• Non ci sono risultati.

Il bilancio delle imprese di assicurazione nell'ottica di Solvency II e dei nuovi principi contabili internazionali

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il bilancio delle imprese di assicurazione nell'ottica di Solvency II e dei nuovi principi contabili internazionali"

Copied!
111
0
0

Testo completo

(1)

UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

Dipartimento di Economia e Management

Corso di Laurea Magistrale in

Banca, Finanza Aziendale e Mercati Finanziari

Tesi di Laurea

Il bilancio delle imprese di assicurazione nell’ottica di

Solvency II e dei nuovi principi contabili internazionali

Relatore: Candidato:

Prof.ssa Antonella Cappiello Nicola Petretti

(2)

INDICE

Introduzione

1. Il sistema di vigilanza prudenziale nelle imprese di assicurazione

1.1. Il rischio e la solvibilità nelle imprese di assicurazione

1.2. Agli albori del margine di solvibilità

1.3. La vigilanza prudenziale secondo Solvency I 1.4. Nascita ed obiettivi di Solvency II

1.5. Il nuovo sistema di vigilanza prudenziale 1.5.1. Il primo pilastro di Solvency II 1.5.2. Il secondo pilastro di Solvency II 1.5.3. Il terzo pilastro di Solvency II

1.5.4. La nuova disciplina sulla solvibilità di gruppo 1.5.5. Considerazioni su Solvency II

2. Gli strumenti finanziari e i contratti assicurativi nel bilancio redatto secondo i principi contabili internazionali

2.1. L’introduzione degli IAS/IFRS nel bilancio assicurativo

2.2. Il trattamento contabile degli strumenti finanziari

2.2.1. La classificazione degli strumenti finanziari secondo lo IAS 39

2.2.2. I criteri di valutazione degli strumenti finanziari 2.2.3. Gli strumenti di copertura

2.2.4. I limiti dello IAS 39

2.3. IFRS 9: il nuovo standard per gli strumenti finanziari 2.3.1. Classificazione e valutazione degli strumenti Finanziari 2.3.2. La modalità d’impairment Pag. 1 Pag. 2 Pag. 2 Pag. 3 Pag. 5 Pag. 13 Pag. 16 Pag. 18 Pag. 28 Pag. 33 Pag. 34 Pag. 38 Pag. 40 Pag. 40 Pag. 43 Pag. 47 Pag. 49 Pag. 52 Pag. 55 Pag. 56 Pag. 57 Pag. 59

(3)

2.3.3. Hedge accounting

2.4. Il progetto Insurance Contracts

2.4.1. La fase I del progetto Insurance Contracts 2.4.2. Il test di adeguatezza delle passività

2.4.3. La fase II del progetto Insurance Contracts

3. L’applicazione di Solvency II e dei nuovi IAS/IFRS nelle imprese di assicurazione

3.1. IAS/IFRS vs Solvency II

3.1.1. Le riserve tecniche

3.1.2. Presentazione dei risultati 3.1.3. Conclusioni

3.2. L’applicazione dell’IFRS 9 con l’IFRS 4 3.2.1. Overlay approach

3.2.2. Deferral approach

3.2.3. Riflessioni e considerazioni finali 3.3. Il caso del Gruppo Generali

3.3.1. La storia

3.3.2. L’implementazione dei nuovi principi contabili internazionali

3.3.3. La posizione di solvibilità

3.3.4. Il modello interno per il calcolo dell’SCR

Bibliografia Pag. 63 Pag. 64 Pag. 65 Pag. 71 Pag. 73 Pag. 84 Pag. 84 Pag. 85 Pag. 89 Pag. 89 Pag. 91 Pag. 93 Pag. 95 Pag. 98 Pag. 99 Pag. 99 Pag. 100 Pag. 102 Pag. 105 Pag. 107

(4)

1

INTRODUZIONE

In questa tesi verranno analizzati alcuni dei più importanti cambiamenti che dovranno affrontare le imprese di assicurazione nei prossimi 5 anni, in particolare la direttiva Solvency II, l’IFRS 9 e l’IFRS 17 (o IFRS 4 fase II). Nel primo capitolo verrà affrontata la tematica della solvibilità delle imprese assicurative e di come le Autorità possano aiutare a stabilizzare le compagnie attraverso la vigilanza prudenziale. In particolare, verranno descritti, in ordine cronologico, le più importanti normative a riguardo, partendo dalla cosiddetta Solvency 0 risalente agli anni ’70, fino alla recentissima Solvency II entrata in vigore dal 1° Gennaio 2016.

Nel secondo capitolo, invece, il tema analizzato riguarderà il bilancio

assicurativo redatto secondo i principi contabili internazionali, concentrando l’attenzione proprio sui principi che regolano la contabilizzazione degli strumenti finanziari e delle riserve tecniche, le due principali voci dello stato patrimoniale di un’impresa di assicurazione. Al riguardo, verranno descritte le attuali

normative in merito e le nuove che devono ancora essere introdotte nei bilanci. Nel terzo ed ultimo capitolo verrà affrontato il tema principale della tesi, ovvero l’applicazione di Solvency II e degli IAS/IFRS nei bilanci assicurativi. Il primo argomento sarà in merito alla valutazione delle riserve tecniche, con il confronto tra la direttiva sulla solvibilità e lo standard contabile internazionale. Il secondo argomento riguarderà invece il problema dell’applicazione del nuovo IFRS 9 con il vecchio IFRS 4, analizzando quali sono i punti di contrasto e quali sono le soluzioni adottate dall’International Accounting Standard Board per risolvere i conflitti nel periodo di transizione tra l’IFRS 4 e l’IFRS 17.

Infine, verrà dato uno sguardo al bilancio consolidato del Gruppo Generali per avere un riscontro pratico dei temi analizzati in precedenza e per capire come il più importante gruppo assicurativo italiano stia affrontando questa fase di profondi cambiamenti.

(5)

2

CAPITOLO PRIMO

IL SISTEMA DI VIGILANZA PRUDENZIALE

NELLE IMPRESE DI ASSICURAZIONE

1. Il rischio e la solvibilità nelle imprese di assicurazione

La caratteristica peculiare del business assicurativo è l’assunzione di rischi. È perciò chiaro che in questo contesto la gestione del rischio è un aspetto fondamentale e imprescindibile per il raggiungimento della stabilità d’impresa. I rischi possono essere definiti come le conseguenze derivanti dal verificarsi di eventi aleatori. Queste conseguenze possono essere favorevoli o sfavorevoli, ossia possono produrre vantaggi o svantaggi.

In un’impresa assicurativa i rischi possono essere divisi in tre categorie: i rischi tecnici, i rischi finanziari ed altri rischi non tecnici.

I rischi tecnici sono quelli derivanti dall’attività principale di tali aziende, ovvero l’assunzione di rischi dietro pagamento di un premio, mentre i rischi finanziari derivano dall’attività d’investimento delle somme raccolte presso gli assicurati. Gli altri rischi non tecnici sono difficilmente quantificabili e riguardano tutti i rischi a cui deve far fronte l’impresa ma che non rientrano nelle due categorie precedenti.

La solvibilità, invece, può essere definita come la capacità dell’impresa di far fronte agli impegni assunti, la cui parte di maggior rilievo è data dalle

obbligazioni verso gli assicurati, che sono rappresentate dalla principale voce del passivo, le riserve tecniche.

Le riserve tecniche sono accantonamenti di capitale formate da quote, ponderate per il rischio, dei premi raccolti presso gli assicurati.

A causa dell’enorme impatto socio-economico di queste particolari aziende, si è da sempre reso necessario un costante controllo pubblico su di esse.

(6)

3

La completa assenza di regolamentazione dell’attività assicurativa e la conseguente aspra concorrenza, darebbero origine a politiche scorrette e, addirittura, forme di monopolio lesive del pubblico interesse1.

Inoltre le compagnie di assicurazione, ad oggi, sono i maggiori investitori

istituzionali, ovvero sono coloro che più di tutti fanno muovere masse di capitali all’interno dei nostri mercati finanziari.

Storicamente, come per l’attività bancaria, l’intervento dell’Autorità pubblica ha avuto per oggetto principale la scelta delle regole di garanzia e di controllo sulla solvibilità delle imprese, nonché i provvedimenti destinati alla riduzione

dell’impatto sociale ed economico negativo dovuto a situazioni di insolvenza dell’impresa assicuratrice stessa2.

Sul piano sovranazionale, l’Unione Europea, è intervenuta più volte cercando di armonizzare, in modo progressivo, la normativa di tutti gli stati membri riguardo al margine di solvibilità, con l’obiettivo di creare un mercato unico con imprese più solide.

2. Agli albori del margine di solvibilità

Il margine di solvibilità è stato introdotto al fine di fornire una maggiore garanzia agli assicurati circa l’adempimento degli impegni assunti dalla compagnia. Si può considerare come una sorta di cuscinetto di sicurezza posseduto dall’impresa da utilizzarsi in situazioni particolarmente sfavorevoli.

Le prime direttive comunitarie in questo senso risalgono al 1973 per quanto riguarda il ramo danni e al 1979 per quanto riguarda il ramo vita, precedute da studi preparatori effettuati nel 1951 dal belga Campagne e nel 1960 dall’italiano De Mori e dall’inglese Grossman.

1 F. Colombini, Intermediari, mercati e strumenti finanziari, UtetProfessionale, Milano, 2008, pag. 287. 2 A. Cappiello, Regolamentazione e risk management nelle imprese assicurative, FrancoAngeli, Milano,

(7)

4

Le direttive sono state attuate in Italia nel 1978 per il ramo danni e nel 1986 per quello vita.

Questi studi si basano sul criterio della probabilità di rovina in un esercizio, ricercando quale debba essere l’entità di un fondo idoneo a garantire che il guadagno aleatorio di un esercizio, derivante dall’introito della massa di premi, dagli esborsi per sinistri e per spese sia superiore al livello di probabilità di rovina dell’impresa3.

In precedenza era richiesto all’impresa di assicurazione solamente un capitale sociale che non dipendeva in alcun modo dal volume d’affari o dai sinistri, ma solamente dai rami in cui l’impresa esercitava. Era perciò stabilito lo stesso requisito, senza alcuna distinzione, per tutte le compagnie operanti negli stessi rami.

Il rapporto Campagne, ipotizzando la correttezza delle riserve tecniche e

l’esistenza di un cospicuo portafoglio, fornisce un metodo teorico e uno pratico per la determinazione del margine minimo ricercato.

Il metodo teorico, ritenuto dallo stesso Campagne poco efficiente, consiste nell’ipotizzare che la variabile costo dei sinistri si distribuisca come una Poisson semplice. In questo modo, accettando una probabilità di rovina dell’ 1%, è

necessario un margine minimo di solvibilità pari al 60% dei premi puri, se invece si sceglie una probabilità pari allo 0,33% il margine minimo di solvibilità dovrà essere pari al 30% dei premi puri.

Il metodo pratico effettuato da Campagne consisteva nell’analisi del rapporto sinistri su premi registrato da 10 compagnie svizzere dal 1945 al 1954,

ipotizzando per tutte queste compagnie un tasso di premi uguale per tutte e pari allo 0,1% e un premio di tariffa diviso in tre parti: 46% premio di rischio, 12% margine di sicurezza e 42% caricamento.

Fissata una probabilità di rovina <0,33%, Campagne individuò un margine di patrimonio pari al 16% dei premi di tariffa al netto della riassicurazione, mentre con un probabilità di rovina <0,03%, era necessario un margine di patrimonio

3 Quaderni Isvap, Il margine di solvibilità nelle imprese di assicurazione: confronto tra i sistemi europeo

(8)

5

pari al 25% dei premi di tariffa al netto della riassicurazione. Quest’ultimo è il margine raccomandato da Campagne.

Inoltre Campagne riteneva auspicabile un aumento del margine pari al 2,5% dei premi ceduti in riassicurazione per coprirsi dal rischio di riassicurazione.

Successivamente, De mori e Grossman allargarono l’analisi ai maggiori mercati europei considerando i principali ratio degli anni dal 1952 al 1957 di 10

compagnie per ciascun paese e notarono come il rapporto patrimonio libero su premi al netto della riassicurazione superasse di gran lunga quello suggerito da Campagne, attestandosi, in media, al 52,3%.

Sulla base di questi studi vennero emanate le prime direttive comunitarie per introdurre l’istituto del margine di solvibilità, come riserva complementare, rappresentato dal patrimonio libero dell’impresa4.

3. La vigilanza prudenziale secondo Solvency I

Nel 1994 fu costituita, da parte delle autorità di vigilanza dei paesi dell’unione europea, una commissione presieduta dal tedesco Müller con il compito di verificare la disciplina del margine di solvibilità e di proporre nuove soluzioni per superare i problemi emersi in circa 20 anni di sua applicazione.

Questo gruppo, formato da rappresentanti delle autorità di vigilanza di tutti i paesi membri, iniziò il suo lavoro nel 1994 e lo concluse nel 1997 con il report che è ritenuto all’origine dei cambiamenti introdotti con il Solvency I.

Gli obiettivi della commissione erano:

 fornire un panorama delle esperienze dei vari paesi europei ed esaminare se, nei casi problematici, la disciplina sul margine permetteva un

intervento sufficientemente celere da parte della vigilanza;

4 Quaderni Isvap, Il margine di solvibilità nelle imprese di assicurazione: confronto tra i sistemi europeo

(9)

6

 verificare se la regola di calcolo del margine minimo di solvibilità

considerava adeguatamente i vari rischi a cui l’impresa di assicurazione è sottoposta;

 valutare le attuali previsioni normative sui requisiti di solvibilità. Il report del Müller Working Party suggerì, per il futuro, di tenere in

considerazione le norme in materia di solvibilità applicate sia al di fuori dall’area europea (come il risk based capital statunitense), sia in altri settori finanziari (in primis quello bancario).

Per il gruppo di lavoro, l’attuale sistema non era totalmente da abbandonare, ma erano necessari alcuni aggiustamenti che permettessero di tener conto

maggiormente dei profili di rischio delle varie compagnie di assicurazione. Con le direttive comunitarie n. 12 e n. 13 del 2002, rispettivamente sul ramo vita e sui rami diversi dal ramo vita, venne costituito il sistema di vigilanza detto Solvency I.

Le norme di Solvency I lasciavano invariate le modalità di calcolo dei requisiti patrimoniali minimi obbligatori, correggendone tuttavia alcune componenti al fine di riflettere meglio la rischiosità effettiva dell’impresa, ad esempio elevando il fondo minimo di garanzia, la soglia per il calcolo del margine di solvibilità dei rami danni e la composizione del capitale disponibile.

La normativa rafforzava la vigilanza, imponendo l’obbligo di mantenere i requisiti di solvibilità su base continuativa, e non solo alla data di redazione del bilancio, ed estendeva la facoltà di intervento delle Autorità di controllo5.

Il fondo di garanzia era l’importo minimo di capitale da detenere a livello assoluto ed era posto a 2 milioni di euro per tutti i rischi, eccetto per la

responsabilità civile, il rischio di cauzione e di credito, dove era posto a 3 milioni di euro.

Il margine di solvibilità, o margine di solvibilità disponibile, veniva definito come il patrimonio dell’impresa, libero da qualsiasi impegno prevedibile, al netto degli elementi immateriali6.

5 A. Cappiello, Regolamentazione e risk management nelle imprese assicurative, FrancoAngeli, Milano,

(10)

7

Inoltre, le imprese assicuratrici dovevano disporre costantemente di un certo ammontare minimo del patrimonio netto, detto margine di solvibilità richiesto, determinato con l’applicazione, in misura fissa, di coefficienti ad alcune poste contabili ritenute rappresentative dei rischi da fronteggiare.

Fra il ramo danni ed il ramo vita furono elaborate soluzioni diverse, sia per quanto riguarda la rappresentazione del margine di solvibilità richiesto, sia per il calcolo del fabbisogno.

Riguardo al ramo danni, il calcolo andava effettuato sia in rapporto

all’ammontare annuo dei premi, sia in rapporto all’onere medio dei sinistri negli ultimi tre esercizi; che venivano elevati a sette per alcuni casi particolari (rischi di credito, tempesta, grandine e gelo). L’ammontare del margine di solvibilità richiesto doveva essere almeno pari al più elevato tra i risultati ottenuti

applicando i due criteri considerati.

Il regolamento ISVAP n. 19 del 2008 stabiliva che:

a) il calcolo in base ai premi andava fatto cumulando l’importo dei premi lordi contabilizzati nell’ultimo esercizio, previo aumento del 50% di quelli relativi alla responsabilità civile (ad eccezione dell’ R.C. auto). L’importo andava diviso in due quote: una inferiore a 57,5 milioni di euro ed una eccedente. Si applicava l’aliquota del 18% alla prima e del 16% alla seconda e si sommavano gli importi ottenuti. Tale risultato andava moltiplicato per il rapporto (calcolato sugli ultimi 3 esercizi) tra l’ammontare dei sinistri pagati e quelli a riserva al netto della

riassicurazione, e l’ammontare complessivo lordo dei sinistri stessi (se tale rapporto era inferiore al 50%, ai fini del calcolo, andava preso nella

misura del 50%);

b) Il calcolo in base all’onere medio dei sinistri andava fatto cumulando, al lordo delle quote a carico dei riassicuratori, le quote dei sinistri pagati per le assicurazioni dirette nel corso degli ultimi 3 (o 7) esercizi. Al risultato si sommava, al lordo delle quote a carico dei retrocessori, l’importo dei sinistri pagati negli stessi esercizi per i rischi accettati in riassicurazione e

(11)

8

si aggiungeva l’ammontare delle riserve sinistri lorde costituite alla fine dell’ultimo esercizio, per le assicurazioni dirette e per le accettazioni in riassicurazione. Dopodiché, si detraeva l’ammontare dei recuperi effettuati durante gli ultimi 3 (o 7) esercizi e l’ammontare delle riserve sinistri lorde costituite all’inizio del secondo esercizio precedente all’ultimo

considerato, sia per le assicurazioni dirette, sia per le accettazioni in riassicurazione. L’ammontare dei sinistri pagati, dei recuperi e delle riserve sinistri relativi alla responsabilità civile (ad eccezione dell’R.C. auto) era aumentato del 50%. La terza parte (o la settima parte) andava divisa in due quote: una inferiore a 40,3 milioni di euro e l’altra eccedente. Si applicava l’aliquota del 26% alla prima e del 23% alla seconda e si sommavano gli importi ottenuti. Tale risultato andava moltiplicato per il rapporto (calcolato sugli ultimi 3 esercizi) tra l’importo dei sinistri al netto della riassicurazione e l’ammontare complessivo dei sinistri al netto della riassicurazione.

Nel ramo vita i criteri erano differenziati in relazione alle specificità delle singole operazioni. In generale, per le assicurazioni sulla durata della vita umana doveva essere pari alla somma di 2 valori:

a) il 4% delle riserve matematiche;

b) lo 0,3% dei capitali sotto rischio positivi, moltiplicato per il rapporto, risultante dall’ultimo esercizio, tra l’importo dei capitali sotto rischio al netto della riassicurazione e l’importo dei capitali sotto rischio al lordo della riassicurazione.

Il margine di solvibilità, l’accantonamento di adeguate riserve tecniche insieme agli attivi a copertura di esse, costituiscono i principali strumenti di vigilanza prudenziale. Il margine di solvibilità copre un rischio generale, mentre le riserve tecniche rappresentano l’impegno dell’impresa nei confronti di tutti gli assicurati, ovvero la capacità di essa di far fronte alle proprie obbligazioni in rapporto al grado di sinistrosità stimato7.

7 A. Cappiello, Regolamentazione e risk management nelle imprese assicurative, FrancoAngeli, Milano,

(12)

9

Vi erano 3 categorie individuate dall’Autorità di vigilanza per la copertura del margine di solvibilità:

1) Elementi patrimoniali per i quali non sussistono limiti di utilizzo:  il capitale sociale versato o, se si tratta di società di mutua

assicurazione, il fondo di garanzia versato;

 le riserve legali, le riserve statutarie e le riserve facoltative, non destinate a copertura di specifici impegni o a rettifica di voci dell’attivo;

 gli utili dell’esercizio e degli esercizi precedenti portati a nuovo, al netto dei dividendi da pagare;

 le perdite dell’esercizio e degli esercizi precedenti portati a nuovo. Nella determinazione del patrimonio, ai fini del calcolo del margine di solvibilità, erano escluse le immobilizzazioni immateriali, le azioni proprie, le azioni o quote dell’impresa controllante e l’importo dell’utile distribuito o da distribuire ai soci. Le provvigioni da ammortizzare per contratti pluriennali, come pure gli altri analoghi elementi immateriali, potevano essere imputati solo per determinati importi distinti per il ramo vita e non vita8.

2) Elementi ammissibili con alcune restrizioni:

 le azioni preferenziali cumulative ed i prestiti subordinati a scadenza determinata potevano essere inclusi nel margine di

solvibilità disponibile fino all’ammontare complessivo del 25% del minor valore tra il margine disponibile dell’impresa ed il margine di solvibilità richiesto, purché vi fossero accordi vincolanti in base ai quali, in caso di fallimento o liquidazione dell’impresa di

assicurazione, questi strumenti fossero rimborsati dopo tutti gli altri debiti9;

 le azioni preferenziali cumulative, i prestiti subordinati a scadenza indeterminata e gli altri strumenti finanziari potevano essere inclusi

8 Art. 12, Regolamento ISVAP n. 19/2008. 9 Art. 15, Regolamento ISVAP n. 19/2008.

(13)

10

nel margine di solvibilità disponibile fino all’ammontare

complessivo del 50% del minor valore tra il margine disponibile dell’impresa ed il margine di solvibilità richiesto, purché vi fossero accordi vincolanti in base ai quali, in caso di fallimento o

liquidazione dell’impresa di assicurazione, questi strumenti fossero rimborsati dopo tutti gli altri debiti. Tale limite era da assumere per il totale dei titoli in oggetto, degli strumenti finanziari, delle azioni preferenziali cumulative e dei prestiti subordinati di cui s’è detto in precedenza, in relazione alle somme effettivamente versate10.

Inoltre, qualora l’impresa di assicurazione emittente, anche tramite imprese controllate, effettuasse operazioni di finanziamento o rilasciasse garanzie al sottoscrittore, ai fini dell’inserimento nel margine di solvibilità, le passività subordinate erano incluse al netto dei finanziamenti erogati o delle garanzie rilasciate11.

Nel caso di sottoscrizione reciproca di prestiti subordinati, titoli a durata indeterminata, azioni preferenziali cumulative ed altri strumenti finanziari, l’inclusione negli elementi del margine di solvibilità

disponibile doveva avvenire al netto delle somme versate reciprocamente12.

Le quote di passività subordinate riacquistate dall’impresa emittente, anche solo transitoriamente, non potevano essere incluse nel margine di solvibilità disponibile13.

3) Elementi utilizzabili solo previa autorizzazione dell’ISVAP:

Si tratta di elementi aggiuntivi del margine di solvibilità, che potevano essere compresi in esso, solamente tramite accettazione dell’ISVAP di una richiesta debitamente motivata e per periodi singolarmente non superiori a 12 mesi. Vi si potevano inserire:

10 Art. 16 e 17, Regolamento ISVAP n. 19/2008. 11 Art. 18, Regolamento ISVAP n. 19/2008. 12 Art. 19, Regolamento ISVAP n. 19/2008. 13 Art. 20, Regolamento ISVAP n. 19/2008.

(14)

11

 le plusvalenze latenti, al netto delle minusvalenze e degli impegni prevedibili nei confronti degli assicurati, risultanti dalla

valutazione di tutti gli investimenti dell’impresa, purché tali plusvalenze non avessero carattere eccezionale, sino a concorrenza, per le imprese vita e per le imprese danni, rispettivamente del 10% e del 20% del margine di solvibilità disponibile o, se inferiore, del margine di solvibilità richiesto14;

 la metà dell’aliquota non versata del capitale sociale o del fondo di garanzia sottoscritti, sempre che ne fosse stato versato almeno il 50%, sino a concorrenza del 50% del margine di solvibilità

disponibile o, se inferiore, del margine di solvibilità richiesto15.

Inoltre, per le assicurazioni sulla vita, il margine poteva comprendere anche la differenza tra l’importo della riserva matematica determinata in base ai premi puri, diminuita dell’importo della stessa riserva relativa ai rischi ceduti, e l’importo della corrispondente differenza tra la riserva matematica relativa agli affari assunti e quelli ceduti,

determinata in base ai premi puri maggiorati della rata di

ammortamento della spesa di acquisto contenuta nei premi di tariffa; questa differenza non poteva superare il 3,5% della somma delle differenze fra i capitali vita e le riserve matematiche per tutti i

contratti per i quali non fosse cessato il pagamento dei premi; essa era ridotta dell’eventuale importo iscritto nell’attivo per provvigioni di acquisizione da ammortizzare16.

Il modello di vigilanza di Solvency I, se da una parte poteva ritenersi positivo per la semplicità e la robustezza dell’impianto regolamentare, dall’altra aveva

sicuramente delle lacune da colmare.

Una delle principali criticità era l’applicazione di aliquote praticamente uniche ai parametri tecnici considerati, che non indicavano con precisione assoluta il grado di rischiosità dell’impresa. Infatti, tale prassi, danneggiava inevitabilmente le

14 Art. 23, comma 1, lettera c, Regolamento ISVAP n. 19/2008. 15 Art. 23, comma 1, lettera d, Regolamento ISVAP n. 19/2008. 16 Art. 23, comma 1, lettera b, Regolamento ISVAP n. 19/2008.

(15)

12

imprese di maggiori dimensioni, dato che un aumento del volume del portafoglio rischi, non è necessariamente accompagnato da un aumento della sinistrosità direttamente proporzionale17.

Inoltre, non era necessaria nessuna valutazione qualitativa sia degli impegni assicurativi, sia degli impieghi a copertura di esse. Ciò comportava che imprese col medesimo profilo di rischio dal lato del passivo, ma con attivi di diversa rischiosità, dovevano detenere i medesimi requisiti minimi di capitale, con evidenti ripercussioni negative sul sistema assicurativo.

In aggiunta, in questo modello, ai rischi non tecnici non veniva data la giusta importanza: infatti, venivano considerati solo in modo parziale. Ad esempio il rischio finanziario non rientrava nel calcolo del margine di solvibilità, ma lo si poteva ritrovare nelle regole d’investimento delle riserve tecniche.

Il sistema di vigilanza Solvency I aveva sicuramente il pregio di aver creato uno standard minimo di patrimonializzazione, ma non era sufficiente a rilevare, in modo preciso, i singoli profili di rischio di un’impresa assicurativa. Senza

considerare che non veniva fatta distinzione fra le varie fasi di vita aziendali, che richiederebbero dotazioni patrimoniali differenti.

Il collegamento tra le regole di vigilanza prudenziale attinenti

all’accantonamento di adeguate riserve tecniche, alla copertura di queste

mediante congrui investimenti ed al margine di solvibilità appariva debole, o più frequentemente, assente18.

Solvency I disegnava una regolamentazione a “macchia di leopardo” nell’Unione Europea, dove le direttive comunitarie fornivano lo schema di riferimento,

ovvero il livello di armonizzazione minima per l’area, ma poi ciascun paese era libero di decidere per proprio conto le concrete modalità di calcolo del margine di solvibilità. C’era dunque il concreto pericolo che “un campo non livellato di gioco” potesse favorire alcuni Paesi a danno di altri. Per non parlare delle conseguenze create dal crescente processo di internazionalizzazione

17 A. Cappiello, Regolamentazione e risk management nelle imprese assicurative, FrancoAngeli, Milano,

2008, pag. 20.

18 A. Cappiello, Regolamentazione e risk management nelle imprese assicurative, FrancoAngeli, Milano,

(16)

13

dell’industria assicurativa con la nascita di gruppi sempre più presenti in molti Paesi, obbligati a rispettare le più diverse regolamentazioni prudenziali proprio mentre, con il passaporto europeo, le loro polizze avevano libero accesso nel mercato continentale.

Infine, il margine di solvibilità, da solo, non può essere ritenuto sufficiente come garanzia, a causa della forte dipendenza che esso ha con le poste di bilancio e di conseguenza con i loro criteri di valutazione. Per questo è necessario un sistema avanzato di controllo e gestione dei rischi interno all’azienda stessa.

Per superare tutti questi elementi di criticità, il legislatore europeo ha cercato di creare una normativa più dettagliata e più stringente, che coinvolga direttamente gli organi interni dell’impresa assicurativa attraverso sistemi di corporate

governance e di risk management adeguati, che individui i rischi effettivi a cui va incontro l’impresa e che tenga conto, nella valutazione della solvibilità, non solo del margine richiesto, ma anche dell’adeguatezza degli impegni tecnici e degli impieghi a copertura di essi.

4. Nascita ed obiettivi di Solvency II

Proprio mentre era in atto il percorso di approvazione delle normative relative a Solvency I, la Commissione Europea decise di dare inizio ad una serie di lavori finalizzati alla predisposizione di una nuova direttiva che rivedesse

completamente l’intero sistema di vigilanza prudenziale nel settore assicurativo: tale progetto prese il nome di Solvency II.

Nel maggio del 2001 fu avviata la prima fase dei lavori con lo scopo di determinare la forma generale del sistema di solvibilità, dopo aver passato in rassegna i principali temi legati a questa problematica.

Tale compito fu commissionato a quattro gruppi di lavoro composti da KPMG (società specializzata nella consulenza alle imprese e revisione di bilancio), da un team di esperti (c.d. London Working Group) costituito dalla Conferenza delle

(17)

14

Autorità di vigilanza degli stati membri dell’Unione Europea, da un team di esperti nel ramo vita ed uno di esperti nel ramo danni, appartenenti a diversi stati membri.

I lavori si conclusero nel 2002 con la presentazione delle relazioni sul lavoro effettuato dai diversi gruppi. In particolare le analisi effettuate da KPMG portarono alla principale conclusione che l’approccio a tre pilastri, simile a quello adottato dal Comitato di Basilea, sarebbe stato adeguato anche per il progetto Solvency II:

 il primo pilastro avrebbe dovuto contenere le norme prudenziali sulle riserve, le attività ed i fondi propri minimi richiesti nonché eventuali requisiti supplementari a livello di gruppo;

 il secondo pilastro avrebbe riguardato le norme di controllo interno, di gestione dei rischi ed il loro controllo da parte delle autorità di vigilanza prudenziale;

 il terzo pilastro avrebbe contenuto un insieme di norme (principalmente dedicate alla trasparenza) destinate a favorire al disciplina di mercato. L’indagine svolta dal gruppo di lavoro delle Autorità di vigilanza fu più

approfondita e portò alla stesura di una relazione denominata “Sharma Report” (dal nome del presidente del gruppo stesso, Paul Sharma).

La principale conclusione della relazione fu che il sistema prudenziale doveva comportare tutta una serie di strumenti regolamentari, preventivi o correttivi, che permettessero di intervenire in tutte le fasi in cui un problema poteva

manifestarsi. In questa prospettiva, i requisiti patrimoniali sono soltanto uno dei necessari strumenti regolamentari, ma che non bastano da soli a costituire un sistema di vigilanza prudenziale.

Per favorire l’efficacia e la validità dei vari strumenti regolamentari, il gruppo di lavoro raccomandava una maggiore differenziazione e una più accurata

parametrizzazione delle soglie d’intervento in funzione delle caratteristiche finanziarie dell’impresa. A tal proposito raccomandò, tra gli obiettivi del rapporto, che le regole di vigilanza dovessero includere requisiti prudenziali di capitale basati su approssimazioni semplificate di modellizzazioni complesse

(18)

15

delle perdite prevedibili. Inoltre, suggerì una completa valutazione dei sistemi interni adottati per identificare, misurare, registrare, mitigare e monitorare tali esposizioni e che la formulazione e la calibrazione dei requisiti quantitativi considerassero al tempo stesso opportuni incentivi per una gestione, una governance ed un controllo dei rischi più efficienti.

Il gruppo di lavoro non vita si occupò del livello di armonizzazione delle riserve sinistri e delle riserve di perequazione in Europa. Il gruppo constatò che, per quanto riguarda le riserve sinistri, esisteva una grande diversità di pratiche in materia di accantonamento anche all’interno di uno stesso mercato nazionale; inoltre i supervisori non disponevano di un comune insieme di dati per l’analisi dei sinistri, e quindi sarebbe stato utile chiedere alle compagnie di fornire i dati statistici organizzati nella stessa forma in modo da renderli confrontabili. La mancanza di armonizzazione era ancora più netta per quel che riguardava le riserve di perequazione: il gruppo osservò che queste riserve potrebbero essere aggiunte ai fondi propri nel calcolo del margine di solvibilità, in modo da armonizzare maggiormente gli obblighi legati a tale margine.

Il gruppo di lavoro vita ebbe l’incarico di studiare le norme per il calcolo delle riserve matematiche, le tecniche di Asset-Liability Management (ALM) delle imprese e la possibilità di utilizzarle ai fini regolamentari.

Confrontando le caratteristiche dei differenti mercati, il team tentò di trovare interessi e soluzioni europee comuni.

L’attenzione si focalizzò su cinque grandi temi: i tassi di interesse garantiti, il rischio di mortalità legato alle rendite vitalizie, le clausole di partecipazione ai profitti (o profit-sharing), i prodotti unit-linked e le opzioni incluse in alcuni contratti.

Per ciascuno di questi temi furono avanzate proposte per migliorare la normativa europea, sia al livello dei principi, sia dei metodi di quantificazione.

La relazione proponeva anche l’introduzione di requisiti minimi in materia di Asset-Liability Management quale possibile base per partenza per le attività delle Autorità di vigilanza da armonizzare.

(19)

16

Riassumendo il lavoro svolto dai diversi team, il progetto Solvency II avrebbe dovuto presentare le seguenti caratteristiche:

 struttura a tre pilastri analoga a Basilea II;

 valutazione della solvibilità a livello complessivo (di impresa e di sistema);

 risk-based approach che incentivi gli operatori a misurare, valutare e gestire i rischi;

 presenza di due requisiti di capitale: Solvency Capital Requirement (SCR), che rappresenti il requisito obiettivo ed è destinato alla copertura di perdite considerevoli, ed il Minimum Capital Requirement (MCR), cioè un requisito minimo di sicurezza al di sotto del quale dovrebbero scattare gli interventi delle Autorità di vigilanza;

 armonizzazione dei metodi qualitativi e quantitativi;  vigilanza più accurata.

5. Il nuovo sistema di vigilanza prudenziale Solvency II

Il percorso legislativo affrontato dalla direttiva Solvency II è stato lungo e complicato a causa della complessità dei problemi tecnici che si sono dovuti affrontare per elaborare una nuova metrica del rischio delle imprese assicurative. Ѐ un cammino, che per effetto delle tensioni sui debiti sovrani nel biennio

2010/11, ha rischiato anche un pericoloso stop. Inoltre si deve considerare la complessità del sistema legislativo europeo, che ha appesantito ulteriormente il procedimento.

I passaggi fondamentali sono stati 5:

1) nel 2009 l’approvazione definitiva del Parlamento Europeo della direttiva contenente i principi fondamentali della futura regolamentazione:

modalità di calcolo dei nuovi requisiti di capitale, indirizzi in materia di corporate governante, di controllo dei rischi e gli obblighi informativi;

(20)

17

2) nel 2014 Parlamento e Consiglio Europeo approvano la direttiva Omnibus II che modifica alcuni aspetti della precedente direttiva;

3) sempre nel 2014 il Parlamento Europeo approva il regolamento con le misure applicative di Solvency II;

4) nel 2015 l’EIOPA (Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali) ha pubblicato le linee guida per l’attuazione di Solvency II;

5) infine dal 1° Gennaio 2016 la nuova normativa è entrata in vigore sostituendo il vecchio sistema Solvency I.

La nuova regolamentazione prudenziale nasce con l’obiettivo di coprire tutti i rischi che incombono sull’attività di un assicuratore compresi nell’intervallo di probabilità del 95% l’anno19.

In pratica soltanto gli eventi limite non vengono presi in considerazione, ovvero quegli eventi con una bassissima probabilità di accadimento (non superiore allo 0,5%) che, in situazioni di normalità, non dovrebbero influire in modo

significativo sull’intero sistema assicurativo. Se gli avvenimenti seguissero perfettamente la distribuzione normale, si potrebbe dire che il sistema di

vigilanza è stato disegnato per limitare le possibilità di fallimento di un’impresa assicurativa ad una volta ogni 200 anni (un rischio accettabile per il sistema). In realtà, affidarsi religiosamente all’andamento lineare delle frequenze, può essere quanto di più rovinoso per un sistema di vigilanza che mira alla stabilità delle imprese, perché è proprio nelle code della distribuzione normale che si annidano i grandi disastri finanziari come quello del 2008, di cui stiamo ancora pagando le conseguenze. Ma questo non vuol dire che Solvency II non sia in grado di proteggere il sistema assicurativo dagli eventi inattesi e più catastrofici. Aver posto il rischio al centro dell’attività d’impresa rappresenta un

cambiamento epocale nella disciplina della vigilanza. Le imprese di

assicurazione sono da sempre avvezze a misurare i rischi, ma in questa nuova cornice regolamentare devono sottostare ad una disciplina rigorosa: maggiori sono i rischi che decidono di coprire con le loro polizze, maggiore è il capitale di

(21)

18

cui devono disporre. Tutto ciò accompagnato da un sistema di controlli interni molto più pervasivo20.

Se la precedente normativa di vigilanza si fondava su quantità date di capitale da cui attingere in caso di necessità, Solvency II disegna piuttosto un sistema in costante equilibrio tra rischi e requisiti patrimoniali. Si tratta di un equilibrio dinamico, perché i rischi e le attività finanziarie necessarie a fronteggiarli sono realtà in continuo mutamento e necessitano di frequenti aggiustamenti.

La nuova normativa è stata costruita sottoponendo ai più diversi scenari di stress ogni aspetto rilevante nella vita di un’assicurazione. La domanda che si sono sottoposti i legislatori è la seguente: “Se si verifica questa particolare circostanza, di quanto capitale dovrebbe disporre un assicuratore per non fallire quasi

sicuramente (cioè nel 99,5% dei casi)?”

Rispondendo a queste domande è stato creato, in modo più razionale e più completo rispetto alle precedenti normative, un sistema quantitativo di vigilanza prudenziale per il mercato assicurativo.

In analogia con Basilea II, anche Solvency II poggia su 3 pilastri fondamentali: 1) le regole sui requisiti quantitativi di vigilanza prudenziale, ovvero sul

capitale, le riserve tecniche e gli investimenti;

2) le regole sui requisiti qualitativi, ovvero sul governo societario e sui controlli interni;

3) le regole sul reporting, ovvero sull’informativa di mercato e sulla sua supervisione.

5.1. Il primo pilastro di Solvency II

L’insieme di regole del primo pilastro formano il nucleo centrale del nuovo sistema di vigilanza.

Il primo passo per determinare le regole sul capitale aziendale è quello di

determinare i rischi a cui è sottoposta l’azienda e sottoporre la stessa a scenari di stress. I questo modo avremo un’idea chiara di quali sono i fattori negativi che

(22)

19

gravano sull’impresa e sarà più facile trovare delle soluzioni per eliminarli o quantomeno mitigarli.

In evidenza troviamo, ovviamente, le regole di calcolo dei nuovi requisiti patrimoniali, che si articolano su 2 livelli: il Solvency Capital Requirement (SCR) ed il Minimum Capital Requirement (MCR).

Il primo (SCR) è il principale requisito patrimoniale previsto: la sua funzione è quella di garantire un livello di capitale che consenta all’assicuratore di

fronteggiare significative perdite impreviste e, allo stesso tempo, di offrire agli assicurati la ragionevole certezza che i pagamenti dovuti saranno regolarmente onorati.

Il Solvency Capital Requirement deve contemplare la quantità di capitale

necessaria per fronteggiare tutti gli impegni assunti su un orizzonte temporale di un anno, dato un determinato livello di confidenza (99,5%)21. Può essere definito

come il VAR dei fondi propri dell’impresa assicuratrice, dove tutti i rischi conosciuti e quantificabili devono rientrare nel suo calcolo.

Al fine di determinare una misura del rischio in condizioni estreme, ancora una volta bisogna guardare al passato e rifarsi al concetto di volatilità.

I regolatori hanno stimato gli effetti sulla volatilità di diversi scenari avversi per stabilire i requisiti di capitale più appropriati a ciascun rischio aziendale. Il calcolo, comunque, non è così meccanico e gli assicuratori hanno alcune frecce nel loro arco per attenuare l’impatto potenziale di alcuni pericoli.

Innanzitutto, la lunga durata temporale dei loro investimenti riduce

spontaneamente i picchi di volatilità perché, se misurate in un lungo lasso

temporale, le fasi positive compensano quelle negative. Il tempo, in fondo, è una medicina anche per gli investimenti finanziari. In più l’industria delle polizze, nel rispetto del principio della prudenza degli investimenti, può miscelare al meglio i rischi del proprio portafoglio per attenuarne la portata. Seguendo questi

ragionamenti si è arrivati a scegliere la modalità di calcolo dell’SCR.

21A. Cappiello, Regolamentazione e risk management nelle imprese assicurative, FrancoAngeli, Milano,

(23)

20

Il calcolo può essere effettuato seguendo una formula standard che prevede la somma di più elementi:

 il requisito patrimoniale di solvibilità di base (Basic Solvency Capital Requirement);

 il requisito patrimoniale per il rischio operativo;

 l’aggiustamento per la capacità di assorbimento delle perdite. Solvency II è costruito per tenere conto di una realtà aziendale in continuo movimento. Le compagnie devono aggiornare il calcolo del requisito una volta l’anno, o più di frequente se cambia il loro profilo di rischio, e devono formulare le loro stime avendo come riferimento temporale i dodici mesi successivi dal momento della loro rilevazione. In ogni caso, le imprese devono monitorare il loro requisito su base continuativa.

L’albero dei rischi di Solvency II (Figura 1) rappresenta tutti i rischi contemplati dalla normativa per una compagnia di assicurazione, che entrano a far parte del calcolo dell’SCR nella sua formulazione standard.

(24)

21

Nel rischio di base (SCR di Base) troviamo sia quelli che sono i tipici rischi assicurativi del ramo vita e non vita, sia i rischi finanziari (o di mercato). Infatti sono questi due i tipi di rischio maggiori a cui è soggetta una compagnia di assicurazione. Ogni ramo assicurativo ha trovato il suo posto negli schemi di Solvency II che ha associato ad ogni rischio un appropriato requisito prudenziale in relazione a tipologia, frequenze e impatto potenziale di quella particolare esposizione. Nonostante tutto questo c’è sempre la possibilità, valutata dai regolatori, che qualche procedura interna vada storta ed è per questo che anche un generale rischio operativo è stato incluso nel calcolo del requisito di

solvibilità.

Tale formula rimane comunque abbastanza aleatoria e non eccessivamente stringente per le compagnie, perché vi sono alcune esemplificazioni nelle ipotesi iniziali e perché vi sono solo i rischi ragionevolmente quantificabili in termini di capitale.

Oltre a tutto questo gli assicuratori vengono spinti a crearsi dei propri modelli per il calcolo dell’SCR; questo per incoraggiarli a sviluppare una vera e propria cultura del rischio aziendale e non solo spingerli a dotarsi di un patrimonio adeguato.

L’idea alla base di questa scelta è quella di dare da una parte maggiori

responsabilità all’impresa e quindi sensibilizzarla ad una maggiore attenzione sui procedimenti interni, ma dall’altra parte di lasciarle anche una libertà maggiore. Infatti, non c’è nessuno che conosce le dinamiche aziendali ed i suoi rischi meglio dell’azienda stessa e questo processo, se ben utilizzato, porterà sicuramente ad una maggiore efficienza in termini di valutazione del rischio. In altre parole, quanto più le ipotesi adottate dal modello standard si distaccano dalla realtà aziendale, tanto più auspicabile sarà l’impiego di modelli interni. L’utilizzo di tali modelli è subordinato all’autorizzazione dell’Autorità di vigilanza. L’IVASS stabilisce che l’uso del modello interno può essere autorizzato se:

 l’impresa prova che vi è un ampio utilizzo del modello interno ai fini del risk management e dell’allocazione del capitale economico;

(25)

22

 rispetta degli standard minimi di significatività statistica, ovvero si avvale di giudizio esperto nella formulazione delle ipotesi e ne valuta la coerenza ed i possibili scostamenti;

 il modello è calibrato in modo coerente con il livello di protezione che l’SCR vuole garantire agli assicurati;

 l’impresa predispone un processo di validazione del proprio modello interno eseguito ciclicamente, che sia indipendente, significativo e che adotti tutti gli scenari di stress conosciuti a cui può andare incontro l’impresa;

 l’impresa fornisce un’adeguata documentazione circa il buon

funzionamento o meno del modello interno e ne specifica tutti i dettagli tecnici ed i processi di revisione.

Ovviamente, la compagnia assicuratrice avrà interesse ad adottare tali modelli se comportano un accantonamento di capitale inferiore rispetto a quello previsto dalla formula standard. Questo avviene solo con un profilo di rischio inferiore rispetto a quello medio stimato dalla normativa.

In ogni caso, qualunque sia la formula utilizzata per il suo calcolo, se l’SCR calcolato non viene ritenuto adeguato al profilo di rischio, l’Autorità di vigilanza può richiedere un capitale aggiuntivo.

Il secondo requisito patrimoniale (MCR), rappresenta la soglia di capitale minima, al di sotto della quale le obbligazioni assunte dall’assicuratore

rappresentano un livello di rischio inaccettabile per gli assicurati. Va calcolato ogni tre mesi e un’impresa assicurativa deve raggiungere almeno quel minimo presidio patrimoniale per poter continuare ad operare.

Il meccanismo per determinarne l’ammontare richiama il precedente sistema di vigilanza, comunque adattato al nuovo ambiente di Solvency II. In pratica il capitale minimo corrisponde ad una percentuale dei fondi propri dell’impresa in relazione ad alcune grandezze (premi netti e riserve assicurative), calibrati per tener conto della loro rischiosità.

Il Minimum Capital Requiremet deve essere compreso tra il 25% e il 45% dell’SCR; inoltre esiste anche un minimo assoluto, corrispondente a 3,2 milioni

(26)

23

di euro per le assicurazioni vita e 2,2 milioni per quelle non vita . Non rispettare tale requisito può comportare la revoca dell’autorizzazione all’esercizio

dell’attività assicurativa da parte dell’Autorità di vigilanza.

I fondi propri ammissibili per la copertura dei requisiti patrimoniali sono divisi in 2 macroclassi: i fondi propri di base ed i fondi propri accessori. I fondi propri di base sono costituiti dai seguenti elementi:

 eccesso delle attività sulle passività;  passività subordinate;

I fondi propri accessori sono soggetti ad approvazione da parte dell’Autorità e sono costituiti da attività fuori bilancio quali:

 capitale sociale non versato e non ancora richiamato;  lettere di credito;

 altri impegni giuridicamente vincolanti.

Oltre a questa distinzione, i fondi propri vengono ulteriormente classificati in 3 livelli in base al fatto di essere fondi propri di base o fondi propri accessori ed ai seguenti parametri:

 grado di subordinazione;

 capacità di assorbimento delle perdite;  durata;

 esenzione da requisiti o incentivi di riscatto;  esenzione da addebiti fissi obbligatori;  assenza di vincoli.

I livelli rappresentano la capacità dei fondi propri di assorbire le perdite nel tempo, ovvero la qualità di questi fondi propri.

Nel livello 1 rientrano i fondi propri di base con le seguenti caratteristiche: a) le azioni ordinarie versate e richiamate;

b) il fondo iniziale o gli elementi equivalenti dei fondi propri di base per le mutue e le imprese a forma mutualistica, meno gli elementi della stessa tipologia detenuti dall’impresa;

c) il conto sovrapprezzo azioni; d) le riserve, quali:

(27)

24

 gli utili non distribuiti, comprensivi dell’utile di esercizio e al netto dei dividendi previsti;

 le altre riserve;

 una riserva di riconciliazione finalizzata a catturare l’effetto generato dalla differente valutazione effettuata secondo i principi del bilancio di esercizio rispetto alla valutazione basata sulle regole Solvency II;

e) le riserve di utili nella misura in cui soddisfino i criteri di capacità di assorbire interamente le perdite, nella prospettiva di continuità aziendale, nonché in caso di liquidazione;

f) l’utile atteso incluso nei premi futuri; g) altri strumenti di capitale versato, quali:

 le azioni privilegiate;  le passività subordinate;  gli altri strumenti subordinati.

Tutti questi elementi sono ammessi a costituire fondi di 1° livello se soddisfano le seguenti condizioni:

a) l’elemento detiene il massimo livello di subordinazione;

b) l’elemento è interamente versato ed è immediatamente disponibile per l’assorbimento delle perdite;

c) l’elemento ha durata illimitata o ha una durata originale di almeno 10 anni;

d) l’elemento è rimborsabile o riscattabile solo su iniziativa dell’impresa di assicurazione, previa autorizzazione dell’Autorità di vigilanza e non deve includere alcun incentivo per il rimborso o il riscatto;

e) l’elemento deve essere libero da qualsiasi vincolo e non deve essere collegato a qualsiasi altra operazione che potrebbe compromettere le caratteristiche dell’elemento stesso (ad esempio: diritti di compensazione, garanzie, etc.).

Nel livello 2 rientrano i fondi propri di base con le seguenti caratteristiche: a) le azioni ordinarie richiamate;

(28)

25

b) i fondi propri in eccesso sugli importi utilizzati per coprire i rischi di pertinenza nel caso di riserve vincolate;

c) gli altri strumenti di capitale:

 altri strumenti di capitale richiamati che assorbono per primi le perdite o che presentano un livello pari a quello di strumenti di capitale che assorbono per primi le perdite;

 altri strumenti di capitale versati, comprese le azioni privilegiate, le passività subordinate e gli altri strumenti subordinati che non hanno le caratteristiche per essere collocati nel Livello 1 ma che

soddisfano i criteri di classificazione richiesti dal Livello 2. Tutti questi elementi sono ammessi a costituire fondi di 2° livello se soddisfano le seguenti condizioni:

a) l’elemento deve avere un rango inferiore alle obbligazioni verso tutti i contraenti, i beneficiari e verso gli altri creditori non subordinati; b) l’elemento ha durata illimitata o una durata originale di almeno 5 anni; c) l’elemento è solo rimborsabile o riscattabile su iniziative dell’impresa di

assicurazione, previa autorizzazione da parte dell’autorità di vigilanza e può includere moderati incentivi per il rimborso o per il riscatto;

d) l’elemento deve essere libero da qualsiasi vincolo e non deve essere collegato a qualsiasi altra operazione che possa compromettere le caratteristiche dell’elemento stesso.

Nel livello 3 rientrano i fondi propri di base con le seguenti caratteristiche: a) le attività fiscali differite nette;

b) gli altri strumenti di capitale quali ad esempio le azioni privilegiate e le passività subordinate.

Tutti questi elementi sono ammessi a costituire fondi di 3° livello se soddisfano le seguenti condizioni:

a) l’elemento dovrebbe avere un rango inferiore alle obbligazioni verso tutti i contraenti, beneficiari e verso gli altri creditori non subordinati;

(29)

26

c) l’elemento deve essere libero da qualsiasi vincolo e non deve essere collegato a qualsiasi altra operazione che possa compromettere la classificazione dello strumento come elemento dei fondi propri di base. I fondi propri di base possono rientrare in tutti e tre i livelli, mentre i fondi propri accessori solo nei livelli 2 e 3. Un elemento dei fondi propri accessori deve normalmente essere inserito nel 3° livello, eccetto nel momento in cui, se fosse richiamato ed interamente versato, sarebbe classificato nel 1° livello; in tal caso può essere inserito negli elementi di 2° livello.

Questo criterio di classificazione dei fondi propri a copertura dei requisiti patrimoniali in livelli, i cosiddetti Tiers, è lo stesso che ritroviamo in Basilea II, da dove, ancora un volta, la direttiva attuale ha preso spunto. Questo non deve sorprendere, in quanto banche ed assicurazioni hanno un cruciale elemento in comune: dover garantire la stabilità patrimoniale per essere credibili le une verso i depositanti e le altre verso gli assicurati.

L’SCR deve essere costituito per almeno il 50% da elementi del livello 1 e gli elementi del livello 3 non possono superare il 15% dell’SCR.

Per quanto riguarda l’MCR, soltanto i fondi propri di base appartenenti al livello 1 e 2 sono ammissibili per la sua copertura, inoltre almeno l’80% di esso deve essere costituito da fondi di 1° livello.

Sebbene il ruolo del capitale sia di fondamentale importanza nel sistema di Solvency II, rimangono di basilare importanza le regole sulle riserve tecniche e sugli investimenti.

Per quanto riguarda le riserve tecniche, che hanno il compito di garantire gli impegni presi dalla compagnie, la normativa ha lo scopo principale di armonizzare il livello di prudenza della loro determinazione.

Secondo il regolatore, il valore delle riserve tecniche corrisponde all’importo attuale che le compagnie dovrebbero pagare se l’assicuratore dovesse trasferire immediatamente quelle obbligazioni sulle spalle di un’altra compagnia22.

Se il principio appare semplice, in realtà il calcolo non lo è affatto. Si deve determinare innanzitutto la “miglior stima” (best estimate) dei pagamenti futuri e

(30)

27

poi aggiungere un “margine di rischio” (risk margin); il valore delle riserve scaturisce dalla somma di questi due elementi.

Il primo elemento (best estimate) corrisponde al valore attuale atteso dei flussi di cassa futuri. Tale valore corrisponde alla media dei flussi di cassa futuri

ponderata per la probabilità, tenendo conto del valore temporale del denaro, sulla base della pertinente struttura per scadenza dei tassi d’interesse privi di rischio23.

Nei flussi di cassa bisogna tenere conto di tutte le uscite e le entrate di denaro per regolare le obbligazioni di assicurazione e di riassicurazione, tenendo conto di tutte le spese (partecipazioni discrezionali agli utili, garanzie finanziarie ed opzioni contrattuali).

Tale calcolo è da farsi con l’utilizzo di metodi statistici-attuariali adeguati, tramite informazioni attendibili e formulando ipotesi realistiche.

Ai fini del calcolo trimestrale della “migliore stima” delle riserve tecniche,

l’impresa può eseguire un calcolo evolutivo, tenendo conto dei flussi di cassa che si sono verificati e delle nuove obbligazioni sorte nel corso del trimestre. La compagnia assicuratrice deve aggiornare le ipotesi del metodo di calcolo evolutivo quando l’analisi attuale a fronte di quella prevista indica che sono intervenute modifiche durante il trimestre24.

Il secondo elemento (risk margin) viene calcolato dall’impresa in modo tale da garantire che il valore delle riserve tecniche equivalga all’importo di cui

l’impresa medesima dovrebbe disporre per assumere e onorare gli impegni assicurativi e riassicurativi25.

L’impresa è tenuta a calcolare questi due elementi in modo separato eccetto in un caso particolare, ovvero quando i flussi di cassa futuri connessi con gli impegni assicurativi e riassicurativi possono essere riprodotti in modo attendibile, facendo ricorso a strumenti finanziari per i quali sia osservabile un valore di mercato valido; in questo caso l’impresa determina il valore delle riserve tecniche, associate a quei futuri flussi di cassa, sulla base del valore di mercato di tali strumenti finanziari.

23 Art. 36 ter., comma 2, Codice delle Assicurazioni Private. 24 Art. 51, Regolamento IVASS n. 18/2016.

(31)

28

Il “margine di rischio” si calcola determinando il costo per la costituzione di fondi propri ammissibili per un importo pari all’SCR necessario per far fronte agli impegni assicurativi e riassicurativi per la loro intera durata26. Tale tasso di

attualizzazione è fissato dall’IVASS e revisionato periodicamente.

Ai fini del calcolo del “margine di rischio”, l’impresa deve valutare la necessità di effettuare una proiezione completa di tutti i futuri requisiti patrimoniali di solvibilità al fine di riflettere in modo proporzionato la natura, la portata e la complessità dei rischi sottesi alle obbligazioni assunte dalla stessa. In caso sia valutata la non necessità, l’impresa può utilizzare metodi alternativi per il calcolo del “margine di rischio”, purché sufficientemente in grado di rilevare il profilo di rischio dell’impresa27.

In merito agli investimenti, Solvency II, si rifà al principio di prudenza nella valutazione. Le attività devono essere valutate all’importo al quale potrebbero essere scambiate, tra parti consapevoli e consenzienti, in un’operazione svolta alle normali condizioni di mercato.

Inoltre, è richiesto il matching per natura e durata fra le riserve tecniche e gli attivi a copertura di esse. Questo perché dei disallineamenti potrebbero

comportare degli squilibri fra i flussi di cassa in entrata e in uscita, aumentando così la rischiosità della compagnie e la quantità di patrimonio da detenere.

5.2. Il secondo pilastro di Solvency II

La disciplina di Solvency II non si limita a stabilire i requisiti di capitale che le imprese assicurative devono detenere, ma interviene in modo attivo su tutta la struttura dell’azienda per far sì che il calcolo e il monitoraggio dei ratio

prudenziali sia vissuto come un passaggio centrale nella realtà della compagnia. Nell’intento di chi ha disegnato il nuovo scenario regolamentare, la cultura del rischio, che peraltro appartiene alla storia dell’industria assicurativa fin dalle sue origini, deve divenire il motore effettivo del business. Ovviamente, ciò è sempre avvenuto, dato che l’attività assicuratrice consiste nell’assumersi dei rischi e,

26 Art. 36 ter., comma 9, Codice delle Assicurazioni Private. 27 Art. 60, Regolamento IVASS n. 18/2016.

(32)

29

quindi, gestirli al meglio, ma Solvency II si sforza di disegnare gli incentivi adeguati perché i manager assicurativi ne siano pienamente consapevoli. A questo è dedicato il secondo pilastro che si occupa, come già detto in precedenza, dei requisiti qualitativi del nuovo sistema prudenziale.

Il fatto che le aziende di assicurazione abbiano il ciclo economico-finanziario invertito, può portare i manager a comportamenti azzardati se non addirittura scorretti, allo scopo di ottenere un maggiore profitto (ad esempio potrebbe sottostimare le riserve).

La nuova disciplina prudenziale fa capire ad un assicuratore che comportamenti troppo rischiosi comportano un accantonamento maggiore di capitale e, dato che esso è un bene costoso e limitato, gli investitori porteranno risorse solo se queste verranno ben remunerate. Per fare ciò è necessaria una gestione attenta

dell’attività e che tutta l’azienda sia coinvolta in questo processo economico e culturale di gestione efficiente dei rischi.

Ecco perché il secondo pilastro di Solvency II è così importante ed è complementare al primo.

La nuova architettura regolamentare, dopotutto, si limita a sottolineare ed a rendere cogenti principi già presenti in tutti i manuali di gestione d’impresa, indicando le buone regole di governo societario che le compagnie devono osservare.

La novità sta piuttosto nel fatto che, normalmente, quei precetti, in aggiunta alle disposizioni contenute nel codice civile, sono presenti in codici di

autoregolamentazione che le imprese sono libere di accettare o meno e sono rivolti soprattutto alle società quotate. In questo caso invece sono declinati direttamente nella nuova disciplina regolamentare quasi a ribadire il ruolo speciale attribuito alle imprese assicurative in funzione della loro attività. E valgono per tutte le compagnie, quotate o meno, grandi o piccole.

Obiettivo di un buon sistema di corporate governance è quello di attribuire precise responsabilità a ciascun organo sociale e giungere ad un efficace bilanciamento tra poteri di gestione e poteri di controllo28.

(33)

30

Solvency II si preoccupa innanzitutto di affermare la centralità del consiglio di amministrazione (Cda) nella gestione dell’azienda e nella supervisione del sistema dei controlli interni.

In primo luogo spetta all’organo amministrativo definire “l’appetito per il rischio” della compagnia almeno una volta l’anno. Inoltre, deve valutare la quantità di capitale che un’impresa è disposta a destinare, o può destinare, ai rischi che si è impegnata a coprire; ben sapendo che ad ognuno di loro, nella metrica di Solvency II, è associato un requisito di capitale.

È una funzione strategica che presuppone la conoscenza dei rischi e la

predisposizione ad affrontarli, richiede l’individuazione di soglie di tolleranza e la definizione della massima esposizione ammissibile. È da queste valutazioni che nasce il piano strategico di una compagnia, la scelta di entrare in un ramo assicurativo o di uscire da altri.

Con Solvency II l’attento controllo dei rischi e il più efficiente dosaggio del capitale di cui la compagnia dispone diventano le principali leve strategiche in mano al management.

Figura 2. Le spie dei rischi

Al Cda fa capo anche l’attività di Internal Audit, ovvero la revisione interna dell’attività aziendale incaricata di verificare che tutti gli organismi dell’impresa si comportino correttamente e di scoprire eventuali fatti censurabili.

(34)

31

Inoltre, nell’ambito di Solvency II, il Cda approva anche le politiche di

valutazione e gestione dei rischi nonché i piani di emergenza, di riservazione, di riassicurazione e delle altre tecniche per la mitigazione dei rischi.

Anche il delicato compito riguardante l’approvazione delle politiche aziendali sui requisiti di onorabilità e professionalità di amministratori, alta dirigenza e

responsabili delle funzioni di controllo spetta al Cda.

La normativa, come si può vedere, dà molte responsabilità nelle mani degli organi aziendali, divedendole in modo in modo chiaro per ogni organo.

Un ruolo fondamentale nel risk management aziendale è dato dall’ORSA (Own Risk and Solvency Assessment), strumento condiviso tra compagnie e Autorità di vigilanza per far sì che il processo di costruzione e di verifica dei requisiti di solvibilità si svolga secondo una precisa scansione.

Secondo le regole dell’ORSA l’impresa deve:

1) definire il profilo di rischio accettabile per la sua attività; 2) implementare una strategia di risk management;

3) seguire l’evoluzione del rischio, valutando gli scostamenti dalle ipotesi e rivedendo la propria strategia di risk management;

4) fornire periodiche informazioni all’Autorità di vigilanza.

In altre parole, è un insieme di processi costruiti per la valutazione interna del rischio e della solvibilità ed è, inoltre, uno strumento di vigilanza per l’Autorità, che deve ricevere reporting periodici sui risultati dell’impresa in quest’ambito. L’ORSA presuppone non più una visione di tipo “bottom-up”, ma di tipo “top-down”. Come già detto, infatti, la gestione dei rischi aziendali pervade tutta l’impresa partendo dal Cda fino ai piani più bassi dell’attività.

In questo ambiente la vigilanza è una sorta di tutor delle pratiche aziendali, rendendole appropriate ed indirizzandole verso i migliori standard. Ovviamente non si vuole sostituire al management, ma lo segue nella sua attività, riducendo significativamente le possibili distorsioni soggettive sulla percezione dei rischi aziendali. Questa partecipazione attiva dei supervisori agevola la prevenzione delle crisi, promuovendo misure preventive anziché intervenire a cose fatte. Per quanto riguarda la funzione attuariale, Solvency II afferma che:

(35)

32

“La funzione attuariale è esercitata da persone che dispongono di conoscenze di matematica attuariale e finanziaria, commisurate alla natura, alla portata e alla complessità dei rischi inerenti all’attività dell’impresa di assicurazione o di riassicurazione e che sono in grado di dimostrare un’esperienza pertinente in materia di norme professionali e di altre norme applicabili”.

Anche in questo caso si limita a ribadire un concetto già conosciuto, ma che con la nuova normativa sarà legge a tutti gli effetti. C’è da osservare che in Italia, sotto questo punto di vista, già la precedente normativa sulla revisione delle riserve tecniche affermava gli stessi principi sulla funzione attuariale.

Nella gestione delle regole d’investimento, vengono richiamati i principi generali di sicurezza, redditività, liquidità e diversificazione del portafoglio.

La sicurezza rappresenta la base di ogni investimento per una compagnia assicurativa, infatti, la cosa fondamentale è che gli investimenti non siano soggetti a perdite di valore dato che si devono sempre garantire le obbligazioni assunte verso gli assicurati.

Redditività e liquidità assumono rilevanza maggiore o minore, l’una rispetto all’altra, a seconda del tipo di assicurazione da cui provengono le risorse per l’investimento.

Nel ramo vita sarà necessario fare investimenti dando la precedenza al requisito di redditività, perché tali contratti si avvicinano molto ai contratti di rendita finanziaria ed è quindi bene coprirli con investimenti che generino flussi di cassa per pagare il tasso di remunerazione promesso all’assicurato.

Nel ramo danni, a causa dell’imprevedibilità maggiore dell’evento assicurato, sarà consigliato dare la precedenza al requisito di liquidità, in modo tale da avere attività prontamente disponibili in caso sia necessario pagare l’assicurato.

Ovviamente entrambi i requisiti sono comunque importanti e da tenere in forte considerazione sempre, qualunque sia il tipo di contratto assicurativo alla base dell’investimento.

La regola di diversificare il portafoglio è ovviamente importantissima in ogni tipo di società finanziaria per mitigare i rischi, quindi, anche le compagnie di

(36)

33

assicurazione, devono sempre tenere a mente questa regola e Solvency II la pone alla base della sana e prudente gestione delle attività.

I contratti derivati a fini speculativi vengono banditi e lasciati solo per scopi di copertura.

Tutte queste regole sugli investimenti erano ovviamente già conosciute, ma con Solvency II vengono rese obbligatorie.

5.3. Il terzo pilastro di Solvency II

Un’impresa si comporta meglio se viene obbligata a farlo e se c’è qualcuno che guarda con interesse i suoi comportamenti. Questo qualcuno è il mercato. Il terzo pilastro di Solvency II è stato pensato e costruito partendo da questa convinzione.

La fiducia rappresenta un ingrediente fondamentale nel business assicurativo e, tanto più un’impresa sarà trasparente e disponibile a fornire informazioni sulla propria realtà, tanto più il mercato sarà disposto a darle fiducia.

Inoltre, la grande quantità di informazioni, che le società assicuratrici sono tenute ad inviare, sono di grande aiuto anche all’Autorità di vigilanza per comprendere meglio lo stato di salute dei soggetti vigilati.

In aggiunta a tutte le informazioni che già sono tenute a fornire tutte le aziende, specialmente se quotate, Solvency II prevede anche uno speciale rapporto annuale sulla solvibilità e sulla condizione finanziaria, cosiddetto Solvency and Financial Conditions Report (SFCR) ed una relazione annuale da fornire ai fini della vigilanza, cosiddetto Regular Supervisory Report (RSR).

L’SFCR deve contenere:

1) una descrizione dell’attività e dei risultati dell’impresa;

2) una descrizione del sistema di governance e la sua valutazione di adeguatezza;

3) per ciascuna categoria di rischio, una descrizione dell’esposizione al rischio, delle concentrazioni di rischio, dell’attenuazione del rischio e della sensibilità al rischio;

(37)

34

4) una descrizione delle basi e dei metodi utilizzati per la valutazione delle attività e delle passività, nonché la spiegazione di eventuali differenze rilevanti rispetto alle basi ed ai metodi utilizzati per la loro valutazione nel bilancio;

5) una descrizione della gestione del capitale, che includa almeno:  la struttura e l’importo dei fondi propri nonché la loro qualità;  gli importi del requisito patrimoniale di solvibilità e del requisito

patrimoniale minimo;

 le informazioni che consentano di comprendere le principali differenze tra le ipotesi sottostanti la formula standard e quelle di qualsiasi modello interno utilizzato dall’impresa per il calcolo del suo requisito patrimoniale di solvibilità.

L’RSR deve essere fornita all’Autorità di vigilanza per consentire alla stessa di valutare le medesime informazioni date al mercato con l’SFCR, ma con un livello di dettaglio maggiore.

La quantità di numeri e informazioni che deve essere trasmessa è significativa e riguarda ogni aspetto rilevante nel business di una compagnia. Tra la

documentazione obbligatoria è incluso anche l’Orsa report.

Le informazioni da fornire, oltre ad essere fornite in modo automatico e regolare, possono essere fornite anche in base ad un evento predefinito o, in ogni caso, su richiesta dell’Autorità di vigilanza.

La compagnia deve adottare una politica scritta per il reporting e rispettare una reportistica di vigilanza armonizzata a livello europeo.

5.4. La nuova disciplina sulla solvibilità di gruppo

Solvency II ha introdotto inoltre importanti novità per quanto riguarda la vigilanza sui gruppi.

Innanzitutto, ha superato il vecchio concetto di gruppo assicurativo. La

capogruppo non può essere diversa dall’ultima società controllante e non è più rilevante il rapporto di controllo, ma la responsabilità della vigilanza sul gruppo e

Riferimenti

Documenti correlati

Se poi è vero che la progressiva scomparsa degli elementi epigrammatici dalla raccolta marca il progresso redazionale, colloca E, e subito dopo Lu, all’inizio

Figure 1: a) overview of the Monviso Unit south of the Pellice river taken from the Alpe Giulian toward the divide (white dashed line) with the Po Valley (view looking south); b)

Anche il piano temporale dei film, in effetti, serve a demarcare meglio i rapporti tra i film nati dalla collaborazione: sia in Stromboli sia in Viaggio in

Nel corso dell’anno ho infatti cercato di e- sercitare l’abitudine al pensiero storico degli allievi anche tramite la formulazione di ipotesi da par- te loro e mi sono soffermata in

Il sondaggio proposto ha interessato teoricamente tutti i docenti di matematica delle le scuole medie di tre cantoni: Ticino, Zurigo e Ginevra. Va subito detto che tale campione non

Ad esempio, per la prima filastrocca intitolata Camera (Allegato 14: Rime chiaro scure), gli allievi hanno associato una musica “triste” e “calma”, ricordando il momento

Attraverso la mia domanda di tesi: “in che modo l’offerta del CAD può contribuire al cambiamento del vissuto della propria corporeità?”, intendo indagare la dimensione