Indice: Premessa ... 5 Introduzione ... 9 a) Ambientazione ... 10 b) Scena ... 12 c) Due Cori? ... 18
d) Struttura Simmetrica dell'Ippolito ... 21
Capitolo 1. Ippolito prima di Euripide: preistoria e luoghi del mito. ... 25
1.1. Ippolito ad Atene: cronologia del mito.... 25
1.2. Luoghi del mito di Ippolito a Trezene. ... 30
1.3 Luoghi del mito di Ippolito ad Atene. ... 37
1.4. Il ruolo degli spazi sacri nel processo di rielaborazione del mito... 40
1.4.1. Ippolito e Asclepio. ... 42
Capitolo 2. Ippolito nel dominio di Artemide... 45
2.1. Polivalenza di Artemide: il ruolo della dea nella transizione all’età adulta. ... 47
2.2. Ippolito: un Cacciatore Nero? ... 52
2.2.1 L’ἐσχατιὰ ... 55
2.2.2 Ippolito: un’antropopoiesi ateniese ... 58
2.2.3. La caccia ateniese come paradigma educativo ... 62
2.3. Ippolito come παῖς ... 72
2.4. Ippolito come ἀνήρ ... 77
2.5. Legittimazione paterna e ammissione dei giovani nel gruppo sociale: le Apaturie. ... 80
2.6. Il percorso iniziatico di Ippolito e la memoria delle imprese di Teseo. ... 100
2.6.1. Sinis ... 101
2.6.2. Skiron ... 108
2.7. Skiron-Skiras: rimandi al contesto rituale delle Oscoforie ... 113
2.7.1. Lettura iniziatica delle Oscoforie e confronto con l’Ippolito ... 117
Capitolo 3. Gli spazi naturali come specchio della polivalenza divina. ... 127
3.1. Il λειμών di Ippolito fra αἰδώς e ἔρος ... 129
3.1.2. La μέλισσα ἠρινή ... 144
3.1.3. Il giogo di Afrodite: una forma di domatura ... 152
3.2. Il λειμών nello sguardo di Fedra ... 160
3.2.1. L’ὀρειβασία di Fedra: lo spazio naturale come specchio della follia amorosa ... 167
3.2.2. Fedra domatrice di cavalli: elementi naturali e polivalenza divina ... 173
3.3. Il mare e le acque ... 179
Conclusioni ... 198
a) Il ruolo degli spazi sacri nella comunicazione fra tragedia e pubblico ... 198
b) Implicazioni sociali della polivalenza divina ... 200
c) Immagini mitiche nell’Ippolito euripideo ... 203
d) Il processo di maturazione come sovrapposizione di genere ... 204
e) Gli spazi naturali: due piani di lettura dell’Ippolito ... 206
f) Il finale dell’Ippolito: una cultualità femminile per un eroe maschile? ... 208
L’Ippolito Stephanephoros di Euripide è un dramma incentrato sul tema del rapporto fra l’uomo e la divinità. Nell’Atene del V sec. a.C. l’interazione con il divino si sostanzia in un corretto svolgimento della pratica rituale e sacrificale, scandita dal calendario delle feste e agita dalla totalità dei cittadini1. Unitamente al ruolo dell’azione rituale, una delle caratteristiche fondamentali del politeismo greco è la molteplicità delle prerogative e dei campi d’azione attribuiti alle figure divine. Esse non sono entità monolitiche e immutabili, che manifestano il loro potere in una sfera limitata del reale. Le competenze degli dei greci devono, piuttosto, essere pensate come un insieme articolato di funzioni, anche apparentemente contraddittorie, che influiscono in tutti i contesti della vita umana2.
Nello scenario religioso e sociale della polis, in cui il rapporto con la ritualità civica e domestica ha cadenza quotidiana e concerne l’intera comunità, Euripide porta sulla scena il paradigma rovesciato della comunicazione fra l’umano e il divino, attraverso il personaggio di Ippolito, che rifiuta di praticare il culto di Afrodite, per consacrarsi interamente ad Artemide.
Questo lavoro prende le mosse dalla caratterizzazione di Ippolito, per indagare la rappresentazione dei due culti e le intersezioni fra le diverse prerogative divine nell’intreccio tragico. Le osservazioni che se ne traggono, vertono sulle conseguenze di una scelta individuale in ambito religioso, in relazione alle dinamiche di inclusione nel gruppo sociale, con particolare riferimento al processo di transizione all’età adulta, nella cornice culturale e religiosa del Atene del V secolo a.C.3
1 Sugli aspetti fondamentali della religione greca cfr. Vernant 1990. Sul panorama delle feste ateniesi cfr.
Pickard-Cambridge 1968 e Parker 2005.
2 Sulla molteplicità delle funzioni divine cfr. Vernant 1974, 103-120, in particolare 104-105; cfr. inoltre
Pironti 2015, 165-178. Le parole di Vernant sono riprese da Di Donato 2013, 32, che parla di una modalità
tutta ellenica di funzionalizzare la divinità: è una modalità creativa, che rende gli dei polifunzionali, polisemici, non caratterizzati da un legame univoco con la funzione esercitata. Per un’analisi della
polivalenza degli dei, a partire dalla descrizione tragica degli spazi naturali, cfr. 3.1. ss.
3 Per definire il processo di maturazione dei giovani e l’acquisizione dello statuto di cittadini si tenderà a
impiegare la definizione di anthropopoiesis, spiegata in Remotti 1996, 9- 25 e Calame 2005, 179- 197, relativa alle rappresentazioni e le pratiche di fabbricazione dell’umano in rituali che sanciscono la transizione dalla prima adolescenza all’età adulta. Fra i diversi modi di indicare l’acquisizione delle competenze religiose e sociali di un cittadino della polis, questa formulazione mi sembra la più indicata, anche perché consente di deviare dall’impasse esegetico del termine “iniziazione”, troppo spesso intesa come struttura rigida, praticata in modo uniforme in tutta l’antichità, priva delle sue peculiarità geografiche, diacroniche e sociali.
versione ateniese, euripidea.
Nel primo capitolo si cercherà, infatti, di ricostruire il processo di creazione della leggenda ateniese di Ippolito, a partire da un’analisi degli spazi sacri di Trezene e di Atene, legati alla vicenda mitica. In questo modo si potrà delineare un quadro delle intersezioni del culto di Ippolito con differenti contesti cultuali, come quello di Afrodite e Asclepio, nel tentativo di caratterizzare un personaggio di cui sfuggono i tratti originari.
Nel processo di ricostruzione della leggenda, così come nella successiva analisi di alcune sezioni della tragedia, sarà utile servirsi del concetto di polivalenza delle immagini4, al fine di rintracciare connessioni e associazioni fra diverse materie mitiche presenti all’interno del dramma, che permettono di stabilire dei nessi con leggende affini. Si potranno, così, individuare immagini raffrontabili con alcuni miti del ciclo di Teseo, che ha svolto un ruolo decisivo nel percorso di formazione e consolidamento del mito di Ippolito ad Atene.
L’analisi dei luoghi del mito, condotta nel primo capitolo, permette di evidenziare lo stretto rapporto esistente, sul piano cultuale, fra Ippolito e Afrodite5. Nel dramma, l’interazione fra l’eroe e la dea è del tutto assente, dal momento che Ippolito rivolge la sua azione rituale verso la sola Artemide. Il secondo capitolo si apre, infatti, con l’analisi di alcuni aspetti di Artemide, che emergono sin dai primi versi della tragedia. Si tratta delle prerogative di dea della caccia e degli spazi extrapoleici, che Ippolito considera come le uniche funzioni della dea.
Le competenze di Artemide come dea degli spazi liminari sono la premessa per affrontare il discorso relativo alle dinamiche di transizione all’età adulta. La posizione dei giovani nell’apparato istituzionale della polis è, infatti, provvisoria e necessita di legittimazione da parte del corpo sociale, ottenuta dopo un periodo di momentaneo
4 La nozione di polyvalence des images, intesa come un fenomeno di memoria sociale, è al centro degli
studi di Gernet sulla leggenda. La polivalenza riguarda un’immagine centrale di un mito, attorno alla quale si possono condensare eventi mitici successivi, a cui è attribuito lo stesso significato. Un mito può essere letto cercando le “connessioni”, cioè rapporti tra immagini dello stesso intreccio, o “associazioni”, cioè immagini appartenenti a miti diversi; cfr. Gernet 2004, Di Donato 1990, 119-139.
5 Mi riferisco al tempio di Afrodite Kataskopia, a Trezene e a quello di Afrodite ἐφ’Ἱππολύτου sul fianco
Ad Atene, il processo di transizione all’età adulta è drammatizzato nell’istituzione dell’efebia8. Il personaggio di Ippolito verrà posto in rapporto con gli efebi ateniesi di età
storica e con quelle che, stando alle fonti disponibili, dovevano esserne le principali caratteristiche, al fine di illustrare alcuni tratti anomali della caratterizzazione del protagonista. Ippolito risulterà, infatti, un personaggio dotato di una distorta percezione del proprio status di cittadino non ancora inquadrato e distanziato dal gruppo sociale di appartenenza.
Osserveremo tale condizione attraverso un’analisi degli usi lessicali relativi alle classi d’età e alle diverse tappe del processo di integrazione nel γένος, come i rituali praticati durante la celebrazione delle Apaturie. Ciò consente di situare i tratti caratterizzanti dei personaggi e le loro azioni in un panorama politico-cultuale preciso e familiare agli spettatori.
Nell’ultima sezione del secondo capitolo si mostreranno alcune possibili associazioni con la vicenda mitica di Teseo, inscindibile dalla rielaborazione ateniese del mito di Ippolito. Sullo sfondo, il tema centrale rimane il processo di maturazione del protagonista, le cui anomalie si comprendono meglio se rapportate a un paradigma eroico positivo come quello di Teseo.
Oltre ai luoghi della caccia e ai boschi di pertinenza di Artemide, l’Ippolito presenta numerosi riferimenti agli elementi acquatici e marini, che sono associati all’azione di Afrodite come dea della buona navigazione, con gli epiteti εὐπλοία e ποντία. Il terzo e ultimo capitolo è, quindi, dedicato all’analisi del ruolo simbolico degli spazi naturali e alle nozioni che collegano un determinato tipo di spazio a forme di pensiero e usi religiosi.
La menzione di luoghi come il prato incontaminato, la costa acquitrinosa, il mare e le attività connesse a questi luoghi creano una sorta di “paesaggio verbale”, che è lo
6 Sul concetto di ἐσχατιὰ, cfr. 2.2.1.
7 Sui principali aspetti di Artemide, cfr. Chirassi 1974, Frontisi- Ducroux 1981 e Kahil 1991. Recenti
contributi che pongono in risalto la molteplicità delle funzioni della dea, sono Petrovič 2003, Léger 2015 e Budin 2016.
8 Il tema sarà affrontato in 2.2. Sull’efebia ateniese cfr. Pélékidis 1962, Vidal-Naquet 1981, Dodd 2003,
Su un piano espressivo implicito, invece, le funzioni delle dee si compenetrano, rapporto speculare; lo spazio naturale è la sede dove questa sovrapposizione di funzioni divine emerge con maggiore chiarezza.
Nel 428 a.C. il teatro di Dioniso ad Atene ospita la rappresentazione dell'Hippolytos Stephanephoros di Euripide. La tragedia, incentrata sul mito dell’amore di Fedra per Ippolito, porta in scena una delle vicende tragiche più familiari e più rielaborate del teatro attico9.
La materia mitica era già stata trattata dal tragediografo nell’Hippolytos
Kalyptomenos10, che si era rivelato un insuccesso, probabilmente a causa
dell'ardita caratterizzazione di Fedra, eccessivamente disinibita agli occhi degli Ateniesi e indegna di rappresentare la regina della città e moglie dell'eroe fondatore Teseo11. Aristofane di Bisanzio sostiene che la seconda versione dell'opera sia stata un tentativo euripideo di inscenare un dramma che meglio incontrasse il gusto del pubblico12. Questo dato acquista rilievo in uno studio incentrato sugli aspetti rituali dell'Ippolito, perché consente di ragionare sulle modalità di rielaborazione del mito e su particolari aspetti della nuova caratterizzazione dei personaggi, come la σωφροσύνη, la ὕβρις e l'αἰδώς, che sembrano emergere per contrasto rispetto alla versione precedente13.
9 Cfr. Paus. 1.22.1. L’opinione del periegeta, benché distante di sei secoli, dà l'idea della larga diffusione
della leggenda: δῆλα δέ, καὶ ὅστις βαρβάρων γλῶσσαν ἔμαθεν Ἑλλήνων, ὅ τε ἔρως τῆς Φαίδρας καὶ τῆς τροφοῦ τὸ ἐς τὴν διακονίαν τόλμημα. Le notizie fornite da Pausania sono basate sulla versione del mito data da Euripide e ne attestano la fortuna, cfr. Musti, Beschi 2000, 338 ss.
10 L' Hippolytos Stephanephoros è l'unico esempio pervenuto di dramma basato sullo stesso mito e
rimaneggiata dallo stesso autore. L'epiteto Kalyptomenos della prima versione è dovuto al gesto sdegnoso di Ippolito di celarsi il volto, dopo aver udito la dichiarazione d'amore di una Fedra priva di contegno. Per un’analisi dei frammenti dell'Hippolytos Kalyptomenos cfr. Barrett 1964, 11- 45; Van Looy 1991, 295- 311. In Hutchinson 2004, 15-28 si propone un’analisi della struttura della prima versione basata su P. Oxy 4640, che contiene informazioni sul mito di Teseo a Creta e su quello di Ippolito. Un tentativo di ricostruzione del Kalyptomenos a partire dalla comparazione con la Fedra di Sofocle e di Seneca, è contenuto in Snell 1964, 22- 69. Contro l’ipotesi di una moralizzazione di Fedra, cfr. Devereux 1985, 4 e Griffin 1990, 131.
11 Ar. Ra. 1044: nella disputa con Euripide, Eschilo si fregia di non aver mai portato in scena un personaggio
come Fedra, chiamandola πόρνας, come doveva apparire nel primo Ippolito, cfr. Mastromarco, Totaro 2012, 128.
12 τὸ ἀπρεπές καί κατηγορίας ἄξιον ἐν τούτῳ διώρθωται τῷ δράματι.
13 L'αἰδώς è la virtù peculiare, oltre che di Ippolito, anche del nuovo personaggio di Fedra, cfr. Cairns 1993,
265 ss. Nel Kalyptomenos, Fedra confessava direttamente il suo desiderio a Ippolito, cfr. fr 430 N.; Stob. 4.20.25: Ἔχω δὲ τόλμης καὶ θράσους διδάσκαλον ἐν τοῖς ἀμηχάνοισιν εὐπορώτατον, Ἔρωτα, πάντων δυσμαχώτατον θεόν. Per questo, lo Stephanephoros sfuma la responsabilità della regina, ponendo l'accento sull'interferenza negativa della Nutrice, cfr. Reckford 1974, 311.
posti in una cornice dialettica di assoluto antagonismo, si contrappone una seconda versione in cui la distanza tra Fedra e Ippolito appare solo sulla superficie dell'interazione drammatica. Ciò che caratterizza l'Hippolytos
Stephanephoros è, infatti, un andamento simmetrico che, pur presentando eventi
e personaggi apparentemente antitetici, trova una sua concretizzazione in una serie di corrispondenze e rimandi che coinvolgono non solo i protagonisti e gli dei, ma anche l'apparato scenico visibile, quello extrascenico, i cori e la struttura interna del dramma.
Le due forze che condensano tale dualismo e che sembrano contendersi gli onori rituali dei protagonisti, al ritmo altalenante di punizioni e ricompense, sono Artemide e Afrodite, poli attorno a cui ruotano rispettivamente Ippolito e Fedra, in un apparente moto di rette parallele, che impedisce loro di incrociare le rispettive strade cultuali. Di questa preliminare dicotomia, lo spazio scenico reca testimonianza tangibile. .
a) Ambientazione
L'azione dell'Ippolito si svolge a Trezene, nello spazio prospiciente alla reggia di Teseo15. La scelta della città di Trezene rappresenta un'ulteriore innovazione
rispetto alla prima versione del dramma, ambientata ad Atene16. La scelta di avvicinare condotte e personaggi di dubbia moralità, come Fedra e la nutrice,
14 La genealogia femminile cretese da cui Fedra discende è accomunata da amori dall’esito nefasto, causati
da punizione divina, come la stessa protagonista ricorda in Eur. Hipp. 337- 341. Fedra non ha soltanto il legame con Teseo, in comune con la sorella Arianna, ma è anche accomunata alle vicende della madre Pasifae, punita dagli dei con un desiderio sfrenato per un toro. Sul rapporto tra Fedra e Pasifae cfr. Reckford 1974, 307-328.
15 Dalla fine del VI sec. a.C., La leggenda di Teseo trova una sua sistematizzazione ad Atene, attraverso un
processo di risemantizzazione e cristallizzazione di nuclei leggendari circolanti a partire dal VII sec a.C, cfr. Sourvinou- Inwood 1979; Calame 1990, 397 ss, Di Donato 2001, 167 ss. Bettalli 2003, 99ss.; Gernet 2004, 102 ss. Il ruolo di Teseo, eroe protettore della polis e promotore del sinecismo dell'Attica, fu formalizzato grazie a operazioni propagandistiche, come il rimpatrio delle sue ossa da Sciro, su iniziativa di Cimone, 476-5 a.C, seguìto dall’istituzione dei Theseia, festività legate alla migrazione dei resti dell’eroe, cfr. Thuc. 2.14.1; Plut. Cim. 8.6.; Plut. Thes. 24, 1-5, su Teseo e Cimone cfr. Garland 1992, 82-98; Walker 1995, 16 ss.; Ampolo- Manfredini 1999, 29ss. Dei nuclei mitici con protagonista Teseo, che hanno ripercussioni sulla leggenda di Ippolito si parlerà nel cap. 1.
dell’Acropoli si trova il tempio di Afrodite, fondato da Fedra come monumento all’amore per il figliastro.
Nel complesso sacro è documentata la presenza di una tomba di Ippolito, probabilmente destinataria di un culto eroico o di onori funebri18. In questo recinto si erge il tempio di Ἀφροδίτη ἐν Ἱππολυτείωι, Afrodite
nell’Hippolyteion19. Se dunque una leggenda influisce, oltre che nel processo
creativo del passato di una comunità, anche sull'organizzazione dello spazio di un gruppo sociale20, la presenza del complesso sacro sull’Acropoli avrà
funzionato, per così dire, da amplificatore visivo dei momenti più patetici e sconvenienti della prima opera, suscitando negli spettatori alcune associazioni negative fra i luoghi sacri frequentati abitualmente e il mito rappresentato nel dramma21.
La scelta di una città dell’Argolide come ambientazione è legata, però, anche alla figura di Teseo. Il mito che situa le prime imprese dell’eroe a Trezene è un dato che rimane inalterato anche dopo la rielaborazione attica della leggenda22. Secondo la versione ateniese, Teseo nasce a Trezene da Etra, figlia del re Pitteo e giunge in Attica solo in età adulta. Venuto a conoscenza della sua discendenza dal re di Atene Egeo, l’eroe entra in possesso dei symbola di riconoscimento e di regalità situati dallo stesso re, sotto una roccia23.
17 Cfr. Sourvinou-Inwood, 1997 : 161-186 e specialmente 176 e 182.
18 Non vi sono informazioni sulla pratica del culto di Ippolito ad Atene, ma si può tentare di ricostruirlo a
partire dal rito istituito alla fine della tragedia, praticato a Trezene dalle fanciulle sulla soglia delle nozze, cfr. Papamichael 1993;
19 IG, 13, 383, 1. 234-235 (= IG, 12, 310, 1. 280). Sui complessi sacri a personaggi della leggenda di
Ippolito, cfr. 1.2, 1.3.
20 Per il rapporto fra il mito e la gestione degli spazi della polis cfr. sugli spazi della religione civica, cfr.
Vernant 1987, 55 ss.; sugli spazi sacri di Trezene, con particolare riferimento al mito di Ippolito, cfr Calame 2011, p. 257 ss.
21 Secondo Barrett 1964, 13 ss., il cambio di ambientazione è dovuto esclusivamente a un desiderio di
variazione; tuttavia, in Med. 846 ss. era già stato rappresentato un Coro ostile all’idea di accogliere ad Atene un personaggio giudicato immorale. Non è affatto improbabile una volontaria scelta euripidea di allontanare dalla città il peso degli eventi narrati, specie dopo l'insuccesso precedente al 428 a.C., cfr. Jeny 1989.
22 La relazione fra la leggenda di Ippolito e quella di Teseo sarà sviluppata 1.1. Non si deve cercare di
stroricizzare il passaggio di Teseo da una città all’altra; l’eroe ha un posto nella configurazione mitica di Trezene per identificazione con la leggenda, più prestigiosa, elaborata ad Atene. Le due poleis vantavano una collaborazione storica, prima del 480 a.C., quando la popolazione ateniese in fuga dai Persiani si rifugiò a Trezene (cfr. Musti, Torelli 1986, 318 ss; Calame 20182, 277ss.).
23 Per uno studio sui simboli di regalità presenti nel mito di Teseo, cfr. Gernet 2004, 102 ss e l’articolo di
figli di Poseidone26. Le due poleis condividono anche il mito della disputa fra Atena e Poseidone per il possesso dell'antica Trezene, terminata con la
spartizione della città, dove il dio del mare assume l'epiclesi di βασιλεύς.27 L'ascendenza trezenia di Teseo fornisce ad Euripide, oltre all’ambientazione
drammatica, anche una giustificazione per aver situato l’infanzia di Ippolito lontano da Atene, sede centrale del potere paterno; il marchio di figlio illegittimo lo confina a Trezene, affidato alle cure dell’avo materno Pitteo28 (vv. 9- 11),
dove cresce lontano dalla gestione diretta del potere e dal ruolo convenzionale del cittadino29.
b) Scena
La scena mostra la reggia di Trezene, dotata di una porta a doppie ante dinnanzi alla quale si ergono due statue di divinità30: Afrodite, situata quasi certamente
24 Teseo condivide la doppia discendenza con altri eroi antichi, come l’altro eroe panellenico Eracle (figlio
di Zeus/Anfitrione), i Dioscuri figli di Zeus/Tindaro. L'iter è quello dell'incontro amoroso della fanciulla mortale (Etra/ Alcmena/ Leda) con i due padri nella stessa notte, Paus. 2.33.1; Apollod. 2.12; Hyg. Fab. 37. Nell' Ippolito, la paternità di Poseidone emerge solo quando entrano in gioco le ἀραί, dal dio promesse a Teseo (1196; 1315; 1318; 1411); in altri luoghi dell'opera l'eroe resta figlio di Egeo (1238; 1431), cfr. Barrett 1964, 333-4; Halleran 1995, 23,224; ulteriori dettagli sulla famiglia di Teseo in Sourvinou- Inwood 1979, 18 ss.; sul mito di Teseo nelle sue varie versioni cfr. Calame 1990.
25 Eforo, FgrHist 70 F 150, Strab. 8.6.14, Paus. 2.33.2, a proposito del santuario di Poseidon a Calauria
(Poros), isoletta prospiciente a Trezene, sede di un'anfizionia consacrata a Poseidone, risalente al IX sec. a.C., cfr. Schachter 1990, 46ss., Costantakopulou 2009, 29ss. Secondo Sourvinou- Inwood 1979, 20 ss. la presenza dell’anfizionia avrebbe facilitato l’armonizzazione delle due versioni del mito di Teseo, favorendo la fusione, già nelle Dark Ages, di elementi di origine trezenia con quelli ateniesi; cfr anche Calame 2011, 267. Per uno studio completo sui culti di Poseidone, cfr. Kokkinou 2011.
26 Paus. 2.30.8, cfr. Calame 2011, 265- 68. La presenza della -sia pur mitica- diarchia a Trezene, è
funzionale a questo studio nel tentativo di ricondurre alcuni elementi mitico- rituali presenti nella tragedia ad un contesto peloponnesiaco, più che attico, specialmente in relazione al culto di Artemide, cfr. 2.1.
27 Le principali testimonianze sulla storia di Trezene risalgono a Paus. 2.30.6. Il ruolo centrale di Poseidone
nel pantheon cittadino è attestato anche dall’immagine del tridente, impressa sulle monete trezenie.
28 È possibile interpretare l’infanzia di Teseo e di Ippolito a Trezene come un episodio di fosterage, cfr.
Gernet 1932, 385.
29 Eur. Hipp. 986-987: ἐγὼ δ᾽ ἄκομψος εἰς ὄχλον δοῦναι λόγον/ ἐς ἥλικας δὲ κὠλίγους σοφώτερος. Ippolito
afferma di non volere/ sapere parlare in pubblico, prendendo le distanze dalle attività connesse all’esercizio del potere. Della condizione di isolamento di Ippolito rispetto al gruppo sociale di appartenenza si parlerà in 2.5., 2.5.1, 2.5.2, 2.5.3.
30 Barrett 1964, 154; Di Benedetto, Medda 1997, 125; Halleran 1995, 144. Teseo menziona direttamente le
Sarebbe riduttivo, benché corretto, parlare delle dee come semplici personaggi, perché il loro intervento è, di fatto, il motore principale dell'azione drammatica, che esse rispettivamente inaugurano (Afrodite, nel prologo), e concludono (Artemide ex machina nell'esodo). La presenza in scena delle due statue ha, dunque, manifestamente la funzione di rafforzare l'idea della relazione costante fra le divinità e i mortali e di rappresentare in modo tangibile uno dei temi portanti dell'opera: l'ineludibile interferenza divina nelle vicende umane. Come nel contesto cultuale quotidiano, la rappresentazione di una divinità sulla scena tragica indica, al contempo, la loro concreta presenza nello spazio32.
Un frammento di Eraclito informa sulle modalità di interazione dell’individuo con le statue di culto:
καὶ τοῖς ἀγάλμασι δὲ τουτέοισιν εὔχονται, ὁκοῖον εἴ τις δόμοισι λεσχηνεύοιτο, οὔ τι γινώσκων θεοὺς οὐδ’ ἥρωας οἵτινές εἰσι.33
Pregano inoltre queste statue, come chi parlasse con le mura di casa, on
sapendo chi siano dei ed eroi. (trad. Fronterotta 2013)
Sia pure da una prospettiva critica, Eraclito dimostra che alle statue era associata una manifestazione “viva” e concreta della divinità34. Davanti alle
πυλωμάτων/ ἐκλύεθ᾽ ἁρμούς. Secondo Pirenne- Delforge 2006-2007, 155 è da considerare anche l’eventuale presenza di due altari, la cui presenza non è però in alcun modo evidente nel dramma.
31 La statua di Afrodite è indicata dal dimostrativo del v. 10: τήνδ᾽, ἣ πύλαισι σαῖς ἐφέστηκεν πέλας, dove
il deittico farebbe presupporre una risposta gestuale corrispondente, da parte del servo che la indica. Per la statua di Artemide, cfr. Bieber 1954, 279e Barrett 1964, 154, che considerano il simulacro posto in posizione simmetrica rispetto a quello di Afrodite, una posizione che rispetterebbe il complesso di corrispondenze che caratterizza l'intera struttura del dramma, come notato anche da Rogers 2011, 19. La posizione frontale, o prossima, delle statue rispetto alla casa, fa pensare a un tipo di rappresentazione simile all’erma, generalmente situata a protezione degli usci, oltre che lungo le strade, κατὰ τὸ επιχώριον (Thuc.6.27), cfr. Hölscer 2010, 105- 120.
32 Come precisato da Sourvinou- Inwood 2003, 460, la statua non indica che il dio è “contenuto” nella
materialità dell’oggetto, bensì che la presenza dell’oggetto rituale è una manifestazione di quella del dio nello spazio. Sugli aspetti della figurazione divina in Grecia antica e sui diversi tipi di figurazione del divino cfr. Vernant 1990, 225-238 e Saïd 1993, 11-20 e le riflessioni sulla nozione di persona contenute in Vernant 1978, 361- 37. Sul significato attribuito alle immagini sacre in contesto cultuale cfr. Mylonopoulos 2010.
33 Heraclit. fr. B5 DK, cfr. il commento di Fronterotta 2013, 351-356.
34 Questa tesi è sostenuta da Tarn Steiner 201, 79ss. Ipotesi contrastanti sono riportate in Hölscer 2010,
105- 120, in particolare 112, che discute sulla possibilità di un mutamento nella percezione, e quindi nella rappresentazione, del divino avvenuta verso la fine del V sec. a.C.
alla divinità. La rappresentazione divina è, dunque, finalizzata a stabilire una corretta comunicazione fra l’umano e il divino, che è basata sul tributo delle τιμαὶ37. La dinamica basata sulla corretta attribuzione delle τιμαὶ è, non a caso,
il nucleo dell’intervento prologico di Afrodite, che afferma:
Πολλὴ μὲν ἐν βροτοῖσι κοὐκ ἀνώνυμος θεὰ κέκλημαι Κύπρις οὐρανοῦ τ᾽ ἔσω: ὅσοι τε Πόντου τερμόνων τ᾽ Ἀτλαντικῶν ναίουσιν εἴσω, φῶς ὁρῶντες ἡλίου, τοὺς μὲν σέβοντας τἀμὰ πρεσβεύω κράτη, σφάλλω δ᾽ ὅσοι φρονοῦσιν εἰς ἡμᾶς μέγα.38
Dea potente e ben nota fra i mortali e nel cielo, io porto il nome Cipride. Di quelli che abitano entro il Ponto e i confini di Atlante e che vedono la luce del sole, chi onora i miei poteri io tengo in conto, distruggo chi molto mi oltraggia*.
Le parole della dea, ad apertura del dramma, annunciano il tipo di comunicazione che, necessariamente, deve sussistere fra mortali e dei, cioè la reciprocità costituita dalla pratica di culto e dalla conseguente benevolenza della divinità. La pena per aver trascurato, o peggio oltraggiato (φρονοῦσιν, v. 6) una divinità è la completa distruzione dell’individuo (σφάλλω)39.
In un’analisi degli aspetti rituali dell’Ippolito questo è un punto cruciale. Le statue, infatti, polarizzano l'attenzione dello spettatore su momenti di particolare rilievo rituale come l’offerta della corona intrecciata da Ippolito al simulacro di
35 Cfr. Tarn Steiner 2001, 79 ss. Uno degli atteggiamenti più frequenti in relazione ai simulacri divini è la
supplica, sulla quale si veda Aubriot Sévin 1992, 405 ss e Naiden 2006, 43ss. Nelle rappresentazioni della supplica di Cassandra, verso la statua di Atena, emerge una concezione della statua che corrisponde alla dea stessa, cfr. Hölscer 2010, 105- 120.
*Le traduzioni dell’Ippolito sono a cura di chi scrive.
36 Cfr. Chantraine 19992 e Beekes 2010 s.v. ἰδρὺω. Il verbo deriva dalla radice *sed e indica l’azione di
“fondare”, “posizionare” e quindi “installare”, da cui ἵδρυμα, cioè una statua o un luogo sacro. Nell’Ippolito il verbo è riferito alla fondazione del tempio dedicato ad Afrodite sull’Acropoli, da parte di Fedra (vv. 31- 33), per il quale cfr. 1.2.
37 Cfr. Pirenne-Delforge 2010, 121-141, in particolare 129 e Mylonopoulos 2010, 1-20. 38 Eur.Hipp.1-6.
discrepanze rispetto alla normale pratica di culto, quel dettaglio diviene veicolo di un significato preciso, che lo spettatore sa cogliere.
È il caso in cui Ippolito manifesta il suo disprezzo per Afrodite tramite un gesto rivolto direttamente al simulacro della dea. L’eroe, verbalizza il suo disinteresse per Cipride, dicendo: τὴν σὴν δὲ Κύπριν πόλλ᾽ ἐγὼ χαίρειν λέγω40 e lasciando il simulacro della dea privo di corone. Qui, l’impatto visivo di una performance rituale negata, cattura l’attenzione dello spettatore, che compie, invece, il rituale in modo corretto. L’assenza di rito incide, di conseguenza, sulla percezione della caratterizzazione di Ippolito, per il suo modo non ordinario di interagire con un oggetto sacro, che risulta ancora più grave alla luce delle parole pronunciate dalla dea, pochi versi prima.
Se l’ἀσέβεια di Ippolito nei confronti di Afrodite risulta amplificata, dall’altra parte, ciò fa sì che venga riconosciuto il corretto svolgimento del rituale e dei canti che rivolti ad Artemide, Ἄρτεμιν τιμῶν θεὰν/ ὕμνοισιν41 e che rappresentano, appunto, una corretta τιμή. È proprio qui, davanti allo scarto fra un rituale compiuto in modo corretto e uno trascurato, che lo spettatore sente la frattura fra ciò che accade sulla scena e la realtà vissuta dalla comunità. Emerge, così, il nodo concettuale dell’intera tragedia: l’impossibilità di onorare una sola divinità e trascurarne altre. Ciò che si evince dalle parole di Afrodite, non è, però, un'ostilità nei confronti dei riti che l'eroe compie per Artemide, ma è un desiderio di vendetta che punisce direttamente la pretesa di poter operare una scelta puramente discrezionale in ambito cultuale42.
Ippolito apostrofa Afrodite “κακίστη δαιμόνων” (13), un epiteto che riecheggia nello spettatore, per contrasto, solo tre versi dopo, quando Artemide è definita “μεγίστη δαιμόνων” (16). Queste espressioni parallele, poste a così breve distanza, mostrano il rapporto inversamente proporzionale che, dal punto di vista
40 Eur. Hipp. 113. L’eroe era stato ripreso da un servo, che gli consiglia cautamente di praticare i culti di
Afrodite, come si conviene a tutti i mortali. Il contrasto fra τὴν σὴν e l'esplicitazione del soggetto ἐγὼ, denota la presa di distanza morale e fisica, che Ippolito ribadisce allontanandosi dalla statua per entrare nella casa, cfr. Barrett 1964, 180; Pirenne-Delforge, 2006-2007, 154- 157.
41 Eur. Hipp. 55-56.
sentito da Ippolito, ma anche di mostrarne la sostanziale inconsistenza. Quando l’eroe entra in scena per la prima volta e si prepara ad intonare il canto rituale per Artemide, egli rivolge un’invocazione alla dea, indicando, quasi certamente, la statua: ἕπεσθ᾽ ᾁδοντες ἕπεσθε /τὰν Διὸς οὐρανίαν/ Ἄρτεμιν. Ippolito attribuisce ad Artemide l’epiteto Oὐρανία, che nella tradizione cultuale condivisa dal pubblico non è specifico di Artemide, bensì di Afrodite44. A partire da questa sovrapposizione fra le due dee nell’uso degli epiteti, Pirenne-Delforge avanza l’ipotesi che anche le due statue in scena potessero avere una fisionomia comune45. Nel V secolo è, infatti, frequente trovare rappresentazioni in cui è difficile distinguere Artemide e Afrodite, come dimostrano, per esempio, le figure femminili sul fregio delle Panatenee46. La possibile somiglianza delle due statue poste sulla scena si configurerebbe come un valore aggiunto all’interno della rete di rimandi e simmetrie su cui il dramma si basa e che emerge, come si è detto, dall’uso incrociato di epiteti cultuali e, come si vedrà in seguito, dal trattamento degli spazi naturali in relazione alla presenza divina47.
In tal caso, le statue mostrano l’errato e il corretto funzionamento del rito e rievocando l’esperienza personale degli spettatori. Costoro sanno bene che fra le
43 Cfr. Gregory 1994, 55ss: L’insegnamento che gli Ateniesi dovevano trarre dalla tragedia parte proprio
dalla percezione dell’errata polarizzazione, non realmente sentita nel culto, di due figure divine di primaria importanza nella vita degli spettatori.
44 Come osserva Reckford 1972, 405- 432, nel Fetonte, (fr. 781, vv. 14-31 Nauck) si trova la situazione
inversa: Euripide attribuisce l’epiteto Ourania ad Afrodite in un imeneo: Ὑμὴν Ὑμήν,/ τὰν Διὸς οὐρανίαν ἀείδομεν / τὰν ἐρώτων πότνιαν, τὰν παρθένοις/ γαμήλιον Ἀφροδίταν.
45 Cfr. Pirenne-Delforge 2006-2007, 155- 156; Delivorrias 2001, 129- 157.
46 Cfr. LIMC 2 (1984), s.v. Aphrodite, 14, nr. 47 (A. Delivorrias-G. Berger Doer-A. Kossatz Deissmann).
Nel fregio delle Panatenee si riconosce, in genere, Artemide nel soggetto giovanile con chitone, mentre la figura femminile evidentemente più adulta con un fanciullo (Eros?) sulle ginocchia, è identificata con Afrodite. In questo ed in altri casi, però, la rappresentazione di Artemide risulta fortemente erotizzata a causa della nudità della spalla, un attributo che può facilmente confondere la dea con Afrodite (cfr. Delivorrias 1991, 129- 157). Sulle rappresentazioni di Afrodite ad Atene cfr. Pirenne- Delforge 1994, 15-81.
47 La somiglianza delle due statue dell’Ippolito, proposta da Cfr. Pirenne-Delforge 2006-2007, 155- 156 è
credibile, dal momento che il criterio centrale di rappresentazione non è un perfetto antropomorfismo. Come spiega Vernant 1983, 25-37, la rappresentazione degli dei in età arcaica e classica deve coniugare la necessità della materializzazione del divino, ma senza riprodurne i tratti in modo eccessivamente particolareggiato. Un esempio è lo xoanon, una statua generalmente lignea, il cui uso rituale oscilla continuamente fra l’esibizione e la segretezza. Contra Henrichs 2010, 19- 40, in particolare 29, che considera l’antropomorfismo una delle tre caratteristiche peculiari degli dei, insieme all’immortalità e al potere.
Le eisodoi, che collegano la scena con lo spazio extrascenico hanno la funzione di richiamare alla mente dello spettatore spazi naturali specifici, dotati di un valore simbolico nella tragedia. Da un lato della reggia, l'eisodos A collega l'orchestra con i boschi della caccia di Artemide e con il mare, l'elemento simbolico del potere di Afrodite49, presso cui l'eroe trova la morte. L'eisodos B
collega l'orchestra con la città di Trezene.
La natura è un elemento vivo dell'azione, è latrice di simboli che definiscono la caratterizzazione dei personaggi ed è il teatro in cui le due potenze divine contrastanti dispiegano le proprie prerogative. Per esempio, nei versi dell'ὀρειβασία di Fedra (vv. 207 ss.), l'ambiente naturale evocato dalla donna, preda dei patimenti amorosi, coincide con il tipo di natura vissuta ed esaltata dal cacciatore Ippolito: Fedra brama identificarsi con lui attraverso la condivisione degli spazi naturali50. Essi svolgono, dunque, una funzione caratterizzante, giacché rappresentano fisicamente le aree di pertinenza di Artemide o di Afrodite e, di riflesso, dei due protagonisti. . Nella prospettiva di questo studio è importante notare come la medesima eisodos funga da accesso, per Ippolito, ai luoghi per lui più significativi nell'arco dell'azione drammatica, benché dotati di una semantica contrastante: i boschi della caccia sono lo specchio della sua ὁμιλία51 con Artemide; la costa, dove
48 Cfr. Bruit- Zaidman 1998, 334: l’eros e la domesticazione nel matrimonio sono tappe obbligate per
entrare a far parte della comunita politica. La scelta della parthenia, lecita per le dee Artemide, Estia, Atena (Hym. Aphr. 6- 35) non lo è per il mortale Ippolito, che ne fa un progetto di vita irrealizzabile per un essere umano di sesso maschile, con precisi doveri nei confronti della città.
49 Afrodite ha un ruolo di primo piano come dea della buona navigazione, attestato dall’epiteto ποντία e
dalla grande abbondanza di santuari portuali a lei dedicati, cff. Demetriou 2010, 67-89 e Romero Recio 2000, 125ss. Degli spazi naturali di Artemide, si parlerà in. 2.1.; sul rapporto tra Afrodite e il mare cfr. 3.3.
50 Cfr.3.1. Ai vv. 208- 211 Fedra esclama: αἰαῖ/ πῶς ἂν δροσερᾶς ἀπὸ κρηνῖδος/ καθαρῶν ὑδάτων πῶμ᾽
ἀρυσαίμαν/ ὑπό τ᾽αἰγείροις ἔν τε κομήτῃ/ λειμῶνι κλιθεῖσ᾽ ἀναπαυσαίμαν, il desiderio di Fedra, introdotto dalla consueta ipotetica desiderativa, corrisponde ad un’evasione completa dalla realtà domestica in cui la donna è relegata. Invadendo lo spazio di Ippolito, Fedra vi introduce inevitabilmente un elemento amoroso, espresso dal sintagma λειμῶνι κλιθεῖσα, che riecheggia un lessico ed uno spazio tipicamente erotici, come il prato erboso che è, a partire dalla lirica, il luogo dei ratti di fanciulle (cfr. Calame 1977, 56- 57 e 227) e della consumazione del rapporto sessuale, cfr. 3.1. e ss.
51 Ippolito è solito definire il suo rapporto con la dea in termini di coesistenza e di σύνεσιςche va oltre il
c) Due Cori?
Una particolarità dell’impianto tragico è la presenza di due differenti ruoli corali53. Il coro regolare è formato dalle donne di Trezene, che accompagnano Fedra nel suo percorso di lenta verbalizzazione del sentimento amoroso e alle quali è destinata la maggior parte delle sezioni cantate. Il primo canto del dramma è, però, intonato da un coro maschile. Nel prologo, Afrodite aveva concluso la sua rhesis annunciando l'arrivo in scena di Ippolito, seguìto da alcuni seguaci. Il giovane giunge, entrando dall' eisodos opposta alla statua di Afrodite, cioè da quella che collega i boschi al perimetro della reggia. Una volta in scena, si fa ἔξαρχος di un breve Inno ad Artemide (vv. 58- 72), che precede l‘azione del rituale di offerta di corone ed è accompagnato, nel canto, dal gruppo dei suoi attendenti. Ciò che interessa notare è un duplice aspetto del coro secondario. In primo luogo, la composizione sociale di questo gruppo di seguaci e, in secondo luogo, la distribuzione degli interventi di questo coro, in tutta la tragedia.
La ὑπόθεσις della tragedia non specifica la composizione del coro secondario, ma presenta solo la definizione di χορός. Nel cod. D della tradizione manoscritta, l’indicazione χορός τῶν κυνηγῶν farebbe pensare a un gruppo di giovani di estrazione simile a quella di Ippolito, con cui l’eroe si dedica alla caccia. Si avrà modo di affrontare la questione della provenienza sociale degli ὀπαδοὶ inserendola in un ragionamento più ampio, relativo allo status sociale del protagonista. Per ora basti segnalare che i componenti del secondo coro sono, più verosimilmente, servi di Ippolito e non già suoi pari, tanto più che erano stati
52 Trezene si affaccia su una laguna, luogo di caccia di Artemide e Ippolito, ove sorge il Santuario di
Artemide ἐν λίμναις o Σαρόνια, cfr. vv. 228, 1133; Paus. 2.30.7; si tratta diun luogo isolato e periferico rispetto al centro cittadino, come molti altri complessi sacri ad Artemide nel Peloponneso e in Attica, cfr. 1.2.; 1.3.; Musti, Torelli 1986, 314; Cole 2004, 178 ss.; Calame 2011, 257 ss.
53 La questione è estremamente dibattuta, ma la compresenza di due cori sembra attestata, in Euripide,
anche nei frammenti del Fetonte (fr. 781. 14-31), in cui, come avviene nell’Ippolito, un singolo personaggio si fa ἔξαρχος del canto e viene solo successivamente seguìto dal coro. Per il raffronto con il Fetonte, cfr. Reckford 1972, 405-432 e Swift 2010, 262- 279. Due cori sarebbero stati presenti anche nell'Alessandro e dell'Antiope (Σ Hipp. 58), in cui il secondo coro avrebbe cantato un canto singolo. Per un resoconto delle posizioni critiche, cfr. Barrett 1964, 365ss.; Halleran 1995, 243 ss.
lo spettatore li vede eseguire un ordine impartito da Ippolito, che viene, in questo caso, chiamato ἄναξ, un termine cioè che presuppone una distanza di tipo sociale fra due interlocutori55. Insisto nel tentativo di connotare gli come attendenti i compagni di Ippolito, affinché possa ancor più chiaramente emergere, nel corso della dissertazione, un alone di esclusività e solitudine attorno al protagonista, che lo allontani dalla condivisione del culto con un gruppo sociale ben definito e quindi dalla prassi rituale del cittadino ateniese. Ippolito è un individuo scisso, per sua stessa ammissione, dalla comunità e manifesta la sua unicità nella pratica religiosa56.
Oltre all’aspetto legato alla composizione sociale del coro, è importante notare, seguendo C. Calame57, la rete di simmetrie creata dalla disposizione delle parti
cantate. L’inno per Artemide, intonato da Ippolito e dagli attendenti prima del rituale, è posto in posizione chiastica con l’ultimo canto del dramma, cioè il quarto stasimo (1268- 1282)58. Questo intervento conclusivo è cantato dal coro di γυναῖκες, cioè donne sposate, che hanno già sperimentato la sessualità e la maternità59 e si presenta come un breve inno al potere universale di Afrodite: συμπάντων βασιληίδα τιμάν, Κύπρι, τῶνδε μόνα κρατύνεις60. Da una parte,
dunque, un primo inno intonato da cacciatori adolescenti ad Artemide, dall’altra un inno conclusivo, in cui si celebra la dea delle unioni sessuali.
54 Cfr. 2.7.1., in cui si faranno osservazioni sul peculiare rapporto di Ippolito in rapporto al gruppo sociale
di appartenenza. Sul secondo coro, cfr. Barrett 1964, 169 e 365, benché tenda sempre a oscillare nella definizione degli ὀπαδοὶ, definiti, nel commento, prima servants, poi friends.
55 Eur. Hipp. 108- 112, dove l’eroe dà ordine ai servi di rientrare nella reggia e preparare il bachetto χωρεῖτ᾽,
ὀπαδοί, καὶ παρελθόντες δόμους/σίτων μέλεσθε. Al v. 88, un servo chiama Ippolito ἂναξ, rivolgendogli la parola. Il fatto che Ippolito chiami i suoi seguaci ὀπαδοὶ, non favorisce un’identificazione del gruppo come compagni che condividono con lui una certa estrazione sociale, come nel senso di ἑταῖροι. Cfr. Chantraine 19992 e Beekes 2010, s.v. ὀπάων, la radice *ὁπᾱ trae la sua origine da ἕπομαι; ciò conferisce al lemma una
sfumatura più vicina a quella di “séguito”, piuttosto che esprimere una caratterizzazione precisa in senso sociale.
56 Cfr. Bruit Zaidman 1998, 333 ss.
57 Cfr. Calame 2017, 149- 172, in particolare 151- 154 e Swift 2010, 262 ss.
58 Per l’identificazione del quarto stasimo come inno, cfr. Barrett 1964, 391- 396 e Calame 2017, 150. 59 Sulle fasi del processo di maturazione femminile cfr. Dillon 2001, 211 ss. Sullo status di παρθένοι in
Grecia antica, cfr, Sissa 1992; sulle caratteristiche della νύμφη cfr. Andò 1996, 47- 79. Uno studio complessivo sulla percezione del femminile in Grecia antica è quello di Loraux 1989.
κουροτρόφος e quella di Cipride62.
Il terzo stasimo è l’unica occasione in cui i due ruoli del coro si intersecano, producendo un canto che alterna delle parti femminili ad altre maschili. Al centro del brano vi è il rimpianto per la sorte di Ippolito, costretto all’esilio dalle accuse di Teseo, ma ritenuto innocente dal coro, al corrente del reale svolgimento degli eventi.
Non bisogna immaginare due formazioni corali distinte e compresenti sulla scena, ma un solo coro, i cui componenti indossavano maschere non necessariamente rispondenti a un’identità civile nettamente delineata, ma che venivano identificati dalla modulazione della voce, o dalla sostanza tematica dei loro discorsi63. In tragedia, infatti, la mancanza di una stretta corrispondenza fra un dettaglio estetico e il ruolo del personaggio non doveva essere sentita come particolarmente problematica; la distinzione dei ruoli era, piuttosto, indicata dalle azioni, dal registro espressivo, o dai toni della voce impiegati da un determinato personaggio. Allo stesso modo, per esempio, l’espressione fissa di una maschera poteva confliggere con un certo tipo di manifestazione emozionale; questo non implicava, tuttavia, un cambio della maschera, quanto, piuttosto, dalle indicazioni verbali o gestuali degli attori, che chiarivano il contesto64.
Nel terzo stasimo, lo scarto fra i generi si evince dall’alternanza fra participi maschili e femminili. Nelle strofi si trovano le forme maschili κεύθων e λεύσσων (vv. 1105, 1107), nelle antistrofi, i participi femminili εὐξαμένᾳ e μεταβαλλομένα (vv. 1111, 1118). Per ovviare alla presenza di due generi nel medesimo coro, si è fatto appello alla genericità dell’uso dei participi maschili,
61 Secondo Calame 2017, 154 i servi di Ippolito ne condividono l’appartenenza alla classe d’età
dell’adolescenza. Come si dirà in 2.2, il protagonista presenta, esteriormente, le caratteristiche di un efebo ma incarna un ἒθος di tipo aristocratico, che confonde e sfuma alcuni tratti della caratterizzazione.
62 L’attenzione alla simmetria fra personaggi e struttura del dramma è un tratto fondamentale dello studio
di Zeitlin 1985, 82-111.
63 L’ipotesi che il coro fosse un unico gruppo è di Calame 2017, 163. Contra Furley, Bremer 2001, 314,
che propendono per la compresenza di due cori distinti, uno formato da cacciatori e uno dalle donne di Trezene. La ragione sarebbe la mancanza del tempo necessario per un cambio di costumi fra i vv. 71- 121.
però, troppo sistematica per restare priva di significato e, d’altra parte, il coro di ὀπαδοὶ era stato introdotto in scena nel prologo di Afrodite66.
Il problema derivava, infatti, da un’interpretazione che voleva le due parti corali maschili eseguite da due categorie di personaggi differenti: da una parte i servi, che avevano cantato con l’eroe l’inno ad Artemide, all’inizio del dramma; dall’altra degli inesistenti φίλοι ἡλίκοι, che avrebbero costituito il séguito dei compagni di Ippolito, nei versi finali67. In realtà, la componente maschile del secondo coro rimane invariata per tutto il dramma ed è proprio questo dato, come vedremo in seguito, a porre in risalto lo scarto esistente fra le due modalità impiegate da Ippolito per rivolgersi al suo séguito68.
d) Struttura Simmetrica dell'Ippolito
Per completare un quadro già parzialmente delineato della complessa intersezione di rimandi simbolici che il dramma presenta, si può accennare a ciò che ha reso l'Ippolito τὸ δὲ δρᾶμα τῶν πρώτων, secondo l'ὑπόθεσις, cioè la simmetria formale della sua struttura. La tragedia si apre e si chiude con gli interventi ex machina di Afrodite e Artemide; le due epifanie riflettono l'antagonismo divino rappresentato da Euripide per indicare il contrasto di forze che muovono i fili della vita umana, ma soprattutto mettono in luce le carenze rituali di Ippolito e l'insufficienza delle sue scelte cultuali.
La tragedia è inaugurata dall’annuncio della morte dell’eroe, profetizzata da Afrodite come inevitabile esito dell’intreccio drammatico69:
65 Per l’ipotesi sulla genericità dell’uso del maschile, cfr. il commento all’Ippolito di Wilamowitz 1891 sul
v. 1103; sulla necessità di annunciare un coro sulla scena, Taplin 1977, 186, 230-238.
66 Cfr. Calame 2017, 162- 166.
67 Eur.Hipp.1180, dove Ippolito, nel momento dell’esilio, si rivolge al suo séguito attuando un cambio di
denominazione, da ὀπαδοί a φίλοι.
68 Delle denominazioni dei servi di Ippolito si parlerà in 2.7.1.
69 Secondo Dunn 1996, 92 ss. i prologhi recitati da divinità risultano sempre poco decifrabili, poiché
descrivono eventi in modo sfumato e ambiguo, mentre la chiarezza espositiva è propria dei prologhi umani. La profezia di Afrodite dell'Ippolito può essere, dunque, accostata alle modalità espressive dei prologhi recitati da mortali. La rappresentazione umanizzata delle dee, ambigue e vendicative, è parte di un processo di trasposizione letteraria che comprende tutti gli dei tragici, cfr. Mastronarde 2010, 157 the gods in epic
L’epilogo non fa che concretizzare sulla scena la fine preannunciata dell’eroe, senza apportare alcuna modifica al piano originario, espresso da Afrodite, che comprendeva già anche la partecipazione di Poseidone al piano di vendetta71 e che, a inizio dramma si esprimeva così:
οὐ γὰρ οἶδ᾽ ἀνεῳγμένας πύλας /Ἅιδου, φάος δὲ λοίσθιον βλέπων τόδε72.
Non sa che le porte dell’Ade sono aperte e che vede per l’ultima volta la luce.
Se Ippolito è, in questi primi versi, sul punto di pagare con la vita per la sua ἀσέβεια73, a fine tragedia non vi stato alcun mutamento della sua condizione.
Ciò è testimoniato dalle scelte lessicali operate nella parte conclusiva del dramma, che riprendono il linguaggio impiegato da Afrodite prologo e reimpiegano l'immagine delle porte dell'Ade e dell’ultima luce della vita, sopra citate:
ὄλωλα καὶ δὴ νερτέρων ὁρῶ πύλας74
Sono morto e vedo spalancarsi le porte.
Ἱππόλυτος οὐκέτ᾽ ἔστιν, ὡς εἰπεῖν ἔπος: δέδορκε μέντοι φῶς ἐπὶ σμικρᾶς ῥοπῆς75.
Ippolito non vive più, come dire: per poco ancora, infatti, tiene lo sguardo vigile.
and tragedy are a “literary device” that serves the needs of the narrative and the creation of meaning out of a series of events.
70 Eur. Hipp. 21-22.
71 Cfr. Dunn 1996, 87ss, che nota l’inversione delle partizioni tragiche ed afferma che l’Ippolito comincia,
in realtà, dalla fine.
72 Eur. Hipp. 56- 57.
73 5-6: τοὺς μὲν σέβοντας τἀμὰ πρεσβεύω κράτη,/ σφάλλω δ᾽ ὅσοι φρονοῦσιν εἰς ἡμᾶς μέγα. 74 Eur. Hipp. 1447.
(vv. 29-33), dopo aver posato lo sguardo su Ippolito che si apprestava a partecipare ai Misteri. Come si dirà, il luogo viene denominato Ἱππολύτῳ δ᾽ ἔπι (32) per la presenza di uno μνημεῖον dell'eroe, posto però in un complesso sacro dedicato alla sua dea rivale e si trovava sull'Acropoli76, di fronte, κατόψιον (30), alla città di Trezene77. Così, l'αἴτιον prologico, oltre ad occupare una posizione particolarmente insolita in tragedia78, si pone come una prolessi rispetto all'
αἴτιον degli onori eroici che Ippolito riceverà nell' Epilogo, per volere Artemide, alla fine del dramma (1416- 30).
La funzione profetica del Prologo è infatti ripristinata nell' Epilogo, in cui la dea παρθένος promette ad Ippolito morente, di ripristinare il naturale equilibrio dei rapporti di vendetta e soddisfazione fra divinità, annunciando la morte di un φίλτατος di Afrodite (1420- 22) e dando l’impressione che esista una catena potenzialmente infinita di vendette divine79.
L’annuncio della futura vendetta di Artemide su un mortale caro a Cipride, al fine di salvaguardare un nomos di cui Zeus stesso si fa garante, conduce la riflessione lungo il sentiero esegetico portante dell'Ippolito, cioè il concetto di polivalenza degli dei e di figura divina intesa come proiezione diretta del potere che manifesta; non ultima, la percezione, da parte del pubblico, dell'esistenza di un ordine originario e non intelligibile, che regola i rapporti fra dei, fra uomini e viceversa80. Il fatto, cioè, che le dee sulla scena presentino delle sfaccettature contrastanti e apparentemente inconciliabili, non doveva suscitare sgomento nell'uditorio, che non chiedeva ragione della crudeltà di Afrodite nei confronti di un'innocente come Fedra81. Al contrario, il politeismo greco ammette la
76 Cfr. 1.3.
77 L'uso di κατόψιον aggiunge un'ulteriore sfumatura simmetrica, dando l'idea che fosse possibile gettare lo
sguardo oltre il Golfo Saronico e, da Atene, vedere Trezene. La scelta di nominare due edifici che “si guardano”, l’uno di fronte all’altro, evoca il contesto erotico ed il ruolo della vista nella trasmissione del desiderio, cfr. 1.3.
78 Cfr. Barrett 1964, 161-62; Dunn 1996, 214 n. 7, che menziona l’ipotesi di un’interpolazione del finale
dell’Ippolito, per la quale cfr. anche Scullion 1999-2000, 217-233. L’apparato simmetrico del dramma induce, tuttavia, a escludere che si tratti realmente di un’anomalia.
79 Molto probabilmente Adone, ucciso durante una battuta di caccia da un cinghiale mandato appositamente
da Artemide, cfr. Apollod. III 14, 4; Barrett 1964; Halleran 1995; Susanetti 1997.
80 Cfr. Sourvinou- Inwood 2003, 330ss.
81 Gernet 1968, 233 sosteneva che la chiave per avvicinarsi a comprendere il politeismo è ammettere la sua
raggiunto l’ἄνθος ἥβης, la maturazione in termini di sperimentazione della sfera erotica.
Si cercherà, da qui in poi di mostrare come, più che l’opposizione fra due potenze divine, quella tra Afrodite e Artemide sia una drammatizzazione di due tappe della vita umana, che non implica alcuna interruzione della pratica cultuale dell’una o dell’altra dea nelle fasi del suo sviluppo. La purezza di Artemide è un privilegio divino, condiviso con Atena ed Estia, che la pone ai margini della legislazione divina di Afrodite83; la castità è lo status della vita adolescente, che
è sul punto di conoscere l’unione sessuale, ma non può ancora farlo. L’errore di Ippolito è di voler perpetuare questo status nell’intero arco della sua vita, appropriandosi di un privilegio divino e confondendo l’ἀσέβεια con una forma di αἰδώς.
immutabili, ma è necessario riconoscere la molteplicità delle manifestazioni del potere divino nella realtà umana: Au vrai, le polythéisme répugne à l'organisation. Les dieux se sont partagé des domaines où on les
honore et sur lesquels rayonne leur influence - c'est le double sens du mot -, à la façon dont auraient procédé des chefs féodaux. Mais, aussi bien, nous savons qu'ils peuvent exercer, à l'occasion, bien des fonctions en dehors de leur domaine.
82 Sulla polivalenza degli dei e sul concetto di puissance divine cfr. Vernant 1978, 369- 370 ss.; sulla
polivalenza di Artemide e Afrodite nell’Ippolito cfr. Pirenne-Delforge 2006-2007, 154: L’opposition entre
les dèesses Aphrodite et Artémis […] a parfois été vue comme l’opposition entre la sexualité sans mesure, instrumentalisée par la cruelle Aphrodite et la chasteté promue par Artémis. C’est une totale erreur de perspective; su polivalenza e specificità di Afrodite cfr. Pironti 2009, 289- 302.
1.1. Ippolito ad Atene: cronologia del mito.
Non è facile tracciare il percorso della leggenda di Ippolito ad Atene, prima dell’elaborazione euripidea. I dati mitici sono scarsi84, quelli letterari pressoché assenti,
fatta eccezione per il dramma di Euripide.
Nella versione ateniese del mito, Ippolito è annoverato tra i figli di Teseo e la parte finale del dramma mostra bene l’importanza della parentela nello svolgimento degli eventi tragici: la morte di Ippolito è causata dalle maledizioni di suo padre Teseo ed è concretamente procurata dall’intervento dell’avo paterno Poseidone85. Per comprendere
il processo che ha portato alla creazione della leggenda narrata dai tragici e per osservare come i due miti si sono intrecciati nel tempo, può essere utile partire dalla saga di Teseo. Tuttavia, il problema dell’assenza di fonti precedenti al dramma di Euripide e l’esiguità di testimonianze provenienti da Trezene, rendono l’indagine irrimediabilmente parziale. Si può partire prendendo in considerazione un filone secondario della legenda di Teseo: l’Amazzonomachia86.
La grande diffusione che il mito di Teseo ebbe anche fuori da Atene, ha favorito la creazione di leggende che vedono coinvolti, al suo fianco, alcuni eroi provenienti da altre
84 La sola testimonianza attestante che il nome di Ippolito era noto nell’età arcaica è tramandata da
Apollodoro (3.10.3), che cita i Naupaktika, databili non con estrema certezza al VII sec. a.C. Nel poema sono contenute le storie di alcune donne celebri del mito, tra cui Fedra, la cui menzione implica la già avvenuta elaborazione del mito dell’amore per Ippolito, cfr Bernabé, Poetarum Epicorum Graecorum
Testimonia et Fragmenta, I, Leipzig 1987, 123-126 (B.) t. Per la datazione dei Naupaktikà, cfr. Matthews
1977, 189-207.
85 Sul rapporto fra Teseo e Ippolito cfr. Roisman 1999, 123ss.; sulle maledizioni paterne cfr. Bonnard 2014,
1-16.
86 Per uno studio sui nuclei narrativi che compongono il mito di Teseo cfr. Calame 20182, Gernet 2004,
102-122; per uno studio sulla genealogia di Teseo cfr. Sourvinou- Inwood 1979; per un’analisi del culto eroico a partire da fonti iconografiche cfr. Ekroth 2010, 143- 71. La tradizione sull’Amazzonomachia è duplice: da una parte Filocoro (FGrHist 328 F 25), in cui Teseo ed Eracle lottano insieme contro le Amazzoni; dall’altra Ferecide (FGrHist 3F 151), Ellanico (FGrHist 4 F 166), Erodoro (FGrHist 31 F 25), in cui i due eroi lottano in Amazzonomachie distinte, cfr. Calame 20182, 429 ss.; Ampolo- Manfredini
1999, 240ss.; Bettalli 2003, 119; Cordiano- Zorat 2015, 91 n2. Per uno studio sul trattamento ateniese del mito delle Amazzoni cfr. Tyrrell 1984 e Mayor 2014, 259 e 271ss.
essere percepito come il frutto dell’unione tra il re di Atene e la guerriera Antiope, o Ippolita89, considerando quindi l’Amazzonomachia come terminus post quem.
La guerra contro le Amazzoni non fa parte dei filoni originari del mito di Teseo, che sembra essersi sviluppato originariamente da due nuclei narrativi indipendenti dall’elaborazione attica: la spedizione contro il Minotauro (area cretese) e il ratto di Elena (area peloponnesiaca). Tuttavia, l’Amazzonomachia acquista rilievo in una fase storica determinante per l’espansionismo ateniese e si inserisce in un processo di riformulazione costante della materia mitica precedente, che solo alla fine dell’età arcaica presenta un Teseo dotato di tratti marcatamente ateniesi90. La città insiste sul carattere politico dell’eroe, in un momento in cui è in gioco l’ampliamento dei confini geografici
87 La leggenda di Teseo si intreccia a numerosi miti indipendenti, come le vicende di Eracle, liberatore
dell’eroe ateniese e del compagno Piritoo dalla prigionia nell’Ade; Teseo è legato al mito di Medea, sua matrigna in quanto sposa/ concubina di Egeo; gli intrecci in cui appaiono Minosse, Pasifae, Androgeo, Arianna e Fedra appartengono al mito cretese e, nel caso di Fedra, alla maturità dell’eroe; in compagnia di Piritoo, avverrà infine il ratto di Elena e la discesa agli inferi. La maggior parte dei nuclei mitici è sistematizzata in Plut. Thes. Per bibliografia, cfr. n. 3.
88 Cfr. Calame 20182, 106 ss.: sono presenti circa nove versioni della spedizione a Creta di Teseo, molte
delle quali sono state elaborate in contesti insulari diversi, in cui alcuni dettagli della trama ateniese hanno subìto mutamenti in relazione alle preferenze cultuali o politiche del luogo. Per esempio, nella versione dell’abbandono di Arianna a Cipro, la figura della fanciulla è stata sovrapposta a quella della dea Afrodite, che nell’isola godeva di un culto in particolare.
89 Nel dramma, Euripide usa l’anonimo Ἀμαζών, (vv.10; 307; 351; 581). La madre di Ippolito è connotata
come Ippolita in Clidemo (cfr. Plut. Thes. 27.5) ed è questa la forma onomastica che prevale dal IV sec. a.C. (cfr. Tyrrell 1984, 5). Viene invece denominata Antiope in un filone che parte da Filocoro (FGrHist 328 F 110) anche Diod. 4.28, (cfr. Cordiano- Zorat 2015, 90- 92); Plut. Thes. 26.1 (cfr. Ampolo- Manfredini 1999, 241.), il nome Antiope trova attestazioni nella ceramica verso il 500 a.C. ed è presente nel gruppo del tempio di Apollo Daphnephoros a Eretria. Una presunta Antiope compare in una delle trenta metope del Tesoro degli Ateniesi a Delfi (fine VI inizio V secolo), in cui l’Amazzonomachia è affiancata alla rappresentazione delle fatiche di Eracle. Nella Stoà Poikile è presente, al centro di un lungo affresco, un’altra rappresentazione della guerra contro le Amazzoni attribuita a Micone, accanto ad episodi della saga troiana e alla battaglia di Onioe contro Sparta (Ar. Lys. 678 ss.; Paus. 1.15.1) cfr. LIMC s.v. Amazones 234; Calame 20182, 408- 409, insiste sull’importanza dell’iconografia come prova del costante processo di
riformulazione della leggenda, affiancata nel tempo ad altri episodi mitici o storici rilevanti per l’identità ateniese.
90 Cfr. Calame 20182, 398 ss, 403 ss.; Ampolo- Manfredini 1999, 9ss. Di Donato 2001, 167ss. Riguardo al
trattamento attico del mito, uno dei problemi più dibattuti è la discrepanza fra il mito e il culto di Teseo: a dispetto delle numerose località raggiunte dall’eroe, non sembrano sussistere luoghi di culto altrettanto diffusi. Da qui, l’aition ateniese secondo il quale Teseo cedette tutti i suoi santuari in Attica ad Eracle, cfr. Filocoro (Jacoby, FGrH 328 fr. 18, in Walker 1995, 11. Sulla discrepanza fra mito e rito nelle testimonianze iconografiche, cfr. Ekroth 2010, 143 ss.
in quanto atto volto a definire i limiti territoriali di un’area di civiltà, Atene, che si appropria degli spazi leggendari percorsi da un eroe e ne fa il fondatore delle sue istituzioni e del suo apparato ideologico92. Da qui prende piede la versione che unisce Teseo ed Eracle93, eroe panellenico per eccellenza, nella spedizione contro le Amazzoni del Ponto Eusino e, non a caso, quest’area corrispondeva al confine settentrionale del futuro impero ateniese94.
Per tentare una ricostruzione del mito di Ippolito, si può partire dall’immagine mitica del ratto di Antiope, che appare nell’iconografia verso il 520 a.C.95. Sul versante
letterario, Plutarco fornisce due versioni del rapimento, che sono concordi nell’attribuire alla donna la funzione di γέρας dell’eroe per le sue aristìe96. Teseo conduce l’Amazzone ad Atene, instaurando con lei un rapporto di unione (forse) legittima, da cui Ippolito viene alla luce.
I dati interessanti, ai fini di una più precisa contestualizzazione della leggenda, sono due: il primo è rappresentato dalla versione dell’Amazzonomachia fornita da Plutarco, a partire da un poema di fine VI secolo a. C., la Teseide97; il secondo dato è contenuto in
91 Generalmente un eroe è strettamente legato ad una specifica località, in cui si situa la sua nascita o il
compimento di imprese di particolare valore civico, cfr. Kearns 1989, 44ss.
92 Cfr. Kearns 1989, 120 ss.: L’associazione di Teseo alle Amazzoni era un’occasione per esaltare i valori
ateniesi in opposizione al barbaro. Una volta domate, le Amazzoni vengono promosse al ruolo di eroi tutelari della città. Secondo il mito, Antiope fu sepolta presso la porta Itonia, a protezione dell’ingresso. Inoltre, sacrifici regolari erano offerti alle Amazzoni in occasione dei Theseia (Plut. Thes. 27.7), per rinsaldare il nesso fra le donne guerriere e l’azione civilizzatrice di Teseo. Sul processo di appropriazione ideologica della figura di Teseo, cfr. Di Donato 2001, 165 ss.
93 Si fa qui riferimento al filone narrativo che prende avvio da Filocoro, che si trova in Plut. Thes. 26.1,
(cfr. n.1). Teseo rappresenterebbe una versione più civile e meno cruda di Eracle, cfr. Mills 1997, 5. Va tuttavia precisato che la collaborazione fra i due eroi non è attestata prima del 430 a.C., anno della messa in scena dell’Eracle euripideo (vv. 215 ss.). Le tracce iconografiche invece risalgono alla fine VI sec. a.C., benché non sia sempre facile chiarire con esattezza la compresenza di Teseo ed Eracle nelle scene rappresentate. Cfr. Brommer 1982, 115 ss; Calame 20182, 286 n. 174; Blok 1995, 384 ss.; Mills 1997,
129-60.
94 Sull’espansionismo ateniese cfr. Hornblower 1983, 61 ss e Musti 1999.
95 Cfr. Brommer 1982, 110, 112, 114; Walker 1995, 13 ss; Mayor 2014, 259 ss. riporta alcune delle più
significative rappresentazioni iconografiche del ratto di Antiope, databili alla fine del VI secolo.
96 Plut. Thes. 26.1, la differenza fra le due versioni consiste essenzialmente nella presenza o assenza di
Eracle al momento del ratto. In Di Donato 2006, 53-64 il γέρας è considerato una nozione di tipo sociale, corrispondente cioè al riconoscimento, da parte di un determinato gruppo, delle prerogative e della posizione di un individuo rispetto ai simili.
97 Si tratta di una composizione epica giunta in pochi riferimenti sotto forma di citazione (Plut. Thes. 28.1;
Arist. Poet. 1451a 16-22.), che dà un’idea del processo di ri-creazione e ampliamento del repertorio mitico di Teseo nella prima età classica. Barrett 1964, 3 n.1; Cfr. Tyrrell 1984, 3ss.; Calame 20182, 260ss.; Ampolo