• Non ci sono risultati.

MUSICA ED EDUCAZIONE ALL’EMOTIVITÀ Prospettive teoriche ed esperienze applicative

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "MUSICA ED EDUCAZIONE ALL’EMOTIVITÀ Prospettive teoriche ed esperienze applicative"

Copied!
157
0
0

Testo completo

(1)

1

INTRODUZIONE

I. Le emozioni

1. Cosa sono le emozioni

1.1. Una breve introduzione storica 1.2. Come funziona la mente emozionale

1.2.1. Le caratteristiche generali 1.2.2. Il livello fisiologico

1.3. Definire le emozioni

1.3.1. Le cinque dimensioni delle emozioni 1.3.2. Alcuni tentativi di definizione

1.4. Gli antecedenti delle emozioni: antecedenti situazionali, disposizionali ed emozioni senza oggetto

2. Le teorie sulle emozioni

2.1. La prospettiva neuro- fisiologica: James e Cannon

2.2. Schachter e la teoria dei due fattori (o cognitivo attivazionale) 2.3. Le teorie dell’appraisal

2.4. Le teorie psico-evoluzionistiche 2.5. Le teorie costruttivistiche 2.6. Il punto di vista della psicanalisi

3. La regolazione delle emozioni

II. Emozioni ed educazione

1. Educare all’emotività

(2)

2 3. Lo sviluppo emotivo dall’infanzia alla maturità

3.1. Le teorie di riferimento

3.2. L’evoluzione emotiva del bambino

3.3. Il legame madre bambino e la teoria dell’attaccamento

4. L’intelligenza e la competenza emotiva

III. Il valore educativo del linguaggio musicale

1. La musica come oggetto educativo: un breve excursus storico

1.1. Che cos’è la musica

1.2. Il valore educativo della musica

2. La musica come oggetto mediatore con gli altri e con se stessi 2.1. Nascere alla musica: il mondo sonoro del bambino

3. Il legame tra mente e musica

IV. Educare all’emotività con il linguaggio musicale

1. Il legame tra musica ed emozioni: le principali teorie

1.1. La teoria della persona musicale 1.2. La teoria del profilo o del contorno

1.3. Gli agenti emozionati: compositore, musicista e ascoltatore 1.4. La teoria del condizionamento

2. Le emozioni musicali

2.1. Vari tentativi di classificazione

(3)

3

3. Riscoprire le proprietà terapeutiche ed educative della musica

3.1. La musica come terapia: il modello SAME (Shared Affective Motion Experience) e il Relational Singing Model

3.1.1. Il modello SAME

3.1.2. Il Relational Singing Model

3.2. Arousal ed effetto Mozart: un caso di sopravvalutazione del potere della musica

3.3. La musica come strumento di inclusione e dialogo: El Sistema e la West-Eastern Divan Orchestra

3.3.1. El Sistema

3.3.2. La West-Eastern Divan Orchestra

CONCLUSIONI

(4)

4

INTRODUZIONE

Musica ed emozioni sono due aspetti della nostra vita con i quali chiunque ha a che fare: ciascuno di noi, anche se non appassionato, si troverà ad ascoltare della musica nella propria giornata, magari proveniente dalla radio durante un viaggio in macchina, dall’altoparlante del supermercato o dalla pubblicità trasmessa in televisione; allo stesso modo potremmo essere tipi più o meno emotivi, ma non potremo esimerci dal provare durante la giornata almeno un’emozione, sia sdegno per una notizia sentita al telegiornale, rabbia per qualcosa andato storto o felicità per un’uscita con gli amici o una soddisfazione sul lavoro.

Allo stesso modo il collegamento tra questi due aspetti della nostra esperienza è percepito in modo intuitivo e sentito come naturale, perché a molti, se non a tutti, sarà capitato di sorridere sentendo una musica che ricorda qualcosa di bello, di provare angoscia o tristezza all’udire una certa sequenza di note, di essere presi dall’euforia e dalla voglia di ballare sentendo una musica particolarmente allegra e ritmata.

Le pagine seguenti vogliono essere un tentativo di indagare cosa siano musica ed emozioni, quale ruolo abbiano nella nostra vita e quale sia, al di là delle percezioni legate all’esperienza quotidiana, il legame profondo tra di esse.

La prospettiva che adopereremo è prettamente pedagogica: cercheremo cioè, una volta presentati gli attori in gioco, di dimostrare la necessità e l’utilità di una corretta educazione all’emotività e di individuare nella musica un valido strumento attraverso il quale conoscere, accettare e regolare la propria vita emotiva.

Nella prima parte del presente lavoro cercheremo quindi di inquadrare teoricamente il concetto di emozione, ripercorrendo l’evoluzione storica di tale idea e descrivendone le principali caratteristiche, in modo tale da tentare poi di darne una definizione. Un breve

(5)

5

excursus attraverso i principali contributi teorici legati alle emozioni ̶ dalle teoria di stampo neurofisiologico a quelle più legate ad un approccio psicoanalitico, passando attraverso contributi di ispirazione psicoevoluzionista e costruttivista ̶ ci farà approdare ad un approfondimento sul tema della regolazione emotiva.

Proprio partendo della convinzione che sia utile e necessario regolare la propria vita emotiva, il secondo capitolo sarà dedicato al rapporto tra educazione ed emozioni: vedremo come negli anni si sia approdati alla consapevolezza che le emozioni non siano qualcosa da negare o evitare, ma piuttosto un elemento centrale della nostra vita da conoscere ed accettare, riscoprendone tutta la sana ambivalenza. Particolare attenzione sarà dedicata alla vita emotiva del bambino, negli ultimi anni oggetto di vari studi, perché permette di dimostrare come l’emotività sia presente fin dall’infanzia e subisca nel tempo un’evoluzione, il che ancora una volta dimostra l’importanza di seguirne e dirigerne gli sviluppi. Infine, a conclusione del capitolo, approfondiremo i concetti di intelligenza e competenza emotiva, due abilità la cui padronanza sta diventando sempre più centrale nella vita di tutti i giorni ed intorno alle quali si è acceso un profondo interesse, perché, come afferma Goleman, l’autocontrollo, l’empatia e l’attenzione agli altri sembra possano renderci più felici ed aiutarci nelle relazioni.

La seconda parte del lavoro intende concentrarsi più specificamente sul tema di questa tesi, ovvero la relazione tra musica ed educazione all’emotività.

Una ricognizione storica del ruolo educativo della musica nel tempo e dei principali contributi teorici a riguardo, tema a cui sarà dedicato il terzo capitolo, ci permetterà di giustificare la tesi secondo cui la musica può essere un utile strumento educativo che permette di conoscere meglio se stessi e gli altri.

(6)

6

In particolare approfondiremo il legame tra musica ed emozioni, ancora una volta raccogliendo una serie di importanti riflessioni sul tema, e cercando poi di comprendere se è corretto parlare di emozioni musicali e se esse hanno una loro specificità o se sono del tutto riconducibili alle emozioni che proviamo nella vita di tutti i giorni.

Per concludere nel quarto e conclusivo capitolo riporteremo, per validare le posizioni teoriche espresse nei capitoli precedenti, alcuni esperienze applicative di tali prospettive. Vedremo come la musica sia stata utilizzata come terapia per soggetti con disturbi legati alla sfera dell’emotività, trattando nello specifico del modello SAME (Shared Affective Motion Experience) e del Relational Singing Model. Seguirà un approfondimento sul cosiddetto effetto Mozart, ovvero sulla suggestiva ipotesi che la musica possa produrre uno stato di eccitazione tale da aumentare le capacità intellettive di chi l’ascolta. Infine particolare attenzione verrà dedicata a due esempi di come la musica possa educare all’inclusione e al

dialogo: il progetto venezuelano El Sistema, che mira alla formazione globale dell’individuo e

consiste in un sistema di educazione musicale pubblica, diffusa e capillare, con accesso gratuito e libero per bambini di tutti i ceti sociali, e della West Eastern Divan Orchestra, orchestra sinfonica fondata dall’israeliano Barenboim e dal palestinese Said con lo scopo preciso di favorire il dialogo fra musicisti provenienti da paesi come Israele, Egitto, Giordania, Siria, Libano, Palestina.

Tali esperienze forniscono emblematiche prove del potere della musica, in grado di aiutare nella cura di situazioni patologiche legate all’incapacità di relazione o di espressione e regolazione emotiva, ma anche, e questo interessa tutti noi, valido strumento per favorire l’accettazione di ciò che reputiamo diverso o ostile, piacevole mezzo per entrare in contatto con le parti più nascoste, o che più vogliamo nascondere, di noi stessi e per imparare ad accoglierle e gestirle, e infine via privilegiata per comunicare con gli altri e sentirsi in armonia

(7)

7

con essi in una prospettiva polifonica, aperta ai singoli contribuiti di tutti per ricondurli ad un’unità che non è appiattimento ed omologazione ma valorizzazione delle singole specificità.

(8)

8

I. Le emozioni

1. Che cosa sono le emozioni

1.1. Una breve introduzione storica

Ѐ difficile immaginare una vita senza emozioni: viviamo per loro, strutturiamo le circostanze perché ci diano piacere e gioia, evitiamo le situazioni che portano delusioni, tristezza o dolore.1

Joseph LeDoux, uno dei più importanti studiosi contemporanei di neurobiologia, ci illumina su una verità incontrovertibile: la nostra vita è permeata di emozioni, che influenzano ed orientano in modo decisivo la quotidianità di ognuno di noi.

Negli ultimi anni sono fioriti numerosi studi sulle emozioni, che ne hanno confermato il ruolo cruciale non solo per sopravvivere, ma soprattutto per vivere bene: concetti come quelli di intelligenza e competenza emotiva sono diventati argomento di molte ricerche e le emozioni sono state rivalutate nella loro dignità, non più accidenti ancillari rispetto alle competenze razionali, ma importanti elementi da analizzare con uno sguardo scientifico.

Prima di questa importante svolta, quello delle emozioni era un argomento trattato in un’ottica funzionale dagli esperti degli argomenti più disparati. Nell’antichità troviamo ad esempio riflessioni sull’origine, il manifestarsi e il senso delle emozioni in molti degli scritti dei filosofi riguardanti soprattutto retorica ed etica: ci si chiedeva, ad esempio, quale stile, quale modo di parlare potesse movere et delectare, coinvolgere ed appassionare il pubblico, comprendendo il ruolo centrale delle emozioni nei processi decisionali.

(9)

9

Per comprenderne l’origine e la natura si cercavano spiegazioni nel mondo del soprannaturale, attribuendo sempre un’aura di negatività alle esperienze emotive che, secondo i più, distoglievano dalle cose veramente importanti della vita:

Nessuno poteva davvero dire di provare un’emozione fino al 1830, circa. Quello che si provava aveva altri nomi – “passioni”, “accidenti dell’anima”, “sentimenti morali” – e quando si trattava di stabilirne la causa venivano offerte teorie e spiegazioni lontanissime dalla maniera che abbiamo, oggi, di intendere le emozioni. Tra gli antichi greci c’era chi credeva che un certo tipo di rabbia penetrasse negli esseri umani dopo essere stata trasportata sulle onde di un vento cattivo. Tra i primi cristiani, invece, gli eremiti che abitavano nel deserto pensavano che la noia fosse un fatto paranormale, e che mettesse radici nel nostro spirito per opera di demoni malvagi. Nel corso del Quattrocento e del Cinquecento non era necessario appartenere alla razza umana per subire gli strani effetti delle passioni […] In tutto questo scenario intangibile popolato da spiriti e forze soprannaturali, però, esistevano anche medici che sviluppavano teorie e pratiche complesse per comprendere quale influenza avesse il corpo sulle nostre passioni. Alla base delle loro ricerche c’era la teoria della “medicina umorale” di Ippocrate2 […] Le emozioni per come le intendiamo nel presente, comunque,

hanno avuto origine con la nascita della scienza empirica, verso la metà del Seicento.3

È solo dal 1600 che il tema inizia a riguardare anche le scienze naturali e ci si interroga quindi sui processi sociali legati alle emozioni e alla loro capacità di determinare il comportamento. Thomas Willis, medico ed anatomista londinese, durante i suoi studi sui cadaveri dei criminali condannati all’impiccagione, arriva ad ipotizzare che slanci di gioia e tremiti nervosi siano determinati dall’azione del reticolo del sistema nervoso, guidato dal cervello. Negli anni successivi inizierà a farsi strada l’idea che i riflessi animali come l’indietreggiare a seguito della paura o il fremere per la gioia siano questioni puramente meccaniche e non dovute a sostanze immateriali.

Sarà Thomas Brown, nell’Ottocento, a comprendere che per una così nuova idea serva un nuovo termine e proporrà di parlare di emozione per descrivere questa maniera di intendere il funzionamento del corpo umano: è l’inizio di un interesse sempre maggiore per

2 In ogni corpo secondo Ippocrate esistevano quattro umori: il sangue, la bile gialla,la bile nera e la flemma.

Erano queste quattro sostanze elementari a dare forma alla personalità e agli stati d’animo e le forti passioni mettevano in crisi l’equilibrio del corpo generando calore che modificava gli umori.

(10)

10

esperimenti, osservazioni, indagini sui fenomeni emozionali, descritti come reazioni fisiche

osservabili e quindi pronte ad essere esaminate dalla comunità scientifica.

Centrali saranno le osservazioni riportate da Darwin4 in L’espressione delle emozioni

nell’uomo e negli animali, in cui il noto biologo sosteneva che le emozioni non fossero

reazioni prefissate ad uno stimolo ma il frutto di lunghi processi evolutivi. Anche alla luce di tali riflessioni, qualche anno più tardi, William James sosterrà che le emozioni non siano altro che reazioni fisiche a cui solo successivamente si accompagna la sensazione soggettiva. Per quanto non arriverà mai ad elaborare una teoria esaustiva a riguardo, in quegli anni anche Freud si occupò di emozioni ed il suo contribuito permise di non ridurle a pure reazioni biologiche, ma di evidenziarne la complessità di fenomeni legati agli strati più profondi della mente. Emergono quindi in questi anni due concetti chiave: le emozioni come reazioni fisiche legate all’evoluzione ed il loro legame con i processi interni della mente, anche inconsci.

Sarà solo nel secolo successivo che si aggiungerà un altro tassello importante, ovvero l’idea che oltre ai nostri corpi e alla nostra mente sia anche la cultura in cui viviamo a dare forma alle nostre emozioni: storici ed antropologi hanno evidenziato come ogni epoca abbia avuto una propria tavolozza emotiva principale, dando priorità ad alcune emozioni piuttosto che ad altre, così come emozioni in apparenza simili per le reazioni fisiche che producono abbiano in realtà nomi diversi per società diverse. Come afferma Smith,

I significati che noi attribuiamo a un’emozione cambiano l’esperienza che noi ne facciamo. Sono loro a stabilire se sia il caso di accogliere un sentimento con allegria o con ansia, se lo si posa assaporare o se invece si debba provarne vergogna. Ignorando queste differenze, finiremmo per perdere ciò che fa delle nostre esperienze emotive quello che sono. Alla fine dipende tutto da che cosa pensate sia un’emozione.5

4 La teoria di Darwin come quelle di tutti gli studiosi citati in questo paragrafo, qui citate per offrire una veloce

panoramica storica sull’evoluzione degli studi in materia di emozioni, saranno trattate più diffusamente dei paragrafi successivi.

(11)

11

In tempi recenti è la teorizzazione di Damasio a segnare un prima e un dopo nelle teorie

sull’emotività: l’ipotesi del marcatore somatico6 pone infatti l’emozione come parte del

circuito della ragione e, contrariamente a quanto affermato fino ad allora, non la classifica come un intralcio al processo di ragionamento, ma come parte integrante di esso: certo l’influenza delle emozioni può anche avere risvolti negativi nei processi decisionali, ma è altrettanto vero che se l’emozione viene completamente esclusa, afferma lo studioso, le conseguenze sono peggiori di quanto potessero essere gli effetti sul nostro ragionamento di un’emozione esplosa e non controllata.

L’apporto delle neuroscienze quindi ha contribuito ad ampliare il discorso sulle emozioni, perché ha rivoluzionato il modo di pensare ad esse, risolvendo l’eterno binomio cuore ragione.

L’emozione ha sede nel cervello, e questo è già sconcertante, se pensiamo che la storia dell’uomo ha camminato nella dicotomia ragione vs. sentimento, mente vs. cuore fino alla fine del secolo scorso. In una piccola ghiandola a forma di mandorla è nascosto il segreto - ormai svelato, per la verità - delle nostre risposte emotive agli eventi della vita, che vengono innescate ancora prima che i centri corticali, deputati all’analisi degli input provenienti dall’occhio e dall’orecchio, alla decodifica del significato e all’impostazione di una risposta adeguata allo stimolo, abbiano compreso completamente ciò che sta accadendo. La ghiandola in questione è l’amigdala, e fa scaturire, orienta e guida l’intelligenza emozionale. Specializzata nelle questioni emozionali, con la sua attività, in interazione con la neocorteccia, è al centro dell’intelligenza emotiva.7

Ecco che allora ha un senso parlare di educazione all’emotività, perché, come afferma Goleman nel suo libro L’intelligenza emotiva «a tutti gli effetti abbiamo due menti: una che

6 Secondo Damasio quando siamo coinvolti in un processo decisionale ed abbiamo a che fare con problemi

complessi, dai molteplici risvolti personali e sociali, siamo portati a fare riferimento agli esiti di passate esperienze, nelle quali riconosciamo una qualche analogia con la situazione presente. Dette esperienze hanno lasciato delle tracce, non necessariamente coscienti, che richiamano in noi emozioni e sentimenti, con connotazioni negative o positive. L’autore chiama queste tracce “marcatori somatici”: somaticiperché riguardano i vissuti corporei, sia a livello viscerale a che quello non viscerale; il termine marcatore deriva invece dall'idea che il particolare stato corporeo richiamato costituisce una sorta di "contrassegno", o etichetta.

7A.STEFANINI, Le emozioni: patrimonio della persona e risorsa per la formazione, Franco Angeli, Milano 2013, pp.

(12)

12

pensa l’altra che sente. Queste due modalità della conoscenza, così fondamentalmente

diverse, interagiscono per costruire la vita mentale».8

Tutta la nostra formazione punta a rafforzare ed educare la nostra mente pensante, mentre ancora troppo poco si fa per quella sensiente, nonostante le recenti ricerche ne dimostrino la grande importanza.

1.2. Come funziona la mente emozionale

Prima di addentrarci in una definizione della parola emozione e nella disamina delle principali teorie ad essa correlate, proviamo a descrivere il funzionamento della nostra mente emotiva, analizzandone le caratteristiche generali e descrivendone l’andamento fisiologico.

1.2.1. Caratteristiche generali

La mente emozionale è innanzitutto molto più rapida di quella razionale: come vedremo nel paragrafo dedicato alle teorie psico-evoluzionistiche, tale rapidità è connessa con la sopravvivenza, con la necessità di agire rispetto ad uno stimolo potenzialmente dannoso nel modo più veloce possibile. Come afferma Goleman la valutazione se reagire o meno è «così rapida che non varca neppure la soglia della consapevolezza. Tale risposta emozionale rapida, si propaga in noi prima che sappiamo che cosa sta succedendo. Questa modalità percettiva rapida sacrifica l’accuratezza a vantaggio della velocità, basandosi sulle prime

impressioni».9

Se quindi in situazioni di minaccia improvvisa questa capacità della mente emozionale può significare la differenza tra la vita e la morte, non può tuttavia diventare il meccanismo

8 D.GOLEMAN,Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 1994, p. 27. 9Ivi, p. 337

(13)

13

valutativo dominante, perché poco accurato; inoltre Ekman, nei suoi studi sulle espressioni facciali collegate all’esplodere delle emozioni, ha dimostrato che in una circostanza del genere l’emozione dura pochissimo, giusto il tempo di far reagire l’individuo al potenziale pericolo: se lo stato di attivazione perdurasse oltre l’evento scatenante o lo stato emotivo si protraesse anche al mutare delle condizioni si tratterebbe, secondo Goleman, di uno stato d’animo e non più di un’emozione, che è invece direttamente collegata ad un’azione.

Se è vero che i nostri sentimenti più intensi sono reazioni involontarie, che erompono prima che ce ne rendiamo conto e prima che la nostra mente razionale abbia il tempo di attivarsi e formulare un pensiero, è altrettanto vero che esiste anche una reazione emotiva più lenta, nella quale la valutazione è più ampia e le emozioni derivano dai pensieri: pensiamo all’apprensione per un esame imminente, che deriva dal rimuginare sulla propria preparazione e sulla potenziale difficoltà della prova o alle lacrime che sgorgano intenzionalmente dagli occhi di un attore che si sofferma su ricordi tristi per suscitarle. Goleman ci mette in guardia: «la mente razionale non decide che emozioni “dovremmo” avere. Al contrario, i sentimenti si presentano come un fattore compiuto. Ciò che di solito la

mente razionale può controllare è il corso di quelle reazioni».10 Su questo frangente si

giocano la regolazione sociale delle emozioni e la sfida dell’educazione all’emotività.

Un altro dei meccanismi di funzionamento della mente emozionale è la logica associativa: non ci sono né il tempo né la legge di causa-effetto, tutto è possibile ed indiscriminato e le cose sono collegate in base ad aspetti superficialmente simili. Questo fattore naturalmente è derivato dalla rapidità vista sopra: dovendo suscitare una reazione nel minor tempo possibile la mente emozionale non ha il tempo di valutare tutto nei minimi dettagli ed opera quindi secondo meccanismi di semplificazione, utilizzando un pensiero categorico, personalizzato

10 Ivi, p. 339.

(14)

14

ed autoconvalidante. È categorico il pensiero che porta a vedere tutto come bianco o nero, senza sfumature di sorta: «una persona mortificata dopo aver compiuto una gaffe potrebbe

pensare all’istante: “non dico mai una cosa per il verso giusto”»;11 parliamo invece di

personalizzazione quando ogni evento è deformato e ricondotto al proprio io;12 infine è

autoconvalidante quel modo di procedere che non cerca prove oggettive a supporto della propria tesi, ma sopprime o ignora ciò che la smentisce e invece tiene per buono solo ciò che la invera: sarà capitato a ciascuno di tentare, con scarso successo, di convincere con argomenti razionali chi è emotivamente turbato. A livello temporale invece la mente emozionale reagisce al presente come se fosse il passato: un fatto che accade oggi può svegliare la memoria emozionale ed essere collegato a qualcosa accaduto in passato e, pur essendo le circostanze diverse, tenderemo a reagire come una volta, senza rendercene nemmeno conto. Tale circostanza ci illumina sulla presenza, a livello inconscio, di un repertorio di reazioni e pensieri collegati ad ogni stato emotivo: la memoria selettiva, di volta in volta, attingerà alle opzioni per l’azione che la mente ha registrato ed ordinato per essere messere in pratica in momento di necessità.

Ognuno di noi avrà fatto esperienza diretta di questi meccanismi, attivati in modo inconsapevole ma facilmente riconoscibili una volta che diventano oggetto di riflessione.

1.2.2. Il livello fisiologico

Più complesso e sicuramente meno immediato nella comprensione è il meccanismo di funzionamento delle emozioni a livello fisiologico, che tenteremo qui di riassumere.

11 Ivi, p.340.

12Goleman fa l’esempio dell’automobilista che dopo un incidente afferma «il palo del telefono mi è venuto

(15)

15

Abbiamo compreso nel paragrafo precedente come, grazie agli studi di Damasio, si è arrivati alla certezza scientifica della connessione tra sistema emotivo e vita neurobiologica; vediamo adesso come ciò accade. Ora le parole di Oatley possono aiutarci a comprendere meglio come si è evoluto il nostro cervello e come continuino ad esistere in esso parti con un retaggio molto antico:

il cervello è un sistema di strati, in cui il più antico, il più primitivo, è posto alla massima profondità e quelli che si sono evoluti più recentemente si aggiungono a ogni strato precedente. […] Se consideriamo lo sviluppo storico della città allo stesso modo dello sviluppo evolutivo del cervello umano, non possiamo certo concludere che le prime forme di città fossero irrazionali e che dovessero essere sostituite. Piuttosto, le prime funzioni essenziali continuano a costituire la base, diventando man mano più varie ed elaborate. […] Nel cervello, i primi modelli emotivi di organizzazione non sono stati sostituiti dal pensiero, piuttosto, come per l’organizzazione delle città, le prime forme e i primi sviluppi dei modelli emotivi continuano ad esistere, ma allo stesso tempo sono subentrate successive evoluzioni ed elaborazioni.13

Inizialmente attraverso l’odorato i primi esseri viventi erano in grado di classificare il mondo intorno a loro ed i circuiti neurali connessi erano situati nel cosiddetto corpo striato, proprio dei sauri, degli uccelli e dei mammiferi; alla comparsa dei primi mammiferi si accompagnò lo sviluppo del cervello emozionale, situato nel sistema limbico, deputato ad apprendimento e memoria. Successivamente, con Homo sapiens, fece la sua comparsa un ulteriore elemento, la neocorteccia, che ha portato ad implicazioni emotive importanti per la nostra vita:

I sentimenti di piacere e di desiderio vengono generati dal sistema limbico, ma è la neocorteccia, con le sue connessioni, a far sì che il legame affettivo tra madre e figlio diventi un sentimento capace di saldare le relazioni e di rendere possibile lo sviluppo della specie. I rettili, ad esempio, sono tra le specie prive di neocorteccia e i piccoli, appena nati, si trovano già di fronte ad un potenziale predatore: i loro stessi genitori si nutrono infatti anche dei propri figli. Negli esseri umani il rapporto fra neocorteccia e sistema limbico è estremamente stretto, e questo ci permette di disporre di una gamma di interpretazioni e di risposte agli stimoli molto raffinata, che ci fa reagire alle nostre emozioni in modo più complesso ed organizzato.14

Tuttavia questo non è l’unico modo di funzionare del nostro cervello emotivo. Joseph LeDouxfu il primo a scoprire il ruolo fondamentale dell’amigdala: secondo lui il

13 K.OATLEY, Breve storia delle emozioni, Il Mulino, Bologna 2015, pp. 88-92. 14 A.STEFANINI, Le emozioni, cit., p.30.

(16)

16

processo descritto sopra è una sorta di “strada superiore”, un’indagine emotiva molto più dettagliata, mentre esiste una via ulteriore, quella che lui definisce “strada inferiore”, collegata agli impulsi lanciati dall’amigdala, che permette una valutazione molto più rapida e semplificata degli stimoli.

Immaginate, dice LeDoux, di camminare nel bosco e di udire un rumore. Quando la corteccia avrà stabilito se si tratta di un serpente a sonagli o di un ramo secco che fruscia sotto i piedi, l’amigdala ha già dato inizio alla reazione di paura per difendersi contro l’evento.15

L’amigdala è un gruppo di strutture interconnesse, a forma di mandorla, posto sopra il tronco celebrale, vicino alla parte inferiore del sistema limbico: da vari esperimenti condotti su animali è stato dimostrato che la resezione dell’amigdala porta ad una vita emozionale smorzata, se non addirittura assente. Con le sue ricerche LeDoux ha dimostrato l’esistenza di vie neurali emozionali che aggirano la neocorteccia e coinvolgono direttamente l’amigdala: se è vero che nella maggior parte dei casi la neocorteccia riceve segnali dai vari organi di senso per poi passarli al sistema limbico, dal quale si irradia a tutto il cervello, e quindi al resto del corpo, la risposta appropriata, è altrettanto vero che oltre alla via che dal talamo va alla corteccia esiste un fascio più sottile di fibre nervose che dagli organi di senso vanno direttamente all’amigdala. Questa piccola mandorla nel nostro cervello assume quindi il ruolo di «archivio di impressioni e ricordi emozionali dei quali non abbiamo mai una

conoscenza pienamente consapevole»,16 perché la neocorteccia, deputata al ricordo, viene

completamente esclusa dal processo; inoltre un’altra caratteristica dell’attivazione dell’amigdala è che tanto è più forte il suo risveglio, tanto è più forte l’impressione del ricordo: le esperienze che più ci colpiscono emotivamente sono quelle che più rimangono vivide nei nostri ricordi.

15K.OATLEY, Breve storia delle emozioni, cit., p. 99. 16D.GOLEMAN, Intelligenza emotiva, cit., p. 38.

(17)

17

Questa disamina delle modalità di funzionamento del cervello emotivo è utile ai fini del nostro lavoro perché ci permette di comprendere come mente e cuore, pensiero e sentimento, cooperino per prendere decisioni e quindi giustifica l’importanza attribuita alle emozioni nel processo educativo. Tuttavia le ricerche dimostrano anche che, a volte, in casi di alta sollecitazione emotiva, la facoltà emotiva non è collaborativa ma, seguendo vie diverse da quelle della ragione, addirittura ostacola o rende impossibile il pensiero razionale, operando in una logica puramente associativa: per questo emerge evidente la necessità di un’educazione emotiva, perché non possiamo sottrarci alle emozioni, ma almeno possiamo imparare a gestirle per non essere vittime di quelli che Goleman definisce sequestri emozionali, dove il cuore ha totalmente la meglio sulla ragione, senza che ce ne rendiamo conto.

Un terzo elemento poi rafforza la convinzione che una maggiore consapevolezza della propria vita emotiva potrebbe essere utile. Vedremo nelle prossime pagine come certe inclinazioni all’azione abbiano una matrice personale, altre culturale, ma già qui abbiamo visto come ci siano anche inclinazioni biologiche innate, che vengono dall’evoluzione e che in passato, in un contesto che metteva maggiormente a repentaglio la sopravvivenza, volevano dire la differenza tra la vita e la morte. Oggi non dobbiamo più difenderci quotidianamente da predatori, lottare per sopravvivere e far continuare la nostra specie, tuttavia certi meccanismi di autodifesa sono ben radicati in noi e fanno ancora parte del nostro repertorio emozionale, pronti ad emergere in momenti di alta tensione. Questo porta ad una conseguenza chiara nelle seguenti parole di Ekman: «le nostre emozioni si evolsero quando non possedevamo ancora una tecnologia che ci permettesse di agire in modo tanto efficiente spinti dal loro impulso. Nella preistoria, se un uomo era colpito da una collera

(18)

18

improvvisa e per un istante voleva uccidere qualcuno non poteva farlo tanto facilmente, ma oggi sì».

Imparare a gestire le proprie emozioni e a riconoscerne l’ambiguità di fattori che possono sia aiutarci sia farci perdere è quindi indispensabile.

1.3. Definire le emozioni

Non è semplice definire cosa siano le emozioni e tra gli studiosi ancora non si è giunti ad una definizione univoca e condivisa, questo perché esse sono generate da una molteplicità di cause e presentano sia aspetti universali, come l’attivazione di processi neurofisiologici, sia aspetti comuni a gruppi di persone, legati cioè alla cultura di appartenenza, sia elementi strettamente personali, legati alla propria storia ed individualità: sono perciò una realtà che potremmo definire multidimensionale.

1.3.1. Le cinque dimensioni delle emozioni

Vediamo nello specifico quali sono le dimensioni da tenere presente quando si parla di emozioni:

1)DIMENSIONE FISIOLOGICA

Le emozioni hanno profonde radici neurobiologiche che portano a specifiche reazioni corporee ad esse connesse, elicitate dal Sistema Nervoso Centrale, dal Sistema Nervoso Autonomo e dal sistema endocrino.

Le emozioni più intense generalmente determinano un incremento di attività del ramo simpatico del sistema nervoso autonomo, dando origine a una o più delle risposte controllate da tale ramo: aumento della secrezione di adrenalina, aumento della frequenza

(19)

19

cardiaca e della pressione sanguigna, aumento del volume respiratorio, vasocostrizione dei capillari cutanei (pallore), dilatazione delle pupille, arresto dell'attività gastrointestinale, diminuzione della salivazione (bocca secca) e incremento dell'azione delle ghiandole sudorifere che determina un aumento della conduttanza della pelle.

La configurazione dei cambiamenti descritti è nota come arousal (attivazione) simpatico o risposta d'emergenza, poiché tende a verificarsi in tutte le situazioni in cui risulta necessario l'impiego di energia fisica.

Nei paragrafi successivi vedremo come le prime teorie sull’origine delle emozioni partano proprio dall’osservazione di fenomeni di natura fisiologica e come tale dimensione sia ancora oggi al centro di numerosi studi.

2)DIMENSIONE COGNITIVA

Ogni emozione porta con sé la valutazione e l’attribuzione di significato alle reazioni messe in atto dall’organismo, che stimola l’individuo a far fronte agli eventi e media il rapporto con l’ambiente.

L’importanza della dimensione cognitiva è messa per la prima volta in risalto da Schachter nella sua teoria cognitivo attivazionale e da lì in poi sarà al centro di tutti gli studi successivi nei quali si metterà in risalto l’importante ruolo del singolo individuo nell’interpretare gli antecedenti e i fenomeni emotivi stessi.

3)DIMENSIONE MOTIVAZIONALE

Strettamente legata alla precedente, la dimensione motivazionale delle emozioni è quella che orienta all’azione e regola il comportamento in relazione ai desideri e agli scopi, stabilendo le priorità. Se la dimensione cognitiva sottolineava la necessità di una valutazione

(20)

20

e significazione della reazione emotiva del singolo, la dimensione motivazionale interessa le modalità di preparazione all’azione per il soddisfacimento dei propri interessi e l’allontanamento degli eventuali ostacoli al loro raggiungimento.

4)DIMENSIONE ESPRESSIVO-COMUNICATIVA

La centralità dei comportamenti espressivi nello studio delle emozioni è facilmente riconoscibile in quanto sono proprio gesti, espressioni, postura, fenomeni vocali che per primi, al loro manifestarsi, ci informano che siamo in presenza di un comportamento emotivo.

Poiché l’espressione facciale rappresenta l'indice delle emozioni più facilmente disponibile, sono stati approntati molti metodi che consentono una loro classificazione sistematica

tramite l’osservazione diretta o le fotografia.17

Darwin, nel suo L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, confronta le espressioni facciali e le posture negli animali e nell'uomo, e fornisce dati a favore dell'ipotesi che le principali espressioni della specie umana siano universali. Questa ipotesi è stata suffragata dalla scoperta, di P. Ekman e C. E. Izard, che certe espressioni facciali sono correttamente riconosciute da persone appartenenti a una grande varietà di culture, compresi gli analfabeti, e si riscontrano anche in individui ciechi dalla nascita. Le espressioni in questione sono quelle che riflettono la felicità, la tristezza, la rabbia, la paura, il disgusto, la sorpresa, il disprezzo; tuttavia l'universalità di altre espressioni è ancora controversa.

17 Il metodo più oggettivo ed esaustivo, chiamato FACS (Facial Action Coding System), è stato sviluppato nel

1978 da P. Ekman e W. V. Friesen: esso richiede che siano registrate unità individuali di azione facciale e consente la valutazione sia della qualità che dell'intensità della risposta emotiva; l'utilità di tale metodo è limitata dall'elevata quantità di tempo che esso richiede.

(21)

21

Inoltre molte espressioni facciali (e posturali) umane trovano riscontro in quelle di animali

superiori; fanno eccezione il riso, il sorriso e il pianto.18

Perché le emozioni sono accompagnate da manifestazioni espressive? Darwin propose tre principi:

1. Il principio delle abitudini associate utili: «alcuni atti complessi hanno un’utilità diretta o indiretta in certi stati d’animo, perché alleviano o soddisfano particolari sensazioni, desideri e così via; ogni volta che si riproduce lo stesso stato d’animo, anche se appena accennato, c’è la tendenza – in forza dell’abitudine o per associazione – a ripetere quegli stessi movimenti, anche se in quel momento non

danno alcun vantaggio»;19

2. Il principio dell’antitesi: «certi stati d’animo provocano particolari atti abituali […] Quando sopravviene uno stato d’animo che sia l’esatto contrario del precedente, si ha una forte e involontaria tendenza a eseguire movimenti di natura opposta, anche

se sono del tutto inutili, e tali movimenti in alcuni casi sono altamente espressivi»20

3. Il principio dell'azione diretta del sistema nervoso: «quando il sistema sensoriale è fortemente eccitato, si genera un eccesso di energia nervosa che si trasmette in alcune definite direzioni, che dipendono dalle connessioni delle cellule nervose e in parte dalle abitudini; oppure, a quanto risulta, l’afflusso di energia può venire

interrotto. Sono così prodotti effetti che noi interpretiamo come espressivi».21

Il modo in cui Darwin ha formulato il primo principio trascura il fatto che molte espressioni facciali sono gli stadi iniziali o preparatori di configurazioni di risposta che hanno un'effettiva

18 Il riso e il sorriso sembrano tuttavia avere precursori nelle espressioni di pacificazione e nella “faccia da

gioco” degli scimpanzé.

19C.DARWIN, L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli animali, Bollati Boringhieri, Torino 1982, p. 139. 20 Ibidem.

(22)

22

natura adattativa in molte condizioni emotive, come il rannicchiarsi per proteggersi da un attacco, il raccogliere le forze in vista di un'azione offensiva, il focalizzare l'attenzione sensoriale. Altri movimenti espressivi sono adattativi in virtù dell'effetto che esercitano sugli altri, come l'effetto rassicurante o distensivo del sorriso, la risposta protettiva suscitata dal pianto e l'effetto intimidatorio dello sguardo di sfida, dell'urlo, dell'esibizione della forza muscolare. Gli effetti diretti e sociali sono spesso funzionali nel contesto emotivo che suscita le espressioni, infatti, secondo una delle principali ipotesi sull'espressione facciale, la sua più importante funzione e la sua origine evolutiva sarebbe proprio la comunicazione sociale dell'emozione: esempi di segnali emblematici sono annuire per dimostrare consenso, scuotere il capo in segno di diniego e i segnali colloquiali di dubbio, disapprovazione, apprezzamento e simili; inoltre espressioni facciali involontarie sono spesso riprodotte o accentuate volontariamente, a scopo di comunicazione, come risulta dal fatto che i ciechi dalla nascita mostrano espressioni facciali più deboli e povere rispetto alle persone normali. Le espressioni emotive possono, inoltre, svolgere funzioni regolatorie: è stato ipotizzato che il riso e il pianto – due configurazioni espressive che sono risultate difficili da spiegare in altro modo – possano servire a scaricare l'attivazione emotiva. Recentemente R. B. Zajonc ha fornito prove a favore di una teoria “vascolare” dell'espressione, in base alla quale l'espressione facciale potrebbe influenzare direttamente l'affetto modificando il flusso sanguigno cerebrale, la temperatura del cervello e la secrezione delle endorfine.

La postura del corpo, i movimenti delle braccia e delle gambe e le caratteristiche generali del movimento veicolano anch'essi significati emotivi in modo sistematico.

Queste configurazioni appartengono a repertori d'azione specifici, funzionali a scopi adattativi, quali la difesa (la postura esageratamente eretta, per esempio, è parte di un comportamento intimidatorio e preparatorio a un eventuale uso della forza), il rifiuto di

(23)

23

sostanze ripugnanti, l'approccio investigativo e la modulazione delle relazioni interpersonali. Le caratteristiche generali del movimento come la velocità, la forza e la tensione, possono inoltre essere intese come manifestazioni di aumento o diminuzione dell'attivazione e dell'inibizione generali.

Infine anche i segnali vocali svolgono un ruolo preminente nell'espressione emotiva umana sia come specifiche configurazioni sonore (grida, riso, pianto, lamenti), sia sotto forma di intonazioni linguistiche. Attraverso la modulazione del ritmo, dell’intonazione e dell’intensità dell’eloquio la voce appare in grado di comunicare emozioni: essa infatti possiede un enorme potere evocativo non solo per il cosa viene detto verbalmente, ma soprattutto per il come viene detto; vedremo ad esempio come la voce sia uno dei primi canali di comunicazione umani, centrali nel rapporto madre-figlio e bambino-ambiente.

Studi recenti hanno dimostrato l’esistenza di specifiche configurazioni dei profili vocali per ogni emozione e l’elevata capacità del canale vocale nel veicolare in modo autonomo precise informazioni circa gli stati emotivi del parlante, al di là del contenuto espresso.

5) DIMENSIONE SOCIALE

Nelle emozioni è presente un significato fortemente contestualizzato e specifico che dipende dal contesto e dalle relazioni, poiché i fenomeni emotivi assumono significati specifici in rapporto alla valutazione soggettiva e intersoggettiva che viene attribuita all’evento emotigeno.

1.3.2. Alcuni tentativi di definizione

Tenere presente ognuno degli aspetti che abbiamo elencato nel paragrafo precedente è fondamentale per tentare di dare una definizione del concetto di emozione; tuttavia i vari

(24)

24

contributi sull’argomento che si sono susseguiti nel tempo tendono inevitabilmente a privilegiare uno di questi aspetti, a seconda del proprio orizzonte d’indagine.

Abbiamo visto come secondo la prospettiva evoluzionistica, le pressioni selettive dell’ambiente hanno dato forma alle emozioni come modelli di attivazione e di risposta dell’organismo a specifiche categorie di stimoli, al fine di assicurare la sopravvivenza della specie: le emozioni sono dunque definite come una risposta adattiva all’ambiente e, nello

specifico, all’ambiente del Pleistocene, durante il quale la specie umana si è formata e

adattata.

Tuttavia tale concezione contraddice l’evidenza per cui la nostra mente è situata e contingente, continuamente pronta ad adattarsi ai cambiamenti: Oatley definisce infatti le emozioni come primitivi semantici, ovvero «”segnali di controllo”, che vengono a colmare il vuoto fra gli istinti (modelli fissi di azione, osservabili presso gli animali inferiori) e una razionalità perfetta (olimpica). […] categorie globali e indivisibili per loro natura, semanticamente non analizzabili né psicologicamente scomponibili, che costituiscono dei segnali di interruzione per governare la priorità degli scopi e che svolgono una funzione di

controllo più che di informazione».22

Un’emozione è come uno strattone: qualcuno ti sollecita, ti tira per la manica. A volte è una scossa violenta, un colpo doloroso. Richiede di essere riconosciuta, esige di essere compresa. Le emozioni rappresentano indicatori preziosi dell’importanza di un dato elemento e costituiscono l’occasione per porsi un determinato problema…23

Altri studiosi evidenziano non la componente adattiva o cognitiva dell’emozione, ma ne sottolineano l’insita predisposizione all’azione. Riprendendo un’idea della Arnold, che aveva definito l’emozione come una tendenza a muoversi verso qualcosa valutato intuitivamente come buono o ad allontanarsi da qualcosa intuitivamente valutato come dannoso, Fridija

22 L.ANOLLI,P.LEGRENZI, Psicologia generale, Il Mulino, Bologna 2012, p. 305. 23K.OATLEY, Breve storia delle emozioni, cit., p.30.

(25)

25

ritiene la tendenza e la prontezza all’azione centrali per le emozioni, che definisce come cambiamenti nella preparazione all’azione.

Vale a dire, le emozioni sono cambiamenti nella preparazione all’azione in quanto tale (li abbiamo chiamati cambiamenti di attivazione) o cambiamenti nella preparazione cognitiva (sono stati discussi come arousal attentivo), o cambiamenti nella preparazione a modificare o stabilire dei rapporti con l’ambiente (abbiamo chiamato questi ultimi tendenze d’azione), o cambiamenti nella preparazione a specifiche attività di soddisfazione degli interessi (che abbiamo chiamato desideri e piaceri).24

L’aspetto qui sottolineato è lo stesso che ricaviamo anche dall’etimologia della parola emozione, che deriva dal francese émotion, da émovoir “mettere in moto, eccitare”, a sua volta derivato dal latino emovēre “muovere via”: l’emozione è un movimento da, come flusso di un agire che si sposta, che viaggia, che si genera e si sviluppa, una tendenza all’azione e un cambiamento di stato da un qualcosa ad un qualcosa d’altro.

1.4. Gli antecedenti delle emozioni: antecedenti situazionali, disposizionali ed emozioni

senza oggetto

Nel paragrafo precedente abbiamo sottolineato la componente multifattoriale dell’emozione ed il fatto che per descriverla dobbiamo tenerne presenti i vari componenti; tuttavia per continuare il nostro discorso dobbiamo soffermarci un attimo a pensare: com’è che improvvisamente ci ritroviamo a provare un’emozione?

Capita nei momenti più disparati: mentre stiamo leggendo un libro e ci immedesimiamo nella vicenda del protagonista, mentre stiamo guardando un film e una scena particolarmente violenta suscita il nostro disgusto, mentre stiamo passeggiando e si apre davanti a noi un paesaggio spettacolare che ci fa meravigliare.

(26)

26

Questi esempi ci fanno comprendere un altro tratto fondamentale dell’esperienza emotiva, ovvero il fatto che ci sia un evento stimolo che la faccia nascere: senza uno stimolo, un pungolo, non si innescherebbe nessuna emozione, non ci sarebbero nessuna attivazione fisiologica, nessuna valutazione cognitiva dell’evento, nessuna reazione, nessun comportamento espressivo, nessuna valutazione soggettiva ed intersoggettiva.

L’emozione è un qualcosa che ha bisogno di una molla che la attivi o, per usare un linguaggio più appropriato, uno stimolo che la eliciti; esso può essere anche un evento interno quale un ricordo, una fantasia, un pensiero.

Secondo l'ipotesi psicoevoluzionista, le emozioni, più o meno come i riflessi, sono risposte innate a stimoli specifici. Per esempio uno stimolo intenso inaspettato fa trasalire, senza previo apprendimento: a ciascuno di noi sarà capitato di sobbalzare e provare paura se, improvvisamente, sentiamo un rumore forte o vediamo inaspettatamente comparire qualcuno.

A prescindere dagli stimoli inaspettatamente intensi o non familiari, suscitano emozioni le varie minacce al benessere fisico, come la fame, la sete, il freddo e il dolore, e una serie di eventi complessi: le emozioni che dipendono da questi tipi di eventi sono talvolta considerate il risultato dell'apprendimento sociale, ma abbiamo già dimostrato come ognuna di esse implica una sensibilità emotiva innata, collegata all’amigdala.

Un modo diverso di vedere l'induzione dell'emozione, collegato al concetto di intensità, è stato proposto da W. Wundt: secondo questo autore gli eventi-stimolo moderatamente deboli tendono a suscitare un affetto positivo, gli stimoli intensi un affetto negativo. Simile il punto di vista di Tomkins, secondo il quale al fattore determinante dell'intensità si aggiunge quello della subitaneità: l'ipotesi è stata ricavata da studi sul valore affettivo di stimoli sensoriali quali suoni, sapori e odori, e sembra avere una certa validità in tale ambito; nel

(27)

27

caso di eventi più complessi, tuttavia, sembra che l’intensità dello stimolo non possa essere definita indipendentemente dall'intensità della risposta emotiva.

Tutti questi stimoli sono antecedenti situazionali perché sono indipendenti dal singolo individuo, ma legati alla situazione in cui esso si trova e non a sue particolari disposizioni soggettive; sono stimoli cioè che possono attivare una risposta emotiva in chiunque. Fridja sottolinea come spesso utilizziamo la parola stimolo, tuttavia questa è una sorta di forma abbreviata e convenzionale, mentre è meglio parlare di antecedenti situazionali delle emozioni dove «tali antecedenti sono “eventi” piuttosto che “stimoli”. Le emozioni sono raramente, se mai lo sono, elicitate da uno stimolo isolato; piuttosto l’efficacia emotiva degli stimoli sensoriali dipende dal contesto spaziale, temporale e di significato in cui si presentano, dal livello di adattamento con cui interferiscono, e dalle aspettative con cui

entrano in conflitto o con cui concordano».25

Chiameremo invece interessi e antecedenti disposizionali quegli stimoli che sono legati ad una particolare disposizione dell’individuo, ovvero stimoli che non suscitano una reazione emotiva in chiunque, ma provocano reazioni diverse in persone diverse. È sempre Fridja a fare una precisazione importante, quando afferma che «le emozioni sono dovute all’interazione tra un evento che si verifica ad un dato momento e una disposizione che il

soggetto aveva in sé prima di quel momento»,26 o ancora che «lo sfondo motivazionale delle

emozioni è spesso silente fino a che qualche evento emozionale non lo attiva».27 L’autore

utilizza il termine interesse – rispetto agli altrettanto usati motivo o scopo – perché tale termine secondo lui meglio descrive la disposizione a desiderare che un certo tipo di situazione si verifichi oppure no, disposizione che però aspetta un evento - un antecedente

25N.FRIJDA, Emozioni, cit., p. 371. 26 Ivi, p.453.

(28)

28

situazionale - per essere attivata; inoltre il termine interesse manca della connotazione«di

attività, di veri tentativi di raggiungere uno stato futuro, o di consapevolezza di tale meta».28

Esistono poi altri antecedenti disposizionali: se l’interesse, lo abbiamo già detto, è la tendenza a desiderare che un evento si verifichi oppure no, dobbiamo considerare anche altri fattori, ovvero le disposizioni cognitive, i set cognitivi a disposizione del singolo, come ad esempio le differenze di personalità, le risorse – perché, sostiene Frijda «la forza e la debolezza delle risorse di risposta possono influire sul modo in cui si percepiscono gli eventi,

come sfide o minacce e così via»29 –e infine i fattori costituzionali, ovvero «quelle

propensioni generali di risposta che hanno radici, perlomeno in parte, nella costituzione

fisica dell’individuo».30

In generale possiamo dire che gli eventi che implicano o segnalano la gratificazione di un qualche interesse inducono emozioni affettivamente positive, così come gli eventi che invece implicano o segnalano una diminuzione del danno o della minaccia nei confronti di un interesse; gli eventi che implicano o segnalano un danno o una minaccia nei confronti di un interesse, o che provocano o segnalano una diminuzione della gratificazione di un interesse, suscitano emozioni negative.

Questo inquadramento teorico consente di precisare le condizioni in cui insorgono emozioni specifiche, puntualizzando la sequenza temporale, il contesto e il tipo di oggetti coinvolti negli eventi positivi o negativi. Il cordoglio, per esempio, è suscitato dalla definitiva perdita di un oggetto di interesse; la gioia è causata da un improvviso aumento di gratificazione dovuto al superamento di un ostacolo.

28 Ibidem.

29 Ivi, p. 508. 30 Ivi, p.509.

(29)

29

Nonostante possiamo rintracciare antecedenti situazionali o disposizionali che suscitano un’emozione è bene riconoscere che gli antecedenti di particolari emozioni, comunque, sono spesso ignoti.

Esistono anche emozioni senza oggetto, per esempio stati depressivi e attacchi di panico, ovvero alcune emozioni possono essere suscitate da processi metabolici o cerebrali o da una situazione generale prevalente piuttosto che da un qualche evento specifico.

2. Le teorie sulle emozioni

2.1.La prospettiva neuro-fisiologica: James e Cannon

Diverse teorie tentano di dare una spiegazione dell’emozione privilegiandone i correlati fisiologici o le modifiche che si verificano a livello del sistema nervoso.

William James, uno dei pionieri della psicologia, è stato il capostipite delle teorie periferiche delle emozioni: la sua concezione considera l’emozione come la consapevolezza individuale delle modificazioni corporee, quali la tachicardia o l’accelerazione del respiro. L’emozione, in sintesi, è una percezione del cambiamento corporeo conseguente all’attivazione di modelli innati di comportamento affettivo, ovvero è determinata a livello cosciente dalla percezione delle risposte dell’organismo agli stimoli che causano la paura, la rabbia, la tristezza o la gioia.

James propose per primo una definizione empirica e verificabile di emozione come «sentire» le modificazioni periferiche dell’organismo con una radicazione biologica dell’emozione soprattutto nei visceri: il suo assunto principale è che noi sperimentiamo una emozione in risposta a dei cambiamenti fisiologici, ovvero i cambiamenti fisiologici sono le emozioni.

(30)

30

Mentre James lavorava a questa ipotesi, il medico danese Carl Lange perveniva nel 1887 a conclusioni analoghe: nella sua prospettiva, infatti,l’emozione consiste in una serie di disordini vasomotori negli organi viscerali e ghiandolari, i cui effetti secondari sono rappresentati da fenomeni secretori, motori, cognitivi ed esperienziali.

La teoria di James-Lange assume, quindi, che una persona è triste perché piange, così come è felice perché ride.

Sebbene piuttosto imprecisa nella formulazione dei processi neurofisiologici, l’intuizione centrale della teoria rimane valida, tanto che evidenze empiriche della sua bontà sono fornite dall’ipotesi del feedback facciale, secondo la quale le espressioni facciali forniscono informazioni propriocettive, motorie, cutanee e vascolari che influenzano il processo

emotivo. Esistono due versioni di tale ipotesi: secondo l’ipotesi cosiddetta forte le espressioni

facciali, da sole, sono sufficienti a generare l’emozione; secondo l’ipotesi debole il feedback

facciale aumenta soltanto l’intensità e la durata dell’emozione. Per verificare questa ipotesi sono stati impiegati due paradigmi, quello dell’esagerazione-inibizione, in cui il soggetto deve modificare volontariamente le espressioni facciali delle emozioni esagerandole o inibendole, e quello dell’induzione muscolare, nel quale il soggetto deve contrarre volontariamente i muscoli facciali implicati in una data emozione: le evidenze empiriche

raccolte hanno dimostrato la validità almeno della versione debole dell’ipotesi.31

Costituisce una conferma sperimentale della validità della teoria periferica anche la teoria vascolare dell’efferenza emotiva, delineata da Zajonc, Murphy e Inglehart nel 1989, la quale dimostra come la temperatura cutanea del volto e, in particolare, quella della fronte, attivano specifici centri nervosi dell’ipotalamo che inducono emozioni negative.

31 In questa linea di ricerca è importante la teoria dell’autopercezione di Laird, secondo cui ci sono soggetti più

sensibili ai segnali da essi prodotti e quindi alle espressioni facciali; in base a tale prospettiva gli effetti del feedback facciale sono riscontrati in modo più frequente negli individui che prestano più attenzione focale ai segnali da essi stessi prodotti rispetto a quelli che non hanno questa attenzione.

(31)

31

Altra lettura positiva della teoria periferica è quella di Damasio,32 che interpreta la teoria di

James e Lange come il superamento del cosiddetto “errore di Cartesio”, che proponeva un dualismo fra mente e corpo: James è infatti il primo a proporre una concezione unitaria dell’organismo dove si osserva la “mentalizzazione del corpo” e la “somatizzazione della mente” e le emozioni vivono della convergenza tra mente e corpo, poiché sono processi mentali ma hanno come teatro il corpo.

Contrapponendosi a James, nel 1927 Cannon ha elaborato la cosiddetta teoria centrale delle emozioni che considera i cambiamenti corporei come espressione, dunque come conseguenza e non come causa, dell’affetto, sottolineando l’importanza del cervello nell’integrazione delle esperienze emozionali e delle risposte emotive.

La formulazione della teoria di James e Lange fu infatti testata sperimentalmente da Cannon e fu ritenuta infondata per due principali motivi:

– i cani con midollo spinale e nervo vago reciso hanno reazioni emotive;

– i visceri hanno una sensibilità troppo scarsa, una risposta troppo lenta e una motilità indifferenziata.

Secondo la teoria di Cannon, l’emozione si origina quindi a livello cerebrale e non viscerale: le emozioni si verificherebbero a livello dei circuiti del paleoencefalo, che attiverebbero le funzioni corticali e viscerali in un secondo tempo. Cannon studiò in particolare la reazione di emergenza, ponendo in evidenza le funzioni dell’arousal simpatico, ovvero la configurazione di risposte neurofisiologiche che covariano simultaneamente alla comparsa dell’emozione, come battito cardiaco, respirazione, sudorazione, vasocostrizione gastroenterica e cutanea, incremento valori glicemici, diminuzione salivazione, dilatazione pupilla e pilo erezione.

32 A.DAMASIO, L'errore di Cartesio: Emozione, ragione e cervello umano, Adelphi, Milano 1994. Damasio opera

anche una distinzione tra: emozioni primarie: risposte spontanee innate e precodificate dell’organismo a determinate condizioni ambientali. Sono riconducibili a 5 famiglie: gioia, tristezza, collera, paura e disgusto. emozioni secondarie: connesse con l’apprendimento e con l’esperienza personale (es: colpa, vergogna, orgoglio).

(32)

32

Secondo questa teoria è possibile provare emozioni senza necessariamente esprimerle fisicamente ed inoltre non è più sostenuta l’idea che un singolo insieme di reazioni fisiologiche sottenda una particolare reazione emotiva, ma si hanno le emozioni quando i segnali relativi alle afferenze sensoriali ricevute dalla corteccia raggiungono il talamo: se per la teoria di James-Lange siamo tristi perché piangiamo, per la teoria di Cannon per sentirsi tristi è necessaria una appropriata stimolazione talamica.

A partire dall’ipotesi di Cannon, Papez nel 1937 propone l’ipotesi secondo cui i centri di elaborazione e di controllo delle emozioni si collocano lungo un circuito, in seguito definito circuito di Papez, che comprende ipotalamo, talamo anteriore, giro cingolato e ippocampo; successivamente MacLean integrò il circuito di Papez con altre regioni: amigdala, nuclei del setto, etc. costituenti il sistema limbico.

Ci troviamo di fronte a due teorie contrapposte, entrambe vere – in quanto entrambe hanno colto degli aspetti particolari e specifici della vita emotiva, senza però riuscire a esaurirne la complessità e limitandosi esclusivamente agli aspetti biologici dell’emotività, ignorandone quelli psicologici – ed entrambe ispiratrici di successivi studi forieri di importanti scoperte nel campo dell’indagine sulle emozioni.

2.2.Schachter e la teoria dei due fattori (o cognitivo attivazionale)

Schachter, nella teoria cognitivo-attivazionale o teoria dei due fattori del 1962, è il primo ad introdurre una dimensione genuinamente psicologica nello studio sperimentale delle emozioni; egli sostiene infatti che l’emozione è la risultante di due componenti distinte, ovvero la componente diffusa, non emotivamente specifica, di attivazione fisiologica dell’organismo (arousal) e la componente cognitiva di percezione dello stato di attivazione fisiologica.

(33)

33

Particolare attenzione è dedicata all’attribuzione causale che stabilisce una connessione fra queste due componenti, in modo da spiegare la propria attivazione corporea come conseguente a un evento emotigeno; l’emozione può avere due origini:

– tipica: processo rapido e quasi non consapevole (valutazione situazione, percezione, attivazione e sua attribuzione causale);

– arousal non spiegato: processo maggiormente consapevole e deliberato di attribuzione causale del proprio arousal a qualche situazione/evento.

Se un individuo è indotto ad attribuire erroneamente un’attivazione non spiegata a una situazione emotivamente pertinente, la sua risposta sarà emotiva, così come se l’attivazione fisiologica viene ridotta di intensità durante l’evento emotigeno, risulterà ridotta proporzionalmente anche l’intensità dell’esperienza emotiva; se invece un soggetto è indotto ad attribuire erroneamente la propria attivazione fisiologica, in parte o interamente, a una situazione neutra, ovvero non emotiva, anche la sua risposta risulterà attenuata. Nel 1962 Schachter e Singer proposero anche un esperimento per dimostrare la validità della teoria: nella loro ipotesi la combinazione della attivazione fisiologica, indotta attraverso farmaci come l’epinefrina, e l’assenza di informazioni o la presenza di informazioni erronee sulla causa dell’attivazione stessa avrebbe aumentato la responsività del soggetto agli indizi contestuali pertinenti a livello emozionale. L’ipotesi fu confermata nell’ambito dei risultati dell’esperimento ma non dalle ricerche successive che dimostrarono come l’attribuzione erronea funzionasse soltanto in situazioni nuove, quando il soggetto non si era ancora dato una spiegazione della sua condotta emotiva; inoltre fu smentita anche l’ipotesi della

(34)

34

neutralità dell’arousal non spiegato, in quanto da ricerche successive è emerso che esso

induce risposte negative come ansia e paura.33

2.3.Le teorie dell’appraisal

Negli anni Ottanta nuove ricerche, sulla scia della teoria cognitivo-attivazionale, si sono focalizzate sul ruolo dei processi cognitivi, ovvero su come le emozioni dipendano dal modo con cui gli individui valutano e interpretano gli stimoli del loro ambiente, contrapponendosi così alla tesi della psicologia ingenua, secondo cui le emozioni sono passioni irrazionali, di breve durata, che sorgono in modo involontario e automatico, senza che siano richieste dall’individuo.

Di notevole importanza sono le cosiddette teorie dell’appraisal che assegnano all’elaborazione cognitiva un ruolo determinante nell’esperienza emozionale e sottolineano proprio il legame fra gli aspetti emotivi e gli aspetti cognitivi, considerando l’elaborazione cognitiva come sottesa all’esperienza emotiva. Secondo tali teorie le emozioni dipendono dalla valutazione cognitiva, l’appraisal, delle situazioni: esso quindi orienta e qualifica l’esperienza emotiva del soggetto, indicando un atto immediato di conoscenza che integra la percezione e del quale si diventa consapevoli solo a percorso concluso.

Le emozioni non compaiono all’improvviso ed in modo gratuito e casuale, ma in risposta alla struttura di significato di una data situazione, ovvero sono la conseguenza di un’attività di valutazione e della situazione in riferimento alle sue implicazioni per il benessere dell’individuo e per il soddisfacimento dei suoi scopi, desideri ed interessi.

33Leventhal ha anzi dimostrato come mentre il paradigma dell’attribuzione erronea non trova riscontri empirici

è valida invece l’ipotesi dell’informazione preparatoria, secondo cui un’informazione corretta sui sintomi da attendersi in una condizione di stress riduce l’incertezza e l’ambiguità, attenuando le reazioni di ansia, così come la concentrazione sulle caratteristiche nocive di uno stimolo doloroso favorisce una maggiore tollerabilità al dolore rispetto alla distrazione dalle stesse.

(35)

35

Questo significato situazionale è alla base per spiegare l diverse emozioni e la loro intensità, nonché per sottolineare la dimensione soggettiva dell’esperienza emotiva. Due individui che abbiano une differente valutazione della medesima situazione (o anche il medesimo individuo con differenti valutazioni in occasioni diverse) risponderanno con emozioni differenti. Esistono, infatti, fattori disposizionali e stili cognitivi differenti che possono condurre a valutazioni differenziate degli eventi conseguenti diverse reazioni emotive. Di fronte ad un ostacolo, un individuo (tendenzialmente timidi) potrà sentire la paura se lo interpreta come un pericolo o una minaccia, mentre un altro potrà provare collera se lo valuterà come una sfida. Per contro, due individui con la medesima valutazione dello stesso (o anche differente) evento giungeranno a provare la medesima emozione.34

Le parole riportate ci permettono di comprendere come le teorie cognitiviste sostengano che le emozioni siano soltanto in parte basate sulle modifiche indotte dall’attivazione del sistema simpatico: per la maggior parte esse sarebbero invece legate a meccanismi cognitivi, cioè alla interpretazione di una situazione particolare elaborata dall’individuo; propongono quindi un approccio secondo cui le diverse emozioni possono essere differenziate tra di loro in base al profilo emergente dalla combinazione di alcune dimensioni valutative dell’evento da cui ha origine l’emozione stessa.

Tale valutazione può differenziarsi sia per il livello di elaborazione (più o meno immediato e consapevole) che per il tipo di elaborazione (la cosiddetta valutazione primaria considera la pertinenza, ovvero quanto la situazione sia attinente agli scopi dell’individuo e la congruenza, ovvero quanto la situazione faciliti il perseguimento di questi scopi; la valutazione secondaria esamina la capacità del soggetto di far fronte all’evento emotigeno e di gestire le sue condotte emotive).

Scherer ha anche elaborato una griglia di valutazione dello stimolo/della situazione (stimulus

evaluation check, SEC) secondo una sequenza lineare progressiva distinta in cinque livelli:

1. novità dello stimolo: se c’è discrepanza tra ciò che si aspetta l’individuo e la situazione, percepita come nuova ed insolita, la risposta sarà di sorpresa e curiosità ma anche di paura e apprensione;

Riferimenti

Documenti correlati

06 68832337-2125 L’incontro è aperto alla partecipazione di docenti universitari, avvocati, tirocinanti,. studiosi e operatori

L’incontro, inoltre, costituisce l’occasione per un approfondimento dei rapporti tra il diritto penale tributario e il diritto tributario generale, per l’esigenza

Procediamo naturalmente per ipotesi. 1) Per una serie di ragioni (da indagare) si è interrotto il processo di formalizzazione del pensiero, rimasto bloccato a

• Titchner riteneva che lo scopo principale della psicologia sperimentale fosse quello di analizzare la struttura della mente (intesa come somma di molteplici elementi

Se il soma è sufficientemente eccitato dall’informazione proveniente dai dendriti trasmette un segnale all’assone. dendrite: riceve informazione dai neuroni e la

Tuttavia, si precisa, non vi sarebbero dati conclusivi a favore dell’una o dell’altra posizione, nel senso che «gli     studi empirici sulle intuizioni ordinarie relative

• Se sai di essere una persona a rischio, approfondisci con il tuo medico cosa fare nel caso in cui dovessi avere dei sintomi acuti, a chi puoi rivolgerti, come allertare il 118 o

Per più di duemila anni, lo studio dei processi mentali si è limitato a questo, a individuare at- traverso i meccanismi di memoria delle regole generali di funzionamento