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La musica come terapia: il modello SAME (Shared Affective Motion Experience) e il

IV. Educare all’emotività con il linguaggio musicale

3. Riscoprire le proprietà terapeutiche ed educative della musica

3.1. La musica come terapia: il modello SAME (Shared Affective Motion Experience) e il

Ralational Singing Model

3.1.1. Il modello SAME

La musicoterapia è definita dalla World Federation of Music Therapy come «l'uso della musica e/o degli elementi musicali (suono, ritmo, melodia e armonia) da parte di un musicoterapeuta qualificato, con un utente o un gruppo, in un processo atto a facilitare e favorire la comunicazione, la relazione, l'apprendimento, la motricità, l'espressione, l'organizzazione e altri rilevanti obiettivi terapeutici al fine di soddisfare le necessità fisiche,

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emozionali, mentali, sociali e cognitive. La musicoterapia mira a sviluppare le funzioni potenziali e/o residue dell'individuo in modo tale che questi possa meglio realizzare l'integrazione intra e interpersonale e consequenzialmente possa migliorare la qualità della

vita grazie a un processo preventivo, riabilitativo o terapeutico».115

Le applicazioni di tale approccio terapeutico sono molteplici e variegate. Nel presente lavoro, a titolo esplicativo, si è scelto di approfondire brevemente due modelli, il modello SAME e il Relational Singing Model, entrambi sviluppati per aiutare soggetti con problemi legati alla sfera dell’emotività e della relazionalità.

Il modello SAME (Shared Affective Motion Experience) è stato sviluppato da Overy e Molnar- Szakacse nasce per affrontare disturbi quali l’alessitimia e l’autismo, ovvero per aiutare quei soggetti con difficoltà comunicative, relazionali e della consapevolezza emotiva.

Partendo dalla sincronizzazione indotta dalla musica, Overy e Molnar-Szakacs notano correttamente come l’eco motoria che già sappiamo essere prodotta dal mero ascolto venga significativamente potenziata nel contesto della musica d’insieme, nella quale confluisce anche l’attivazione indotta dal movimento reale e spontaneamente sincronizzato. In una situazione in cui ognuno è al contempo esecutore(= attivazione del sistema motorio, anche e soprattutto nel caso di vocalizzo)e ascoltatore (= attivazione dei sistemi percettivo e motorio),la sovrapposizione neurale raggiunge il culmine. Nel modello SAME si suppone poi che il collegamento del sistema specchio, responsabile della natura motoria della percezione, con le regioni cerebrali deputate all’esperienza emotiva, e in particolare con l’insula, fondi la reazione empatica che tanto caratterizza l’ascolto musicale.116

Come per il Relational Singing Model, anche qui l’attenzione è posta non soltanto sull’ascolto musicale, ma anche sulla produzione di suono: il valore della pratica è proprio quello di fare musica con il proprio corpo, che siano vocalizzi semplici o brevi accenni ritmico-melodici e,laddove la patologia non sia caratterizzata da un vero disagio nell’incontro con l’altro, approdare fino alla musica d’insieme, prediligendo un dialogare attraverso i contorni melodici.

115http://www.scuoladimusicoterapia.it/la-musicoterapia/ 116C.MEINI, Musica, emozioni e scienze cognitive, cit., p. 394.

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In questa pratica terapeutica il ruolo della musica è quindi quello di «allenare competenze suscettibili di essere almeno parzialmente trasposte nella vita reale e che escono dai limiti

della sincronizzazione per invadere il più complesso ambito della comunicazione».117

3.1.2. Il Relational Singing Model

Dalle esperienze e dalle riflessioni teoriche e cliniche maturate nell’ambito dell’autismo e dalla riflessione filosofica sul significato delle emozioni nella musica è nato il modello di

intervento chiamato Relational Singing Model.118

Come si legge sul sito dedicato a tale modello esso «si pone l’obiettivo di ottimizzare l’impatto positivo della musica sulla persona e assisterla nella comunicazione con gli altri» e nasce dalla collaborazione tra Giorgio Guiot, musicista e direttore di cori, Cristina Meini, filosofa della comunicazione, Maria Teresa Sindelar, psicoterapeuta che si è dedicata al rapporto tra musica ed autismo e gli psicologi sistemici dell’Istituto IMePS Giuseppe Ruggiero e Stefano Iacone.

Concetti chiave di questa pratica terapeutica sono il primato dell’attività musicale rispetto al semplice ascolto, la centralità del canto e la speciale attenzione per la dimensione melodica. I promotori di tale modello sono convinti che il canto sia relazionale per natura e che

la voce è lo strumento con cui abbiamo familiarità fin dalla prima infanzia, indipendentemente da ogni percorso di educazione musicale che sceglieremo o che ci verrà successivamente imposto. […]Il canto è – a ogni età – il prodotto di un corpo che risuona, e nel cantare ciascuno di noi sente non solo lo stimolo esterno – la voce – ma anche le vibrazioni delle corde vocali e del corpo intero, le variazioni della respirazione e della tensione muscolare. Queste vibrazioni interne e esterne, e l’empatia che ne scaturisce, si incontrano e si riconoscono nelle analoghe reazioni dell’altro, e l’affiatamento che ne deriva può portare alla generazione, alla condivisione e talvolta al potenziamento reciproco dei suoni armonici, quei suoni via via più acuti e meno intensi che vengono generati dalla frequenza fondamentale della nota. Si tratta di un’ulteriore esperienza molto forte, stimolante e perfettamente condivisa anche da chi soffra eventualmente di difficoltà relazionali o comunicative.119

117 Ibidem.

118 Le informazioni riportate sono consultabili sul sito http://www.relationalsinging.it/ 119http://www.relationalsinging.it/?p=82

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Nel testo Il pentagramma relazionale. Le forme vitali nella psicoterapia familiare e di

coppia,in un capitolo dedicato a questo modello di intervento musicale di gruppo, gli autori

riportano un esempio di applicazione nell’ambito della terapia familiare.

Precedenti esperienze da entrambi i fronti ci hanno portato a ripensare quanto la musica riunisca, rianimi, rilassi e dia voce alle emozioni. Avvalersi di uno strumento come il canto è come entrare nella stanza con un co-terapeuta che aiuta a dare un suo preciso ritmo al processo terapeutico. La musica differenzia e contemporaneamente include, conduce i pazienti in una danza che lascia emergere forme vitali, in un movimento che asseconda i tempi dell’uno e dell’altro: chi è avanti torna indietro per aspettare l’altro – o, nel canone, si sintonizza con l’altro per concordare e monitorare in tempo reale i rispettivi ruoli - fino a che le voci si incontrano, si armonizzano, trovando una modalità consona a tutti e facendo emergere qualità gestaltiche dell’interazione, quindi le forme vitali. La melodia, i gesti, il contorno emotivo sollecitano i pazienti a prendere contatto con le emozioni che stanno esperendo nel loro mondo familiare.120

La famiglia viene accompagnata dal terapeuta nell’interpretare semplici canti composti con particolare attenzione alla cantabilità, il ritmo e la melodia, ed è invitata attraverso questo intervento ad ascoltarsi ed ascoltare, favorendo così la soluzione dei problemi interni al nucleo.