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Ippolito come παῖς

Capitolo 2. Ippolito nel dominio di Artemide

2.3. Ippolito come παῖς

Vernant esemplifica il processo di crescita dei giovani sotto la tutela di Artemide precisando una sfumatura particolare della liminarità sociale: le ragazze assolvono i ruoli

dei ragazzi […] i giovani si atteggiano ad adulti ritenendosi formati come se fossero già

maturi319. Questa definizione mette in luce una caratteristica di incompiutezza e

transitorietà dell’individuo adolescente, non soltanto, come si vedrà, da una prospettiva di genere, ma anche in relazione ai ruoli da ricoprire all’interno del gruppo sociale320.

Entrambe queste forme di inversione si riscontrano nel personaggio di Ippolito e, se l’inversione sessuale può essere considerata funzionale al tipo di rito prematrimoniale fondato a fine tragedia321, gli slittamenti sul piano delle classi d’età emergono chiaramente nel lessico usato dai personaggi. Ippolito considera sé stesso un ἀνήρ322, ma tutti i personaggi del dramma si rivolgono all’eroe utilizzando espressioni come παῖς, τόκος, τέκνον, νεανίας, quelle cioè riservate a un adolescente323.

Lo scarto esistente fra la percezione che il protagonista ha di sé e quella che gli altri personaggi hanno di lui, influisce sulla valutazione di Ippolito come efebo, perché fa emergere un eroe inconsapevole del fatto che il suo statuto sociale non è ancora stato definito e legittimato dalla comunità d’appartenenza. La frattura fra l’individuo e il gruppo rappresenta un importante nodo tematico dell’Ippolito. Si noterà, infatti, che questo dualismo emerge con particolare intensità in momenti del dramma che riguardano

319 Cfr. Vernant 1987, 23.

320 Su iniziazione e dinamiche di genere nell’Ippolito, cfr. 2.7. 321 Cfr. Conclusioni f).

322 Eur. Hipp.996, 1075, 1100, 1191, 1242.

323 I riferimenti all’età di Ippolito occorrono frequentemente nel testo; παῖς: 10, 51, 107, 581, 603, 609,

613, 889, 1168, 1251, 1264, 1287, 1303, 1306, 1312, 1317, 1342; τόκος: 10, 520; τέκνον: 610, 615, 1408, 1410, 1446, 1410, 1456; νεανίας: 43.

il rapporto fra Ippolito e Teseo, che rimandano alle dinamiche di inclusione dei giovani nel gruppo sociale paterno324.

Sin dal prologo della tragedia, Afrodite presenta Ippolito come παῖς e τόκος325. Esponendo il modo in cui porterà a termine la sua vendetta, la dea impiega nuovamente un termine, νεανίας, che corrobora l’appartenenza dell’eroe a una classe d’età corrispondente all’adolescenza:

καὶ τὸν μὲν ἡμῖν πολέμιον νεανίαν κτενεῖ πατὴρ ἀραῖσιν ἃς ὁ πόντιος ἄναξ Ποσειδῶν ὤπασεν Θησεῖ γέρας326

Ed il padre ucciderà questo giovane, a noi nemico, con le maledizioni che il signore marino Poseidone concesse come onore a Teseo.

Le denominazioni di Ippolito come adolescente, si accumulano nella prima parte del dramma e rappresentano il fulcro del primo confronto dialogico del protagonista con un altro personaggio presente in scena. Dopo aver agito il rituale della stephanophoria, l’eroe è interpellato da un servo adulto che, cautamente, lo rimprovera di trascurare Cipride, imputando questo comportamento proprio allo status di νέος dell’eroe:

ἡμεῖς δέ, τοὺς νέους γὰρ οὐ μιμητέον φρονοῦντας οὕτως, ὡς πρέπει δούλοις λέγειν προσευξόμεσθα τοῖσι σοῖς ἀγάλμασιν, δέσποινα Κύπρι. χρὴ δὲ συγγνώμην ἔχειν: εἴ τίς σ᾽ ὑφ᾽ ἥβης σπλάγχνον ἔντονον φέρων μάταια βάζει, μὴ δόκει τούτων κλύειν327.

324 Il processo di legittimazione sociale passa attraverso la partecipazione alla vita religiosa; il ruolo del

γένος, della fratria e poi del δῆμος è centrale per la realizzazione del riconoscimento del giovane come figlio legittimo, appartenente ad una comunità specifica. Su questi aspetti della famiglia in Grecia antica, cfr. Gernet 1932, 289- 300; sulle dinamiche che regolano il processo di ammissione nel gruppo sociale ad Atene, cfr. Parker 2011, 44- 48; sulle fasi dello sviluppo biologico coinvolte nei rituali di inclusione nel gruppo, cfr. Hitch 2015, 521- 533.

325 I versi in questione sono stati citati all’inizio di questo capitolo e corrispondono a Eur. Hipp. 10-11. 326 Eur. Hipp. 43- 45.

Noi invece, non dobbiamo imitare i giovani che la pensano in modo tanto sconsiderato, come conviene dire a dei servi, ci rivolgeremo con preghiere ai tuoi simulacri, Cipride padrona. Bisogna perdonare se qualcuno, per immaturità, con viscerale impeto, parla in modo empio, fai conto di non aver sentito queste cose.

I versi sono significativi non soltanto perché mostrano il modo in cui lo status di Ippolito viene percepito dagli altri personaggi, ma anche perché stabiliscono un legame fra la condizione e una certa carenza nella pratica rituale riservata ad Afrodite, causata dall’appartenenza ad una specifica classe d’età: ὑφ᾽ἥβης μάταια βάζει (vv. 117-118).

Emerge, dunque, una polarizzazione netta, segnalata da ἡμεῖς δέ, che pone da una parte un “noi”, cioè coloro che praticano il culto di Afrodite in maniera corretta, levando le dovute invocazioni, εὐχαὶ, alla dea (προσευξόμεσθα τοῖσι σοῖς ἀγάλμασιν)328 e dall’altra i νέοι, di cui Ippolito fa parte. Costoro si trovano nel dominio di pertinenza di Artemide e si apprestano a transitare verso l’età adulta, entrando gradualmente nella sfera cultuale di Afrodite. Questo passaggio deve, però, essere suffragato dall’avvicinamento a forme di ritualità che includono anche altri dei, oltre ad Artemide, in un percorso di progressivo arricchimento delle pratiche religiose, di cui il cittadino adulto deve diventare attore329.

La polarizzazione espressa dal servitore, fra ἡμεῖς (adulti) e νέοι (adolescenti), allude, quindi, ai diversi modi di vivere la pratica rituale, che varia in base a fattori come la classe d’età, o il genere330.La cultualità che gli Ateniesi adulti riservano ad Afrodite si

concentra nell’ambito della procreazione e nelle fasi centrali della vita matrimoniale, in cui, accanto all’Afrodite Ourania e Pandemos, entrano in gioco figure divine diverse,

328 In questo caso, la εὐχή è enunciata da un servo: la condizione dell’orante, in tal caso di un δοῦλος (115-

116), prevede, sì, un’invocazione alla divinità, ma non la formulazione di una richiesta personale, cfr. Aubriot 1994, 66. Sull’invocazione verso le statue domestiche, cfr. Bettinetti 2001, 161.

329 È, infatti, la molteplicità di culti che i Greci praticano, verso tutti gli dei e in una dimensione sociale

ampia, a definire lo status dell’individuo di fronte ai suoi simili, cfr. Vernant 1965, 74-91.

330 Parker 2005, 270 pone l’accento sull’importanza dei generi nell’interazione con il divino; per esempio

Afrodite, Artemide, Ecate sono invocate quasi esclusivamente nel contesto femminile, cfr. Aristoph. Ekkl. 155-159, dove le donne, travestite da uomini all’assemblea, dimenticano di giurare sugli dei “maschili” e continuano a invocare Afrodite.

come Era Teleia, Demetra Kalligeneia, le Cariti, celebrate in occasione dei Proteleia prenuziali e degli Adonia331.

Durante il passaggio d’età, invece, l’intervento di Afrodite è volto a sancire la conclusione di un processo di crescita, che era stato favorito dall’azione di Artemide durante l’infanzia. Il raggiungimento dell’ἄνθος ἥβης è, infatti, strettamente legato all’esperienza della sessualità, che si configura come una tappa istituzionalizzata dalla città, attraverso la fondazione di pratiche rituali agite dagli efebi332.

Due sono i casi più noti, in cui Afrodite, ponendosi in continuità con il dominio di Artemide, sembra giocare un ruolo importante nella pratica cultuale efebica. In primo luogo, si ha notizia di un’Afrodite ἡγεμόνη333, adorata presso il santuario di Ramnunte,

al confine con la Beozia, dove sorgeva una fortezza presidiata da giovani efebi334. Inoltre, ad Atene è attestato, a partire dal V secolo, il culto di Afrodite Pandemos335; questo aspetto della dea è associato alla corretta fruizione della sessualità da parte dei futuri cittadini di Atene, al fine di consolidare il corpo civico, tramite la generazione. Secondo

331 Sugli dei di riferimento nei riti prenuziali femminili, cfr. Dillon 2001, 211 ss. e 2015, 241-257. Su

Afrodite Ourania e Pandemos, cfr. Pirenne- Delforge 1994. Gli Adonia sono feste femminili celebrate, forse, sia in una dimensione pubblica, sia all’interno dell’οἷκος, in onore del paredro di Afrodite ucciso da Artemide (cfr. Apollod. 3.14.4.; LIMC s.v. Adonis). Il nucleo cultuale della celebrazione prevedeva, da un lato, l’esaltazione della sessualità, dall’altro l’invocazione dell’aiuto di Artemide nella futura gestazione. Sui culti di Afrodite in Attica, cfr. Delivorrias 2008, 107-124.

332 Sulle diverse competenze di Afrodite, 3.1. ss. È opportuno per ora ricordare che il ruolo della dea non si

identifica soltanto nelle sue competenze relative alla μίξις erotica, ma anche per sul dominio sul mondo marino e sui fluidi naturali e vitali (cfr. 3.3.). In un immaginario attestato a partire da Pind. Pyth. 4.87- 88, nell’ἄνθος ἥβης emerge il rapporto fra l’abbondanza dei fluidi corporei e il vigore fisico della giovinezza. Afrodite sarebbe quindi la dea di riferimento di un’età in cui all’agitazione dei fluidi corporei corrisponde la capacità in termini di forza fisica e desiderio, cfr. Pironti 2005, 138- 139; Pironti 2007; Pirenne- Delforge 1994, 37 e 418- 428.

333 Cfr. Pirenne- Delforge 1994, 39- 40, che segnala due steli, in cui è riportata la notizia di un sacrificio e

di una dedica di un certo Nicomaco, sacerdote di Afrodite, al la fine del suo incarico nel tempio, situato tra Afidna e Ramnunte.

334 L’esistenza di un luogo sacro ad Afrodite ἡγεμόνη è segnalata da Pirenne- Delforge 1994, 39- 40. Come

si è detto (cfr. 2.2), il demo di Ramnunte e, in genere, i demi situati al confine con la Beozia o con la Megaride, erano poli di concentrazione militare per gli efebi, che trascorrevano un periodo vivendo lontani dalla polis e svolgendo un’azione di presidio delle frontiere; sulla nozione di ἐσχατιά cfr. Polinskaja 2003, 93- 997 e sull’attività delle fortezze cfr. Ober 1989, 294- 301 e Munn 1993.

335 Secondo Pausania (1.22.3), il santuario di Afrodite πάνδημος, fu fondato da Teseo una volta conclusa

l’operazione del sinecismo (da qui l’epiteto della dea, che contiene significativamente la parola δῆμος), era situato sul fianco sud dell’Acropoli nel luogo che ospitava il monumento di Ippolito, cfr. 1.2; per la topografia del santuario cfr. Musti, Beschi 2000, 338-39. La principale attestazione del culto è IG, II2, 4596

dedicata ad Afrodite πάνδημος, cfr. Pirenne-Delforge 1988, 148; 1994, 26 ss.; sull’Atene di Pausania cfr. Dickenson 2015, 723-70.

alcune fonti, il culto era stato voluto da Solone, proprio al fine di incanalare gli impulsi giovanili, privandoli dei loro eccessi336.

Tornando, quindi, al passo si può notare che il verbo utilizzato dal servo è προσεύχομαι (116), che indica l’azione canonica di rivolgere un saluto alla divinità, in presenza di un suo simulacro337. Le parole del servo, relative al modo corretto di interagire con una statua di culto sono, dunque, funzionali a mettere in evidenza il mancato προσεύχεσθαι di Ippolito verso il simulacro di Afrodite. La risposta dell’eroe era stata, infatti, del tutto contraria rispetto all’azione rituale corretta. Egli si era rivolto alla statua della dea non per pronunciare una προσεὐχή, ma per esternare parole dense di ἀσέβεια338.

τὴν σὴν δὲ Κύπριν πόλλ᾽ ἐγὼ χαίρειν λέγω339;

E tanti saluti alla tua Cipride!

I versi citati e i culti menzionati sopra mostrano che la pratica religiosa in onore di Afrodite non era un evento sconosciuto ai giovani ateniesi. é il personaggio tragico a essere del tutto ignaro della necessità di tributare onori a tutti gli dei. Lo spettatore, cosciente, per esperienza diretta, dell’esistenza di realtà cultuali giovanili, diverse da quelle dei cittadini, percepisce, quindi, con maggiore intensità l’anomalia rappresentata dalle parole e dalle azioni di Ippolito sulla scena.

336 Ath. 13. 569 d-e; Harpocr. s.v. πάνδημος Ἀφροδίτη; cfr. Pirenne-Delforge 1988, 145 ss. Il culto della

Pandemos è, però, legato anche all’esperienza iniziatica di Teseo, tornato dall’impresa contro il Minotauro

e divenuto adulto. Afrodite era, infatti, uno dei referenti divini centrali per l’eroe, dal momento che ne favorisce, da un lato, la maturazione fisica tramite l’amore di Arianna; dall’altro, l’acquisizione della regalità ad Atene, una volta acquisito lo statuto di ἀνὴρ; cfr. Calame 20182, 229 ss. e Pirenne-Delforge,

1994, 36-7.

337 Cfr. Aubriot 1994, 66: cette prière est d’ailleurs un salut (προσεύχομαι) et non une revendication

(εὔχομαι)199 ss. e 207- 208: il significato di εὐχή è legato ad un uso giuridico del termine, nel senso di

“richiedere qualcosa a buon diritto”; in tal caso, dato lo status sociale del servitore, l’elemento della richiesta non è contemplato. Sulle sfumature semantiche di εὐχή, cfr. Pulleyn 1997, 62- 64, secondo il quale l’εὐχή indica un tipo generico di preghiera, (a differenza delle ἀραί o delle ἱκετεῖαι), ma mantiene comunque la sfumatura semantica di “richiedere, pregare per ottenere qualcosa”; per una storia della parola, cfr. Chantraine s.v. εὔχομαι; la sottigliezza delle sfumature semantiche emerge nella lista di preghiere da indirizzare agli dei, contenuta in Pl. Leg.887e, in cui le εὐχαί si confondono con le ἱκετεῖαι, più propriamente “suppliche”.

338 La presenza in scena della statua è confermata, al v. 101, dalle parole del servo: τήνδ᾽, ἣ πύλαισι σαῖς

ἐφέστηκεν πέλας (Κύπριν). L’ uso del dimostrativo τήνδε presuppone la presenza in scena del simulacro, che viene direttamente indicato dal servo, affinché Ippolito realizzi di trovarsi sotto lo sguardo della dea. Cfr. Introduzione b).