli incentivi adatti a perseguire gli obiettivi della collettività degli utenti.

L’intervento pubblico è quindi considerato necessario per governare quello che è un servizio essenziale.

Diverse sono state le spinte verso una politica di privatizzazioni in tale settore come quelle avvenute in Gran Bretagna mentre, in altri paesi come in Francia, c’è stata una

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maggiore propensione per forme di governance che prevedevano un partenariato pubblico-privato.

In particolare, tali modelli “ibridi” sono in grado di assicurare da un lato stimoli competitivi e di efficienza derivanti dalla partecipazione privata, e dall’altro la condivisione dei rischi economici e di investimento con il soggetto pubblico2.

Il settore idrico è infatti particolarmente complesso sotto l’aspetto del rischio regolatorio che rappresenta la principale fonte di criticità per le imprese private, la cui gestione delle attività è spesso poco fluida per via di molteplici complicanze, anche di natura politica.

Tale tipologia di aziende presenta il punto di equilibrio in corrispondenza di elevati livelli di utilizzo della capacità produttiva ed ha margini di manovra minori rispetto ad aziende con struttura di costo più elastica.

In virtù quindi delle sopracitate connotazioni industriali del settore idrico, emerge la necessità di una puntuale regolamentazione ed individuazione di compiti e funzioni tra i vari livelli di gestione per garantire una prospettiva di sviluppo del settore che possa garantire allo stesso tempo un sostenibile utilizzo della risorsa idrica.

Al fine di ridurre la frammentazione gestionale che ha caratterizzato il settore idrico negli anni passati è stato introdotto in Italia con la L.36/94 (la cosiddetta Legge Galli) il concetto di Servizio Idrico Integrato (S.I.I.). Tale accezione è stata utilizzata per ricondurre tutte le competenze della gestione, dell’approvvigionamento idrico e dello smaltimento delle acque reflue ad un unico soggetto.3

“Il servizio idrico integrato è costituito dall'insieme dei servizi pubblici di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili di fognatura e di depurazione delle acque reflue, e deve essere gestito secondo principi di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie. Le presenti disposizioni si applicano anche agli usi industriali delle acque gestite nell'ambito del servizio idrico integrato (art.141 d.lgs.152/2006)”.

Quanto alla natura del servizio idrico integrato esso va sicuramente annoverato tra i servizi pubblici e la riconducibilità del servizio a tale sfera è confermata anche dalla

2 Massarutto A. “La regolazione economica dei servizi Idrici”, Università di Udine and IEFE-BOCCONI,

Research Report n.1, settembre 2009, pp 7-11.

3 Piotti A. “Il Servizio Idrico Integrato”, Corso di “Gestione dei servizi idrici”, Università degli Studi ROMA

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circostanza che l’oggetto del servizio, l’acqua, è un bene del demanio naturale4. Il carattere della demanialità implica inevitabilmente che gli enti pubblici siano in qualche modo interessati nella gestione di tale importante risorsa.5

Un sistema di regolazione affidabile è quindi un tassello fondamentale per il buon funzionamento settore della depurazione delle acque, per promuovere l’efficienza e la qualità, stimolando le forme di concorrenza consentite in un tipico monopolio naturale locale e creando le condizioni per attirare i capitali.

1.2 L’acqua nel diritto europeo

Le normative che regolano le attività relative alla gestione della risorsa idrica si configurano come provvedimenti in materia di tutela ambientale dall’inquinamento e, soprattutto, come norme volte a regolamentare il settore idrico.

Le normative in materia di gestione dell’acqua infatti, sono state emanate per promuovere un uso sempre più efficiente di tale risorsa con lo scopo di evitare e ridurre al massimo gli sprechi, incoraggiare il riutilizzo delle acque depurate, diminuire l’inquinamento delle falde acquifere e di tutti i corpi idrici derivante dall’attività industriale e dallo smaltimento dei rifiuti.

La disciplina in tema di regolamentazione della risorsa idrica ha subito un forte impulso grazie alle direttive Europee ed in particolare quelle emanate a partire dagli anni 90’. Gli Stati Membri dell’Unione Europea infatti, preoccupati per il degrado e l’impoverimento delle risorse idriche, hanno emanato una serie di direttive finalizzate ad attivare un’azione congiunta a livello comunitario necessaria alla salvaguardia della risorsa.

La politica dell’Unione in materia di ambiente, si fonda sui principi della precauzione, dell’azione preventiva e della correzione alla fonte dei danni causati dall’inquinamento, nonché sul principio «chi inquina paga»6.

4 La demanialità della risorsa idrica è ribadita oggi dall’art. 144, comma primo, del codice dell’ambiente: “tutte le acque superficiali e sotterranee, ancorché non estratte dal sottosuolo, appartengono al demanio dello Stato”.

5 Cimini S.,” Il servizio idrico integrato alla luce del Codice dell’ambiente e delle ultime novità normative”,

in Dir. e proc. Amm., 2008, pp.4 ss.

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Nello specifico il fine ultimo delle direttive emanate, è rivolto a sancire l’accesso all’acqua potabile ad un prezzo ragionevole, come un diritto fondamentale per di tutti gli esseri umani.

Tali disposizioni prevedono anche che venga assegnato alla risorsa idrica un valore economico, diverso in base agli usi7. L’acqua però non deve essere considerata come un bene economico pari agli altri, ma un bene generalmente pubblico, a cui devono essere applicati criteri economici per la gestione e lo sfruttamento.

La Direttiva 2000/60/CE (Water Framework Directive - WFD) costituisce uno degli strumenti più importanti ai fini della tutela e della governance delle acque continentali. Tale direttiva si ispira ai concetti fondamentali delle politiche comunitarie in materia di ambiente sopracitati e propone un approccio unitario e circolare, che guarda al ciclo dell’acqua in modo integrato, al fine di assicurarne un uso sostenibile, equilibrato ed equo. La direttiva all’art.1 introduce il concetto della risorsa idrica nella seguente prospettiva: “L’acqua non è un prodotto commerciale al pari degli altri, bensì un patrimonio che va protetto, difeso e trattato come tale”.

A tal fine, viene posta l’attenzione sulla prevenzione del deterioramento qualitativo e quantitativo della risorsa e sul miglioramento dello stato delle acque e cerca di assicurare un utilizzo sostenibile, basato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili.

La Direttiva stabilisce che i singoli Stati Membri affrontino la tutela delle acque a livello di “bacino idrografico” e l’unità territoriale di riferimento per la gestione del bacino è individuata nel “distretto idrografico”, area di terra e di mare, costituita da uno o più bacini idrografici limitrofi e dalle rispettive acque sotterranee e costiere8.

Per ciascun distretto idrografico è prevista la predisposizione di un Piano di gestione, cioè di uno strumento conoscitivo, strategico e operativo attraverso cui pianificare, attuare e monitorare le misure per la protezione, il risanamento e il miglioramento dello stato dei corpi idrici superficiali e sotterranei, favorendo il raggiungimento degli obiettivi ambientali previsti dalla Direttiva.

Il piano di gestione deve essere elaborato attraverso appositi meccanismi di partecipazione pubblica dove per partecipazione pubblica si intende il coinvolgimento

7 Il mancato riconoscimento di questo valore ha implicato attive utilizzazioni e sprechi.

8 La normativa suddivide le acque in superficiali e sotterranee: con acque sotterranee si intendono tutte

le acque che si trovano al di sotto della superficie del suolo nella zona di saturazione e a contatto diretto con il suolo e sottosuolo; con acque superficiali si intendono le acque interne (a eccezione delle

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di tutte le parti interessate all’applicazione della direttiva, ed in particolare all’elaborazione, all’aggiornamento ed al riesame dei piani di gestione. Ovviamente, per ragioni pratiche, è impossibile coinvolgere attivamente tutti i portatori di interesse; di conseguenza, viene fatta una selezione trasparente in base alla relazione delle parti interessate con le questioni di gestione delle acque prese in esame, al livello di rappresentanza rispetto alla scala della discussione, al contesto sociale in cui avviene il processo ed alla capacità di partecipazione.

La direttiva prevede quindi che per tutti i corpi idrici, ogni Stato membro dovrà garantire il raggiungimento dello stato di qualità ambientale “buono”9 e, ove già esistente, provvedere al mantenimento dello stato “elevato”. In altre parole, ogni Stato dovrebbe riportare le acque alla condizione nelle quali si troverebbe ogni corpo idrico se non ci fosse impatto umano.

La Direttiva quadro 2000/60/CE è stata recepita in Italia con l’emanazione del Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante “Norme in materia ambientale”. Il decreto legislativo, con l’art. 64 ha ripartito il territorio nazionale in 8 distretti idrografici e prevede per ogni distretto la redazione di un piano di gestione, attribuendone la competenza alle Autorità di distretto idrografico.

1.3 La normativa in Italia

Il quadro normativo in Italia è articolato su un susseguirsi di leggi che hanno riformato i ruoli e gli attori del servizio idrico integrato.

Il primo passo verso l’armonizzazione delle disposizioni legislative ed amministrative concernenti il settore idrico è rappresentato Regio Decreto 11 dicembre 1933, n. 1775 (“Testo Unico delle Acque”) diretto alla difesa degli usi comuni delle acque e soprattutto all'incentivazione di altri usi che incidono favorevolmente sul pubblico interesse.

Il 10 maggio 1976 viene decretata la legge n. 319 (la “Legge Merli”) che ha introdotto una disciplina analitica in merito agli scarichi di sostanze inquinanti ed all'individuazione dei limiti di concentrazione di tali sostanze nelle acque.

9Vengono definite in apposite tabelle le caratteristiche che devono avere le acque per raggiungere

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I limiti tabellari della Legge Merli riguardano unicamente gli scarichi degli insediamenti produttivi; per gli scarichi civili i limiti sono dettati dagli enti locali secondo prescrizioni generali delle Regioni e direttive statali10.

Successivamente, per dare maggiore incisività all’impianto normativo della Legge Merli è stata introdotta la legge 24 dicembre 1979 n. 650 (“Legge Merli bis”), istituendo un programma di finanziamenti e affidando alle Regioni il compito di elaborare i c.d. “Piani Regionali di Risanamento delle Acque”, al fine della successiva elaborazione di un “Piano Nazionale del Risanamento delle Acque”.

Con tali piani le Regioni avrebbero dovuto, tra l'altro, riorganizzare i servizi idrici in “ambiti ottimali di gestione”.

Il settore rimane comunque poco efficiente per l’estrema frammentazione degli operatori11 che ostacola l’affermarsi di una gestione proficua determinando una disomogeneità degli standard qualitativi del servizio idrico offerto sul territorio italiano. Segue quindi un in intervento di riorganizzazione e modernizzazione avviato con l’emanazione dalla legge n. 36/1994, nota come “Legge Galli”.

Tale riforma prevede la promozione di un regime “industriale” finalizzato al recupero dell’efficienza nella gestione delle risorse idriche.

Tale legge si basa su 3 pilastri fondamentali:

 il territorio nazionale è diviso in Ambiti Territoriali Ottimali (ATO) ed in ciascuno di essi un unico gestore cura i servizi idrici relativi al ciclo umano delle acque;

 la tariffa dei servizi idrici da una forma di tassazione determinata in funzione di scelte politico-economiche è passata definitivamente ad una forma di prezzi commisurati ai costi del servizio;

 la realizzazione delle opere passa dal finanziamento pubblico all’autofinanziamento tramite la tariffa.

Il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, noto anche come testo unico sull’ambiente (TUA), supera, abrogandole, tutte le leggi vigenti in materia di servizio idrico12 e introduce, in particolare, le seguenti novità:

 il rispetto delle norme comunitarie (art.141)

10 http://www.diritto.it/articoli/amministrativo/molinari1.html

11 Oltre 13.000 nel 1994 nel territorio nazionale, come affermato nell’Ordinanza (Atto di

provvedimento), n°196 del 24/5/2011, in www.gazzettaufficiale.it.

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 oltre agli acquedotti, anche “le fognature e gli impianti di depurazione e le altre infrastrutture idriche di proprietà pubblica, fino al punto di consegna e/o misurazione, fanno parte del demanio ....e sono inalienabili ...” (art.143);

 per la determinazione della tariffa occorre tenere conto, oltre ai costi già previsti dalla legge Galli, anche dei costi ambientali secondo il principio “chi inquina paga”;

 La durata massima degli affidamenti in concessione del SII è di 30 anni (art.151).13

Nel testo sono altresì individuati gli enti delegati alle valutazioni e alle autorizzazioni: si tratta essenzialmente di enti pubblici come Regioni, Province e Comuni che provvedono a valutare le relazioni provenienti dai controlli sulle installazioni produttive operati dalle A.R.P.A. (Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente) ed eventualmente a concedere alle aziende le autorizzazioni allo scarico.

Per le aziende che tramite le loro produzioni rilasciano emissioni inquinanti, sono anche previste delle modalità di controllo da attuare periodicamente al fine di ridurre progressivamente tali emissioni e garantire l’utilizzo dei migliori metodi possibili e le migliori tecnologie disponibili al fine di garantire la riduzione progressiva dell’inquinamento (B.A.T.-Best Available Techniques). Ovviamente anche le aziende che svolgono attività di depurazione delle acque e di trattamento liquami, che poi vengono scaricati in mare o in fiume, devono sottostare a questo rigido sistema di controlli.

Nel corso dell’anno 2011, sono stati attuati diversi interventi, che hanno contribuito al passaggio da un modello di governance decentrata, ad uno di ambito nazionale.

Fondamentale al riguardo è la manovra Salva Italia, con l’articolo 21, comma 19, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni, nella legge 22 dicembre 2011, n. 214, sono state trasferite all’AEEGSI le funzioni di regolazione e controllo in materia di servizi idrici, prima svolte dal Ministero dell’Ambiente e, presso di questo, dalla Commissione Nazionale di Vigilanza sulle Risorse Idriche (CoNViRI). Il DPCM 20 luglio 201214 ha indicato le rispettive funzioni dell’AEEGSI e del Ministero dell’Ambiente (MATT).

13 Leone L. “La regolazione del Servizio Idrico Integrato” Jean Monnet Module Aprile 2016

http://jmwater.ec.unipi.it/lezioni-e-seminari-2016/

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L’AEEGSI nello specifico è un organismo indipendente istituito con la legge 14 novembre 1995, n. 48115, con il compito di tutelare gli interessi dei consumatori e di promuovere la concorrenza, l’efficienza e la diffusione di servizi con adeguati livelli di qualità, attraverso l’attività di regolazione e di controllo dei settori di competenza. In particolare il DPCM 20/07/2012 assegna le seguenti competenze all’AEEGSI:

 definire i livelli minimi e gli obiettivi di qualità del servizio idrico integrato;  predispone, convenzioni tipo per la regolazione dei rapporti tra autorità

competenti all'affidamento del servizio e soggetti gestori;

 definisce le componenti di costo per la determinazione della tariffa del servizio idrico integrato;

 predispone e rivede periodicamente il metodo tariffario;  verifica la corretta redazione del piano d'ambito;

 approva le tariffe del servizio idrico integrato;

 tutela i diritti degli utenti, anche valutando reclami istanze e segnalazioni. Un ulteriore passo nell’evoluzione della normativa è rappresentato dal d.l. 133/2014 (“Sblocca Italia”) che prevede le seguenti disposizioni:

 l’obbligo, per gli Enti di governo dell’ambito che non avessero già provveduto, di adottare il Piano d'Ambito, scegliere la forma di gestione e disporre l'affidamento al gestore unico d'ambito entro il 30 settembre 2015;  il subentro del gestore unico del servizio idrico integrato agli ulteriori

soggetti operanti all'interno del medesimo ambito territoriale;

 la cessazione ex lege delle gestioni diverse dall'affidatario unico del servizio idrico integrato per l'ambito, con la sola eccezione delle c.d. gestioni salvaguardate, che proseguono ad esercire il servizio fino alla scadenza naturale del contratto di servizio.

Nel 2015 poi la Legge di Stabilità ha introdotto nel nostro ordinamento disposizioni finalizzate a ridurre il numero delle società a partecipazione pubblica destinate a produrre rilevanti effetti sull’organizzazione del servizio idrico integrato.

In particolare tale provvedimento prevede l’obbligo per le Regioni, le Province autonome e gli enti locali ad avviare un processo di razionalizzazione delle società e

15 “Norme per la concorrenza e la regolazione dei servizi di pubblica utilità. Istituzione delle autorità di

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delle partecipazioni societarie che dovrà essere realizzato attraverso operazioni di aggregazione.

A conclusione di questo excursus legislativo si deve porre l’accento sulla necessità per le aziende di un quadro normativo stabile, non soggetto a continui mutamenti. Il permanere di elementi di incertezza e variabilità non giova, infatti, alla definizione di strategie di lungo periodo

La figura 1.1 elenca in ordine cronologico i più importanti provvedimenti precedentemente descritti.

Figura 1.1: excursus storico delle più importanti riforme in ambito regolatorio

1.4 Ripartizione delle competenze

La ripartizione delle competenze riservate ai diversi attori del servizio idrico integrato è declinata dall’art. 142 del Codice ambiente che prevede un sistema di governance articolato su tre livelli (statale, regionale e locale).

Tale disposizione attribuisce al Ministero dell’Ambiente le funzioni relative alla tutela della concorrenza, dell’ambiente e dell’ecosistema, quindi quelle materie che svolge per conto dello Stato.

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Le regioni, nel quadro delle competenze affidategli dalla Costituzione, esercitano il governo del rispettivo territorio.

Gli Enti Locali invece svolgo le funzioni:

 di organizzazione del servizio idrico integrato;  di scelta delle forme di gestione;

 di determinazione delle tariffe d’utenza e affidamento gestione e relativo controllo tramite gli Enti di governo dell’ambito.16

Si riassumono nella figura 1.2, così come esplicato nei paragrafi precedenti, i principali protagonisti ed i ruoli che questi svolgono all’interno del settore di riferimento.

Figura 1.2: i principali attori della regolamentazione ed i loro ruoli

16 Mileno R., Bordin A., Caputo A, Russo P, Spinicci F., “L’asseto della Governance Locale nel settore Idrico” Aprile 2015 Regione Veneto pp 64-93.

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18 1.5 Autorizzazione integrata ambientale

Merita un ulteriore approfondimento il concetto di autorizzazione integrata ambientale (A.I.A.), un provvedimento di cui necessitano alcune aziende per uniformarsi ai principi stabiliti dalla normativa IPPC (Integrated Pollution Prevention and Control) dettati dall’Unione Europea a partire dal 1996.

L’autorizzazione integrata ambientale (AIA) è il provvedimento che autorizza l’esercizio di una installazione a determinate condizioni, che devono garantire la conformità ai requisiti di cui alla parte seconda del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato da ultimo dal decreto legislativo 4 aprile 2014, n. 46, attuazione della direttiva 2010/75/UE relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento).

L’AIA viene generalmente rilasciata dalla Regione, (su delega) dalla Provincia, o per gli impianti più rilevanti, dal Ministro dell’Ambiente, sulla base di un lavoro istruttorio svolto da una commissione tecnica.

L’autorizzazione, ha generalmente durata quinquennale, ma può essere rilasciata per periodi fino ai dieci anni nel caso in cui l’azienda possieda le autorizzazioni ISO ed E.M.A.S. (Eco-Management and Audit Scheme) al momento del rilascio.

L'AIA è l'autorizzazione integrata necessaria per l’esercizio di alcune tipologie di installazioni produttive che possono produrre danni ambientali significativi; è integrata nel senso che nelle relative valutazioni tecniche sono considerate congiuntamente i diversi danni sull'ambiente causati dall'attività da autorizzare, nonché tutte le condizioni di funzionamento dell'installazione (non solo a regime, ma anche nei periodi transitori ed in fase di dismissione), perseguendo quindi una prestazione ambientale ottimale.

Lo scopo è quello di raggiungere, tramite l'individuazione e l'adozione delle migliori tecniche disponibili a livello impiantistico, di controllo e di gestione, realizzabili nello specifico contesto ed economicamente sostenibili a livello di settore, prestazioni ambientali soddisfacenti in grado di consentire il minor impatto ambientale possibile. Se nei casi più complicati la ricerca di tale soluzione ottimale può richiedere anche un’analisi costi-benefici, in quelli più semplici si può fare riferimento alle tecniche indicate in specifici documenti comunitari, detti Bref (BAT Reference documents). Sulla base delle analisi proposte dal gestore, l’A.I.A. conferma la corretta individuazione delle migliori tecniche disponibili e delinea la programmazione e la

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tempistica per la loro implementazione17 per verificare che l'esercizio autorizzato rispetti le condizioni che garantiscono la compatibilità ambientale. Analogamente, l'applicazione dei principi IPPC, favorisce l'adozione di tecniche più efficienti in ottica ambientale e quindi un minore inquinamento specifico (ovvero per unità di prodotto) a livello di unione europea18.

1.6 Metodo tariffario del sistema idrico integrato

L’ambito regolatorio di maggiore importanza nel settore della depurazione dei rifiuti liquidi all’ingrosso è ovviamente quello tariffario. La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato (art. 154 del Decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 recante Norme in materia ambientale) ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica, del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, nonché dei costi di gestione che le società erogatrici del servizio debbono sostenere per garantire la qualità del servizio19.

La disciplina della tariffa è attinente alle materie “tutela della concorrenza” e “tutela dell’ambiente”, che l’art. 117 comma 2 lettere e) ed s) della Costituzione espressamente attribuisce alla competenza dello Stato20. Secondo la Corte infatti, la finalità di una disciplina statale della tariffa è quella di garantire da una parte livelli uniformi di tutela dell’ambiente21, dall’altra uno sviluppo concorrenziale del settore del servizio idrico integrato.22

Le tariffe del Servizio Idrico Integrato sono determinate dalle Agenzie Territoriali (ATO) e approvate dall’Authority (AEEGSI), sulla base del principio comunitario di completa coperta dei costi sostenuti per il servizio reso.

17L’A.I.A. accerta che vengano rispettati i requisiti minimi stabiliti nelle norme ambientali di settore, le prescrizioni in materia di Valutazione di impatto ambientale, la compatibilità con le norme di qualità ambientale e, limitatamente all’Italia, le prescrizioni in materia di industrie insalubri e di rischio da incidente rilevante (Direttiva Seveso).

18Le categorie di attività soggette a tale autorizzazione sono dettagliatamente indicate D.Lgs. 152/2006 e

tra queste sono annoverate gli impianti per la gestione di rifiuti di dimensione significativa.

19 http://www.atosele.it/tariffe-servizio-idrico-integrato 20 Corte Costituzionale sentenze n. 246/09, 29/10 e 67/13

21 La finalità della tutela dell’ambiente viene posta in relazione alla scelta delle tipologie dei costi che la

tariffa è diretta a recuperare, tra i quali il legislatore ha incluso espressamente quelli ambientali

22http://www.reti.regione.lombardia.it/cs/Satellite?c=Redazionale_P&childpagename=DG_Reti%2FDeta

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Il metodo tariffario attualmente in vigore è Il Metodo tariffario Idrico, c.d. MTI2, valido per il secondo periodo regolatorio 2016-2019.

Tale sistema di tariffazione è frutto di un intensa attività normativa iniziata nel 1996 con il Metodo tariffario normalizzato (MTN), poi continuata nel 2012 con il Metodo tariffario transitorio per il periodo regolatorio 2012-2013 (MTT) e proseguita nel 2013 con il Metodo tariffario idrico per il periodo regolatorio 2014-2015 (MTI) fino ai giorni nostri appunto con il MTI2.

Le tariffe in questione vengono strutturate per perseguire una serie di obbiettivi ed in particolare le finalità principali sono:

 assicurare il raggiungimento di adeguati standard qualitativi di servizio;  incentivare la realizzazione degli investimenti necessari;

 incentivare una gestione efficiente del servizio, per il contenimento delle tariffe;  garantire la copertura dei costi sostenuti qualora i punti precedenti sono raggiunti dal gestore (Full Cost Recovery – previsto dalla direttiva europea del 2000) .23

Il nuovo metodo conferma e rafforza i capisaldi della struttura tariffaria definita dall’Autorità nel primo periodo di regolatorio 2014-2015 e manifesta in maniera evidente l’orientamento al miglioramento dell’efficienza e dell’efficacia delle gestioni presenti nel territorio nazionale.

In sintesi nella costruzione delle attuali tariffe l’AEEGSI ha preso in considerazione i seguenti principi:

 garantire che gli utenti non sostengano oneri impropri;

 assicurare meccanismi di salvaguardia per le utenze economicamente disagiate;  collegare le tariffe con la qualità del servizio in modo da evitare che i gestori

realizzino margini, peggiorando il servizio fornito;

 riconoscere il costo del servizio sulla base di valori efficienti;  riconoscere il costo dei soli servizi effettivamente realizzati;

 promuovere la tempestiva entrata in esercizio delle infrastrutture oggetto di investimento.24

Questo nuovo metodo, così come sancito dal primo articolo dello stesso, si applica a tutti i soggetti che gestiscono anche solo uno dei seguenti servizi:

23 “Il nuovo Metodo Tariffario Idrico: Modelli di regolazione per un monopolio naturale”

http://jmwater.ec.unipi.it/lezioni-e-seminari-2016/

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 Acquedotto, inclusi captazione ed adduzione anche a usi multipli, potabilizzazione, vendita all’ingrosso del medesimo servizio, distribuzione e misura;

 Fognatura nera e mista, sua vendita all’ingrosso, fognatura bianca e relativa misura. Se al 28.12.2015 (data di pubblicazione della delibera) e ai fini della determinazione dei corrispettivi, la fognatura bianca non è inclusa nel SII, viene considerata «attività non idrica che utilizza infrastrutture del SII»;

 Depurazione e vendita all’ingrosso del servizio, anche a usi misti civili e industriali.

Il metodo tariffario attualmente in vigore cerca di favorire una crescita del settore e migliori investimenti cercando di superare alcuni limiti dei metodi precedenti come quelli del metodo tariffario normalizzato, che come vedremo nel cap. 2 par. 3, ha ancora una certa importanza per i grossisti che esercitano l’attività di depurazione delle acque reflue ed in tema di tariffa sulla depurazione dei reflui civili.

Il Metodo Normalizzato prevede che i costi che devono essere inseriti nel calcolo della tariffa reale media, e che, quindi, devono essere coperti dai ricavi del SII, sono i costi operativi, gli ammortamenti e la remunerazione del capitale investito. Quest’ultima voce prevede una remunerazione fissa pari al 7%.

Il Metodo Tariffario Idrico in vigore invece, supera questo limite relativo alla remunerazione fissa del capitale investito pari al 7% e prevede che il costo di gestione sia determinato a posteriori, sulla base dei costi effettivi sostenuti dall’impresa per gestione e investimenti.

Il Metodo tariffario idrico più recente è quindi in grado di dare maggior vigore alla crescita del settore rispetto i metodi passati, per via di alcuni punti di forza quali il riconoscimento del costo degli investimenti in tariffa, ma solo se effettivamente sostenuti (meccanismo ex post), e l’ottemperamento al principio del Full Cost Recovery meglio del MTN, grazie alle nuove componenti di costo. Infatti la nuova tariffa prevede la piena copertura dei costi effettivi (costi operativi sostenuti e costi finanziari investimenti); dei costi ambientali (esternalità negative); e costi della risorsa (costi mancate opportunità).

Si deve precisare inoltre che il nuovo metodo tariffario si dota di un meccanismo volto a migliorare l’efficienza tramite un limite al tasso di crescita della tariffa che è tanto più basso quanto più elevati sono i costi operativi pro capite di partenza. Non si tratta però di un obiettivo di contenimento puntuale della crescita dei costi operativi quanto

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piuttosto un più incentivo ad evitare che le inefficienze presenti siano traslate in modo diretto sulla tariffa25.

1.7 Depurazione acque reflue

Come visto dunque, i servizi idrici si sviluppano in un contesto normativo molto complesso ed in continua evoluzione ma comunque necessario alla valorizzazione della risorsa idrica e allo sviluppo sostenibile.

Il quadro normativo che è stato realizzato in tema di gestione della risorsa, ha determinato la costruzione di complessi produttivi dedicati al trattamento dei rifiuti e alla depurazione delle acque, creando così un nuovo settore produttivo.

La depurazione delle acque reflue rappresenta l’ultimo passaggio nel ciclo dei servizi idrici.

Le acque reflue o di scarico ed i liquami sono tutti quei corpi liquidi la cui qualità è stata pregiudicata dall’azione antropica (cioè commessa dall’uomo) dopo il loro utilizzo in attività domestiche, industriali o agricole. Per tale motivo non possono essere reimmessi nell’ambiente prima di essere trattati poiché i recapiti finali come il terreno, il mare, i fiumi e i laghi non sono in grado di ricevere una quantità di sostanze inquinanti superiore alla loro capacità auto-depurativa senza vedere compromessi normali equilibri dell’ecosistema.

Di solito un impianto di depurazione delle acque reflue funziona secondo lo schema proposto nella figura 1.3. I fanghi che ne risultano devono essere smaltiti (ad esempio tramite inceneritore) oppure reimpiegati, quando possibile, in altri ambiti produttivi, per esempio in agricoltura, ovviamente a patto che le sostanze inquinanti siano state adeguatamente rimosse come previsto dalla legge.

25 Berardi D., Traini S. “Il Metodo Tariffario 2.0: efficienza, disciplina e dimensioni”. Milano Laboratorio

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Figura 1.3 Impianto per il trattamento delle acque reflue

I metodi di trattamento delle acque reflue vengono scelti in base agli standard ambientali che devono essere raggiunti per garantire la tutela della salute pubblica e dell’ambiente, in relazione alle normative statali e locali.

I metodi principali per la depurazione sono di natura fisica, chimica o biologica. Questi sono combinati tra loro e strutturati su diversi livelli quali: preliminare, primario, primario avanzato, secondario (con o senza rimozione dei nutrienti), e il trattamento terziario (avanzato).

La prima fase del trattamento, nota come trattamento preliminare, prevede la rimozione dei rifiuti grossolani (stracci, plastica, ecc.) in modo tale da prevenire danni agli impianti. Una volta fatto ciò si passa al trattamento primario (in genere noto come sedimentazione) che comporta l’eliminazione di materiali galleggianti e sedimentabili presenti nell’acqua. Per il trattamento primario avanzato invece vengono aggiunti prodotti chimici per completare la rimozione di solidi sospesi e, in misura minore, solidi disciolti. Nel trattamento secondario, processi biologici e chimici sono usati per rimuovere la maggior parte delle sostanze organiche. In genere però le metodologie usate per il trattamento secondario delle acque reflue non riguardano solo la rimozione di sostanze organiche biodegradabili e solidi sospesi, ma anche la rimozione dei nutrienti, dei metalli pesanti e inquinanti prioritari. Nel trattamento terziario, ulteriori combinazioni di processi chimici, biologici e fisici vengono utilizzati per rimuovere i solidi sospesi residui e altri componenti che non sono stati eliminati del tutto durante la fase di trattamento secondario convenzionale.

Alla fine di questo processo le acque trattate possono essere riversate nei bacini idrici, nella terra o essere riutilizzati per altri scopi come l’irrigazione. In quest’ultimo caso però, la prassi prevede ulteriori trattamenti per la rimozione di materiali organici refrattari, metalli pesanti ed in alcuni casi solidi inorganici dissolti.

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Alla fine del processo i solidi ed i bio-solidi (chiamati anche fanghi), risultanti dal trattamento possono essere riutilizzati dopo ulteriori trattamenti. I trattamenti in questione possono essere di varia natura, quali addensamento, condizionamento e disidratazione necessari a rimuovere l’umidità dai solidi, mentre lo smaltimento, il compostaggio ed incenerimento sono utilizzati principalmente per trattare o stabilizzare il materiale organico.

Spesso però le aziende che operano in questo business possono essere soggette a degli extra-costi particolarmente gravosi dovuti per lo più ai processi di raccolta e trasporto dei liquidi da trattare.

Infatti le metodologie usate per tali attività, così come le tubature vecchie o comunque non del tutto idonee, possono comportare delle infiltrazioni di liquidi estranei o delle perdite del liquido da trattare prima che arrivi a destinazione.

Questo ha reso necessario un processo di rinnovamento delle infrastrutture, che ha subito un importante riscontro in seguito alla direttiva dell’Unione Europea 271/9126 e che si traduce in un aumento degli investimenti e una maggiore costo del trattamento delle acque reflue a carico dei clienti attraverso le tariffe.

Ciò implica che i servizi idrici devono applicare il controllo di gestione efficace per il loro processo di trattamento al fine di mantenere bassi i costi e migliorare l’efficienza27.

26 La Direttiva 91/271/CEE «concernente il trattamento delle acque reflue urbane» per tutelare le risorse

idriche dispone che il territorio sia adeguatamente servito da reti fognarie e da impianti di depurazione. La CE verifica periodicamente il rispetto della direttiva e in caso di violazione avvia procedure di

infrazione.

27 Guerrini A., Romano G., Mancuso F.c, Carosi L., “Identifying the performance drivers of wastewater treatment plants through conditional order-m efficiency analysis” working paper 2016

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25 DINAMICHE STRATEGICHE NEL BUSINESS DELLA DEPURAZIONE

E TRATTAMENTO LIQUAMI ALL’INGROSSO IN TOSCANA

2.1 Il modello toscano

La Toscana è stata una delle prime regioni ad adottare la c.d. Legge Galli, che prevedeva la suddivisione del territorio in Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), e successivamente a dare avvio alle gare per l’affidamento del servizio ai gestori, conclusesi nel 2004.

A partire dal 2012, a seguito della legge 42/2010, l’Autorità Idrica Toscana è subentrata per tutti gli effetti di legge alle ex AATO nei rapporti con i soggetti gestori. Detti rapporti sono regolati da apposite convenzioni e relativi disciplinari approvati sulla base di uno schema-tipo regionale. L’Autorità Idrica Toscana è divenuta quindi l’unico soggetto regionale responsabile per la pianificazione ed il controllo sui servizi idrici erogati sul territorio, con particolare riferimento agli aspetti qualitativi, tariffari e di investimento.

Ad oggi la Toscana ha sette gestori idrici, tutti a capitale pubblico-privato, ad eccezione di GAIA, gestore della provincia massese che è totalmente a capitale pubblico. I gestori in questione sono i seguenti:

 GAIA Spa e GEAL Spa per la conferenza territoriale n. 1 “Toscana Nord”;  ACQUE Spa per la conferenza territoriale n. 2 “Basso Valdarno”;

 PUBLIACQUA Spa per la conferenza territoriale n. 3 “Medio Valdarno”;  NUOVE ACQUE Spa per la conferenza territoriale n. 4 “Alto Valdarno”;  ASA Spa per la conferenza territoriale n. 5 “Toscana Costa”;

 ACQUEDOTTO DEL FIORA Spa per la conferenza territoriale n. 6 “Ombrone”.

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Figura 2.1: zone di competenza dei gestori toscani. Fonte AIT

Questi gestori che operano in Toscana coprono la fornitura di tutti i servizi previsti dal sistema idrico integrato sia per i cittadini che per le aziende.

La dimensione media di questi soggetti si attesta su un livello molto grande se comparata con la media degli altri gestori italiani.

In Toscana infatti gli impianti servono 549.000 abitanti con una rete che si estende per 7.322 km, e 34 milioni di metri cubi di acqua venduta da ciascuna società a dispetto delle altre regioni italiane che in media servono 220.000 abitanti, disponendo di una rete affidata a ciascuna azienda pari 3.168 km, e 23 milioni di metri cubi venduti.

La Toscana, si è affermata sul territorio italiano, come una regione pioniera in tema di gestione della risorsa idrica, in quanto è stata una delle prime a favorire l’ingresso ad investitori privati nell’industria dell’acqua. Oggi infatti, quasi tutti i servizi relativi al ciclo dell’acqua, sono gestiti da partenariati pubblico privati a differenza invece di altre regioni come il Veneto, dove tutte le aziende che si occupano della gestione della risorsa idrica sono di natura esclusivamente pubblica ad esclusione dell’area padovana servita da AcegasApsAmga del gruppo HERA.

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Il processo di privatizzazione delle aziende del servizio idrico è stato attuato non solo in Italia ma anche in diversi paesi europei come Inghilterra, Galles, Francia, Portogallo e Spagna.

Questa politica infatti, volta a favorire l’ingresso di soci privati, può avere effetti positivi sulle performance aziendali poiché il privato può contribuire alla crescita sia perseguendo una strategia di adeguamento infrastrutturale, sia con il coinvolgimento di competenze in tutte le fasi di costruzione, gestione ed erogazione del servizio. I soggetti finanziatori privati inoltre, possono apportare maggiori risorse economiche e conseguente maggiore coinvolgimento nella gestione.

Facendo particolare riferimento al nostro Paese, le forme di coinvolgimento degli investitori privati nel settore idrico sono incentrate soprattutto sui partenariati pubblico-privati (PPP) di tipo “equity”, ovvero con assetti di governance con una compresenza nella compagine societaria di azionisti privati (banche, multinazionali dell’idrico, altri investitori privati) e pubblici (solitamente i comuni coperti dal servizio).

Tale assetto proprietario si è diffuso in Italia come modello alternativo alla c.d. gestione in house.

Queste società miste sono nate con l’intento di favorire forme di cooperazione tra i poteri pubblici e quelli privati, finalizzati al finanziamento, costruzione e gestione di infrastrutture o servizi di interesse pubblico. Non sempre però le attese sono state rispettate in virtù delle criticità che caratterizzano queste forme di gestione.

Le aziende che si dotano di un assetto di governance “ibrido” infatti, rischiano di incorrere in una gestione non sempre fluida per via delle conflittualità e delle asimmetrie informative che possono sorgere tra i soci pubblici e quelli privati.

Da una parte infatti, i detentori pubblici, nell’attuazione delle strategie aziendali, hanno un maggior orientamento politico, volto ad ottenere il consenso elettorale dei cittadini tramite il contenimento delle tariffe ed un massiccio reclutamento del personale sul territorio; dall’altra parte invece i privati, privilegiano una strategia volta alla massimizzazione del profitto tramite il costante incremento delle tariffe ed il contenimento dei costi.

Il Toscana, la quasi totalità degli operatori del Servizio Idrico Integrato, compresi i grossisti della depurazione, si sono dotati di un modello di governance misto pubblico privato.

Diversi sono stati gli studi che hanno cercato si decifrare l’impatto che la presenza dell’investitore privato nelle utilities ha per gli utenti in termini di costi o di benefici e al

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riguardo possono essere utili le ricerche di Guerrini A. e Romano G.28, che mettono a confronto le performance e le tariffe applicate dai gestori idrici toscani con quelli veneti.

La Toscana ed il Veneto sono due aree affini dal punto di vista dimensionale ma che presentano delle differenze, sia dal punto di vista degli assetti proprietari delle aziende, che delle dimensioni di quest’ultime oltre che della densità abitativa che le caratterizza. Come detto infatti in Toscana le società che operano nel settore idrico in genere sono di rilevanti dimensioni ed operano in aree con una buona densità abitativa; le aziende venete invece sono per lo più a capitale pubblico e con una minore dimensione in termini di abitanti serviti e metri cubi distribuiti.

Da una analisi delle tariffe, si nota come gli utenti paghino in Toscana somme di gran lunga più elevate rispetto a quelle pagate dai cittadini veneti e più in generale delle tariffe pagate nelle restanti regioni d’Italia. Infatti, mentre la tariffa media per l’area del Veneto si attesa sui 302 €/192m3, quella Toscana raggiunge i 455 €/192m3, con un differenziale di 153 €/192m3 (circa il 50% in più del Veneto) pari a circa +0,80 €/m3. Quest’ultimo valore rappresenta il costo che l’utente toscano paga in più rispetto a quello veneto per i servizi di acquedotto, fognatura e depurazione.

Lo studio cerca di capire quale possa essere la causa delle differenze tariffarie e di spiegarne l’origine attraverso un modello di analisi economica con valori calcolati per metro cubo di acqua venduta.

Dallo studio condotto, emerge come tali differenze in tema di tariffe siano dovute da diverse motivazioni quali, inefficienze operative, maggiori investimenti e l’influenza del socio privato che, pretendendo una congrua remunerazione del capitale, mira a conseguire un maggiore utile al lordo delle imposte. A queste criticità si aggiunge anche una maggiore dipendenza da capitale di terzi. Nonostante infatti, l’ipotesi più plausibile poteva essere quella di un privato che apporta risorse e riduce quindi il ricorso a capitale di debito, i dati raccolti mostrano come in Toscana i PPP toscani hanno il medesimo grado di indipendenza finanziaria dei gestori pubblici veneti (26% vs. 28%).

Nonostante queste criticità la Toscana presenta alcuni punti di forza. Infatti, in virtù della presenza dell’investitore privato, le aziende hanno un tasso di investimento molto più elevato rispetto quelle venete basti pensare che negli anni tra il 2010 ed il 2014 la

28 Guerrini A., Romano G. “I partenariati pubblico-privati di tipo equity nel settore idrico: costi e benefici alla luce di una comparazione tra Veneto e Toscana,” Management delle Utilities, working paper 2016.

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Toscana ha investito mediamente il +17% in più ogni anno, rispetto a quanto fatto nel periodo precedente, mentre il Veneto ha avuto una crescita più lenta, attestandosi al +11%.

Dato però il tasso di investimenti particolarmente elevato, sarà importate per le aziende applicare una buona politica di informazione per il cittadino, poiché uno dei rischi maggiori è che non tutti gli utenti riescano a percepire l’effettivo valore degli investimenti effettuati. A questo si aggiunge la necessità di favorire la cooperazione tra le due anime, quella privata da una parte e quella pubblica dall’altra, ai fini di proporre una strategia più efficiente ed equidistante da entrambe le logiche di business.

2.2 I servizi all’ingrosso

La Toscana gode sicuramente di un settore idrico strutturato in modo migliore rispetto il resto d’Italia. Nonostante questa migliore impostazione, il settore di riferimento rimane ancora frammentato, infatti i gestori non riescono a rifornire tutti comuni rendendo necessario l’intervento dei grossisti che, tramite accordi privati con quattro dei sette gestori previamente menzionati, svolgono alcune delle attività di captazione ed adduzione della risorsa idrica per loro conto.

La figura del grossista dell’acqua risponde storicamente all’esigenza di individuare un soggetto in grado di assicurare la continua disponibilità della risorsa idrica in contesti nei quali la disponibilità è scarsa.

I servizi all’ingrosso nel settore idrico sono associati all’acquisto di acqua da parte dei distributori che non dispongono di fonti proprie di approvvigionamento e che si rivolgono a soggetti terzi che gestiscono le attività di captazione e adduzione della risorsa.

Più in generale, un ruolo del grossista è possibile in tutti i segmenti della filiera (acquedotto, fognatura e depurazione) e può svilupparsi in differenti modalità:

 cessioni di acqua all’interno dello stesso ATO;  cessioni di acqua tra gestori confinanti;

 gestione di reti di adduzione al servizio di uno o più ATO;  gestione di invasi o condotte ad uso plurimo;

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 scambio di servizi all’ingrosso tra operatori.29

Analizzando le aziende che svolgono attività all’ingrosso in Italia si nota come la figura del grossista “puro” sia pressoché inesistente al Nord e al Centro, con l’eccezione di Romagna Acque30 e di poche piccole realtà infra-ambito.

Molto spesso infatti l’attività di captazione e adduzione viene espletata contestualmente alla gestione di altre fasi della filiera, in un’ottica di integrazione verticale.

Al contrario in tutte le Regioni meridionali, escluso l’Abruzzo, si osserva la presenza di un soggetto deputato all’approvvigionamento di acqua all’ingrosso come SiciliAcque31, Acque Campania32 e Sorical33 per citare le più grandi.

La Toscana è caratterizzata da un mercato all’ingrosso per i servizi idrici che è stato sviluppato per garantire adeguate prestazioni a tutti gli utenti indipendentemente dalla loro ubicazione.

Gli accordi dunque per il trattamento delle acque reflue all’ingrosso sono stipulati tra un grossista ed il gestore; il primo, riceve le acque reflue e le tratta, il secondo, è il concessionario del servizio idrico in uno o più comuni.

Le relazioni tra grossisti e gestori possono articolarsi su due tipologie di contratti:  concessioni a lungo termine che vanno da 10 a 20 anni stipulate tra la regione,

che possiede gli impianti per il trattamento delle acque, ed un’azienda privata, che fornisce servizi ai rivenditori e funge da concessionario;

 un accordo privato stipulato tra il grossista ed il gestore nel quale, le tariffe, le voci di costo addebitate alle tariffe, i volumi massimi, i ricavi consentiti, e la procedura di revisione delle tariffe sono definiti in modo poco chiaro.

29Berardi D., Mazzola M., Signori F., Traini S.” Il grossista industriale da garante dell’approvvigionamento idrico a finanziatore delle opere”. Laboratorio SPL Collana Acque n°60 Maggio 2016

30 Romagna Acque-Società delle Fonti è la società per azioni, a capitale totalmente pubblico vincolato,

proprietaria di tutte le fonti idropotabili per usi civili della Romagna, che gestisce la produzione all'ingrosso della risorsa per le province di Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini per mezzo di un sistema acquedottistico denominato "Acquedotto della Romagna", sinergico con le "Nuove Fonti Locali" (che la società ha in gestione dal 1°gennaio 2009). L’azienda si occupa della fornitura di acqua all’ingrosso al gestore del servizio idrico (HERA) in 3 ambiti territoriali.

31 Siciliacque è una società mista classificata come “impresa pubblica” operante nel settore della

adduzione dell'acqua potabile della Regione Siciliana.

32 Acqua Campania è concessionaria della Regione Campania per la gestione dell’Acquedotto della

Campania Occidentale (ACO), compreso del sistema di S. Sofia, e del servizio di misura, fatturazione ed incasso dei volumi di acqua potabile somministrati dagli Acquedotti Ex-Casmez (Acquedotto Campano) in gestione diretta alla Regione stessa.

33 Sorical è una società per azioni che si occupa della Gestione degli acquedotti Regionali della Calabria e

del relativo servizio di erogazione di acqua ad usi idropotabili (la Regione Calabria detiene il 51% e Veolia il 49%).

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I contratti esistenti tra grossisti e gestori hanno importanti vantaggi per entrambe le parti.

Infatti il fornitore può allocare i suoi costi fissi ad un più largo numero di unità di fatturazione, ottenendo economia di scala, mentre il rivenditore può evitare il costo di sviluppo di nuove forniture d’acqua e incrementare la capacità del trattamento delle acque reflue.

Sul territorio toscano, diverse sono le aziende che svolgono le attività di depurazione all’ingrosso per i gestori, queste si sono sviluppate nei distretti industriali più importanti e sono per la maggior parte dotati di impianti che trattano al tempo stesso sia reflui civili che industriali.

Molte di queste aziende hanno dato vita in Toscana ad assetti di governance ibridi e che prevedono un partenariato misto pubblico-privato34.

Queste società svolgono diverse attività all’interno della filiera. Alcune di queste infatti svolgono attività di trasporto, altre si occupano di stoccare i rifiuti provenienti da discariche e/o da altre attività produttive, altre ancora che sono specializzate e autorizzate allo svolgimento di una o più fasi diverse di trattamento e smaltimento del rifiuto. Queste quindi sono nate come piccole realtà per soddisfare delle specifiche richieste legate al territorio (ad esempio il trattamento dei reflui derivanti dall’attività conciaria o tessile), per poi diversificarsi al fine di ottimizzare al massimo le potenzialità dei loro impianti.

L’attività dei grossisti si caratterizza anche per un elevato rischio operativo, in quanto il numero degli utenti serviti (Comuni o gestori della distribuzione) è piuttosto ristretto e la morosità anche di un solo soggetto può arrivare a causare l’insolvenza del grossista. A ciò si aggiunge l’impossibilità del grossista di ricorrere a deterrenti, come ad esempio l’interruzione del servizio, e l’indisponibilità di istituti di garanzia, quali i depositi cauzionali.

Di recente, la regolazione AEEGSI ha ricompreso le gestioni all’ingrosso all’interno del perimetro del servizio idrico integrato, nel tentativo anche di impostare un miglior sistema tariffario per tali operatori.

34 La partecipazione pubblica può essere sia di tipo diretto, nella quale sono i comuni a detenere le

quote societarie, sia di tipo indiretto, dove sono delle società pubbliche, di proprietà dei comuni, che detengono le quote azionarie. La compagine privata è generalmente costituita anch’essa da società di capitali il cui azionariato è ripartito, secondo le proprie quote, fra tutti i soci privati.

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