Capitolo 3. Gli spazi naturali come specchio della polivalenza divina
3.2. Il λειμών nello sguardo di Fedra
3.2.2. Fedra domatrice di cavalli: elementi naturali e polivalenza divina
pertinenza di Ippolito, è compresa anche la domatura dei cavalli, che abbiamo poco sopra identificato come una metafora della concretizzazione del primo rapporto amoroso in uno spazio selvatico736. [Φα] δέσποιν᾽ ἁλίας Ἄρτεμι Λίμνας καὶ γυμνασίων τῶν ἱπποκρότων, εἴθε γενοίμαν ἐν σοῖς δαπέδοις, πώλους Ἐνέτας δαμαλιζομένα.
734 Eur. Hipp. 141 ss. Il coro aveva attribuito la follia di Fedra all’azione di Ecate, di Pan e dei Coribanti,
connessi all’idea di invasamento e allo spazio montano e selvatico. La follia entusiatica di Fedra è inoltre ribadita dalla nutrice al v. 214: μανίας ἔποχον ῥίπτουσα λόγον; al v. 232: παράφρων ἔρριψας ἔπος; 237: παρακόπτει φρένας. Un’espressione simile si ritrova in Eur.Bacc. 1000: μανείσᾳ …παρακόπῳ λήματι. Sul desiderio come forma di ἐνθουσιασμός cfr. Dodds 1951, 41; sulle differenti manifestazioni della μανία dal punto di vista medico cfr. Pigeaud 1995, 86 ss.
735 L’espressione è tratta da Saïd 2013, che affronta alcuni casi di sovrapposizione delle competenze relative
ai generi maschile e femminile. La studiosa mostra come queste forme di inversione siano generalmente associate dai Greci a popoli barbari, o formazioni sociali particolari come le Amazzoni e cioè gruppi percepiti come esterni, sia culturalmente che geograficamente, all’ordine della polis.
[Τρ] τί τόδ᾽ αὖ παράφρων ἔρριψας ἔπος; νῦν δὴ μὲν ὄρος βᾶσ᾽ ἐπὶ θήρας πόθον ἐστέλλου, νῦν δ᾽ αὖ ψαμάθοις ἐπ᾽ ἀκυμάντοις πώλων ἔρασαι. τάδε μαντείας ἄξια πολλῆς, ὅστις σε θεῶν ἀνασειράζει καὶ παρακόπτει φρένας, ὦ παῖ737.
F. Artemide, padrona di Limna marina e dei ginnasi strepitanti di cavalli, se fossi io sulle tue piane a domare puledre Enete. N. Perché, delirante, ha scagliato questa parola? Proprio ora il desiderio di caccia selvaggia ti spingeva a salire sul monte, adesso brami le puledre sulle spiagge asciutte. Queste cose necessitano di un grande responso, su chi fra gli dei tira le tue redini fuori dal sentiero e colpisce il tuo discernimento.
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Fedra immagina di domare delle puledre Enete, πώλους Ἐνέτας δαμαλιζομένα (v. 232)738 e invoca Artemide, definita δέσποινα γυμνασίων τῶν ἱπποκρότων (v.229). Lo spazio naturale menzionato è, in questo caso, la λίμνα, cioè la porzione di costa acquitrinosa (ψαμάθοις ἐπ᾽ ἀκυμάντοις, vv. 234- 235), in cui sorge il santuario trezenio della dea739. Si tratta del luogo dove Ippolito era solito allenare i cavalli e che sarà poi
una tappa della fuga dell’eroe, dopo l’esilio dalla città740. Siamo, ancora una volta, di
fronte al riuso di un’immagine che era stata impiegata con riferimento al protagonista maschile del dramma, ma che viene associata, sia pure senza riscontri reali sul piano drammatico, alla sua controparte femminile.
Osservare le modalità in cui i personaggi interagiscono con l’ambiente circostante fa capire in quale misura tale interazione rientra in costumi sociali e religiosi condivisi; il fatto, cioè, che Fedra parli di caccia montana e di domatura di cavalli lungo la λίμνα e
737 Eur. Hipp. 229- 238.
738 I cavalli Eneti, originari delle rive settentrionali dell’Adriatico o della Paflagonia, sono qui menzionati
per la loro destrezza e velocità. La prima menzione di questi cavalli risale al Partenio di Alcmane (vv. 50ss.), dove la fanciulla Agido è viene paragonata a un cavallo Eneto e la sua compagna Agesicora a un cavallo colasseo, cfr. Devereux 1964, 375-383. Sulle diverse razze e sull’allevamento dei cavalli in Grecia, cfr. Howe 2014, 9- 102.
739 Per una ricostruzione dei luoghi sacri dell’Ippolito, cfr. Barrett 1964, 2ss e Calame 2011, 292. Del
santuario di Artemide ἐν λίμναις si è parlato nel cap. 2.1. Secondo Barrett 1964, 204 l’uso di δάπεδον connota con maggiore precisione il tipo spazio sacro in questione, poiché indica il cortile esterno di un tempio, come in Pind.N.7.34: Πυθίοισι δαπέδοις.
che invada così una sfera d’azione tipica del mondo maschile, consente di mettere in luce le molteplici competenze divine, che variano sia a seconda degli spazi del rito (da una parte la λίμνα, la ὕλη e l’ὄρος, dall’altra l’οἶκος), sia dei generi in esso coinvolti.
Si è visto che, quando la metafora dell’aggiogamento è usata in relazione a Ippolito, l’accezione erotica non è direttamente esplicitata, ma lasciata sullo sfondo in forma allusiva, come avviene nella descrizione del λειμών741. Gli spettatori disponevano, però, di strumenti interpretativi in grado di inquadrare l’immagine della πῶλος ἄζυγος in un contesto erotizzato, ben noto a partire dalla poesia epica e lirica, dove Cipride è la dea che “imbriglia i cavalli”, κατέδησεν ἵππους742. Tuttavia, rimanendo strettamente sul piano
della fenomenologia tragica, l’attività ippica di Ippolito è sempre presentata come conseguenza della sua devozione verso Artemide, al pari della caccia e della vita nei boschi e non presenta alcun nesso apparente con Cipride743.
Nelle parole di Fedra questo schema è rovesciato, poichè il pubblico è informato sin dal prologo (vv. 36- 40) che l’unica responsabile dei vaneggiamenti della regina è Afrodite. In altre parole, per Fedra il rapporto fra lo spazio sacro, la λίμνα e l’azione di δαμαλίζειν è del tutto sbilanciato verso la sfera di Afrodite, perché limitato a un piano puramente immaginario, governato dalla dea. Questa condizione di asservimento mentale è significativamente espressa tramite il verbo ἀνασειράζω (v. 237), appartenente al campo semantico equestre: il verbo indica, infatti, l’azione di dirottare o far deviare un carro o un convoglio, tirandolo con cavi (σειραί) fuori dal retto sentiero744. L’uso di ἀνασειράζω, intesto come “deviazione”, fa capire che l’immagine attiva che Fedra ha di se stessa mentre doma personalmente i cavalli per Artemide, corrisponde in realtà a un soggiogamento totale ad Afrodite.
741 Che gli spettatori attribuissero la responsabilità delle azioni dei personaggi al piano di Afrodite è un dato
certo, poiché essenziale per l’intreccio drammatico. È anche verosimile che gli astanti sapessero ricollegare l’immagine dei cavalli allenati da Ippolito all’episodio della sua morte, causata da un intrico delle redini, a cui allude il nome dell’eroe, hippo-lytos: “colui che è sciolto dai cavalli”, cfr. Séchan 1911, 10.
742 Cfr. Anacr. 237 P. Ad Afrodite doveva essere attribuito l’epiteto Ἱπποδάμεια, cfr. Hes. s.v.
743 Cfr. Eur.Hipp.1126- 1130: ὦ ψάμαθοι πολιήτιδος ἀκτᾶς, /ὦ δρυμὸς ὄρεος, ὅθι κυνῶν /ὠκυπόδων μέτα
θῆρας ἔναιρεν /Δίκτυνναν ἀμφὶ σεμνάν: oh, sabbiose coste della città, oh bosco montano dove con le cagne
dal piede scattante catturava le fiere insieme con la veneranda Dittinna! Il coro rimpiange, in questi versi,
le attività consuete di Ippolito, nel momento in cui viene annunciato l’esilio dell’eroe.
744 Sulle sfumature del verbo ἀνασειράζω, cfr. Barrett 1964 205- 206 e Brenk 1986, 385- 388. Casi affini
Ap. Rh. 1. 391, Ar. fr.561, una volta riferito all’abbordaggio di una nave tramite cavi, l’altra ad un particolare uso della fiaccola; cfr. anche Beekes 2010, s.v. σειρά.
Su un piano di comprensione più superficiale del dramma, la condizione di Fedra è simmetrica a quella di Ippolito: i personaggi ritengono infatti che dedicarsi ai cavalli significhi agire unicamente nella sfera di Artemide. In realtà, un secondo e più profondo livello di comprensione del lessico drammatico mostra che Afrodite ha un ruolo determinante in questo stesso contesto, non soltanto nei termini dell’aggiogamento erotico, ma anche in relazione alla dinamica della morte dei due personaggi: entrambi saranno “dirottati dal retto sentiero” (ἀνασειράζω), l’una solo idealmente, l’altro concretamente ed entrambi moriranno “sospesi” a lacci (ἠρτημένοι), l’una impiccandosi con un βρόχος (ἠρτημένη ἐν βρόχοις, v.780), l’altro imbrigliato nelle redini dei suoi cavalli (ἱμᾶσιν…ἀρτήσας δέμας, v.1222).
Il pubblico poteva percepire una qualche forzatura nell’invocazione dell’aspetto selvatico di Artemide, pronunciata da un personaggio femminile che appartiene agli spazi interni dell’οἶκος. Fedra avrebbe potuto, al massimo, invocare Artemide nella funzione di Ilizia o Lochia, un’aspetto della dea legato alla gestazione e radicato nella sfera cultuale femminile. In questa direzione si era infatti mosso il coro pochi versi prima, quando si interrogava circa la νόσος di Fedra, attribuendolo all’eventualità di una gravidanza, o di un imminente travaglio: δι᾽ ἐμᾶς ᾖξέν ποτε νηδύος ἅδ᾽ αὔρα: τὰν δ᾽ εὔλοχον οὐρανίαν τόξων μεδέουσαν ἀύτευν Ἄρτεμιν, καί μοι πολυζήλωτος αἰεὶ σὺν θεοῖσι φοιτᾷ745.
Una volta questo vento si abbatté sul mio grembo: invocavo Artemide protettrice del parto, urania, la guardiana degli archi, che molto invocata da me semprevive insieme agli dei.
In questo passo, si può trovare un riferimento all’immagine omerica, in cui Artemide è detta λέοντα γυναιξὶ, poiché scaglia i suoi dardi contro le donne in travaglio,
provocando le doglie o causando la morte delle partorienti746. Nell’Ippolito Artemide Lochia (εὔλοχον, v. 167) acquisisce invece un ruolo positivo per le donne di Trezene (μοι πολυζήλωτος, v. 168), che la invocano in soccorso della regina747. Il fatto che costoro non
colgano l’identità reale della dea colpevole della νόσος e conferiscano, a torto, un ruolo attivo ad Artemide, permette di riconoscere nelle parole del coro una diretta espressione della polivalenza della dea παρθένος. L’aspetto di Artemide che le donne invocano è, sì, differente da quello celebrato da Ippolito, ma la puissance divine di riferimento rimane la stessa. Nello studio su Artemide Ilizia, V. Pirenne- Delforge e G. Pironti mostrano che il ruolo protettivo della dea non rimane confinato al momento del parto, identificato con la liberazione del nascituro dai vincoli del ventre materno748, ma si trasferisce, dopo la nascita, dalla madre al bambino lungo tutto l’arco di tempo che va dall’infanzia alla ἥβη749. Fra le testimonianze relative al culto della dea, disponibili a partire dal V secolo
a.C., si contano infatti rilievi e statue raffiguranti madri con neonati, o bambini di circa 5- 6 anni, offerte dai genitori quasi a voler confermare il buon esito della crescita, anche dopo il momento critico della nascita750. Questo ruolo curotrofico di Artemide Ilizia è
mantenuto in epoca successiva, come attestano diverse testimonianze di Pausania751.
746 Cfr. Il.21. 481- 484. In Il. 267-272, le ferite del guerriero sono paragonate ai dolori del parto: le ὀδύναι
ὠδίνουσαν, provocate dalle Εἰλείθυιαι ῞Ηρης θυγατέρες.
747 Con Euripide si intensificano, in tragedia, gli epiteti di Artemide legati alla sfera della maternità. La
denominazione Ilizia è intercambiabile con Lochia, che compare anche in Eur.Suppl. 955–960; IT. 1093– 1102. La prima epiclesi indica il momento contingente del parto, la seconda è usata a parto effettuato, con l’aggiunta del prefisso ευ- in caso di buon esito, cfr. Pirenne- Delforge, Pironti 2013, 71- 91. Sulle principali attestazioni del culto di Artemide Ilizia, cfr. Schachter 1981, 94, 98, 101 e le iscrizioni menzionate in Budin 2016, 99 ss., fra cui IG II2 4547 (IV sec. a.C.) del Falero, dove Artemide Lochia è elencata accanto a Ilizia,
in una lista di divinità κουροτρόφoι. Altri epiteti legati alla gestazione sono Soodina, a Cheronea (IG VII 3407, non datata). Cfr. anche Call.Hym.Art.21-23, in cui Artemide stessa dichiara davanti a Zeus il proprio ruolo nella vita femminile.
748 Il nome Εἰλείθυια sarebbe connesso con il verbo ἐλευθερῶ, “liberare” (cfr. Eur.Thel. fr.1 Jouan-Van
Looy: ὄρος Παρθένιον, ἔνθα μητέρ’ ὠδίνων ἐμὴν ἔλυσεν Εἰλείθυια, γίγνομαι δ’ ἐγώ), cfr. Beekes 2010, s.v. ἐλεύθερος. Non a caso la concezione antica della nascita coincideva con l’idea di liberarsi da lacci e vincoli presenti nel ventre materno, cfr. Hippocr.Mul.1,1 e Nat.Puer.30,1.
749 Cfr. Pirenne- Delforge, Pironti 2013, 88: (Ilizia) se situe du côté de la mère, mais aussi du côté de
l’enfant : ce dernier, en effet, se libère des nœuds de la matrice, en nouant du même coup des liens de filiation et devenant membre d’un oikos, puis d’une communauté, en un parcours qui le voit s’épanouir jusqu’à la fleur de la jeunesse
750 Per le attestazioni iconografiche cfr. Pingiatoglu 1981, 61- 65 e Budin 2016, 70ss, che raggruppa le
rappresentazioni superstiti in tre categorie: 1) Artemide con bambini, 2) Madri o nutrici con bambini, 3) Famiglie complete. La maggior parte dei reperti è datata al V secolo e proviene da diverse aree della Grecia (Kerkyra, Cipro, Rodi, Atene). Parker 2005, 428 conferma che Ilizia veniva invocata negli anni di maggior difficoltà nella crescita dei bambini, considerato anche l’alto tasso di mortalità dell’antichità. Pirenne- Delforge- Pironti 2013,
751 Su Ilizia come dea κουροτρόφος cfr. Vernant 1985, 22ss; Hadzisteliou Price, 1978, 121 e Parker 2005,
Durante la sua visita al δρόμος di Sparta, un luogo deputato all’allenamento dei giovani sulla soglia della ἥβη, sorgevano templi dedicati, oltre che ai Dioscuri e alle Cariti, anche ad Artemide e Ilizia752, rappresentativi della pluralità di dei che divengono, nella delicata fase della crescita, destinatari di offerte finalizzate al corretto sviluppo infantile753.
In Attica, il santuario di Artemide a Brauron era sede di rituali appartenenti alla sfera dell’antropopoiesi femminile, nelle sue diverse fasi754. Alla dea si rivolgevano le
donne sposate già in gestazione e le partorienti, che offrivano, oltre alle già citate statuette raffiguranti bambini, anche gli indumenti tessuti e indossati durante la gravidanza, insieme agli strumenti utilizzati per fabbricarli755. Anche le fasce dei nuovi nati (σπάργανα) erano oggetto di offerta votiva e attestano non soltanto il ruolo attivo della dea nel momento della nascita, ma anche nei primi anni di vita del nuovo nato, nel suo processo di consolidamento osseo e di sviluppo fisico756.
cfr. Sol. fr.43, Γῆ è la λιπαρή κουροτρόφος; Aesch. Sept.17-19 la Terra si occupa della παιδεία. Artemide Ilizia è κουροτρόφος anche nel mondo animale, cfr. Aesch. Ag. 140-143; Xen. Cyn.5.14 dove risparmiare i cuccioli di lepre e cerbiatto è una una questione di rispetto per Artemide (cfr. Longo 1987, 59-92). Il rapporto tra la curotrofia e Artemide è stato recentemente messo in discussione da Beaumont 2003, 79ss e Budin 2016, 75- 77, a causa della scarsità e dell’ambiguità delle fonti; la critica mossa a Vernant è di dare per scontata una visione troppo sentimentale dell’infanzia, che non rientra nella realtà greca prima dell’Ellenismo. Sul δρόμος di Sparta, cfr. Paus. 3. 14. 6 e 3.17.1. e 4.34.6, in cui è menzionato l’epiteto riservato all’Artemide di Coronea: παιδοτρόφος.
752 Cfr. Pingiatoglu 1981, 46ss. Alcune iscrizioni tardo arcaiche superstiti supportano sia l’associazione di
Ilizia con Artemide, che il ruolo attivo nella buona crescita dei bambini e dei ragazzi
753 Cfr. Parker 2005, 428: The tendency of the Greeks to appeal to a plurality of gods, to recruit a team,
appears in this area of life perhaps more clearly than in any other.
754 A Brauron, le bambine in età prepuberale praticavano il rituale degli Arkteia, cioè “mimavano l’orsa” in
memoria di un episodio mitico per cui l’uccisione di un’orsa sacra ad Artemide aveva scatenato l’ira della dea che andava, quindi, domata. Benché la natura del rituale agito sia sfuggente, esso viene generalmente identificato come un atto preparatorio all’entrata in una fase biologica adatta alle nozze. Degli Arkteia ci informa Ar. Lys.638- 645, con relativo scolio; Hdt. 6.138 e 4.145; Plut. QG. 296b e Mul.virt.247 ass. Nella tradizione seguita da Euripide, la fondazione del rito è attribuita a Ifigenia, tornata dalla terra dei Tauri con uno ξόανον di Artemide. Alcune interpretazioni fondamentali sui miti di fondazione degli Arkteia sono contenute in Brelich 1969, 229ss., che pone l’accento sul carattere espiatorio del rituale; studi più recenti sono Montepaone 2002, 65-67; Faraone 2003, 43- 6.
755 Cfr. Eur. IT. 1464- 1467. Un’analisi dei reperti di Brauron si trova in Beaumont 2003, 59- 83 e Cleland
2002, 97 ss. che ha dedicato un capitolo del suo lavoro agli inventari delle offerte di pepli e vesti, non materialmente sopravvissuti, ma registrati in forma epigrafica, (cfr. Van Straten 1981, 98-99). In Eur. IT. 1462- 1467 i pepli delle donne morte di parto vengono offerti a Ifigenia, divenuta sacerdotessa di Brauron; cfr. anche Σ. Callim. Jov. 77.. Sull’offerta di fusi, spirali del fuso, parti di telaio cfr. Guettel Cole 2004, 124 che stabilisce un nesso fra questi oggetti e l’epiteto χρυσηλάκατος “dalla conocchia dorata”, attribuito ad Artemide (cfr. Il.20.70).
756 Sull’offerta degli σπάργανα cfr. Dasen 2014, 51-73. Quest’uso è attestato in hHom.Ap., dove Apollo
appena nato viene avvolto dalle dee in un φάρος λευκός; Pind.N.1.38, in cui è menzionato un κροκωτόν σπάργανον; in Eur.Ion.955 durante il racconto dell’esposizione di Ione compare il verbo σπαργανάω che indica l’avvolgere il bambino in un indumento. In Plat. Leg. 7.789.e il corpo infantile è concepito come cera, οἷον κήρινον. La necessità delle fasce è espressa anche da Hippocr.Acut.1.33.
Questa digressione sul ruolo di Artemide Ilizia è volta a mostrare come la molteplicità delle competenze divine sia continuamente rammentata e valorizzata nell’Ippolito, attraverso un trattamento duplice dello spazio naturale. Ciò che emerge dalle differenti prospettive in cui gli spazi sono presentati è l’inadeguatezza della concezione religiosa dell’eroe, che immagina Artemide come una potenza immutabile, confinata nel contesto selvaggio e totalmente estranea alla dimensione domestica. È utile, a questo proposito, riprendere un’osservazione di S.Guettel Cole sulla funzione di Artemide nella polis:
So often associated with the wilderness at the outer boundaries of the polis, Artemis could also be accessed by products from the most intimate spaces of the home757.
La fine della ἥβη, o della παρθενία non corrisponde insomma a un abbandono delle pratiche rituali destinate ad Artemide, ma all’adattamento delle competenze della divinità, basato su nuovi bisogni legati alla gestazione, al parto e alla crescita dei nuovi nati, cioè una serie di eventi e attività che implicano il precedente contatto con l’eros e non escludo affatto un’interazione con la sfera cultuale di Afrodite758.