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Il legame madre bambino e la teoria dell’attaccamento

II. Emozioni ed educazione

3. Lo sviluppo emotivo dall’infanzia alla maturità

3.3. Il legame madre bambino e la teoria dell’attaccamento

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Fin dall’inizio le madri attribuiscono un’intenzionalità emotiva alle manifestazioni del bambino, rispondendo in modo appropriato ai suoi segnali, anche quando si tratta soltanto di risposte automatiche.

In generale, attraverso la socializzazione delle emozioni, ovvero l’attribuzione di significato agli eventi che stimolano le emozioni, il bambino apprende dagli adulti del suo ambiente quali siano le condotte emotive appropriate al contesto e quali siano i modi appropriati per fronteggiarle, esprimerle o modificarle: in questo senso, l’azione dell’adulto orienta e canalizza le emozioni in accordo con le regole e le aspettative sociali e culturali.

Quindi, le emozioni acquistano significato all’interno delle relazioni affettive e sono strettamente legate ad esse e, in particolare, gli scambi emotivi che si stabiliscono tra bambino e figura di riferimento (madre) sono determinanti per lo sviluppo del bambino. Secondo la teoria dell’attaccamento, elaborata da Bowlby ed arricchita da Mary Ainsworth, l’attaccamento è una predisposizione biologica del piccolo verso la persona che gli assicura la sopravvivenza prendendosi cura di lui (la figura di attaccamento, o caregiver, solitamente la madre). Lo scopo protettivo è raggiunto tramite un insieme di comportamenti innati che hanno lo scopo di favorire la vicinanza fisica del bambino alla figura di attaccamento, sia agendo come segnale per ottenere l’avvicinamento dell’adulto (sorriso, vocalizzazione, pianto,gesto di sollevare le braccia, ecc.) sia determinando l’avvicinamento del piccolo,quando il sistema motorio è più maturo (comportamenti di accostamento, aggrapparsi,ecc). A questi comportamenti di attaccamento, l’adulto risponde secondo schemi anch’essi biologicamente programmati, che gli permettono di interpretare i segnali del bambino. Il comportamento del bambino non dipende solo dall’attaccamento: il piccolo è mosso anche dall’esigenza di esplorare il suo ambiente, giocando con i coetanei e dedicandosi ad attività diverse. I due sistemi (di attaccamento ed esplorazione) sono

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antitetici e al crescere dell’uno decresce l’altro: in condizioni di pericolo il sistema di esplorazione viene inibito e si attivano i comportamenti di attaccamento (il piccolo si rifugia dalla madre); viceversa, quando il bambino si sente sicuro, tende ad allontanarsi dal

caregiver per esplorare il mondo.

I comportamenti di attaccamento vengono gradualmente organizzati in un sistema di attaccamento, che a partire dal 6° mese di vita inizia ad agire in modo goal-directed, ovvero in funzione dell’obiettivo di mantenere l’equilibrio omeostatico tra esigenze di attaccamento e di esplorazione.

L’inizio del “comportamento di attaccamento” viene situato intorno ai sei mesi, quando il bambino non solo dimostra di riconoscere la madre, ma tende anche a comportarsi in modo da mantenere la sua vicinanza, ad esempio piangendo appena la madre si allontana dalla stanza, oppure accogliendola sorridendo al suo ritorno. Secondo Bowlby lo sviluppo del legame di attaccamento fra bambino e chi si prende cura di lui, si articola in quattro fasi: “preattaccamento”; “formazione dell’attaccamento”; “attaccamento vero e proprio”; “attaccamento corretto”.

La fase del “preattaccamento” inizia dalla nascita e procede fino alle otto dodici settimane ed è caratterizzata dai cosiddetti “precursori dell’attaccamento” che riguardano tutti quei comportamenti che il neonato mette in atto per realizzare la stretta vicinanza fisica con la madre: il pianto, il sorriso, le vocalizzazioni, l’aggrapparsi, la suzione, sono tutti comportamenti universali, specie-specifici e innati, che il bambino mette in atto per stabilire tale legame.

La fase della “formazione dell’attaccamento”, che inizia intorno al secondo mese e si conclude intorno al settimo, è caratterizzata dalla combinazione di più comportamenti fra quelli descritti nella fase di preattaccamento: il bambino infatti, in seguito alle esperienze e

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all’apprendimento, inizia a rivolgere più frequentemente tali combinazioni di comportamenti rispetto a certe persone piuttosto che ad altre e verso la fine di questa fase mette in atto veri e propri comportamenti di richiesta, di vicinanza fisica, come il protendersi per essere preso in braccio.

L’instaurarsi dell’“attaccamento vero e proprio” inizia intorno al settimo mese e si conclude intorno ai due anni circa. In questo periodo si realizza la formazione del vero e proprio legame di attaccamento verso figure selezionate come la madre, ma anche verso altri adulti che si prendono cura del bambino. In questa fase il bambino acquisisce importanti nozioni sul piano cognitivo e soprattutto raggiunge la permanenza dell’oggetto e il nesso causa- effetto, che sono fondamentali per la creazione di un legame privilegiato. I comportamenti tipici di questa fase sono: il pianto quando la madre si allontana; i tentativi di seguirla; i comportamenti di ricerca di contatto come l’abbraccio o il bacio; lo stare accanto alla persona di riferimento durante le esplorazioni dell’ambiente circostante; il rifugiarsi verso la persona di riferimento nel momento di crisi e difficoltà; l’ansia da separazione quando il

caregiver si allontana e il timore per gli sconosciuti che coincide con la paura dell’estraneo.

La fase dell’“attaccamento corretto” invece, che interessa il secondo e il terzo anno di vita, è caratterizzata da una maggiore maturità della relazione fra madre e bambino, relazione che assume in questa fase una connotazione di reciprocità che prima era assente: il bambino è ora in grado di mettersi nei panni della figura di riferimento e di condividere uno scopo comune, che riguarda in particolar modo il fatto di mantenere la vicinanza e darsi conforto reciprocamente. Se il bambino piange alla separazione dalla figura di attaccamento e sorride alla sua presenza, è anche vero che la relazione si è costituita perché la madre o chi si prende cura del bambino, ha risposto in modo positivo alle esigenze e ai bisogni del bambino

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e questo scambio affettivo è di primaria importanza, non solo per lo sviluppo dell’emozione stessa, ma anche per la maturazione e lo sviluppo del bambino.

Mary Ainsworth ha messo a punto una procedura osservativa standardizzata, chiamata

Strange Situation,56divenuta il metodo più diffuso e validato per valutare l’attaccamento

nella prima infanzia (dai 12 mesi), nella quale il bambino è chiamato a confrontarsi con l’avvicinamento e l’allontanamento dalla madre, figura emotiva di riferimento. Il comportamento dei bambini nella Strange Situation può essere classificato in alcune categorie principali, che prendono il nome di stili di attaccamento: avremo un attaccamento

sicuro quando c’è equilibrio tra esplorazione e ricerca di contatto con il caregiver, un

attaccamento insicuro evitante quando l’esplorazione dell’ambiente prevale

sull’attaccamento al genitore, che non rappresenta una base sicura; un attaccamento

insicuro ansioso-ambivalente quando nella Strange Situation il bambino appare quasi

completamente assorbito dalla relazione con la figura di attaccamento, trascurando l’esplorazione dell’ambiente (durante la separazione manifesta esasperate reazioni di disagio, ma al momento del ricongiungimento tende ad ignorare la madre o a reagire in modo ambivalente al suo rientro); infine un attaccamento insicuro disorganizzato, quando il bambino non è in grado di organizzare una strategia di comportamento unitaria ed emette segnali inadeguati a mantenere e strutturare il legame, dimostrandosi incapace di comportamenti coerenti verso il caregiver e mescolando avvicinamento ed evitamento.

56Gli episodi della Strange Situation: 1) L’osservatore introduce la madre e il bambino nella stanza e poi esce.

2)La madre non partecipa mentre il bambino gioca. Se necessario, il gioco viene stimolato dopo 2 minuti. 3)Entra l’estranea, che prima rimane in silenzio, poi conversa con la madre, infine avvicina il bambino. Dopo 3 minuti la madre esce in modo discreto.4) Prima separazione. Il comportamento dell’estranea viene adattato a quello del bambino. 5)Prima riunione. La madre saluta e/o conforta il bambino, poi tenta di coinvolgerlo nuovamente nel gioco. Esce salutando il bambino. 6) Seconda separazione.7) Continuazione della seconda separazione. L’estranea entra e adegua il comportamento a quello del bambino. 8) Seconda riunione. La madre saluta, prende in braccio il bambino e lo conforta, poi tenta nuovamente di coinvolgerlo nel gioco.

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Il bambino interiorizza la qualità delle ripetute interazioni con il caregiver, sviluppando i Modelli Operativi Interni: il bambino che sperimenta cure protettive e sensibili, interiorizza un Modello Operativo Interno della figura di attaccamento come amorevole, disponibile e attenta ai suoi bisogni e, parallelamente, un modello complementare di sé come degno e meritevole di cure; quando invece la relazione di attaccamento è caratterizzata da inadeguatezza, paura o conflitto, il bambino mette in atto un processo di esclusione difensiva tramite il quale proteggersi da comportamenti, emozioni e pensieri negativi.

I Modelli Operativi Interni sono rappresentazioni che hanno una certa stabilità nel tempo, ma sottoposte anche a relativa variabilità, a causa della crescita e della maturazione personale o degli eventi che intervengono nel corso della vita.

Quest’ultima osservazione ci permette di comprendere l’importanza, per uno sviluppo emotivo sano, di una buona educazione emotiva già nei primi mesi di vita e nel primo luogo deputato all’educazione, la famiglia.

La famiglia rappresenta infatti un contesto primario di crescita e sviluppo, dove il bambino fa esperienza della propria capacità di stabilire relazioni e, di conseguenza, di provare emozioni e comprendere gli stati emozionali di chi lo circonda. Quantità e qualità dei rapporti che si intessono in ambito familiare sono alla base della maturazione emotiva della persona, che fa riferimento ai segnali di colui che si occupa della sua cura per attribuire valenza emotiva alle proprie espressioni ed esternazioni. Sono le prime modalità di interazione che permettono al bambino di sviluppare la propria competenza emotiva e di imparare a conoscere, riconoscere e comprendere le proprie e le altrui emozioni: lo sviluppo della competenza emozionale permette quindi non di ignorare o seppellire le emozioni, bensì di imparare ad evitare ed iniziare a controllare quelle negative, come la rabbia, l’aggressività, l’avversione,

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sviluppando la capacità di sentire empaticamente il mondo e di interagire in maniera corretta con gli altri.

Lo sviluppo emotivo non si realizza semplicemente attraverso le parole e le azioni indirizzate direttamente ai bambini, ma soprattutto attraverso i modelli che gli adulti forniscono indirettamente, mostrando al bambino modalità personali che adottano nel vivere e nell’esprimere i loro sentimenti: i messaggi di coloro che socializzano e si rapportano al bambino,chiariscono la vera natura, per esempio, del successo, del fallimento e della violazione di una regola.

Pensiamo, ad esempio, ad un meccanismo di difesa come l’identificazione proiettiva che occupa un posto di rilevo nella teorizzazione di Wilfred Bion. Essa consente la proiezione di aspetti propri in un altro da sé e non rappresenta una modalità esclusivamente difensiva ma si configura,sul piano evolutivo, come modalità primitiva di comunicazione. Bion ritiene che il bambino, utilizzando l’identificazione proiettiva, si confronta con contenuti sensoriali ed emotivi che egli sente ma a cui non sa ancora dare un nome, un significato. Nel proiettarli nell’altro, nella madre,giunge da un lato a sbarazzarsene perché non riesce a tollerarli, dall’altro ad“identificarli”, osservando ed interiorizzando ciò che, in termini di emozioni,di pensiero, di parole, di gesti suscita nell’altro e da questi gli viene comunicato. Infatti, di fronte al bisogno fisico del bambino e al tumultuoso emergere di emozioni, la madre cerca di capire il vissuto del bambino, inoltre è intenta a cercare di soddisfare il bisogno del bambino e la modalità con cui lo fa contiene elementi del processo psichico, emotivo e cognitivo insieme, che è avvenuto in lei e che ha diretto le sue azioni.

Inizialmente quindi il bambino può solo espellere tramite l’identificazione proiettiva le sensazioni spiacevoli e la madre interviene per elaborare psichicamente i contenuti in lei proiettati: l’identificazione proiettiva è quindi una modalità primaria, primitiva di regolazione

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emozionale, processo, inizialmente, in gran parte diadico e che solo in seguito diviene una capacità individuale.