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La figura del direttore generale tra gestione e performance

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Academic year: 2021

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Introduzione

1. Il diritto sanitario: cenni storici pag. 3

2. L’art. 32 Costituzione pag. 5

3. La struttura del Sistema Sanitario Nazionale pag. 8

Capitolo Primo Il direttore generale

1. Cenni sulle Aziende Sanitarie Locali pag. 15 2. La figura del Direttore Generale

nelle ASL: introduzione pag. 18

3. Le cause di ineleggibilità pag. 23

4. L’incompatibilità pag. 24

5. I requisiti e il procedimento di nomina pag. 27

6. La decadenza pag. 30

7. Cenni sul Collegio sindacale

e sul Collegio di direzione pag. 32

8. L’atto Aziendale pag. 33

9. La direzione strategica: cenni pag. 39

Capitolo Secondo La gestione delle Asl

1. Gli incarichi pag. 44

2. La pianificazione e il controllo pag. 54

3. Il controllo di gestione pag. 56

4. Il controllo interno come componente

del risk management pag. 62

5. La gestione dei rischi pag. 68

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Capitolo Terzo

La valutazione e la performance

1. Cosa è la performance pag. 74

2. La valutazione del direttore generale pag. 82 3. Il Piano della performance pag. 85 4. Il ciclo di gestione della performance pag. 86 5. La misurazione della performance pag. 90 6. La trasparenza e la rendicontazione

della performance pag. 96

7. La performance in sanità pag. 97

8. Il progetto “Valutare Salute” pag. 98 9. La valutazione della dirigenza pag. 103 10. Gli strumenti della valutazione pag. 107 11. La disciplina emananda ai sensi della l. 124/2015 pag. 109

Conclusioni pag. 115

Ringraziamenti pag. 120

Bibliografia pag. 123

Sitografia pag. 127

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Introduzione

1. Diritto sanitario, cenni storici

In questa tesi si affronterà l’argomento della dirigenza nell’ambito del diritto sanitario; tema, sopratutto alla luce delle recenti riforme, interessante che ha subito, nel corso del tempo una evoluzione.

Prima di passare all’argomento principale, si vuole fornire una introduzione al tema e alcune definizioni che aiuteranno la successiva comprensione.

Interessante fin da subito è notare come alcuni esperti siano inclini ad affermare che tra salute e medicina esista una differenza di fondo; si suole affermare, infatti, che la sanità (rectius: la salute) sia un fenomeno naturale e sociale, interfaccia di strutture profonde, biologiche ed economiche, mentre la medicina sia un epifenomeno o fenomeno sovrastrutturale.

La medicina rimanda alla salute. La salute rimanda alla medicina. Questa reciprocità di concetti e valori può essere espressa dicendo che la medicina è la salute vista da parte dei medici e che la salute è la medicina vista da parte dei malati.

Sancita tale distinzione si può passare a intendere l’assistenza sanitaria come un'attività di assistenza alla persona malata da parte di un soggetto estraneo che opera sulla base di conoscenze mediche in un complesso organizzato; in questo caso, si può vedere come l'assistenza sanitaria in Italia affonda le proprie radici nella cd hospitalitas cristiana a partire dal medioevo.

Per lungo tempo le cure sanitarie furono considerate di esclusiva spettanza delle organizzazioni religiose e, più tardi, laiche che si occupavano dei poveri e degli emarginati.

Nel corso della storia, la sanità italiana andò definendosi, anche, come igiene pubblica o sanità pubblica, cioè intendendo l'intervento dell'autorità pubblica in prospettiva di difesa sociale dalla malattia.

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4 Nel periodo napoleonico, si creò un apparato di igiene pubblica considerato parte dell'amministrazione degli Interni, allo scopo principale di assicurare l’ordine pubblico: questa visione influenzò inevitabilmente lo sviluppo della sanità pubblica.

La prima legislazione unitaria italiana che ha provveduto a dare un'organica disciplina alla materia fu la legge 20 marzo 1865 n. 2248, allegato C, che, peraltro, delineò l'assetto della sanità nell’ambito della amministrazione dell'ordine pubblico.

L'assistenza ospedaliera fu significativamente riformata, in seguito, dalla legge 17 luglio 1890 n. 6972, che trasformò le Opere pie in Istituzioni pubbliche di beneficenza, meglio note come Ipab, che furono sottoposte alla tutela delle giunte amministrative provinciali e regolate dal diritto pubblico.

Restava, peraltro, l'idea di fondo dello Stato Liberale, secondo cui la tutela della salute individuale era un problema della collettività, che doveva essere affrontato con azioni di prevenzione e fornendo "benevole" assistenza (senza sostenere in via di principio la necessità di assicurare la salute dell’individuo come forma di tutela piena della dignità umana).

Lo sviluppo della produzione industriale, poi, comportò la comparsa di iniziative tra i soggetti maggiormente esposti (i lavoratori), volte a garantire tutela in caso di infortunio o malattia. Comparvero così le società cd di mutuo soccorso, che venivano finanziate preventivamente dai soci-lavoratori e da lasciti di benefattori allo scopo di rimborsare in tutto o in parte le spese per le cure mediche necessarie al socio infortunato o malato e di sostenere la famiglia. Si ebbe una significativa svolta quando, ad accedere gratuitamente alle cure mediche, furono non solo gli indigenti, ma anche i lavoratori.

Nel periodo del regime fascista, si continuò a seguire le due direzioni: quanto alla sanità pubblica, si procedette a un riordino della materia con il Testo Unico delle Leggi sanitarie, regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265; quanto, invece, al sistema previdenziale, si procedette alla costituzione di enti parastatali, introducendo un regime di monopolio pubblico.

Sinteticamente, il sistema sanitario che la Repubblica ereditò alla sua nascita, attribuiva alla salute della persona un rilievo giuridico all'interno di tre diversi interessi collettivi: a) ordine pubblico sanitario,

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5 sottostante l'apparato di igiene pubblica; b) la beneficenza pubblica, posta a carico dei comuni; c) la previdenza sociale.

Era la malattia, quindi, l'evento di fronte al quale scattavano le tutele previste dall'ordinamento.

2. Art. 32 Costituzione

L’art 32 Cost. della Repubblica italiana, entrata in vigore il 1° gennaio 1948, recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Arrivare a tale cambiamento non fu facile, le varie versioni della disposizione, che giunsero alla discussione plenaria in assemblea costituente, condensavano in sé tutti i nodi problematici del diritto alla salute; e del resto, un diritto costituzionale alla tutela della salute avrebbe messo necessariamente in discussione il sistema sanitario ereditato dal passato. Fu la differenza di visioni tra i padri costituenti che portò, alla fine, a comprendere la tutela della salute tra i doveri della Repubblica.

La Costituzione italiana del 1948, quindi, delineò un nuovo assetto istituzionale basato sul riconoscimento delle libertà individuali e dei diritti sociali secondo la logica del Welfare State, ed è per questo che viene affermato, nel novero dei diritti sociali, il diritto alla salute. Il diritto alla salute è definito fondamentale dalla Costituzione perché si sostanzia nello stato di benessere fisico, mentale e sociale dell’individuo, costituendo presupposto del godimento di tutti gli altri diritti costituzionali ed esprimendo la pretesa dell’individuo a che i terzi si astengano da comportamenti pregiudizievoli per la propria integrità psicofisica. Ciò determina il diritto alla salute quale assoluto, inviolabile, che può essere fatto valere erga omnes e, in quanto diritto soggettivo perfetto, direttamente azionabile dinnanzi all’autorità giudiziaria.

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6 La rilevanza di tale diritto si evince, anche dall’affermazione della natura di interesse collettivo, in quanto diritto all’integrità e alla salubrità dell’ambiente in cui si vive.

L’art 32 Cost. demanda alla legislazione ordinaria il raggiungimento di tale risultato; con riferimento alla tutela della salute degli indigenti, la norma, diversamente, ha caratteristiche di tipo precettivo ed è immediatamente applicabile.

Il diritto alla salute, dunque, si atteggia sia come pretesa negativa dell’individuo all’astensione da parte di terzi da comportamenti pregiudizievoli per la propria integrità psico-fisica, sia come pretesa positiva alla predisposizione da parte della Repubblica dei mezzi terapeutici necessari a garantire cure adeguate a tutti.

Si nota la complessità dell’art. 32 Cost. per la doppia multidimensionalità, una oggettiva e una soggettiva. Multidimensionalità soggettiva per via dei numerosi soggetti coinvolti; la Repubblica, intesa, come insieme di tutte le attività e funzioni sia dello Stato in quanto tale, sia delle regioni e altri enti pubblici, come soggetto attivo incaricato di tutelare la salute; l’individuo, titolare del fondamentale diritto alla tutela della salute, intendendolo come l’essere umano nella sua dimensione singolare di persona; la collettività, quale insieme dei consociati, che assume rilevanza non solo in opposizione all’individuo, ma, anche, nella sua accezione “superindividuale”, che attribuisce al singolo una posizione di vantaggio in sede di procedimento e processo amministrativo.

Per quanto riguarda la multidimensionalità oggettiva, si guarda ai contenuti del diritto alla salute: il diritto alla tutela, intesa, in primo luogo, come tutela passiva, storicamente corrispondente all’integrità psicofisica, che lentamente è andata ad evolversi nel cd danno biologico risarcibile, sia nel caso di lesione per danno patrimoniale che non patrimoniale; rientra anche nella tutela passiva il cd diritto all’ambiente salubre. Il diritto alla tutela è inteso anche come tutela attiva, tutela, quindi, di un diritto sociale che prevede l’intervento dello Stato, anche se cosa in concreto possa pretendere dalla Repubblica non può ricavarsi dal solo art. 32 Cost. Sempre nella multidimensionalità oggettiva, rientra la libertà di cura, la libertà cioè del soggetto di decidere se curarsi e come curarsi, con la possibilità conseguentemente di rifiutare i trattamenti sanitari, con delle eccezioni che devono essere previste dalla legge nel superiore interesse pubblico; con il diritto al cd

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7 consenso informato, infatti, in assenza di una disposizione di legge che eccezionalmente li imponga, di norma, i trattamenti sanitari sono tutti volontari; da qui discende il diritto dell’individuo ad essere informato, affinché il consenso (o il dissenso) a sottoporsi al trattamento possa formarsi nella piena consapevolezza; il tema delle modalità con cui curarsi, infatti, rientra nella libertà positiva di cura riconosciuta al paziente.

Il secondo comma dell’art 32 Cost. afferma, altresì, l’assolutezza del diritto alla salute, devolvendo al solo legislatore ordinario il potere di imporre trattamenti sanitari obbligatori; si riconosce la necessità, per tali casi, di effettuare un adeguato bilanciamento degli interessi coinvolti; è stato previsto, in altri termini, che i trattamenti sanitari obbligatori siano prescritti nei soli casi e con le sole modalità previste dal legislatore, che, in ogni caso, deve assicurare il rispetto della persona e la dignità umana. La violazione di tali limiti vizierebbe di incostituzionalità eventuali disposizioni normative.

La Repubblica tutela la salute anche come interesse della collettività; si afferma, quindi, il principio di solidarietà. La collettività ha interesse che il singolo svolga la propria personalità nel pieno godimento dei suoi diritti, tra i quali, in primis, vi è la salute; il singolo ha il dovere correlativamente di adempiere i propri obblighi (compreso quello di assicurare condizioni di vita che siano salubri per sé e per gli altri) a beneficio della collettività. Il diritto individuale è quel diritto che dà significato all’interesse collettivo alla tutela della salute. Ciò ritenuto, l’interesse della collettività alla tutela della salute può giustificare l’insorgenza di doveri individuali, tra i quali i trattamenti sanitari obbligatori. Poiché l’importanza nella tutela della salute dell’aspetto soggettivo individuale rispetto a quello collettivo rende inaccettabile un sacrificio della libertà di autodeterminazione se non in presenza di rischi per lo stato di salute della collettività, si capisce che nessun trattamento sanitario obbligatorio potrà essere volto soltanto alla tutela della salute individuale.

Volendo guardare a un livello transnazionale, si potrebbe dire che l’art. 32 Cost. è affiancato, a livello europeo, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, nella quale la salute non ha una valenza autonoma e si estrinseca principalmente in senso negativo, cioè come divieto di comportamenti che potrebbero compromettere la salute umana.

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8 Una maggior specificazione si trova nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea - art. 35 - al cui interno si spiega come la salute si estrinsechi nel “diritto di accedere alla prevenzione sanitaria e in quello a ottenere cure mediche con un livello elevato di protezione della salute umana”. A livello internazionale, invece, una definizione ampia di salute si trova nel preambolo dell’atto costitutivo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), in cui si legge che salute indica “uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non solamente l’assenza di malattie o di infermità”.

3. Struttura del Sistema Sanitario Nazionale

La maggioranza dei costituenti decise di lasciare al legislatore ordinario il compito di riformare il sistema sanitario. Al termine del secondo conflitto mondiale, infatti, l’Italia repubblicana era dotata di un sistema sanitario di tipo mutualistico - assicurativo; la cd fase di ricostruzione del sistema, si limitò a interventi settoriali; a questa fase, seguì quella cd dell’espansione, caratterizzata dall’espansione quantitativa del sistema, guidata in maniera “alluvionale”, con il risultato che, alla metà degli anni sessanta, il quadro era estremamente eterogeneo.

La mancanza di programmazione organica delle prestazioni, poi, generò un elevato tasso di inefficienza del sistema, la cui spesa lievitava per l’eccesso di prestazioni che, oggi, si definirebbero inappropriate.

La prima riforma ospedaliera fu attuata dalla legge 12 febbraio 1968, n. 132, cd legge Mariotti, ed ha avuto ad oggetto l’ordinamento interno dei servizi ospedalieri, dei servizi di assistenza delle cliniche e degli Istituti di ricovero e cura, nonché lo stato giuridico del personale ospedaliero. Tale legge era incentrata sulla razionalizzazione del settore dell’assistenza ospedaliera; fu riformato il sistema degli ospedali, trasformandoli in enti dotati di soggettività di diritto pubblico, i cd enti ospedalieri, gestiti da un Consiglio di amministrazione nominato dagli enti locali. La costituzione di nuovi enti ospedalieri fu affidata alle Regioni, cui veniva per la prima volta riconosciuto un ruolo di indirizzo in materia sanitaria; alle Regioni fu attribuita la funzione di vigilanza e di tutela sugli enti ospedalieri in

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9 aggiunta a quella di sorveglianza e controllo esercitata dal Ministero della sanità.

Col trasferimento delle competenze alle Regioni, si posero le premesse per un’imponente riforma dell’assistenza sanitaria in Italia. Fu, così, emanata la legge 23 dicembre 1978, n. 833, che istituì il Servizio sanitario nazionale, definito all’art. 1, come “il complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociale e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio”.

Il Servizio sanitario nazionale (SNN) venne fondato su determinati principi, in attuazione dell’art. 32 Cost., i quali portarono al superamento del concetto di assistenza sanitaria differenziata per categorie sociali e per enti di erogazione. Tali principi possono essere sintetizzati, quali: il principio di universalità, secondo cui devono essere garantite prestazioni sanitarie a tutti gli individui senza distinzione di condizioni sociali e reddito; di uguaglianza, per il quale tutti hanno diritto a uguali prestazioni a parità di bisogno; di globalità delle prestazioni, che afferma il bisogno di salute dell’individuo, comprensivo, quindi, di prevenzione, cura e riabilitazione; unicità dei soggetti eroganti, pluralismo organizzativo e partecipazione dei cittadini.

Si creò una rete unitaria di Unità sanitarie locali (Usl) e agli obiettivi del Servizio sanitario nazionale, elencanti nell’art. 2, è stato aggiunto un ampliamento delle prestazioni sanitarie erogate. L’attuazione di tali obiettivi fu ripartita fra Stato, Regioni ed enti locali; allo Stato venne riservata la funzione di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative delle Regioni, al fine di orientarle verso gli obiettivi della programmazione economica nazionale e di garantire l’attuazione degli impegni derivanti dagli obblighi internazionali e comunitari. Alle Regioni furono attribuite le funzioni amministrative nelle materie elencate dall’art. 117 Cost., testo previgente, con facoltà di delega alle Province, ai Comuni o ad altri enti locali; alle Regioni fu attribuita, anche, la determinazione degli ambiti delle Unità sanitarie locali, sentiti i Comuni interessati. La riforma riservò alle Province l’approvazione, nell’ambito dei Piani sanitari regionali, della localizzazione dei presidi e dei servizi sanitari. Ai Comuni, invece,

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10 tutte le funzioni amministrative in materia di assistenza sanitaria ed ospedaliera, non espressamente riservate allo Stato o alle Regioni. Altra innovazione della l. 833/1978 fu lo strumento della Programmazione sanitaria ai fini del controllo dell’impiego delle risorse e della razionalizzazione della spesa sanitaria, da svolgersi attraverso l’adozione del Piano sanitario nazionale, e, in ambito regionale, attraverso una programmazione pluriennale da attuarsi mediante i Piani sanitari regionali. L’obiettivo della programmazione sanitaria era quello di collegare gli obiettivi di salute perseguiti dal Servizio sanitario alla disponibilità economica effettiva.

Il nuovo Servizio sanitario nazionale avrebbe dovuto raggiungere la completa attuazione in seguito a una serie di ulteriori provvedimenti attuativi demandati allo Stato, alle Regioni e alle stesse Usl. Una serie di elementi, tuttavia, misero in crisi l’intero processo di riforma, come la mancanza di una vera e propria cultura della programmazione, le difficoltà economico-organizzative in materia di coordinamento fra livello di governo centrale e livelli di governo regionali e locali, eccessiva politicizzazione delle Usl, mancata definizione di precise competenze, mancanza di un sistema di valutazione, criteri di finanziamento penalizzanti. Fu per questo che si avvertì l’esigenza di una normativa generale di riordino del Servizio sanitario nazionale e di una riforma delle Usl.

Con la legge 23 ottobre 1992, n. 421, il Governo venne delegato a riformare il settore della sanità pubblica sulla base di criteri e principi direttivi improntati alla regionalizzazione e aziendalizzazione della sanità, con la finalità di perseguire la razionale utilizzazione delle risorse destinate al Servizio sanitario nazionale e una migliore efficienza del servizio, contestualmente al contenimento della spesa sanitaria.

In attuazione della delega, il Governo emanò il decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502 col quale, pur mantenendo i valori e gli obiettivi della l. 833/1978, si è profondamente innovato, introducendo metodi e strumenti nuovi per il raggiungimento degli obiettivi del Sistema sanitario nazionale. I punti chiave di tale riforma possono essere sicuramente definiti come: centralità dello strumento della Programmazione sanitaria dove il Piano sanitario nazionale diventa strumento principale della programmazione sanitaria e rappresenta il quadro normativo di riferimento; definizione di livelli di assistenza

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11 uniformi; aziendalizzazione delle strutture di produzione ed erogazione dei servizi sanitari, dove le Usl vengono configurate come aziende dotate di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, patrimoniale, contabile e gestionale di impronta privatistica; nuovo modello di finanziamento; competitività tra pubblico e privato nell’erogazione delle prestazioni assistenziali; regionalizzazione del sistema sanitario; partecipazione del cittadino alla fase gestionale ed organizzativa del Servizio sanitario nazionale, mediante segnalazioni di proposte e raccolta di informazioni in merito all’organizzazione dei servizi e alla verifica degli obiettivi raggiunti; una nuova disciplina della gestione economico-finanziaria delle aziende sanitarie; metodi di verifica e revisione della qualità e quantità delle prestazioni erogate. Il d.lgs. 502/1992 fu modificato quasi subito dal decreto legislativo 7 dicembre 1993, n. 517 che eliminò la qualificazione delle aziende sanitarie come enti strumentali della Regione, attribuendo maggiore autonomia al management delle aziende sanitarie, nel rispetto dei vincoli stabiliti dalla Regione in materia di organizzazione, finanziamento, controlli e nomina del direttore generale. In seguito, furono emanati numerosi provvedimenti legislativi modificativi, integrativi ed attuativi del d.lgs. 502/1992 e del d.lgs. 517/1993.

È importante ricordare la cd riforma sanitaria “ter”: il decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, che ha in gran parte riscritto il d.lgs. 502/1992, consolidando e rafforzando i processi di aziendalizzazione e qualificazione dell’assistenza. Il decreto ha completato il processo di regionalizzazione del sistema sanitario, attribuendo definitivamente alle Regioni il compito di organizzare ed erogare il servizio sanitario. Vengono attribuite, inoltre, alle Regioni stesse la determinazione dei principi sulla organizzazione dei servizi e sulle attività destinate alla tutela della salute e dei criteri di finanziamento delle aziende sanitarie.

Il nuovo assetto normativo vede il processo di aziendalizzazione delle strutture sanitarie, caratterizzato sempre più da elementi di razionalità organizzativa ed economica. Si prevede che le aziende si dotino di una propria organizzazione attraverso l’adozione di un atto di diritto privato, “l’atto aziendale”. La scelta dei direttori generali delle aziende sanitarie avviene sempre su base fiduciaria attraverso procedure che, con opportuni criteri, consentano la selezione di figure altamente professionali ed idonee. Il direttore generale, a sua volta, nomina il direttore amministrativo e il direttore sanitario: per ognuna di queste

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12 figure sono definite funzioni, criteri di nomina e valutazione delle attività. La riforma disciplina anche l’articolazione delle Ausl in distretti sanitari, definisce il ruolo delle Regioni, a cui spetta la competenza primaria nella gestione ed organizzazione dell’offerta dei servizi sanitari delle strutture sanitarie afferenti ai Servizi Sanitari Regionali; si prevede, tra l’altro, il rafforzamento del ruolo dei Comuni nella fase di programmazione, l’obbligo di istituire, con legge regionale, la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale; si riconosce alle Regioni la competenza in materia di accreditamento istituzionale delle strutture sanitarie, che rispondono a requisiti ulteriori di qualificazione rispetto a quelli richiesti per l’autorizzazione, funzionali rispetto agli indirizzi del Piano sanitario regionale; si introduce la cd sperimentazione gestionale, per cui le Regioni interessate possono proporre programmi di sperimentazione di nuovi modelli gestionali che prevedono forme di collaborazione tra strutture del Servizio sanitario nazionale e soggetti privati; si riforma la dirigenza sanitaria, stabilendone la collocazione in un unico ruolo e in unico livello articolato in relazione alle diverse responsabilità professionali e di gestione; si valorizza il ruolo della formazione permanente e dell’aggiornamento professionale, si modifica la definizione dei Livelli Essenziali di assistenza, affermando che vengono definiti dal Piano sanitario nazionale. La riforma precisa che il Piano sanitario nazionale ha durata triennale ed è adottato dal Governo, d’intesa con la Conferenza unificata.

Il decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229 è stato oggetto di modifiche ed integrazioni, con, ad esempio, il decreto legislativo 2 marzo 2000, n. 49, regolante il termine di opzione per il rapporto esclusivo da parte dei dirigenti sanitari, e con il decreto legislativo 28 luglio 2000, n. 254,che ha potenziato le strutture per l’attività libero-professionale dei dirigenti sanitari.

Queste novità legislative introdotte dalla riforma “ter” devono essere collocate nell’ambito della Riforma del Titolo V della Costituzione e della nuova ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni nel settore sanitario che ne è derivata.

Il nuovo art. 117 Cost. attribuisce, quindi, alle Regioni competenza, in concorrenza con il legislatore nazionale, in materia di “tutela della salute”, permettendo di includere, nella competenza legislativa regionale, anche atti generali di indirizzo in materia di politica sanitaria. Allo Stato resta affidata, in competenza esclusiva, la

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13 determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali.

Vi furono altre riforme, come il Piano sanitario nazionale 2003-2005, varie manovre finanziarie che hanno coinvolto l’ambito sanitario. In particolare, l’Intesa Stato-Regioni del 23 marzo 2005 ha come premessa la garanzia del rispetto del principio della uniforme erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza in condizioni di appropriatezza, di adeguato livello qualitativo e di efficienza, coerentemente con le risorse programmate dal Servizio sanitario nazionale. L’intesa è volta a massimizzare l’efficienza del Servizio sanitario nazionale, attraverso programmi di sviluppo e ottimizzazione delle attività e di contenimento della spesa, nell’ottica di liberare risorse da concentrare su interventi volti a migliorare lo stato di salute dei cittadini, migliorando al contempo i servizi socio-sanitari del territorio.

Il decreto legislativo 6 maggio 2011, n. 68 reca le “Disposizioni in materia di autonomia di entrata delle regioni a statuto ordinario e delle province, nonché di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard nel settore sanitario”. Il decreto stabilisce la soppressione dei trasferimenti statali ed individua le fonti di finanziamento della spesa regionale; al finanziamento della spesa sanitaria, dunque, fino al 2013, concorrono le entrate proprie delle Regioni nella misura convenzionalmente stabilita nel riparto delle disponibilità finanziarie per il Servizio sanitario nazionale per l’anno 2010 e le ulteriori risorse. Anche questo decreto poi, demanda alla legge statale le modalità di determinazione dei livelli essenziali di assistenza e dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. L’anno 2012 ha rappresentato un periodo di crisi per l’Italia, comportando forti conseguenze anche per la sanità; è per questo che la legge 7 agosto 2012, n. 135, “conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi dei cittadini”, costituì la cd Spending review Sanità, dettando importanti disposizioni urgenti per l’equilibrio del settore sanitario. Il finanziamento del Servizio sanitario nazionale viene ridotto con aumenti progressivi per gli anni 2012-2015 e si restituisce impulso all’adozione dei costi standard sanitari previsti dal federalismo fiscale. Si dispone la possibilità di sperimentare nuovi modelli assistenziali per razionalizzare e contenere la spesa pubblica; per quanto riguarda le

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14 Regioni in disavanzo sanitario si dispone che esse possano aumentare l’addizionale Irpef già dal 2013.

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Capitolo Primo Direttore Generale

Sommario: §1. Cenni sulle Aziende Sanitarie Locali.- §2. La figura del Direttore Generale nelle ASL: introduzione.- §3. Le cause di ineleggibilità.- §4. L’incompatibilità.- §5. I requisiti e il procedimento di nomina.- §6. La decadenza.- §7. Cenni sul Collegio sindacale e sul Collegio di direzione.- §8. L’atto aziendale.- §9. Direzione strategica: cenni.

1. Cenni sulle Aziende Sanitarie Locali

La legge 23 dicembre 1978, n. 833, all’art. 10, ha previsto: “alla gestione unitaria della tutela della salute si provvede in modo uniforme sull’intero territorio nazionale mediante una rete completa di unità sanitarie locali. L’unità sanitaria locale è il complesso dei presidi, degli uffici e dei servizi dei comuni, singoli o associati, e delle comunità montane i quali in un ambito territoriale determinato assolvono ai compiti del servizio sanitario nazionale di cui alla presente legge. Sulla base dei criteri stabiliti con legge regionale i comuni, singoli o associati, o le comunità montane articolano le unità sanitarie locali in distretti sanitari di base, quali strutture tecnico-funzionali per l’erogazione dei servizi di primo livello e di pronto intervento”. Il d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, peraltro, ha trasformato l’USL da strumento operativo del Comune in soggetto istituzionale deputato alla gestione dei servizi sanitari. L’USL viene conformata come ente locale avente personalità giuridica pubblica, dotato di: autonomia organizzativa, autonomia amministrativa, autonomia patrimoniale, autonomia contabile, autonomia tecnica, autonomia gestionale, quest’ultima intesa come potere di determinazione degli obiettivi dell’azione istituzionale, di definizione delle modalità di svolgimento delle attività e di conformazione dell’organizzazione.

Il processo di aziendalizzazione ha, tuttavia, stentato a decollare, e, in ogni caso, non ha fornito i risultati sperati dal legislatore del 1992. La motivazione di questi esiti negativi deve essere ricercata nei notevoli ritardi e nelle lacune normative riconducibili alle Regioni

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16 nell’adeguare il sistema alle nuove necessità aziendalistiche delle strutture sanitarie. Per loro natura, infatti, le aziende dell’imprenditoria privata operano in regime di massima flessibilità delle strutture, dei processi e della gestione del personale: tutte operazioni che non hanno potuto e non possono essere calate nella sfera delle Aziende Sanitarie ove non si proceda preventivamente a mutare il rigido quadro normativo di riferimento.

Sul finire degli anni ’90 del secolo scorso i tempi si presentano maturi perché si portasse a compimento il processo necessario di introduzione di una vera impostazione aziendalistica in Sanità.

Il d.lgs. 19 giugno 1999, n. 229, infatti, all’art. 3, comma 1, reca modificazioni all’art. 3 del d.lgs. 502/1992 e introduce il nuovo comma 1bis con il quale si dispone che “[…] le Unità Sanitarie Locali si costituiscono in aziende con personalità giuridica pubblica e autonomia imprenditoriale […]”. In sostanza, pur essendo persone giuridiche pubbliche mediante le quali la Regione assicura i livelli essenziali di assistenza sanitaria, nel perseguire i propri fini istituzionali, esse agiscono alla stregua di un’impresa privata. La loro organizzazione e il funzionamento dei propri organi sono disciplinati da un atto aziendale di diritto privato analogo all’atto costitutivo di una società privata. I criteri operativi sono di stampo aziendalistico, ispirandosi ai principi di efficacia, economicità, responsabilità dirigenziale; operano con atti e strumenti di diritto privato e sono tenute all’osservanza dei vincoli di bilancio. Nel caso in cui, in relazione al fabbisogno che la Regione ritiene di dover coprire, si riveli insufficiente l’insieme di strutture pubbliche nella circoscrizione dell’ASL, sovviene lo strumento dell’accreditamento di strutture sanitarie private “da qualificare come rapporto concessorio di servizio pubblico”.

La giurisprudenza amministrativa, coniugando l’autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica delle aziende sanitarie con la responsabilità manageriale dei Direttori Generali, ha statuito che le Aziende Sanitarie “hanno piena autonomia gestionale con riguardo alla spesa sanitaria, nell’ambito delle prerogative ad esse attribuite, ed in ogni caso una direttiva regionale non può assumere effetti derogatori o di revoca rispetto ad una precedente deliberazione del Direttore Generale”1. Il Consiglio di

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17 Stato, in questo modo ha affermato un principio rilevante in tema di “sussidiarietà”, ammettendo la prevalenza di una delibera di un direttore generale di ASL in quanto non suscettibile di essere annullata da un successivo provvedimento della Regione.

È stato specificato che l’azienda sanitaria, con la riforma disposta dal d.lgs. n. 229/99, ha ottenuto, con l’attribuzione della “autonomia imprenditoriale”, il riconoscimento della natura di “ente pubblico economico”2

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L’ente pubblico economico è una vera e propria impresa ed è svincolato da un rapporto di dipendenza con l’ente pubblico al quale è collegato. Questo può emanare direttive per l’attuazione di un proprio indirizzo politico o amministrativo, ma certamente non può sostituirsi agli organi dell’ente nel fissare l’indirizzo di impresa.

La giurisprudenza ha osservato che l’attività di produzione delle prestazioni sanitarie, poste in essere dall’ASL, appare, nella sostanza, assimilabile a quella di ogni altro imprenditore del settore che opera sul mercato in regime di concorrenza.

La natura di enti strumentali della Regione è stata, tuttavia, riaffermata dalla Corte Costituzionale che, pronunciandosi con sentenza 19 marzo 2007, n. 104, ha ritenuto le aziende sanitarie laziali rientranti nel novero degli enti dipendenti dalla Regione. Il Giudice delle leggi non ha mancato di evidenziarne comunque l’autonomia, precisando che: “le ASL, in quanto strutture cui spetta di erogare l’assistenza, i servizi e le prestazioni sanitarie nell’ambito dei servizi sanitari regionali, assolvono compiti di natura essenzialmente tecnica, che esercitano con la veste giuridica di aziende pubbliche, dotate di autonomia imprenditoriale, sulla base degli indirizzi generali contenuti nei piani sanitari regionali e negli indirizzi applicativi impartiti dalle Giunte regionali”.

Si può affermare che il processo di aziendalizzazione è sfociato in un modello di integrazione pubblicistica tra forme organizzative e forme di dirigenza. La costante esigenza di differenziazione del settore sanitario rispetto alle altre Pubbliche Amministrazioni appare risolta nel senso di una originale saldatura tra organizzazione pubblica e rapporto di servizio privatizzato ed esclusivo, per il tramite dell’Atto

2 Tar Catanzaro, sezione II, 17 gennaio 2001, n. 37, confermata dal Consiglio di Stato, sezione V, 9 maggio 2001, n. 2609.

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18 aziendale che individua strutture, complesse e semplici, in cui si articola l’Azienda Sanitaria, attribuendole ai dirigenti con atto fiduciario del direttore generale.

2. La figura del Direttore Generale nelle ASL: introduzione

Il d.lgs. 502/1992 individuava l’assetto degli organi dell’ASL e attribuiva tale posizione al direttore generale e al Collegio sindacale. La legge 8 novembre 2012 n. 189 ha modificato l’art. 3 del d.lgs. 502/1992, disponendo, al comma 1quater, che sono organi dell’azienda il direttore generale, il collegio di direzione e il collegio sindacale.

Le aziende sanitarie sottostanno indubbiamente, nell’espletamento delle attività istituzionali, all’azione di coordinamento della Regione e al potere di controllo di cui la legge le investe, ma questo non determina l’instaurazione di un vincolo di dipendenza in senso stretto, ostacolato dalla conformazione delle aziende stesse in persone giuridiche autonome, a carattere imprenditoriale, rette da un atto aziendale di diritto privato e governate da un organo, quale è il direttore generale, sul quale incombe una responsabilità di risultato correlata ad un’ampia discrezionalità nel decidere le strategie aziendali. Si può affermare da un canto l’autonomia imprenditoriale delle aziende sanitarie, dall’altro canto la convergente autonomia gestionale dei direttori generali cui fa contraltare la responsabilità del risultato (responsabilità della gestione complessiva), che assume concretezza, con riguardo ai parametri generali dell’azione amministrativa fissati dalla fonte legislativa, nell’economicità, nell’efficacia, nell’efficienza e anche nella trasparenza, rapportata agli obiettivi fissati dal contratto individuale di lavoro.

La posizione di direttore generale di Azienda Sanitaria si colloca nel punto di intersezione della fonte costituzionale e delle fonti ordinarie, che concorrono a definire il ruolo e a tracciarne l’identità.

Occorre partire dall’art. 32 Cost., che tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, sicché “il perseguimento di sempre migliore condizione sanitaria della popolazione” costituisce “uno degli obiettivi primari che la

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19 Costituzione assegna alla Repubblica”3, intesa come l’insieme degli apparati pubblici. Sul direttore generale di azienda sanitaria incombe il dovere di sintesi tra economicità ed efficacia, che implica a sua volta la non agevole conciliazione tra la speditezza dell’azione amministrativa e la legalità formale, la quale ultima impone la rigorosa osservanza delle disposizioni di legge e di regolamento, e il rispetto dei procedimenti da essi previsti che, nonostante la semplificazione introdotta dalla legge 7 agosto 1990, n. 241 e dalla riforma Bassanini (l. 15 marzo 1997 n. 59), continuano in molti casi ad essere appesantiti da vincoli burocratici.

I vizi dei provvedimenti assunti dal direttore generale non si esauriscono in quelli contemplati dagli artt. 21septies e 21octies legge n. 241/1990, ma vanno oltre detti confini. Il Consiglio di Stato4 ha osservato che la mancanza di capacità dell’Amministrazione non può essere giudicata alla stregua di una causa di annullamento del contratto, in quanto il difetto di capacità dell’ente pubblico dipende dalla violazione di norme dettate nel pubblico interesse “che concernono, in definitiva, l’ordine pubblico economico”. La sintesi, tra questi diversi criteri, passa attraverso la categoria della legalità sostanziale in direzione della quale si sviluppa l’attuale tendenza dell’ordinamento amministrativo, cui è correlata l’evoluzione della responsabilità dirigenziale, sempre più nettamente identificantesi nella responsabilità manageriale e nella responsabilità da risultato.

La legalità sostanziale e l’efficienza complessiva di una struttura amministrativa pluriarticolata e complessa, quale è un’azienda sanitaria, e la responsabilità dell’organo apicale, vanno riguardate e giudicate in relazione ai risultati conseguiti, alla chiarezza e alla precisione nella distribuzione delle competenze fra unità amministrative, alla capacità di affidamento dei compiti e di individuazione delle responsabilità, alla flessibilità organizzativa, etc.: il tutto strumentale all’efficienza complessiva del servizio sanitario in funzione della tutela del diritto alla salute.

Come viene sostenuto in dottrina, l’importanza del ruolo svolto dal direttore generale rende necessaria una continua vigilanza da parte della Regione che, al momento della nomina, gli assegna gli obiettivi di tutela della salute e di funzionamento dei servizi, verificandone il

3

Corte Costituzionale 18 dicembre 1987, n. 559. 4 Consiglio di Stato, sezione V, 1 marzo 2010, n.1156.

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20 perseguimento decorsi 18 mesi. Se il risultato della verifica è negativo la Regione può non confermare l’incarico.

Come si può già evincere da quanto detto fino ad ora, l’azienda sanitaria locale non può rifarsi al concetto di “ente dipendente” della Regione, in quanto, come la relativa normativa riferisce, l’azienda sanitaria è una “azienda dotata di personalità giuridica pubblica, di autonomia organizzativa, amministrativa, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica”. L’Azienda sanitaria, quindi, ha perso la caratteristica di organo della Regione, acquisendo una propria soggettività giuridica con autonomia imprenditoriale. Ha una piena autonomia di gestione con riguardo alla spesa sanitaria, nell’ambito delle prerogative ad essa attribuite; ed in ogni caso una direttiva regionale non può assumere effetti derogatori o di revoca rispetto ad una precedente deliberazione del direttore generale.

In base al d.lgs. 502/1992 il rapporto di lavoro del direttore generale (così come per il direttore amministrativo e direttore sanitario) è esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato costitutivo di rapporto di lavoro autonomo, ed è quindi assoggettato unicamente alle norme del codice civile. E’ altresì evidente che essendo le norme sulla durata minima del contratto di natura speciale, le medesime prevalgono su qualsivoglia normativa generale che consente l’interruzione del rapporto prima del decorso di periodo, a meno della ricorrenza di determinate ipotesi espressamente previste.

E’ agevole osservare che se la Regione ha disposto con l’insediamento dei nuovi organi di verifica la risoluzione anticipata dei contratti di diritto privato dei direttori generali, tale previsione realizza una palese violazione dell’art. 117, comma 2, lett. L) Cost. Come più volte affermato dalla Corte Costituzionale, la materia dei contratti è di esclusiva competenza legislativa dello Stato.

Il contratto di diritto privato, comunque, istituisce un rapporto di natura fiduciaria tra il soggetto nominato e la Regione, preceduto dalla nomina disposta unilateralmente dalla Regione mediante atto amministrativo espressione di poteri autoritativi.

Il rapporto di lavoro del Direttore Generale, quindi, è esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre anni e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del Titolo III del Libro V del Codice Civile. Nella delicata

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21 materia anche la giurisprudenza di merito e di legittimità5si è espressa circa la natura giuridica del rapporto dei direttori generali, statuendo che è la stessa legge, art. 3bis, comma 8, del d.lgs. 502/1992, introdotto dall’art. 3 del d.lgs. 229/1999, a qualificare espressamente che il rapporto è “[…] esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato […]”, per cui tale rapporto è di diritto privato e deve necessariamente essere considerato tale a tutti gli effetti.

La diffidenza è rappresentata dal fatto che il direttore generale non è legato alla struttura sanitaria pubblica da alcun vincolo di subordinazione, essendo la sua attività correlata e coordinata con i fini dell’Azienda Sanitaria come ente dotato di autonomia organizzativa, gestionale, amministrativo contabile. Inoltre, “il carattere fiduciario tipico dell’incarico del Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria, come già individuato dal Consiglio di Stato e la discrezionalità di cui gode l’Ente nella scelta del soggetto destinato a ricoprire tale funzione sono elementi che rafforzano la scelta del legislatore dell’inquadramento del rapporto tra quelli privati di lavoro autonomo”6

.

Il d.p.c.m. 31 maggio 2001 ha rafforzato il concetto che trattasi delle disposizioni degli artt. 2222 e seguenti del codice civile relative al lavoro autonomo, come contratto di prestazione d’opera professionale autonoma, esaltando con ciò la grande autonomia del direttore generale, evidenziata dalla normativa che precisa che, all’atto della nomina di ciascun direttore generale, le Regioni definiscono ed assegnano, aggiornandoli periodicamente, gli obiettivi di salute e di funzionamento dei servizi, con riferimento alle relative risorse, ferma restando la piena autonomia dei direttori generali.

La qualificazione giuridica dello status e del rapporto del direttore generale è importante anche ai fini dell’individuazione della autorità giurisdizionale.

La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo si fonda essenzialmente sull’art. 103 della Costituzione, che disciplina il riparto di giurisdizione tra il giudice ordinario e quello amministrativo e, sull’art. 24 Cost., che afferma la tutela sia per i diritti soggettivi sia per gli interessi legittimi, attribuisce le controversie relative ai diritti al

5

Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 4214/1998; Corte Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 100/1999.

6 Vedi MACEROLLO N., Il Rapporto fiduciario del dirigente pubblico, con la collaborazione di D’ALESIO S., Cacucci Editore, 2003, pag. 34.

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22 giudice ordinario e quelle relative agli interessi legittimi al giudice amministrativo, competente a conoscere e giudicare in ordine a diritti soggettivi “in particolari materie indicate dalla legge”. Parte della giurisprudenza ritiene che il rapporto di lavoro sia di natura privata ed entrambi i soggetti sono posti su di un piano paritario e titolari di posizioni di diritto soggettivo, per cui la competenza è del giudice ordinario sulle questioni circa la decadenza dell’incarico per gravi motivi, violazioni di legge e dei principi di buon andamento ed imparzialità dell’azione amministrativa. Il Tar Sicilia, sezione distaccata di Catania (sez. II), nella sent. n. 215 dell’8 febbraio 2002 ha affermato che “le controversie relative al lavoro del Direttore Generale di una Azienda Sanitaria, comprese la decadenza o la revoca di tipo sanzionatorio ai sensi dell’art. 3bis, comma 7, appartengono al giudice ordinario”.

La parte della giurisprudenza citata ritiene che, essendo il rapporto di lavoro di natura privata, entrambi i soggetti sono posti su un piano paritario e titolari di diritti soggettivi, per cui la competenza del giudice ordinario è contemplata per tutte le volte in cui si presentino questioni circa la decadenza dell’incarico, mentre spetta all’autorità amministrativa tutte le volte in cui l’oggetto della controversia è la nomina e la mancata conferma dell’incarico di direttore generale, in seguito alla verifica annuale dei risultati gestionali conseguiti.

Di orientamento differente è stata la Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili, con sentenza dell’11 febbraio 2003, n. 2065, sul caso di un direttore generale di Azienda Sanitaria che chiedeva il risarcimento del danno per mancata conferma dell’incarico.

La Suprema Corte ha affermato che l’azione deve essere proposta davanti al giudice ordinario, perché non si tratta dell’impugnazione di un provvedimento amministrativo: solo nell’ipotesi di impugnazione della delibera regionale di conferma o non conferma sussiste la giurisdizione dell’autorità amministrativa.

La nomina e l’impostazione dei rapporti amministrativi-gestionali su base fiduciaria rientra nell’ambito dello spirito dello spoil system, istituto che è nato con il d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 corretto dal d.lgs. 29 ottobre 1998, n. 387 in tema di conferimento di incarichi dirigenziali. Lo spoil system è, in particolare, quel meccanismo rivolto a far determinare al massimo livello politico-amministrativo la composizione pro-tempore dell’esecutivo, attraverso, per l’appunto, il

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23 rinnovo dei più alti livelli dirigenziali-amministrativi, giustificato con l’assunto che solo in tal modo possa instaurarsi fra la maggioranza politica e i rami alti dell’amministrazione quel rapporto fiduciario, basato su un intuitus personae, occorrente per assicurare la sintonia necessaria a tradurre operativamente il contenuto essenziale della pianificazione strategica.

3. Le cause di ineleggibilità

Il direttore generale non è eleggibile a membro dei Consigli comunali, dei Consigli provinciali, dei Consigli e Assemblee delle Regioni e del Parlamento, salvo che le funzioni esercitate non siano cessate da almeno centottanta giorni prima della data di scadenza dei periodi di durata dei predetti organi. In caso di scioglimento anticipato dei medesimi, le cause di ineleggibilità non hanno effetto se le funzioni esercitate siano cessate entro i sette giorni successivi alla data del provvedimento di scioglimento. In ogni caso, il direttore generale non è eleggibile nei collegi elettorali nei quali sia ricompreso, in tutto o in parte, il territorio dell’azienda sanitaria locale presso la quale abbia esercitato le sue funzioni in un periodo compreso nei sei mesi antecedenti la data di accettazione della candidatura; tale disciplina è sancita dall’art. 60 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. Il direttore generale che sia stato candidato e non sia stato eletto non può esercitare per un periodo di cinque anni le sue funzioni in Aziende Sanitarie comprese, in tutto o in parte, nel collegio elettorale nel cui ambito si sono svolte le elezioni. Con tale disposizione il legislatore ha inteso evitare l’esercizio da parte di questa particolare categoria dei soggetti della captatio benevolentiae o il metus publicae potestatis, fissandone l’ineleggibilità.

Il soggetto che ricopre una di quelle funzioni indicate al comma 1, punto 8, dell’art. 60, interessato ad essere eletto, dovrà tener conto di due elementi: 1) che la data delle elezioni per il rinnovo degli organi degli enti locali può essere fissata dal Ministro dell'Interno, in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno; 2) che la presentazione delle liste dei candidati, ai sensi dell’art. 28 del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, deve essere fatta alla segreteria del comune dalle ore 8 del trentesimo giorno alle ore 12 del ventinovesimo giorno antecedenti la data delle votazioni.

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24 Si tende, quindi, a evidenziare che un direttore generale delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, qualora intenda partecipare alla competizione elettorale per il rinnovo degli organi di un ente locale nel cui collegio elettorale ricada, anche solo in parte, l’azienda sanitaria da cui dipende, al fine di poter essere con un buon margine di sicurezza in una condizione di eleggibilità, dovrà interrompere l’esercizio delle funzioni in coincidenza con l’inizio della seconda metà del mese di settembre, precedente la scadenza elettorale.

Tale normativa si applica anche ai direttori amministrativi ed ai direttori sanitari.

4. L’incompatibilità

La carica di direttore generale è incompatibile con quella di membro del Consiglio e delle Assemblee delle Regioni e delle Provincie autonome, di Consigliere provinciale, di Sindaco, di Assessore comunale, di Presidente o di Assessore di Comunità montana, di membro del Parlamento, nonché con l’esistenza di rapporti, anche di regime convenzionale, con l’Azienda Sanitaria locale presso cui sono esercitate le funzioni o di rapporti economici o di consulenza con strutture che svolgono attività concorrenziali con la stessa.

La carica di direttore generale è incompatibile con la sussistenza di altro rapporto di lavoro, dipendente o autonomo. La carica è altresì incompatibile con la sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente, ancorché in regime di aspettativa senza assegni, con l’Azienda Sanitaria presso cui sono esercitate le funzioni. Tale normativa, contenuta nel d.lgs. 502/1992, testo vigente, si applica anche ai direttori amministrativi e ai direttori sanitari.

Il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, all’art. 10, parlando di incompatibilità, ha aggiunto che: “gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali di una medesima regione sono incompatibili: a) con gli incarichi o le cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dal servizio sanitario regionale; b) con lo svolgimento in proprio, da parte del soggetto incaricato, di attivita' professionale, se questa e' regolata o finanziata dal servizio sanitario regionale.

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25 L'incompatibilita' sussiste altresi' allorche' gli incarichi, le cariche e le attivita' professionali indicate nel presente articolo siano assunte o mantenute dal coniuge e dal parente o affine entro il secondo grado.” Per quanto riguarda l’incompatibilità tra incarichi di direzione nelle Aziende sanitarie locali e cariche di componenti degli organi di indirizzo politico nelle amministrazioni statali, regionali e locali, l’art. 14, d.lgs. 39/2013 afferma che il direttore generale è incompatibile con la carica di Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico nazionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario nazionale o di parlamentare; è incompatibile anche: a) con la carica di componente della giunta o del consiglio della Regione interessata ovvero con la carica di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico regionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario regionale; b) con la carica di componente della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione della medesima regione; c) con la carica di presidente e amministratore delegato di enti di diritto privato in controllo pubblico da parte della Regione, nonche' di province, comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di forme associative tra comuni aventi la medesima popolazione della stessa Regione.

L’art. 3, d.lgs. 39/2013, per quanto riguarda l’inconferibilità di incarichi in caso di condanna per i reati contro la Pubblica Amministrazione, prescrive che “A coloro che siano stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per uno dei reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, non possono essere attribuiti:[…] gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali del servizio sanitario nazionale”.

“Gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali”, per l’art. 5, d.lgs. 39/2013, “non possono essere conferiti a coloro che, nei due anni

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26 precedenti, abbiano svolto incarichi e ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati dal servizio sanitario regionale”.

Il d.lgs. 39/2013 ha sottolineato, all’art. 8, come gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali, non possono essere conferiti a coloro che nei cinque anni precedenti siano stati candidati in elezioni europee, nazionali, regionali e locali, in collegi elettorali che comprendano il territorio della ASL. Ed inoltre, non possono essere conferiti a coloro che nei due anni precedenti abbiano esercitato la funzione di Presidente del Consiglio dei ministri o di Ministro, Viceministro o sottosegretario nel Ministero della salute o in altra amministrazione dello Stato o di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico nazionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario nazionale; l’inconferibilità si applica anche a coloro che nell'anno precedente abbiano esercitato la funzione di parlamentare e a coloro che, nei tre anni precedenti, abbiano fatto parte della Giunta o del Consiglio della Regione interessata, ovvero abbiano ricoperto la carica di amministratore di ente pubblico o ente di diritto privato in controllo pubblico regionale che svolga funzioni di controllo, vigilanza o finanziamento del servizio sanitario regionale.

Gli incarichi di direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo nelle aziende sanitarie locali, infine, non possono essere conferiti a coloro che, nei due anni precedenti, abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione, il cui territorio e' compreso nel territorio della ASL.

Sempre secondo il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, lo svolgimento degli incarichi in una delle situazioni di incompatibilità, comporta la decadenza dall'incarico e la risoluzione del relativo contratto, di lavoro subordinato o autonomo, decorso il termine perentorio di quindici giorni dalla contestazione all'interessato, da parte del responsabile, dell'insorgere della causa di incompatibilità. Restano ferme le disposizioni che prevedono il collocamento in aspettativa dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni in caso di incompatibilità.

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5. I requisiti e il procedimento di nomina

Il d.lgs. 229/1999 ha ridefinito i requisiti per l’accesso all’incarico di direttore generale con una semplificazione delle relative modalità, a seguito del conseguente ampliamento del potere discrezionale della Regione, per effetto dell’avanzamento del processo di aziendalizzazione, nonché della riaffermata natura privatistica e fiduciaria del rapporto di lavoro e del principio di responsabilità amministrativa e gestionale del direttore generale. Con ciò è stato eliminato ogni procedimento a carattere selettivo basato su requisiti che richiedano valutazione comparativa e motivazione della scelta. I caratteri privatistico e fiduciario del rapporto comportano la più ampia discrezionalità in capo alla Regione, in quanto l’elemento fondamentale per la nomina è rappresentato dal rapporto fiduciario intercorrente tra l’organo istituzionale e il soggetto prescelto per il conferimento dell’incarico di direttore generale.

Alla selezione si accede con il possesso di laurea magistrale e di adeguata esperienza dirigenziale, almeno quinquennale nel campo delle strutture sanitarie o settennale negli altri settori, con autonomia gestionale e con diretta responsabilità delle risorse umane, tecniche o finanziarie, nonché di eventuali ulteriori requisiti stabiliti dalla Regione. Tale norma, contenuta nell’art. 3bis d.lgs. 502/1992, testo vigente, deve interpretarsi nel senso che, in ambito sanitario sarà considerata adeguata l’esperienza dirigenziale svolta in qualità di direttore generale di azienda sanitaria, di direttore sanitario o amministrativo di azienda sanitaria, di direttore di presidio ospedaliero, di dipartimento, e/o struttura complessa per le quali si ha evidenza della diretta responsabilità nell’adozione di atti e provvedimenti amministrativi e di diritto privato, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.

Non dovrebbe, al contrario, essere valutata l’esperienza dirigenziale semplice, individuale di staff e/o di struttura semplice.

Analogamente negli altri settori dovrebbe essere considerata adeguata l’esperienza dirigenziale svolta in qualità di direttore generale e/o dirigente di dipartimento, servizio, settore per le quali si ha evidenza

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28 della diretta responsabilità nell’adozione di atti e provvedimenti amministrativi o di diritto privato, nonché la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo.

La Regione, inoltre, deve assicurare, anche mediante il proprio sito internet, adeguata pubblicità e trasparenza ai bandi, alla procedura di selezione, alle nomine e ai curricula.

Il procedimento di nomina del direttore generale è stato recentemente modificato dalla lett. a), comma 1, art. 4, d.l. 24 settembre 2012, n. 158, come sostituito dalla legge di conversione, legge 8 novembre 2012, n. 189, che ha dettato la disciplina contenuta nell’art. 3bis, d.lgs. 502/1992 testo vigente.

In primo luogo, la nomina del direttore generale deve essere effettuata nel termine perentorio di sessanta giorni dalla data di vacanza dell’ufficio. Scaduto tale termine, si applica l’art. 2, comma 2octies, d.lgs. 502/1992 il quale prevede che quando la Regione non adotta i provvedimenti previsti, il Ministro della sanità, sentite la Regione interessata e l’Agenzia per i servizi sanitari regionali, fissa un congruo termine per provvedere. Decorso tale termine, il Ministro della sanità, sentito il parere della medesima Agenzia e previa consultazione della Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, le Regioni e le provincie autonome di Trento e Bolzano, propone al Consiglio dei Ministri l’intervento sostitutivo, anche sotto forma di nomina di un commissario ad acta.

La Regione provvede alla nomina dei direttori generali delle aziende e degli enti del Servizio sanitario regionale, attingendo obbligatoriamente all’elenco regionale degli idonei, ovvero agli analoghi elenchi delle altre Regioni, costituiti previo avviso pubblico. Gli elenchi sono aggiornati almeno ogni due anni.

La selezione è effettuata, secondo modalità e criteri individuati dalla Regione, da parte di una commissione costituita dalla Regione medesima, e composta, in prevalenza, di esperti indicati da qualificate istituzioni scientifiche indipendenti, di cui uno designato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Al direttore generale, così nominato, sono riservati tutti i poteri di gestione, nonché la rappresentanza dell’Azienda Sanitaria.

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29 In base a quanto stabilisce il comma 11, art. 3bis, d.lgs. 502/1992, testo vigente, la nomina del direttore generale “determina per i lavoratori dipendenti il collocamento in aspettativa senza assegni e il diritto al mantenimento del posto. L’aspettativa è concessa entro sessanta giorni dalla richiesta. Il periodo di aspettativa è utile ai fini del trattamento di quiescenza e di previdenza. Le amministrazioni di appartenenza provvedono ad effettuare il versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali comprensivi delle quote a carico del dipendente,[…] e a richiedere il rimborso di tutto l’onere da esse complessivamente sostenuto all’unità sanitaria locale o all’azienda ospedaliera interessata, la quale procede al recupero della quota a carico dell’interessato”. I direttori generali devono, poi, produrre, entro diciotto mesi dalla nomina, il certificato di frequenza del corso di formazione in materia di sanità pubblica e di organizzazione e gestione sanitaria; corso organizzato ed attivato dalle Regioni, anche in ambito interregionale e in collaborazione con le Università e con altri soggetti pubblici o privati accreditati ai sensi dell’art 16ter, operanti nel campo della formazione manageriale, con periodicità almeno biennale. I contenuti, la metodologia delle attività didattiche, la durata dei corsi, non inferiore a centoventi ore programmate in un periodo non superiore a sei mesi, nonché le modalità di conseguimento della certificazione, sono stabiliti con decreto del Ministro della sanità, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome di Trento e Bolzano.

Non possono essere nominati direttori generali delle Aziende Sanitarie: coloro che hanno riportato condanna, anche non definitiva, a pena detentiva non inferiore ad un anno per delitto non colposo ovvero a pena detentiva non inferiore a sei mesi per delitto non colposo, commesso nella qualità di pubblico ufficiale o con abuso dei poteri o violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione; coloro che sono sottoposti a procedimento penale per delitto, per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza; coloro che sono stati sottoposti, anche con provvedimento non definitivo ad una misura di prevenzione, salvi gli effetti di riabilitazione prevista dall’art. 15 della l. 3 agosto 1988, n. 327, e dall’art. 14 della l. 19 marzo 1990, n. 55; coloro che sono sottoposti a misura di sicurezza detentiva o a libertà vigilata.

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6. La decadenza

Quando ricorrano gravi motivi o la gestione presenti una situazione di grave disavanzo o in caso di violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità della amministrazione, la Regione risolve il contratto, dichiarando la decadenza del direttore generale e provvede alla sua sostituzione.

La Regione provvede previo parere della Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale, che si esprime nel termine di dieci giorni dalla richiesta, decorsi inutilmente i quali la risoluzione del contratto può avere comunque corso. Si prescinde dal parere nei casi di particolare gravità e urgenza.

Il sindaco o la Conferenza dei sindaci ovvero, per le aziende ospedaliere, la Conferenza permanente per la programmazione sanitaria e socio-sanitaria regionale, nel caso di manifesta inattuazione del Piano attuativo locale, possono chiedere alla Regione di revocare il direttore generale, o di non disporne la conferma, ove il contratto sia già scaduto.

Con la sentenza 23 marzo 2007, n. 104, la Corte Costituzionale ha soppresso il sistema delle spoglie (spoils system), dichiarando l’illegittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 71, commi 1, 3, 4, lettera a), della legge Regione Lazio 17 febbraio 2005, n. 9 e dell’art. 55, comma 4, della legge Regione Lazio 11 novembre 2004, n. 1 nella parte in cui prevedeva che i direttori generali delle ASL decadano dalla carica il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del Consiglio regionale, salvo conferma con le stesse modalità previste per la nomina; che tale decadenza opera a decorrere dal primo rinnovo, successivo alla data di entrata in vigore dello Statuto; che la durata dei contratti dei direttori generali delle ASL viene adeguata di diritto al termine di decadenza dell’incarico.

In applicazione delle dette norme, la Regione Lazio aveva disposto nell’estate 2005 la indebita rimozione dalla carica di tutti quanti i direttori generali, provocando l’illegittima anticipata interruzione del rapporto contrattuale. La Corte Costituzionale le ha censurate per contrasto con fondamentali principi costituzionali, quali artt. 97 e 98 Cost.

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