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La caccia ateniese come paradigma educativo

Capitolo 2. Ippolito nel dominio di Artemide

2.2. Ippolito: un Cacciatore Nero?

2.2.3. La caccia ateniese come paradigma educativo

La caccia è un’attività giovanile e maschile per eccellenza ed ha un forte legame con l’arte militare, in quanto antecedente delle pratiche di combattimento oplitiche. Nell’Ippolito il carattere maschile della caccia è fortemente accentuato, dal momento che quest’attività è la prerogativa di un eroe del tutto distante dal mondo femminile, che associa allo statuto di cacciatore una scelta cultuale, cioè il dominio di Artemide281.

Ad Atene, il valore politico della caccia è altamente riconosciuto e istituzionalizzato, poiché a essa si associa una funzione educativa per i giovani

quali sorge il santuario dell’Artemide di Brauron (cfr. Kahil 1977, 89-98); ai vv. 1093- 1097 Ippolito saluta, oltre a Trezene, anche Atene nel momento dell’esilio.

280 Trezene era stata nell’orbita di Atene fino al 446 a.C. (Thuc. I. 1 15), poi fu oggetto di spedizioni volute

da Pericle (Thuc. 4.45,425-4 a.C.) Sulle azioni militari condotte nell’area dell’Istmo, cfr. Bowra 1971, 64ss. e Musti 1989, 406-414; Trezene continua a essere oggetto di interesse di Atene nella stipula della pace del 423 a.C.

281 Sulla connotazione di genere relativa alla caccia, cfr. Schnapp 1997, 10: Malheur aux femmes qui se

risquent sur la piste des chasseurs, malheur aux jeunes gens qui n’acceptent pas leur condition humaine et rivalisent à ces chasseurs inimitables que sont les héros. Anche nella pratica della caccia è necessario

mantenere un codice di comportamento corretto, per non rischiare di entrare in competizione con gli dei e per mantenere la giusta distanza dagli eroi. Questo presupposto è importante in uno studio sull’Ippolito, perché conferisce al personaggio un’ulteriore sfumatura di tracotanza. Ponendosi arbitrariamente come il favorito di Artemide (μόνῳ γάρ ἐστι τοῦτ᾽ ἐμοὶ γέρας βροτῶν, 82), Ippolito incorre nella sanzione di Cipride.

aristocratici. Il combattimento, l’esercizio fisico nelle palestre, la cattura di prede animali sono attività centrali nell’ottica estetica e paideutica della polis.

Nel Cinegetico di Senofonte è esposta una teoria della buona caccia, che ne pone in risalto la sua funzione educativa282:

Ἐγὼ μὲν οὖν παραινῶ τοῖς νέοις μὴ καταφρονεῖν κυνηγεσίων μηδὲ τῆς ἄλλης παιδείας· ἐκ τούτων γὰρ γίγνονται τὰ εἰς τὸν πόλεμον ἀγαθοὶ καὶ [εἰς] τὰ ἄλλα ἐξ

ὧν ἀνάγκη καλῶς νοεῖν καὶ λέγειν καὶ πράττειν.283

Per quanto mi riguarda, esorto i giovani a non disdegnare l’attività della caccia, rispetto agli altri insegnamenti; grazie a queste, infatti acquisiscono un corretto comportamento in guerra e nelle altre attività in cui bisogna riflettere e agire bene. (trad. A. Tessier 1990)

La caccia regola i rapporti fra gli uomini e salda le maglie del γένος, tramite la competizione e l’esercizio costante della forza fisica284. Non bisogna infatti immaginare

che, dopo il 508 a.C., al fiorire delle nuove istanze democratiche, le attività connesse al substrato culturale aristocratico finirono per svuotarsi del loro valore. La caccia mantiene, infatti, la sua funzione politica e una conferma della sua importanza è la frequenza dei riferimenti presenti in tragedia, delle immagini poetiche e del lessico legato all’esperienza della caccia285.

282 Cfr. Plat. Leg.1.631 b-c; ὃ δὴ πρῶτον αὖ τῶν θείων ἡγεμονοῦν ἐστιν ἀγαθῶν, ἡ φρόνησις, δεύτερον δὲ

μετὰ νοῦ σώφρων ψυχῆς ἕξις, ἐκ δὲ τούτων μετ᾽ ἀνδρείας κραθέντων τρίτον ἂν εἴη δικαιοσύνη, τέταρτον δὲ ἀνδρεία, illustra quali sono le virtù necessarie per diventare buoni cittadini, sottolineando il valore dell’ἀνδρεία, che si dimostrava non soltanto in battaglia, ma anche nella pratica della caccia, intesa come preludio al combattimento di gruppo. In 823a- 824 a: ἑξῆς ἂν γίγνοιτο ἔμμετρος ἔπαινος θήρας καὶ ψόγος, ἥτις μὲν βελτίους ἀποτελεῖ τὰς ψυχὰς τῶν νέων ἐπαινοῦντος, ψέγοντος δὲ ἣ τἀναντία, Platone pone l’accento sull’effetto positivo che la pratica della caccia sortisce sul νεός, Cfr. Delebecque 1970, 12-18 e Cartledge 2013, 74- 84.

283 Xen. Cyn.1.18, sulla concezione della caccia di Senofonte e le divergenze da Platone cfr. Delebecque

1970, 12- 18.

284 Cfr. Durand, Schnapp 1984, 51: Per i Greci, la caccia non è una semplice attività di sussistenza, ma un

mezzo per affermarsi tra gli esseri viventi, come uomini. Lane Fox 1996, 122 cita questa posizione di Schnapp per ribadire come la caccia sia, per i Greci, un connettivo fra ἀγών, τέχνη e ἀρετή. Sul carattere familiare della nobiltà antica, cfr. Gernet 1983, 277. cfr. Lee 2015, 37- 42: il corpo veicola un significato di appartenenza sociale, come attesta la Fisiognomica pseudo- aristotelica, in cui la prestanza fisica maschile è compresa in opposizione a quella femminile, animale e barbara; questa visione élitaria trova riscontro nell’immaginario relativo all’uomo libero e aristocratico.

285 Cfr. Lane Fox 1996, 133. Oltre al Filottete sofocleo e all’Ippolito, che più palesemente attengono al tema

della caccia, altre tragedie come l’Orestea mostrano l’impiego di lessico specifico: Agamennone è cacciato, legato e sacrificato, come un animale (Aesch. Ch. 998); Oreste è il cacciatore di sua madre ed è, a sua volta,

Dal momento che la guerra era appannaggio di una classe di cittadini abbienti che potevano permettersi l’equipaggiamento militare286, anche la caccia mantiene, almeno

inizialmente, il suo carattere aristocratico e si pone come attività privilegiata di un gruppo limitato di πολῖται, accomunati dallo stessa idea di ἀνδρεία, ispirata agli ideali eroici dell’epica287; l’acquisizione delle spoglie dell’animale e il dono della preda in segno di

reciprocità fra “eguali” hanno, da una parte, un valore politico che denota l’appartenenza alla classe degli ἄριστοι e dall’altra un importante valore rituale, giacché creano un legame fra un gruppo specifico di cittadini ed il culto della divinità, a cui le spoglie o le primizie dell’animale sono dedicate288.

Queste istanze aristocratiche, che poggiano sulla funzione paramilitare e sulla dimensione di gruppo della caccia, sono presenti nell’Ippolito euripideo. Siamo di fronte, infatti, ad un personaggio che si pone in posizione intermedia, fra il cacciatore efebo ed il cacciatore/ guerriero con forte inclinazione aristocratica. La funzione dei paragrafi che seguono è infatti quella di mostrare che Ippolito è colto da Euripide nel momento culminante della sua maturazione. Si nota, perciò, una sovrapposizione di competenze relative a diverse classi d’età: l’eroe pratica un tipo di caccia aristocratica, privandola però della sua dimensione di gruppo; connota se stesso come un ἁνήρ ἅριστος e non più νεός, come invece converrebbe alla sua classe d’età, ma allo stesso tempo rifiuta di confrontarsi con i doveri imposti dalla comunità ad un uomo adulto, sul piano militare, nella condivisione dei culti e nella sfera dell’eros.

preda delle Erinni (Eum.131- 135); nelle Baccanti, Penteo si presenta come cacciatore di prede selvatiche cioè le menadi, ma diviene poi preda dello σπαραγμός di Agave (v. 1108 ss.).

286 È necessario qui ricordare, seguendo Gernet 1968, 93 ss. e 333 ss., che la nozione di nobiltà in Grecia

non poggia esclusivamente su basi economiche, come la crescente disparità di ricchezza, ma va piuttosto considerata in termini di prestigio sociale, dovuto al monopolio di particolari liturgie religiose. Qui, l’elemento economico serve a completare un quadro che presenta la caccia come appannaggio di una classe specifica di cittadini, che svolgono anche una funzione politica di primo piano. Sulla caccia aristocratica cfr. anche Lane Fox 1996, 128 ss.

287 Sulle modalità di acquisizione dell’armamento oplitico cfr. Hanson 1993, 13 ss.; per uno studio recente

sull’oplitismo, dal punto di vista politco- militare cfr. i contributi presenti nel volume di Kagan, Viggiano 2013. Nell’analisi di Barringer 2001, 42 ss., fra VI e V sec., le immagini di caccia sono spesso affiancate da rappresentazioni erotiche, che sembrano nobilitare l’azione umana, in direzione dei legami di reciprocità e mostrano il carattere omoerotico delle azioni venatorie aristocratiche. La sovrapposizione di due immagini diverse sullo stesso supporto denota una scelta consapevole dell’artista, che svolge quindi una funzione mitopoietica, finalizzata a far emergere i valori cari ad una certa classe di fruitori.

288 Sulla ἀπαρχή ἄγρας cfr. Suk Fong Jim 2014, 36, Larson 2017, 49-50; Isocr. Aer. 45 include τὴν ἱππικὴν

2.2.4. Ippolito fra la caccia efebica e la caccia aristocratica

.

Se la caccia notturna faceva sicuramente parte del bagaglio paideutico dei kryptoi spartani289, non è altrettanto certa la sua presenza come attività formativa nel servizio efebico290. Le fonti letterarie che potrebbero fornire una risposta sul tipo di attività svolte dagli efebi risalgono al massimo al IV sec. a.C., quando l’efebia ateniese si apprestava già ad essere riformata in un’attività obbligatoria e retribuita ed aveva perso il suo significato originario, in vista di nuove esigenze291. Ciò che possiamo conoscere dell’efebia è, in sostanza, solo la performance pubblica di un giuramento dai tratti arcaizzanti, pronunciato in difesa della polis, che suggerisce una sua antichità rispetto al IV sec.; una datazione di questa pratica resta comunque impossibile da stabilire.

Per ampliare il quadro complessivo delle occupazioni dell’efebo ateniese e per valutare il ruolo della caccia in quest’istituzione, è utile rivolgersi alla pittura vascolare a tematica venatoria, di cui abbondano esemplari attici risalenti all’età arcaica e classica292.

La presenza di armi come lance, scudi, elmi e spade nelle scene di caccia di epoca storica, consente di attribuire a quest’attività una connotazione militare ben precisa293 e di

riconoscervi una funzione educativa, finalizzata alla corretta esecuzione del combattimento di gruppo294. La compresenza di scene di caccia e di guerra sul medesimo supporto, suggerisce la possibilità di un’associazione mentale fra le due attività, in direzione del concetto eroico di ἀρετή 295.

289 Sulla caccia come presupposto della creazione di un ceto guerriero solido a Sparta, Xen. Lac. 4.7; Cyn.

12. 7-8; Plut. Lyc. 12. 2-3.

290 Cfr. Barringer 2001, 11, 47 ss.: I testi di IV sec. mostrano un legame forte fra la caccia e la guerra, ma

non vi sono reali conferme che quest’analogia valga anche per il contesto iniziatico. Vidal- Naquet attribuisce un ruolo alla caccia nella preparazione efebica, sulla base di un confronto con Sparta e Creta; in Attica, però, il nesso guerra/caccia è attestato prevalentemente nel mito, più che in epoca storica; ciò comporta perciò maggiore cautela nel raffronto delle fonti leggendarie e di quelle storiche, per non rischiare di sovrapporre automaticamente i due piani.

291 Cfr. Lycurg. Leocr. 76-77, in cui si fa esplicita menzione del giuramento efebico di IV sec. a.C., cfr.

Taddei 2012, 52-55.

292 In Barringer 2001, 60 ss. è contenuta la schedatura dei 121 esemplari a tema venatorio; le pitture

rappresentano cacce al cinghiale e al cervo e sono databili a partire dal 600, fino al 425 a.C., c.a.

293 Per i numerosi esemplari di caccia armata cfr. Barringer 2001, 16 ss.; Anderson 1993, 15- 22.

294 Cfr. Lane Fox 1996, 131, che afferma: In Sparta, individual prowess and riches were potentially at odds

with the new social order, yet hunting, an outlet for both, was valuated as proof of manliness and military fitness…In Eupatrid Attica, by contrast, there were no such stringent limits on individuality, and we find hunting in a highly competitive personal context.

295 Nel lessico omerico erano presenti associazioni fra la battaglia e la caccia, specie al leone, per descrivere

Nelle testimonianze iconografiche a tema venatorio, non si ritrova la linearità che caratterizzava la visione di Vidal- Naquet sull’iniziazione. Lo studioso vedeva uno stacco netto fra il tipo di caccia adulta, oplitica (al cinghiale o al cervo, con equipaggiamento pesante e corteggio di φίλοι) e quella “iniziatica”, giovanile (piccole prede, assenza di armi, solitudine). I vasi a figure rosse attestano, al contrario, una compresenza sorprendente fra personaggi appartenenti a diverse classi d’età, che vanno oltre il binomio esemplificativo di uomo barbato/ sbarbato, applicato da Vidal- Naquet, per classificare una caccia giovanile o adulta296.

Si è voluto spesso riconoscere, nell’abbigliamento dei cacciatori dell’iconografia, la clamide nera indossata dagli efebi297; il motivo per cui questa associazione sembra arbitraria, è proprio il tipo di cromatismo impiegato nella pittura su ceramica: non si può infatti dare per scontato il colore della clamide in uno stile che impiega unicamente il nero o il rosso per le rappresentazioni figurate, né è facile distinguere un mantello da uno scudo posizionato sul braccio del cacciatore. La clamide (nera?) è molto spesso “imbracciata” come se svolgesse la funzione di uno scudo e diventa un elemento quasi onnipresente nelle scene di caccia successive al 510 a.C298.

La compresenza di soggetti ed elementi eterogenei, che rimandano a contesti misti sia sul piano delle classi d’età (giovinezza/ maturità), sia su quello delle occupazioni (caccia/ guerra), mostra con maggiore incisività il valore formativo della caccia e la funzione integrativa all’interno di una comunità ordinata e interessata all’educazione dei giovani299. La coppia giovane/ adulto è, infatti, il perno attorno a cui ruota il processo formativo della polis, in una dinamica di comando/ obbedienza, come attestano le riflessioni di Aristotele sul rapporto fra governanti e governati:

modalità simili alla cattura di un animale: incursione notturna, guerrieri travestiti da animali, agguato e cattura, cfr. Schnapp- Gourbeillon 1981, 95 ss.

296 Cfr. Vidal- Naquet 1988, 111- 112; Beaumont 1994, 81- 95; Barringer 2001, 51- 52: In genere, il criterio

per il riconoscimento delle classi d’età nell’iconografia a figure nere è l’identificazione di un personaggio barbato/ non-barbato, che corrisponde alla coppia adulto/ giovane. Le rappresentazioni di caccia al cinghiale o al cervo mostrano la compresenza di barbati e non-barbati, che dimostra il valore educativo mantenuto, in Attica, dalla pratica della caccia.

297 Cfr. Vidal- Naquet 1988, 114.

298 Cfr. Barringer 2001, 23, 52 per le illustrazioni delle scene di caccia con scudo/ clamide;

sull’abbigliamento nella Grecia Antica cfr. Lee 2015.

ἡ γὰρ φύσις δέδωκε τὴν διαίρεσιν ποιήσασα αὐτῷ τῷ γένει ταὐτὸ τὸ μὲν νεώτερον τὸ δὲ πρεσβύτερον, ὧν τοῖς μὲν ἄρχεσθαι πρέπει, τοῖς δ᾿ ἄρχειν·300.

La natura stessa ha offerto una distinzione, facendo sì che entro uno stesso genere di persone si stabilissero le differenze tra giovani e vecchi; e tra questi

agli uni si addice l’obbedienza e agli altri il comandare. (trad. C.A. Viano 2002)

È dunque necessario guardare alla caccia dell’Ippolito dalla prospettiva della παιδεία. Nel dramma, però, il rapporto tradizionale fra la caccia e l’educazione risulta rovesciato: invece di rappresentare un paradigma educativo corretto, com’era forse per gli efebi ateniesi, la caccia è scelta da Ippolito come elemento di rottura dell’ordine costituito. Se Ippolito fosse un kryptes, si potrebbe parlare, con Vidal- Naquet, di inversione simmetrica; tuttavia, considerando il fine socialmente inclusivo che la caccia aveva ad Atene, la scelta di farne uno strumento di autosegregazione rispetto al gruppo, rende Ippolito un non-efebo301.

In un articolo dedicato alla ricerca del paradigma efebico nell’Ippolito, R. Mitchell- Boyask considera la pratica della caccia come un indizio sufficiente per fare di Ippolito un tipico esempio di efebo ateniese e per attribuirgli l’uso di reti e trappole, caratteristico della caccia notturna302. Come si è osservato, però, l’associazione tra l’efebo ateniese e la

caccia notturna non è affatto automatica, come lo è per il kryptes spartano303. Lo studioso prova le sue conclusioni a partire dalla descrizione del luogo da cui proviene la corona intrecciata, che Ippolito offre ad Artemide:

σοὶ τόνδε πλεκτὸν στέφανον ἐξ ἀκηράτου λειμῶνος, ὦ δέσποινα, κοσμήσας φέρω, ἔνθ᾽ οὔτε ποιμὴν ἀξιοῖ φέρβειν βοτὰ 300 Arist. Pol. 7.14.5. 301 Eur. Hipp. 1016: ἐγὼ δ᾽ ἀγῶνας μὲν κρατεῖν Ἑλληνικοὺς/ πρῶτος θέλοιμ᾽ ἄν, ἐν πόλει δὲ δεύτερος/ σὺν

τοῖς ἀρίστοις εὐτυχεῖν ἀεὶ φίλοις:/ πράσσειν τε γὰρ πάρεστι, κίνδυνός τ᾽ ἀπὼν. Io vorrei primeggiare negli

agoni Ellenici, ma essere il secondo in città, trascorrere il tempo in armonia con i migliori amici, stando lontano dai pericoli c’è libertà di agire.

302 Mitchell- Boyask 1999, 43: Hippolytus activities around the city’s wild border reflects the ephebes’

frontier patrols engaging in solitary, nocturnal guerrilla.

οὔτ᾽ ἦλθέ πω σίδηρος […]304

A te signora, dopo averla ornata, porto questa corona intrecciata da un prato vergine, dove il pastore non osa pascolare le greggi, né mai vi entrò ferro […]

Questi versi descrivono la stephanophoria, il rituale praticato in scena da Ippolito presso la statua di Artemide, al rientro da una battuta di caccia305. L’eroe esalta la purezza del prato, esaltando l’assenza di tracce umane: nessun animale vi ha mai pascolato (οὔτε ποιμὴν ἀξιοῖ φέρβειν βοτὰ), né un σίδηρος lo ha mai intaccato.

Sul termine σίδηρος è necessario fare qualche riflessione. Mitchell- Boyask considera σίδηρος un’allusione a un tipo di caccia praticata con armi di ferro tradizionali e interpreta, quindi, l’assenza di “ferro” come riferimento agli strumenti alternativi usati dal Cacciatore Nero, come reti e trappole306. L’associazione mi sembra però forzare il

testo, che si riferisce qui a una pratica rituale. Il termine σίδηρος va, piuttosto, riferito all’assenza di ἔργα umani (aratro, coltivazione, allevamento) entro i confini di un prato che è, verosimilmente, consacrato ad Artemide Saronia307.

L’idea di un luogo sacro e inaccessibile risale all’Inno ad Afrodite, in cui si fa riferimento ad uno spazio naturale compreso fra gli ἔργα ἀνθρώπων ed un territorio ἄκληρος, “non spartito” e ἄκτιτος “non coltivato” 308, abitato da belve feroci (θῆρες

ὠμοφάγοι φοιτῶσι). Non, quindi, ἀκήρατος nel senso di privo di σίδηρος (spada, o lancia), ma come metonimia per esprimere il concetto di “assenza di attività umane”.

Ciò che è in gioco in questi versi è l’insistenza sull’esclusività del rapporto di Ippolito con Artemide, per evidenziare una falla nella condotta rituale dell’eore: egli crede, infatti, di avere accesso esclusivo al λειμών sacro ad Artemide e si esprime

304 Eur. Hipp.73- 76.

305 L’analisi di questo episodio è contenuta in 3.1., dove si osserverà la funzione degli spazi naturali

nell’Ippolito.

306 Mitchell- Boyask 1999, 43: Hippolytus’ speech to Artemis’ statue features a denial of blades for cutting

in the inviolate meadow […] so the noetic structure suggests a preference for nets over spears.

307 Cfr. Barrett 1964, 78; Segal 1965, 117- 169; Cairns 1997, 51-75. Su Artemide Saronia ed i luoghi di

culto della dea a Trezene, cfr. Cap. 1.1. Artemide poteva essere anche destinataria di mandrie riservate, come nel caso di Artemide Efesia (Xen. An. 5.3.9, 13), nel cui santuario i cervi erano cacciati solo in occasione delle festività della dea, cfr. Larson 2017, 53,

costantemente in termini che richiamano concetti di impenetrabilità e di esclusione309. La distanza di Ippolito dal modello dell’efebo ateniese risiede, quindi, non solo in una mancata condivisione della esperienza della caccia, ma soprattutto nell’assenza di una dimensione di gruppo nella pratica rituale. In un contesto che considera queste due funzioni come il fondamento dell’educazione di una classe d’età, la tragedia mostra frammenti di realtà sociale e religiosa il cui significato risulta, però, rovesciato.

La scena del ritorno di Ippolito dalla caccia va, quindi, interpretata da una prospettiva religiosa, come un espediente per far emergere la ἀσέβεια dell’eroe. Più che la questione del tipo di caccia praticata dall’eroe, è proprio l’insistenza sull’individualità nella pratica del culto a costituire il fulcro del discorso, tanto più perché Ippolito stesso vi pone l’accento, nei versi conclusivi della stephanophoria:

μόνῳ γάρ ἐστι τοῦτ᾽ ἐμοὶ γέρας βροτῶν

A me solo fra i mortali è concesso questo privilegio.

Anche nella pratica della caccia un luogo può essere appannaggio esclusivo di Artemide ed interdetto, perciò, al passaggio e alla coltivazione; lo attestano i miti che narrano di cacce sfortunate, in cui l’eroe viene punito per aver condotto la caccia in modo contrario al volere della dea; è il caso, ad esempio, di Agamennone e di Orione che si vantano di essere più abili della dea nella cattura degli animali selvatici e nell’uso dell’arco310.L’insistenza di Ippolito sulla purezza del prato e sull’assenza di σίδηρος va,

quindi, interpretata nel senso di una prima, forte esibizione di ἀσέβεια. L’empietà dell’eroe non si manifesta, dunque, soltanto nella negligenza dimostrata verso Afrodite, ma anche nella sfera cultuale a lui più cara. Vantandosi di avere accesso ad un luogo riservato ad Artemide, Ippolito oppone la propria individualità di fronte al gruppo sociale

309 Particolarmente significativo l’uso di ὄχλος da parte del protagonista (vv. 986, 989), che esprime il

disprezzo per il popolo e la sua preferenza per “i pochi” ὀλίγοι aristocratici (e dunque σώφρονες) a cui si vanta di appartenere.

310 Di Orione abbiamo notizia da Hes. Theog.124, 374, cfr. Fontenrose 1981, 6-24. Su Agamennone cfr. la

versione di Soph.El. 569, cfr. Sabiani 2018. Anche la caccia ha le sue regole, specie in relazione al dominio di Artemide: Xen. Cyn. 34 invita il cacciatore adolescente a mostrarsi rispettoso degli spazi divini e del codice di comportamento da osservare in relazione alle offerte di caccia (dediche di pelli o corna), cfr. Larson 2017, 48- 62. La punizione per aver violato territori sacri alla dea è un rovesciamento sul piano del rapporto fra civile e incivile, che porta l’uomo ad inselvatichirsi, cfr. Vernant 1987, 21. Su boschi riservati esclusivamente a divinità cfr. Birge 1982, 16 ss.

e lo fa durante una performance rituale, la stephanophoria, in cui è assente il principio della condivisione del rito con la classe d’età a cui egli stesso appartiene311.

Per concludere il discorso sulle caratteristiche della caccia ateniese, è utile consultare la testimonianza platonica delle Leggi: il disprezzo per i metodi della caccia giovanile/ notturna è forte nella società ideale; è preferibile, infatti, la caccia con cavalli e cani a quella notturna:

μόνη δὴ πᾶσιν λοιπὴ καὶ ἀρίστη ἡ τῶν τετραπόδων ἵπποις καὶ κυσὶν καὶ τοῖς ἑαυτῶν θήρα σώμασιν, ὧν ἁπάντων κρατοῦσιν δρόμοις καὶ πληγαῖς καὶ βολαῖς αὐτόχειρες θηρεύοντες, ὅσοις ἀνδρείας τῆς θείας ἐπιμελές312.

L’unica restante per tutti e la migliore è la caccia ai quadrupedi con i cavalli, con i cani e con i propri corpi, quadrupedi sui quali hanno la meglio quanti hanno a cuore il divino coraggio, cacciando di propria mano, con corse, colpi e lanci. (trad. F. Ferrari 2005)

Ippolito è, in questo, un modello delle parole platoniche sulla buona caccia. L’eroe alleva di persona i propri cavalli e si serve di cani per predare i boschi: κυσὶν ταχείαις θῆρας ἐξαιρεῖ χθονός (19). La relazione con i cavalli, espressa anche nel nome dell’eroe313, è messa in luce dalla struttura simmetrica del dramma. Nei versi iniziali del