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La comunicazione delle emozioni e l’educazione al linguaggio

II. Emozioni ed educazione

1. Educare all’emotività

1.2. La comunicazione delle emozioni e l’educazione al linguaggio

44 M.C

UNICO, Educare alle emozioni. Riflessioni e proposte d'attività per insegnanti e genitori, Città nuova editrice, Roma 2004, p. 50.

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Prima di passare ad approfondire il tema dell’ambivalenza emotiva, occorre soffermarsi brevemente su un aspetto fondamentale dell’educazione emotiva, ovvero la comunicazione verbale delle emozioni: non basta educare ed educarsi a prendere consapevolezza del proprio vissuto emotivo e ad accettarlo con i suoi chiaroscuri, è necessario anche sviluppare la capacità di dare un nome alle proprie emozioni e di saperne parlare, perché esse sono strettamente legate al linguaggio in quanto loro stesse sono una forma di comunicazione intersoggettiva ed intrasoggettiva.

Anche se è vero che la natura dell’espressione delle emozioni è principalmente di tipo non verbale e che le capacità che ci consentono di fare attenzione ai messaggi non verbali vengono in massima parte apprese in modo implicito, se si vuole educare i bambini e chiunque altro riguardo le emozioni, si deve cominciare con l’insegnare loro le parole con le quali possono essere identificate.

L’educazione al linguaggio quindi, diventa un passaggio indispensabile per l’educazione alle emozioni: le parole contraddistinguono determinati atti mentali e proferirle consente di esprimersi senza causare danno. Poiché sono il linguaggio e le capacità simboliche che hanno permesso l’evoluzione della coscienza, è proprio da questi elementi che bisogna partire per aiutarsi a sviluppare una coscienza di ordine superiore sulle emozioni

Ognuno cerca di gestire in modo accurato la propria vita padroneggiando nel miglior modo possibile le emozioni ed è attraverso l’esperienza che si impara quali sono le emozioni appropriate alle varie situazioni; un’educazione alle emozioni, quindi, non è emotivamente repressiva, ma piuttosto emotivamente ridistributiva: non si tratta di reprimere ad esempio la rabbia, si tratta invece di sfruttarla nelle situazioni in cui è giustificata, legittimata, come per esempio per lottare a sostegno di un ideale o contro un’ingiustizia.

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Sebbene tutti siano concordi nel ritenere che capire le emozioni, saperle gestire e saperle esprimere nel modo più adeguato, sia cruciale per il benessere individuale, per le relazioni interpersonali e per il successo nel mondo sociale e lavorativo, poca attenzione viene ancora apparentemente riservata all’educazione di tutto ciò.

Ci insegnano gli studiosi di psicologia che bisogna imparare – ma bisogna che qualcuno educhi a questo – a far diventare le emozioni parole, discorso, comunicazione con l’altro. Perché non siamo soggetti liberi se non possiamo tradurre in discorso le nostre emozioni, diventiamo loro ostaggio nel senso che hanno la meglio su di noi, che ci inducono a passare all’azione. Ma se i bambini piccoli non possono fare altro che passare all’azione, gli adulti devono poter ricorrere alle parole e utilizzarle. Questo è libertà, questo è uscire dalle prigionie che abbiamo dentro di noi: imparare a dare parola alle nostre emozioni, anche a quelle più negative: diventando discorso e comunicazione creano possibilità, spazi di dialogo, spazi di libertà. Altrimenti dov’è la libertà, per chi è condannato a mettere in scena sempre lo stesso repertorio? Se tutte le volte che viviamo un conflitto mettiamo in scena lo stesso copione, se non riusciamo a stabilire empatia con gli altri e a comprendere le “ragioni” delle loro emozioni, vuol dire che abbiamo delle prigioni dentro di noi.45

Si può parlare di comprensione vera e propria delle emozioni quando vi è un accesso consapevole all’esperienza emotiva, che può essere comunicata attraverso il linguaggio, quando si hanno le capacità semantiche o simboliche per sviluppare una comprensione sulle proprie esperienze emotive, una riflessione sulle competenze possedute e apprese, legata appunto alla capacità di esprimersi e di cogliere quelle che sono le credenze simboliche del proprio vissuto e della propria società.

Come ci ricorda la Contini è importante «imparare a entrare in rapporto profondo con se stessi, dunque, attraverso una continua pratica di autoriflessività e il continuo esercizio del confronto con gli altri, per imparare a conoscere la propria conoscenza, scoprendo, ad esempio, imprevisti stereotipi e pregiudizi accanto a impreviste capacità di apertura e cambiamento di prospettiva. E mentre si realizza una simile pratica metacognitiva si offre la possibilità di un incontro/scontro con le emozioni che “colorano” pensieri, valutazioni e aspettative accentuandone la portata e il significato mentre, nello stesso tempo, devono

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tanto, del loro emergere e farsi “sentire”, ai processi cognitivi stessi: quante emozioni non parlano di noi ma dei condizionamenti che hanno “forgiato” i nostri pensieri. […] Con questa consapevolezza sempre in divenire, che sedimenta conquiste e ferite nel percorso di costruzione della personalità razionale, ci si può impegnare in una comunicazione con gli altri, anche i più diversi, fondata sull’ascolto e rivolta all’empatia, intesa come approssimazione all’altro nei limiti delle rispettive opacità che richiedono sì, decifrazione, ma

anche rispetto»46

Conoscere e saper comunicare le proprie emozioni diventa quindi un passo importante non solo per avere consapevolezza di se stessi, ma anche per relazionarsi agli altri.

Se questa capacità di comunicazione delle proprie emozioni è assente parliamo di

alessitimia47, ovvero uno stile cognitivo-affettivo caratterizzato da una difficoltà

nell’esprimere verbalmente le emozioni, un deficit nella capacità di identificare e descrivere i propri sentimenti e nel discriminare tra stati emotivi e sensazioni corporee. Questo termine è utilizzato per identificare tutte quelle persone che tendono ad usare l’azione per esprimere emozioni o per evitare conflitti e sperimentano povertà di sogni e di fantasia: i soggetti alessitimici sono incapaci di riconoscere i motivi che li spingono a esprimere determinate emozioni e hanno una tendenza a esprimerle in maniera somatica, mostrano difficoltà a mettersi nei panni degli altri e sperimentano scarse capacità empatiche. Attualmente gli aspetti centrali del costrutto alessitimico sono i seguenti:

a) La difficoltà, da parte del soggetto, di identificare le emozioni e di distinguere tra emozioni e sensazioni corporee dovute all’attivazione emozionale;

b) La difficoltà di descrivere i propri sentimenti alle altre persone; c) Uno stile cognitivo orientato esternamente.

46 Ivi, pp. 43-44.

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In realtà anche altre peculiarità sono state associate al costrutto alessitimico: ad esempio una tendenza al conformismo sociale, una predisposizione all’azione rispetto all’introspezione, una postura rigida, una povertà nell’espressione facciale delle emozioni e una ridotta capacità empatica, che mina quindi anche le relazioni con gli altri individui.