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La musica come strumento di inclusione e dialogo: El Sistema e la West-Eastern Divan

IV. Educare all’emotività con il linguaggio musicale

3. Riscoprire le proprietà terapeutiche ed educative della musica

3.3. La musica come strumento di inclusione e dialogo: El Sistema e la West-Eastern Divan

Orchestra

3.3.1. El Sistema

“El Sistema”, fondato in Venezuela da José Antonio Abreu nel 1975, è un progetto che mira

alla formazione globale dell’individuo e consiste in un sistema di educazione musicale

pubblica, diffusa e capillare, con accesso gratuito e libero per bambini di tutti i ceti sociali. A partire dal 1979, ottenne il riconoscimento e il sostegno dello Stato,prendendo il nome di

Fundación del Estado para el Sistema Nacional de las Orquestas Juveniles e Infantiles de Venezuela (Fesnojiv) e, incirca 40 anni, ha coinvolto più di due milioni di giovani ed oggi

gestisce e promuove oltre 125 orchestre e cori giovanili, 30 orchestre sinfoniche e dell'educazione di oltre 350.000 studenti in 180 nuclei operativi sul territorio venezuelano. Secondo la definizione della Funda Musical Simón Bolívar stessa, El Sistema: «mira ad organizzare sistematicamente l'educazione musicale ed a promuovere la pratica collettiva della musica attraverso orchestre sinfoniche e cori, come mezzo di organizzazione e sviluppo

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della comunità».124Come si legge sul sito ufficiale italiano, la maggior parte dei giovani

musicisti del Sistema sono provenienti da situazioni economiche e sociali disagiate, e tramite la disciplina musicale e l'impegno hanno la possibilità di fuggire dalle logiche nichiliste dei barrios e dalla povertà. L'importanza di tale metodo non è dunque solo artistica, ma tramite esso la musica assume un significato di via primaria per la promozione ed il riscatto sociale e intellettuale.

Il progetto di Abreu è finalizzato all’inclusione sociale e alla creazione di «un paese di umanisti, un paese di musicisti, un paese dove la gente possa riscattarsi attraverso la forza dell’arte».125

Vale la pena riportare una lunga citazione di Abreu, che ben spiega il valore che egli attribuisce alla pratica musicale:

per loro natura intrinseca le orchestre, in particolare quelle giovanili e infantili, sono ben più di una struttura artistica: esse assurgono a modello e a scuola di vita sociale senza pari […]; le orchestre e i cori giovanili e infantili costituiscono uno strumento particolarmente idoneo per il solido avviamento dei giovani e bambini a una vita sociale basata sulla coesistenza solidale e sul lavoro comune, elementi che consentono loro di realizzare appieno la propria personalità. Per la sua stessa natura tecnica e artistica, l’attività orchestrale e corale tra giovani e bambini comporta necessariamente la nascita di uno spirito solidale e fraterno, un vigoroso sviluppo dell’autostima e la crescita di valori etici ed estetici associati al fare musica. Da ciò si evince la sua immensa utilità per tutto quanto attiene alla formazione della personalità, al destarsi della mente e della sensibilità, nonché, di conseguenza, allo sviluppo dell’attività intellettuale e della capacità di espressione e comunicazione, alla formazione del giovane in tutto ciò che è connesso con l’attività del coro e dell’orchestra in seno alle comunità emarginate ed escluse; al destarsi della vocazione pedagogica nel giovane musicista in grado di trasmettere ad altri le proprie conoscenze, le proprie esperienze e il proprio vissuto […]. Nell’ambito personale e sociale spicca lo sviluppo spirituale, morale, intellettuale e affettivo dei bambini e dei giovani coinvolti nel fenomeno musicale. La musica contribuisce come mezzo o fonte di crescita delle dimensioni dell’essere umano, ne eleva la condizione e lo conduce allo sviluppo integrale della propria personalità. Questo sviluppo si ottiene abbondantemente in seno al gruppo. Infatti, la partecipazione a un’orchestra fin dalla tenera età consente la crescita individuale all’interno di un gruppo sano e fecondo, e il conseguimento di inestimabili benefici intellettuali, sociali e affettivi, tra cui spiccano: l’acquisizione di principi e abilità favorevoli al lavoro di gruppo e alla leadership costruttiva, intesa come coordinamento di varie attività in linea con i canoni dettati da un leader (nel nostro caso il direttore d’orchestra o il maestro di musica); la capacità di attesa, la disciplina, la costanza, la solidarietà, l’impegno, la responsabilità, il valore dell’impegno personale per raggiungere le mete stabilite e il valore dell’apporto individuale per ottenere un risultato

124https://www.sistemainitalia.com/el-sistema-in-venezuela

125S. RONCUCCI, Musica ed emozioni, in M. GAGLIARDI (a cura di), Metodologia, didattica ed insegnamento

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collettivo. A sua volta tutto ciò induce uno sviluppo positivo del concetto di sé, una forte autostima, sicurezza e fiducia in se stessi, a vantaggio della crescita integrale della personalità.126

Abreu è profondamente convinto che l’apprendimento della disciplina musicale sia una potente scuola di vita, che permette un’alfabetizzazione di carattere emozionale, relazionale e sociale a livello universale. Il suo lavoro pedagogico infatti non si rivolge soltanto ai soggetti a rischio di emarginazione sociale, ma anche ai figli dei ceti più agiati, che sono spesso, secondo lui, dei malati emozionali, incompetenti a relazionarsi e inabili ad ascoltare. Questa incapacità di ascolto e dialogo attraversa tutti gli strati sociali e tutte le realtà geografiche e ambientali e può essere esorcizzata dalla musica, che ha il grande potere di includere e di permettere l’ascolto degli altri in modo empatico.

La Roncucci conclude il suo articolo riportando le parole che Abreu ha pronunciato in occasione della cerimonia in cui egli ha ricevuto il premio Ted nel 2009, e che sono illuminanti per comprendere il potere rigenerativo che il fondatore di El Sistema attribuisce alla musica, secondo lui in grado di salvare i singoli e la società, perché crea – e qui ci ricorda concetti espressi molti anni prima da Platone – veri uomini e veri cittadini:

l’immensa ricchezza spirituale che è propria della musica e che è insita nella sua essenza finisce per prevalere sulla povertà materiale. Quando gli si insegna a suonare, un bambino non è più povero, entra in una fase di progresso, acquisisce un livello di azione professionale, che lo trasformerà in un vero cittadino e tutto ciò esercita una funzione preventiva primaria,contro la prostituzione, la violenza e le cattive compagnie e qualsiasi cosa faccia regredire e degradare la vita dei bambini. Pochi anni fa lo storico Arnold Toynbee affermava che il mondo fronteggia un’immensa crisi spirituale: non si trattava di una sfida economica o sociale, ma spirituale. E io oggi affermo che dinanzi a questa crisi solo l’arte e la religione possono dare le risposte adeguate ai sentimenti collettivi, all’aspirazione più profonda dell’uomo e alle esigenze storiche dei nostri tempi.127

3.3.2. La West Eastern Divan Orchestra

126 Ivi, pp.48-49.

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La West Eastern Divan Orchestra128 è una orchestra sinfonica fondata nel 1999 dal direttore

d’orchestra israeliano Daniel Barenboim e dallo scrittore palestinese Edward Said, con lo scopo preciso di favorire il dialogo fra musicisti provenienti da paesi come Israele, Egitto, Giordania, Siria, Libano, Palestina, ovvero da culture storicamente nemiche.

La violoncellista Elena Cheah nel suo libro Insieme. Voci dalla West Eastern Divan Orchestra traccia dei ritratti dei vari musicisti coinvolti nel progetto e in filigrana, nel racconto, sembrano emergere alcuni concetti chiave che sono alla base dell’esistenza dell’orchestra: il dialogo, la fiducia e l’equilibrio.

La Cheah afferma che quando qualcuno esprime un’opinione all’interno dell’orchestra sa di avere almeno il 70% delle persone contro, eppure la condivide e la offre agli altri in un’ottica di dialogo, sapendo che ogni differenza si ricompone grazie alla musica: «una volta rotto il ghiaccio, si comprende come, dal punto di vista dell’animo, siamo tutti uguali, al di là del fatto che parliamo lingue diverse, abbiamo un aspetto fisico diverso, siamo cresciuti in culture diverse. Sotto la scorza, ci assomigliamo tutti, e ognuno di noi è importante quanto

chiunque altro. È a questo livello che comunichiamo, quando facciamo musica insieme»,129

perché, dice sempre la musicista «quando la musica comincia, si può pensarla in maniera diversa su tutte le questioni del mondo, ma bisogna suonare insieme. E quando suoniamo,

suoniamo davvero insieme, ed è una cosa meravigliosa».130

Il collante che poi la violoncellista individua è la fiducia nel maestro: i musicisti ripongono in Barenboim non solo fiducia musicale come maestro, ma gli affidano le loro vite.

128Già nel nome scelto per l’iniziativa è racchiusa tutta la volontà di creare un laboratorio di integrazione e

dialogo: Divano occidentale-orientale è una raccolta poetica dello scrittoretedesco Johann Wolfgang von Goethe, concepita tra il 1814 e il 1827 ed ispirata dalle opere del poeta persiano Hafèz, contemporaneo del nostro Petrarca. Nelle intenzioni dell'autore, l'opera doveva rappresentare un punto d'incontro tra civiltà generalmente considerate contrapposte - oriente e occidente - evidenziandone più le somiglianze che non le differenze.

129E.CHEAM, Insieme. Voci della West Eastern Divan Orchestra, Feltrinelli, Milano 2009, p.93. 130Ivi, p. 55.

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Lo stesso maestro nel libro La musica sveglia il tempo racconta dello storico concerto tenuto nel 2005 a Ramallah:

L’orchestra fu sottoposta a una dura prova quando, nel 2004, si presentò l’occasione di dare un concerto a Ramallah. […] l’ansia che provai al pensiero di portare la Divan Orchestra a Ramallah mi rese molto sensibile alle paure e alle inquietudini dei giovani che stavano esaminando la possibilità di compiere questo passo davvero coraggioso, specie se si considera che molti di loro non erano mai stati in Palestina. Discutemmo a lungo dell’opportunità di andare o no, ma poi, alla fine, la tensione che era montata durante il dibattito sembrò sciogliersi quando ci rendemmo conto che andare a Ramallah quell’anno rappresentava un rischio troppo grosso per la sicurezza dell’orchestra. Ma l’anno seguente, il 2005, mi riproposi fermamente di riuscire a realizzare quello che per tutti noi poteva diventare un evento di proporzioni storiche: il concerto di un’orchestra formata da palestinesi, israeliani, siriani, egiziani, giordani nel cuore della Palestina.131

Alla fine il concerto si tenne il 21 agosto, nonostante le defezioni di alcuni musicisti che non se la sentirono di partecipare, nonostante, racconta Barenboim, le proteste di alcuni genitori che lo accusarono di mettere in pericolo i propri figli, nonostante musicisti arabi e israeliani dovettero giungere a Ramallah con due diversi cortei diplomatici, attraversando frontiere blindate e vincendo paure, sospetti e difficoltà di ogni tipo; tutto questo grazie al sostegno delle Ambasciate di Germania, Francia e soprattutto Spagna, che dotò tutti i musicisti di un passaporto diplomatico.

Il concerto suscitò sia apprezzamenti che polemiche ma riuscì a dimostrare, secondo il

direttore, che «la musica non fa differenze di razza, sesso, religione o luogo di origine»132 e

che «per quanto riguarda la fratellanza, essa non è una conseguenza inevitabile e scontata,

tuttavia la musica offre le condizioni necessarie a favorirne lo sviluppo».133

Infine Elena Cheah individua un’ulteriore elemento chiave all’interno dell’orchestra: l’equilibrio, strettamente collegato al dialogo e alla fiducia. Il maestro deve essere infatti in grado di dare spazio a tutti, far sentire tutti uguali ed ugualmente compresi e valorizzati, pur nelle loro molteplici differenze ed esigenze. Tale equilibrio deve essere mantenuto tra tutti i

131 D.BARENBOIM, La musica sveglia il tempo, Feltrinelli, Milano 2007, p.77. 132Ivi, p. 82.

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partecipanti, ma anche tra istanze del singolo e del gruppo, e la musica può aiutare molto nel favorire tale consapevolezza: «se desideri imparare a vivere in una società democratica, farai bene a suonare in un’orchestra, perché apprenderai quando guidare e quando seguire. Lascerai spazio agli altri e nello stesso tempo non avrai inibizioni a rivendicare uno spazio per te stesso. Ciò nonostante, o forse proprio per questo, la musica rimane il modo migliore per

evadere dai problemi dell’esistenza umana.»134

Nella Divan Orchestra, come già avevamo visto in El Sistema, il fare musica insieme diventa una scuola di vita, che favorisce la coesistenza pacifica, l’armonia e rende visibile l’utopia di una società perfetta, basata sulla vera accettazione:

La West-Eastern Divan Orchestra, è chiaro, non può portare la pace. Tuttavia, può creare le condizioni per una comprensione senza la quale è impossibile anche solo parlare di pace. Può stimolare la curiosità dei singoli, inducendoli ad ascoltare i racconti altrui, e può ispirare il coraggio necessario a udire ciò che si preferirebbe non udire. Poi, avendo inascoltato l’inaccettabile, forse diventa possibile accogliere almeno la legittimità del punto di vista altrui. Spesso la gente ha definito il Divan un meraviglioso esempio di tolleranza, un termine che non mi piace, perché tollerare qualcosa o qualcuno sottintende una implicita negatività: si è tollerati nonostante la presenza di certe qualità negative. Il significato della parola tolleranza è del tutto improprio se vediamo in essa solo una forma di generosità altruistica. Racchiude in sé qualcosa di presuntuoso: io sono meglio di te. Goethe espresse in maniera sintetica questo concetto quando disse: «Limitarsi a tollerare è un insulto; la vera assenza di pregiudizi vuol dire accettazione». La vera accettazione, potrei aggiungere, significa riconoscere la differenza e la dignità dell’altro. In musica, questo è rappresentato perfettamente dal contrappunto o polifonia. L’accettazione della libertà e dell’individualità dell’altro è una delle lezioni più importanti che la musica ci impartisce.135

134D.BARENBOIM -E.SAID, Paralleli e paradossi,Il Saggiatore, Milano 2008, p.149. 135D.BARENBOIM, La musica sveglia il tempo, cit., pp.72-73.

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CONCLUSIONI

È nota la storiella, ripresa in tempi recenti dallo scrittore americano David Foster Wallace136,

dei due pesci che, mentre nuotano, si sentono chiedere da un altro pesce: “com’è oggi l’acqua?” e sbigottiti rispondono: “Acqua? Che cos’è l’acqua?”

La morale della favola è chiara: talvolta non ci si rendiamo conto delle cose più ovvie, diamo per scontato ciò che ci sta intorno e molti aspetti del vivere quotidiano, proprio perché presenti da sempre sullo sfondo dell’esistenza, ci sono sconosciuti e diventano pressoché invisibili.

Credo che questo sia un aspetto che musica ed emozioni condividono: ne siamo circondati e se ne fa un gran parlare, ma sono così tanto presenti da finire per essere dati per scontati, senza che si attribuisca loro il giusto valore.

In queste pagine si è tentato proprio di riscoprirne l’importanza, di non trattarle come qualcosa di scontato ma come un elemento prezioso, che può dare valore aggiunto se accolto ed accettato per quel che è.

È emerso come le emozioni, se vissute con consapevolezza, non sono un fardello che l’evoluzione ci ha addossato, ma un mezzo utile ed insostituibile per vivere bene con se stessi e con gli altri. È emerso che la musica non è soltanto un passatempo, un sottofondo piacevole delle nostre giornate, ma ha un valore formativo ed educativo che abbiamo dimenticato nel tempo e di cui ci possiamo e dobbiamo riappropriare.

Soprattutto, in tempi nei quali non si fa che parlare di muri, del problema dell’ assenza di dialogo e della contraria necessità di valorizzazione e accettazione delle differenze, è emerso

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che la musica può darci una lezione e suggerire una via percorribile se utilizzata come mezzo per educare all’emotività.

Abbiamo visto come le emozioni siano per natura ambivalenti, come possano ottenebrare il nostro giudizio se non esercitiamo controllo su di esse ma come debbano allo stesso tempo essere integrate nella nostra vita e non negate perché essa sia piena.

Gli esempi che abbiamo riportato nelle pagine conclusive di questo lavoro dimostrano come la musica aiuti a vivere le emozioni con tutte le loro sfumature, ad accettarle e comunicarle con un altro linguaggio, nei casi in cui patologie o particolari situazione rendano difficile o impossibile farlo.

Guardando poi a casi come quello di El Sistema o della West-Eastern Divan Orchestra, sembra che l’educazione musicale e il fare musica insieme aiutino a non sentirsi soli, ad essere parte integrante ed integrata della società, a mettere da parte le divergenze e le tensioni per creare qualcosa di bello.

Non sembra allora così utopico, pur a distanza di secoli, il pensiero di Platone, il quale affermava da un lato che l’armonia della musica fosse la stessa della natura della nostra anima, tanto che fare musica poteva dare ordine e misura alla nostra interiorità, dall’altro che un educare un uomo alla musica equivalesse ad educarlo ad essere un buon cittadino.

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