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Il ne bis in idem ed il coordinamento tra giurisdizioni nazionali

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Academic year: 2021

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INDICE

Introduzione……….……p. 4

CAPITOLO I Il principio del ne bis in idem

1. Il divieto di ne bis in idem: un inquadramento generale……… p. 11 2. L’evoluzione del principio: l’antica regola del bis de eadem re ne sit

actio………... p. 22

2.1. Segue: la progressiva affermazione del principio a livello internazionale ………... p. 26

2.2 segue: La svolta di Schengen: la convenzione di applicazione

dell’Accordo di Schengen e il suo art. 54

CAAS………... p. 29 2.3 La compatibilità tra l’art. 54 CAAS e l’art. 50 della Carta di Nizza………. p.40 2.4 Le ulteriori esperienze che hanno portato il riconoscimento del divieto del nuovo processo ………. p. 51 3. L’applicazione del principio: dal requisito della irrevocabilità delle sentenze al suo superamento ……… p. 60 4. La nozione di Idem factum ……….. p. 63 5. Il principio del ne bis in idem nell’ordinamento interno.

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CAPITOLO II

L’applicazione del principio del ne bis in idem nella giurisprudenza europea

1. L’esigenza di un coordinamento oltre i confini

nazionali………... p. 78 2. La sentenza Grande Stevens e altri vs Italia: le premesse

fattuali... p. 84 2.1 segue: le considerazioni in diritto: il doppio binario sanzionatorio……… p. 96 2.2. segue: un richiamo alla sentenza Aklagaren c. Akerberg Fransson ……… p. 103

2.3. segue: le ripercussioni applicative della

pronuncia………... p. 107 3. I principi affermati in altre sentenze della Corte europea e gli effetti nel settore tributario ……… p. 117 4. Verso un nuovo intervento della Corte di Giustizia dell’Unione

Europea……….. p. 128

CAPITOLO III

L’applicazione del principio del ne bis in idem nella giurisprudenza italiana 1. L’interpretazione giurisprudenziale del ne bis in idem

precedentemente all’entrata in vigore della Convenzione di Schengen ………... p. 132

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2. L’interpretazione giurisprudenziale del ne bis in idem nella giurisprudenza italiana successivamente all’entrata in vigore della Convenzione di Schengen ……….. p. 135 3. Esempi di applicazione del ne bis in idem: la sentenza Walz Gordon

+ 2, GUP, Milano, 6 luglio 2011 ……… p. 138 4. Questioni aperte: in particolare sulla possibilità di rinnovare un processo già celebrato in un paese non aderente al Trattato di Schengen nei confronti di un imputato straniero per fatti di reato commessi nel territorio italiano ……….. p. 151

Conclusioni ………... p. 154

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Introduzione

Con il presente elaborato, si vuole porre l’attenzione su un importante principio che si è affermato, con un lungo e travagliato percorso, a livello europeo e, più ampiamente parlando, internazionale: il ne bis in idem. Partendo da considerazioni di carattere generale, riguardanti le sue concezioni e, più in generale, la sua applicazione nel tempo, ci siamo poi soffermati sulla giurisprudenza europea in materia, fino ad arrivare poi anche alla sua applicazione in un ambito per così dire nazionale, ovvero all’interno della stessa giurisdizione, nel caso di specie quella italiana. In un contesto mondiale socio-politico-economico così delicato e complesso, infatti, possiamo notare come la sempre maggiore cooperazione in materia giudiziaria e negli affari interni tra gli Stati membri dell’Unione Europea agevola sicuramente l’aiuto reciproco e il dialogo fra di essi.

Per molto tempo, tuttavia, la cooperazione intergovernativa fra gli Stati comunitari si è ridotta esclusivamente alle riunioni dei ministri della Giustizia degli Stati membri che avvenivano informalmente, di fronte a comitati o a gruppi di esperti interpellati per la risoluzione di particolari questioni.

In occasione della Conferenza intergovernativa del 7 febbraio del 1992, fu approvato il Trattato di Maastricht, che entrò in vigore il 1 novembre 1993, in risposta all’esigenza di conferire una maggiore coerenza alle forme di cooperazione fino a quel momento sviluppatesi.

Tuttavia, inizialmente, non fu possibile integrare tale settore nel Trattato di Roma, a causa delle resistenze opposte da alcuni Stati membri.

Tali circostanze suggerirono la creazione della struttura a “tre pilastri” dell’Unione Europea: le comunità originarie (CECA e Euratom), detta anche “colonna centrale” nel primo, la politica estera e la sicurezza

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comune (PESC) nel secondo ed infine, nel terzo pilastro, la richiamata cooperazione negli affari interni e giudiziari (GAI)1.

Dal canto loro, gli Stati membri dell’Unione Europea, prima dell’entrata in vigore della Cooperazione nel settore della Giustizia e degli affari interni (GAI), avevano redatto degli accordi ad hoc sulla cooperazione in materia penale nell’ambito della cooperazione politica europea.

Con l’entrata in vigore del GAI, secondo quanto stabilito dal Trattato di Maastricht, e la parallela estensione della competenza della Corte di Giustizia alle materie del terzo pilastro, introdotta dal Trattato di Amsterdam, la Corte di Giustizia della Comunità Europea (CGCE) ha elaborato una serie di principi generali del diritto comunitario, allegando la loro portata applicativa a nuovi ambiti politici connessi ai principi del giusto processo e dei diritti fondamentali2.

Il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009 ha abolito i tre pilastri ed ha “comunitarizzato” le residue materie aventi ancora carattere intergovernativo3.

La vera svolta si è avuta con l’Accordo di Schengen del 14 giugno 1985, quando la Francia, la Germania ed i tre paesi del Benelux raggiunsero un accordo al fine di instaurare una più stretta cooperazione tra loro in vari

                                                                                                               

1 AVV. VINCENZO VALDINA e AVV. LUIGI GIACOMO SCASSELLATI

SFORZOLINI, La Cooperazione Giudiziaria nell’Unione Europea,

www.consiglionazionaleforense.it, p. 2.

2 J. A. E. VERVAELE, i diritti fondamentali nello spazio europeo di libertà, sicurezza e

giustizia: il principio pretorio del ne bis in idem secondo la Corte di Giustizia, p.1, versione modificata ed aggiornata (al 29.04.2009) del lavoro di J. A. E. VERVAELE multilevel and multiple punishment in Europe. The ne bis in idem principle and the protection of human right in Europe’s area of freedom, security and justice, in A. VAN HOEK, e.a. (eds.) multilevel Governance in Enforcement and adjudication, Intersentia Antwerpen, 2006, pp. 1-24.

3 Il metodo comunitario ha sostituito il metodo intergovernativo, accentuando il

carattere di organizzazione sovranazionale di contro a quello di organizzazione internazionale.

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settori ritenuti di importanza strategica: immigrazione, cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale, con la creazione del Sistema di Informazione Schengen (SIS).

Questa cooperazione vide, successivamente, l’adesione di numerosi Stati membri dell’Unione Europea4.

L’obiettivo è stata la realizzazione di uno spazio di giustizia, libertà e sicurezza dell’Unione Europea idoneo ad assicurare la libera circolazione delle persone e ad offrire un livello elevato di protezione ai cittadini. Uno spazio inglobante settori politici che vanno dalla gestione delle frontiere esterne dell’Unione alla cooperazione in materia civile e penale ed alla cooperazione di polizia, senza dimenticare le politiche di asilo e immigrazione e la lotta contro la criminalità organizzata.

In particolare, perché quest’ultima sia efficace, diventa più che mai necessario un rafforzamento del dialogo e dell’azione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri in materia penale.

La cooperazione giudiziaria in materia penale è fondata sul principio del riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie da parte degli Stati membri e include il ravvicinamento delle disposizioni legislative nazionali, nonché l’applicazione di norme minime comuni, riguardanti principalmente l’ammissibilità delle prove, i diritti delle vittime della criminalità e i diritti della persona nella procedura penale. Sulla scorta di queste premesse, l’Unione Europea ha pertanto istituito organi specifici per facilitare la collaborazione, in particolare Eurojust e la rete giudiziaria europea che sostengono la collaborazione tra le autorità giudiziarie.

Eurojust è un organo istituito all’uopo con una decisione del Consiglio 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002 (modificata poi dalla decisione

                                                                                                               

4 J. A. E. VERVAELE, i diritti fondamentali nello spazio europeo di libertà, sicurezza e

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2009/426/GAI), per rafforzare la lotta contro le gravi forme di criminalità concernenti almeno due Stati membri, teso a migliorare il coordinamento tra le autorità competenti e ad agevolare la loro cooperazione in materia giudiziaria.

Per raggiungere i suoi obiettivi, Eurojust deve essere in grado di interfacciarsi con le autorità competenti e scambiarsi qualsiasi informazione rilevante: in quest’ottica, va quindi garantita l’applicazione dei principi della Convenzione d’Europa del 1981 sulla protezione delle persone rispetto al trattamento autorizzato dei dati personali.

Eurojust può trattare solo i dati riguardanti le persone che sono sospettate di avere commesso un reato di sua competenza o che sono state condannate per un siffatto reato, nonché le vittime ei testimoni5.

La creazione di Eurojust era uno degli obiettivi che il Programma di Stoccolma (Gazzetta Ufficiale C115 del 4.5.2010) si prefissava di raggiungere nel periodo 2012-2014, accanto allo sviluppo di strumenti per attuare il principio del riconoscimento reciproco in ogni fase del procedimento penale, al ravvicinamento di diritto procedurale e sostanziale degli stati membri (ove necessario per migliorare la fiducia e il riconoscimento reciproci), all’elaborazione di norme minime comuni per garantire che i processi siano equi in tutta l’UE, al miglioramento della fiducia reciproca tra gli ordinamenti giudiziari nazionali dell’UE sviluppando una cultura giudiziaria europea mediante la formazione ed il collegamento in rete degli operatori di giustizia, nonché al rispetto degli aspetti esterni della cooperazione giudiziaria dell’UE6.

A questo scopo fu redatto anche un Piano d’azione per l’attuazione del

                                                                                                               

5Cooperazione giudiziaria in materia penale. Decisione che istituisce Eurojust, www.eur-lex.europa.eu, p. 1.

6 Cooperazione in materia penale, ultimo aggiornamento 13/01/2015, www.e-justice.europa.eu, p. 1.

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Programma di Stoccolma [COM (2010) 171]7.

Sennonchè una tendenziale “universalità” della giurisdizione penale dei singoli Stati, capace di abbracciare potenzialmente, per il tramite di criteri di collegamento, illeciti da chiunque e ovunque commessi, costituisce da sempre una criticità dei rapporti sovranazionali intercorrenti in materia penale8.

Ogni ordinamento ha una sua propria libertà di interpretazione e validità della legge penale e della sua competenza giurisdizionale9 e, non di rado,

si può essere nella condizione di dover decidere su questioni e fatti che presentano elementi di estraneità con il proprio ordinamento di riferimento, rientranti in una punibilità interna derivante da una lesione, quantomeno indiretta, dell’ordine pubblico, la cui tutela deve essere idonea a reprimere qualsivoglia comportamento che lo comprometta. Il rischio concreto di un tale scenario è la sovrapposizione di procedimenti incardinati in più paesi contro la stessa persona e per il medesimo oggetto, con inevitabile fioritura di conflitti di giurisdizione, di potenziali giudicati contrastanti o, addirittura, di punizioni multiple10,

tutte situazioni che trovano rimedio solo parziale, come vedremo, nel ne

bis in idem “esecutivo”, affermandosi così come diritto dell’uomo il ne bis                                                                                                                

7 Cooperazione giudiziaria in materia penale. Piano d’azione per l’attuazione del programma di

Stoccolma, www.eur-lez.europa.eu, p. 1.

8 L. LUPARIA, La litispendenza internazionale. Tra ne bis in idem europeo e processo penale

italiano, Milano, 2012, p. 1.

9 Ibidem, p. 8, sulla preferibilità dell’utilizzo di questa espressione piuttosto che

“giurisdizione”, ogni volta che la legittimazione del potere giurisdizionale di uno stato incontra il piano del diritto internazionale, O. DOMINIONI, La competenza giurisdizionale in materia di dirottamenti aerei, in Riv. Pen., 1973, p.515. La locuzione "competenza giurisdizionale”, peraltro, ha il pregio di fondere i due termini comunemente utilizzati nell’esperienza francese e angloamericana, vale a dire, rispettivamente, competence e jurisdiction.

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in idem “processuale”.

Di questi particolari aspetti tratteremo più diffusamente nelle pagine seguenti.

Il principio del ne bis in idem è epistilio dei sistemi di giustizia penale di ogni singolo ordinamento interno, operante come garanzia fondamentale della persona accusata, ma che, tuttavia, ha faticato non poco ad affermarsi a livello sovranazionale.

La cooperazione giudiziaria fra Stati poggia su un’articolata relazione internazionale: quanto più i rapporti interstatuali sono stretti ed informati al rispetto ed alla fiducia reciproca, tanto maggiore sarà la collaborazione sul piano giuridico e processuale11.

Qualsiasi forma di cooperazione giudiziaria, ciononostante, non può non riconoscere il principio fondamentale del ne bis in idem al fine di salvaguardare l’individuo dalla possibile instaurazione di procedimenti multipli, avviati nei suoi confronti da parte di più Stati interessati.

Il principio del ne bis in idem deve essere garantito a livello sovranazionale, nell’ambito della legislazione europea che, per la sua interazione con i 28 ordinamenti interni dei Paesi membri, è stata rappresentata come una rete multipolare a geometria variabile12.

Alla luce di queste premesse, con il presente lavoro si cercherà di porre l’attenzione sulle tappe del difficile cammino che è stato condotto per raggiungere il pieno riconoscimento del principio del ne bis in idem come principio generalmente riconosciuto.

Le pagine che seguono daranno poi contezza, come già accennato, dei numerosi interventi che si sono susseguiti, sia a livello nazionale che

                                                                                                               

11 A. GAITO, G. RANALDI, Esecuzione penale, Milano, 2005, p. 99 ss., p. 108 ss. 12 M. VIETTI, Relazione al convegno di studi “Profili delle intersezioni tra diritto penale e

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internazionale, cercando di evidenziare le concezioni e le soluzioni interpretative che, via via, sono state espresse dagli organi giurisdizionali interni e sovranazionali.            

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CAPITOLO I

IL PRINCIPIO DEL NE BIS IN IDEM TRA DIRITTO INTERNO E GIURISPRUDENZA SOVRANAZIONALE

Sommario: 1. Il divieto di ne bis in idem: un inquadramento generale – 2.

L’evoluzione del principio: l’antica regola del bis de eadem re ne sit actio – 2.1. Segue: la progressiva affermazione del principio a livello internazionale – 2.2 Segue. La svolta di Schengen: la convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen e il suo art. 54 CAAS – 2.3 La compatibilità tra l’art. 54 CAAS e l’art. 50 della Carta di Nizza – 2.4 Le ulteriori esperienze che hanno portato il riconoscimento del divieto del nuovo processo – 3. L’applicazione del principio: dal requisito della irrevocabilità delle sentenze al suo superamento – 4. La nozione di idem

factum – 5. Il principio del ne bis in idem nell’ordinamento interno. Cenni.

1. Il divieto di ne bis in idem: un inquadramento generale

La locuzione latina ne bis in idem, tradotta letteralmente, significa "non due volte per la stessa cosa".

Si tratta di un brocardo che esprime un principio del diritto, presente di solito negli ordinamenti, in forza del quale al giudice è fatto divieto di esprimersi due volte sulla stessa azione, qualora si sia formata la cosa giudicata13.

Il principio del ne bis in idem, nella prospettiva processuale secondo cui nemo debet bis vexari pro una et eadem causa, racchiude il senso di una radicata garanzia che rende un sistema penale rispettoso dei diritti fondamentali della persona.

                                                                                                               

13 A. CONCAS, Il significato della locuzione latina “ne bis in idem”, in Diritto processuale

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Infatti, proprio sotto questa luce, il principio si trova affermato nell’articolo 14, § 7, Patto Int. Dir. Civ. e Pol. e nell’art. 4 comma 1, VII

Protocollo alla Convezione Europea dei diritti dell’uomo, nonché poi nell’art. 50 della Carta di Nizza sui diritti fondamentali dell’Unione Europea (incorporato, successivamente, all’art. II-110, nel mai entrato in vigore Trattato di Roma che istituisce una Costituzione per l’Europa)14. Sin dall’800, quella particolare dottrina che ha postulato la c.d. “teoria generale del diritto penale internazionale”15, elabora il principio in questione come un apparente conflitto tra la sovranità degli Stati che li spinge a sentirsi competenti anche in situazioni caratterizzate da elementi di estraneità rispetto all’ordinamento giuridico interno, e le volontà degli individui a vedere i propri diritti fondamentali rispettati, anche in ambito di diritto e giurisdizione.

Fatte queste premesse, si possono così enucleare i motivi fondamentali e primari per i quali si ritiene che una persona non possa essere processata due volte per la stessa fattispecie di reato16:

a) un cittadino non può essere perseguitato indefinitamente riguardo la stessa circostanza;

b) lo Stato ed i suoi organi hanno mezzi economici e poteri di persecuzione molto più ampi di quelli che il cittadino ne abbia a sua difesa;

                                                                                                               

14 T. RAFARACI, Ne bis in idem e conflitti di giurisdizione in materia penale nello spazio di

libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione Europea, in Rivista di diritto processuale, vol. 62 – 1, 2007, pp. 621 ss.

15 N. GALANTINI, L’evoluzione del principio ne bis in idem europeo tra norme convenzionali e

norme interne di attuazione, Incontro di studio sul tema “Il principio del ne bis in idem in ambito europeo: prevenzione e composizione dei conflitti di giurisdizione” (Roma, 19-21 settembre 2005), in www.csm.it.

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c) c’è il rischio che l’assenza di garanzie per il cittadino di fronte alla pubblica accusa possa diventare uno strumento di tirannia, se non regolamentato attentamente;

d) il cittadino ha diritto di sapere che il giudizio al quale è stato sottoposto è finale e non soggetto a indagini aggiuntive o cambiamenti17.

Nel codice di procedura penale italiano, all’art. 649 viene stabilito che nessuno può essere processato più volte per lo “stesso fatto”18.

Il principio in esame è contenuto in numerosi ordinamenti nazionali, alcuni dei quali prevedono anche una sua codificazione a livello costituzionale, come la clausola sul ne bis in idem contenuta nel Quinto Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America.

Dal canto suo, l’ordinamento italiano ha codificato l’estensione della giurisdizione sulla base dei tradizionali principi del diritto penale internazionale (artt. 7, 8, 9, 10 c.p.) e correlativamente ha stabilito la regola del rinnovamento, condizionato o non condizionato, del giudizio già svoltosi all’estero per lo stesso fatto (art. 11 c.p.)19.

Più complicato è il suo riconoscimento a livello internazionale, in quanto occorre supporre che vi sia una qualche forma di cooperazione tra i vari stati, che a sua volta presuppone una profonda fiducia nel funzionamento di un sistema giuridico diverso dal proprio20.

Del resto, come evidenzia attenta dottrina, mentre sul piano dei rapporti processuali interni esiste una pressoché unanime determinazione politica dei singoli Stati verso l’attuazione concreta del divieto di bis in idem, non                                                                                                                

17 Ibidem.

18 Ibidem, v. infra § 4, cap. 1.

19 Diritto penale e processo, 2015, 12, 1567, www.leggiditaliaprofessionale.it.

20 M. M. PISANI, Cooperazione giudiziaria in materia penale e ne bis in idem: recenti

orientamenti della Corte di Giustizia sulla nozione di idem factum, in Rivista di diritto pubblico italiano, comunitario e comparato, 10/2006, p. 1.

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altrettanto può dirsi per quanto riguarda il suo riconoscimento, nelle relazioni internazionali, del valore di principio di diritto comune, indiscutibilmente consacrato per quel suo contenuto di giustizia che già nell’800 una parte della dottrina aveva prospettato e sostenuto21.

Se attribuiamo al principio del ne bis in idem il significato per cui nemo debet bis vexari pro una et eadem causa22, non viene inibita l’instaurazione di un secondo giudizio avente ad oggetto la stessa causa, ma piuttosto si ostacola il cumulo delle pene eventualmente comminate con diversi giudizi, racchiudendo così il senso di una garanzia assai radicata, che rende un sistema giuridico penale rispettoso dei diritti fondamentali della persona.

Una tale visione del principio, però, tutela solo chi abbia già scontato, almeno in modo parziale, la pena, procedendo poi allo scomputo di quella già espiata da quella eventualmente più elevata ancora da scontare; mentre non tutela colui che, per vari motivi non ha scontato nemmeno parte della pena oppure sia stato assolto23.

Qualora, invece, si attribuisca al principio in esame il significato nemo debet bis puniri pro uno delicto (pro uno facto)24, ci troviamo di fronte ad una preclusione all’instaurazione di un nuovo processo, assicurando così al soggetto che si troverebbe ad essere destinatario del nuovo addebito una garanzia avverso il moltiplicarsi di azioni penali.

Tuttavia, anche in questo caso, sorgono profonde differenze a seconda che si sia scelto il criterio del fatto storico, idem factum, o dell’identità del                                                                                                                

21 N. GALANTINI, Il principio del <<ne bis in idem>> internazionale nel processo penale,

Milano, 1984, p. 3.

22 T. RAFARACI, Ne bis in idem e conflitti di giurisdizione in materia penale nello spazio di

libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione Europea, cit. p. 621.

23 Idem, M. M. PISANI, Cooperazione giudiziaria in materia penale e ne bis in idem: recenti

orientamenti della Corte di giustizia sulla nozione di idem factum, 2 maggio 2006, p. 2.

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fatto giuridico, idem delictum25: infatti, la preferenza per la seconda concezione di fatto rende possibile una nuova azione relativa agli stessi fatti se la loro qualificazione giuridica è differente rispetto a quella formulata nel primo procedimento.

Al fine di meglio inquadrare le scelte che sono state effettuate nel panorama internazionale, risulta opportuno distinguere i paesi di common law da quelli, di stampo angloamericano, c.d. di common law.

Negli ordinamenti di civil law, la preclusione di un nuovo giudizio opera solamente nel caso in cui le parti, difesa e accusa, abbiano esaurito i propri mezzi di impugnazione, formatasi così la res judicata26 e divenuta la sentenza definitiva.

Negli ordinamenti di common law, invece, è presente una specifica clausola che impedisce che si possa iniziare una nuova azione penale per lo stesso reato e che quindi l’accusa possa ricorrere in appello contro la decisione di proscioglimento dell’imputato, c.d. double jeopardy rule27. Qualora, invece, tale clausola non venga rispettata e l’imputato si trovi ad essere di nuovo oggetto di un successivo giudizio, ha la facoltà di presentare un peremptory plea, o plea in bar, of autrefois acquit or autrefois convict: Autrefois Acquit e Autrefois Convict sono i termini francesi che letteralmente rispettivamente significano "precedentemente assolto" e "già condannato"28.

È stato evidenziato come il diritto anglosassone interpreta il principio del ne bis in idem contenuto nell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione                                                                                                                

25 Ibidem.

26 M. CHIAVARIO, in M. DELMAS MARTY – J. R. SPENCER, European criminal

procedures, Cambridge, 2005.

27 Sul concetto di double jeopardy v. G.C. THOMAS, double jeopardy: the history, the law,

New YORK, 1998; D. S. RUDSTEIN, double jeopardy: reference guide to the United States constitution, Westport, 2004.

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europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), una delle rare norme che prevedono una garanzia assoluta ed inderogabile, come un divieto generale di appello, con eccezioni limitate, da parte dell’accusa in danno dell’imputato che ha già subito un processo di primo grado.

Richiamato questo Protocollo, è opportuno precisare come tale principio del ne bis in idem, è considerato anche come diritto individuale nei trattati internazionali sui diritti umani, come il Patto internazionale sui diritti civili e politici del 19 dicembre 1996 (articolo 14 (7))29.

Una disposizione in seno alla CEDU è poi stata elaborata dal sopracitato Protocollo n. 7, all’articolo 4, ma soltanto una minoranza degli Stati membri ha ratificato questo Protocollo.30.

Dopo alcune pronunce contraddittorie sull’applicazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7, in un recente caso trattato dalla Grande Camera, Sergey                                                                                                                

29 È stato affermato dal Comitato per i diritti umani che l’art. 14 non si applica alle

sentenze straniere, UN Human Rights Committee, 2 Novembre 1987. Il Regno dei Paesi Bassi accetta questa disposizione soltanto nella misura in cui da essa non sorgano ulteriori obblighi rispetto a quelli previsti dall’articolo 68 del Codice penale olandese e dall’articolo 70 del Codice penale delle Antille olandesi secondo la formulazione vigente. Essi stabiliscono:

1. Ad eccezione dei casi ove le pronunce giurisdizionali sono soggette a impugnazione, nessuno può essere perseguito nuovamente per un reato in relazione al quale un organo giurisdizionale olandese o delle Antille olandesi ha pronunciato sentenza irrevocabile.

2. Se la sentenza è stata resa da un organo giurisdizionale diverso, la stessa persona non può essere perseguita per lo stesso reato nel caso di (I) assoluzione o interruzione del procedimento o di (II) condanna seguita da una integrale esecuzione, remissione o prescrizione della sentenza’.

30 J. A. E. VERVAELE, I diritti fondamentali nello spazio europeo di libertà, sicurezza e

giustizia: il principio pretorio del ne bis in idem secondo la Corte di Giustizia, p. 4

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Zolotukhin v Russia31, si è stabilito che “l’articolo 4 del Protocollo n. 7 deve essere inteso nel senso che è proibito il procedimento o il giudizio per un secondo reato nella misura in cui esso emerge da fatti identici o da fatti che sono sostanzialmente gli stessi (..). L’indagine della Corte, quindi, si dovrebbe focalizzare su quei fatti che costituiscono una serie di concrete circostanze fattuali che coinvolgono lo stesso imputato e sono tra loro inscindibilmente connesse nel tempo e nello spazio, l’esistenza delle quali deve essere dimostrata al fine di assicurare una condanna o iniziare un procedimento penale”32.

Dalla giurisprudenza di Strasburgo appare chiaro che il principio del ne bis in idem non è limitato al divieto della doppia punizione, ma include anche il divieto del doppio procedimento.

Da queste considerazioni si evidenzia l’importanza di uno sviluppo massiccio della cooperazione a livello investigativo e la necessità di introdurre una previsione ad hoc.

Sicuramente non sono mancati gli interventi della dottrina volti a tracciare i confini della potestà punitiva statuale, volti a sviluppare un’interpretazione adeguatrice dei principi del diritto internazionale generale, partendo dal presupposto che le limitazioni alla sovranità degli Stati non riguardano solo l’uso della forza e il potere coercitivo in territorio straniero, ma comprendono anche la materia legislativa e giurisdizionale. Nonostante ciò, non si è mai posta in discussione la tralatizia opinione secondo la quale ogni Stato ha una pressoché assoluta libertà nel determinare la sua competenza giurisdizionale e la validità della legge penale33.

                                                                                                                31 Ibidem.

32 Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, Sergey Zolotukhin v. Russia, Sentenza del 10

febbraio 2009, pp. 82-84.

33 L. LUPARIA, La litispendenza internazionale. Tra ne bis in idem europeo e processo penale

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In questo modo potremmo, però, trovarci di fronte ad una sovrapposizione di procedimenti riguardanti la stessa persona, per lo stesso fatto commesso in stati diversi. Si andrebbero a creare inevitabili conflitti di giurisdizione tra i vari ordinamenti, nonché giudicati contrastanti.

Per cercare una soluzione a queste situazioni, anche se solamente in modo parziale, è necessario a questo punto parlare del ne bis in idem “esecutivo” e del ne bis in idem “processuale”, partendo dai rapporti fra preclusione processuale derivante dall’esecuzione della pena o da giudicato penale straniero34.

Ci occupiamo, così, del principio del ne bis in idem internazionale intentando un discorso che si snoda su due binari separati, esecutivo e processuale appunto, e che hanno come elemento unificatore l’avvenuta applicazione della sanzione a seguito della sentenza penale di condanna straniera. Il ne bis in idem “esecutivo” è un principio secondo il quale va vietata la cumulativa applicazione di pene eventualmente inflitte in diversi stati contro lo stesso soggetto per il medesimo fatto.

Nel caso in cui i giudici di uno stato condannino per la seconda volta l’imputato, dovranno tener di conto della pena scontata in esecuzione di una condanna straniera concernente gli stessi fatti, pertanto scomputandola dalla eventuale pena da loro comminata: soddisfacendo così esigenze di giustizia sostanziale ed equità quanto meno alla luce del principio del ne bis in idem “esecutivo”, qualora esso non sia stato rispettato sotto il profilo processuale35.

                                                                                                               

34 N. GALANTINI, Il principio del <<ne bis in idem>> internazionale nel processo penale,

cit., p. 15.

35 C. AMALFITANO, Conflitto di giurisdizione e riconoscimento delle decisioni penali

nell’Unione Europea, in Testi e documenti di diritto europeo, diretto da Bruno Nascimbene, 2006, p. 149.

(19)

Il ne bis in idem “processuale” esclude la possibilità di rinnovare un procedimento penale avente ad oggetto un fatto che è già stato giudicato in via definitiva con una sentenza straniera di condanna o di proscioglimento, emanata da autorità giudiziaria appartenente ad un altro ordinamento giuridico diverso da quello che è potenzialmente competente a procedere in idem36, nel caso in cui sia avvenuta l’espiazione

della pena.

Abbiamo osservato che tale principio presenta una valenza più marcata nel contesto internazionale, piuttosto che interno, proprio di ogni Stato, in quanto è in quell’ambiente sovranazionale che si possono facilmente incontrare sovrapposizioni punitive derivanti da stati diversi, situazione questa che sta divenendo un rischio sempre più attuale e ricorrente. Nonostante questo, però, il principio del ne bis in idem, trova il suo più rigoroso problema applicativo proprio a livello internazionale, il cui terreno è quello in cui si riscontra una sempre più precaria applicazione: il principio in questione, infatti, è stabilito e riconosciuto dalla generalità degli Stati ma pressoché esclusivamente nella dimensione interna dei loro ordinamenti.

Nella nostro ordinamento va richiamato l’art. 11 c.p., che ammette la possibilità che un soggetto, cittadino o straniero, che abbia commesso in Italia o all’estero uno dei reati di cui all’artt. 6-10 c.p., possa essere giudicato anche dallo stato italiano stesso, anche se sia già stato oggetto di un processo nel paese straniero. In questo contesto l’art. 11, però fa una distinzione: se il reato è stato commesso in Italia, vi è l’obbligo di permettere allo stato italiano di poter rinnovare il giudizio, se invece il reato è stato commesso all’estero (ex artt. 7, 8, 9 ,10 c.p.) è necessaria la richiesta del Ministro della Giustizia.

                                                                                                               

36 L. LUPARIA, La litispendenza internazionale. Tra ne bis in idem europeo e processo penale

(20)

Possiamo rinvenire un esempio di applicazione dell’art. 11 nella sentenza del Tribunale di Milano, Uff. Ind. Prel. (Giudice Curami), 6 luglio 2011: nel caso de quo il reato di omicidio aggravato è stato commesso da parte di cittadini tedeschi sul territorio italiano che sono stati già condannati dalle autorità tedesche ed hanno scontato la relativa pena in Germania37.

Utilizzare l’art. 11 per eludere il ne bis in idem, principio fondamentale posto a tutela di un diritto inviolabile della persona, è comunque iniquo, in quanto in questo modo si arriverebbe a negare il diritto di difesa, che si vedrebbe del tutto vanificato dalla reiterazione del processo38.

Diversamente da ciò che è stato sostenuto da una certa dottrina, la Corte Costituzionale39, che è stata poi assecondata anche dalla giurisprudenza

di legittimità, ha smentito il contrasto tra l’art. 11 c.p. e il principio costituzionale contenuto nell’art. 10, affermando che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute”, in quanto il principio qui considerato non rientra in questa categoria di norme “generalmente riconosciute”, né a suo avviso deve essere considerato di rango consuetudinario40.

                                                                                                               

37D. VOZZA, Verso un nuovo “volto” del ne bis in idem internazionale nell’unione europea?

Nota a sentenza del Trib. Milano, Uff. Ind. Prel. (Giud. Curami), 6 luglio 2011, pubblicata, con relative massime, su questa Rivista il 17 gennaio 2012, pubblicato in Diritto Penale Contemporaneo, www.penalecontemporaneo.it.

38 N. GALANTINI, Il divieto di doppio processo come diritto della persona, in Rivista italiana

diritto e procedura penale, 1981, p. 97 ss.

39 Cfr. Corte Cost., 12 aprile 1967, n. 48, in Foro it., 1967, I, p. 1120; Corte Cost., 12

gennaio 1993, n. 10, in Foro it., I, p. 1374; Corte Cost., 14 febbraio 1997, n. 58, in Cass. pen., 1997, p. 2363: «pur non essendo assurto a regola di diritto internazionale generale [...], né essendo accolto senza riserve nelle convenzioni internazionali che ad esso si riferiscono [...], è tuttavia principio tendenziale cui si ispira oggi l’ordinamento internazionale».

40 Cfr. S. ASTARITA, Ne bis in idem tra rimedi sanzionatori interni e spirito europeo, in A.

(21)

Si è poi progredito in un riconoscimento pattizio del principio del ne bis

in idem.

Anche se inizialmente i trattati non venivano ratificati da un numero consistente di stati, nei primi anni settanta il Consiglio d’Europa compì più di un tentativo per sollecitare l’applicazione del principio a questo livello.

La Convenzione sulla validità internazionale dei giudicati penali e la Convenzione sul trasferimento delle procedure, non ratificate dall’Italia e datate rispettivamente 1970 e 1972, già prevedevano espressamente la garanzia in questione. In realtà, la Convenzione sulla validità internazionale dei giudicati penali è stata firmata ed è stata autorizzata la sua ratifica dall’Italia, con la l. 16 maggio 1977 n. 305, che però ha omesso di depositare lo strumento di ratifica indispensabile alla sua efficacia41.

Successivamente, a poco a poco lo strumento pattizio ha preso sempre più campo.

Oltre alla sua presenza all’interno di trattati bilaterali o multilaterali, il principio in questione è stato previsto altresì, come diritto individuale, negli strumenti giuridici internazionali per la salvaguardia dei diritti umani, quali la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, adottata nel 1966 ed entrata in vigore nel 197642, ed il VII Protocollo

addizionale alla Convenzione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmato a Strasburgo il 22 novembre 198443.

                                                                                                               

41 N. GALANTINI, Il ne bis in idem nello spazio giudiziario europeo: traguardi e prospettive, in www.penalecontemporaneo.it, 2011, p. 1.

42 Art. 14, paragrafo 7, “nessuno può essere sottoposto a nuovo giudizio o a nuova

pena, per un reato per il quale sia stato già assolto o condannato con sentenza definitiva in conformità al diritto e alla procedura penale di ciascun Paese”.

43 Art. 4, protocollo n. 7, Diritto di non essere giudicato o punito due volte:“1. dalla

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Per arrivare, tuttavia, alla definitiva consacrazione internazionale bisogna attendere la Convenzione applicativa dell’Accordo di Schengen (C.A.A.S.), sottoscritta il 19 luglio 1990, resa esecutiva in Italia con l. 30 settembre 1993, n. 388 ma in vigore nel nostro ordinamento solo dal 27 ottobre 1997.

2. L’evoluzione del principio: l’antica regola del bis de eadem re ne sit actio

La traccia più antica del principio del ne bis in idem la troviamo già ai tempi antichi del diritto romano, quando sulla scena si esponevano personaggi come Cicerone44 e poi Quintiliano e Gaio.

L’“antica regola” 45 veniva espressa con la massima latina bis de eadem re ne sit actio, che esprimeva il divieto del doppio giudizio riguardante lo stesso

fatto commesso dalla medesima persona.

Si riteneva che fosse un’esigenza di base quella di trovare, per ogni controversia, una conclusione ed a tal fine, nella storia del diritto

                                                                                                                                                                                                                                                                                         

condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge e alla procedura penale di tale Stato. 2. Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge e alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta. 3. Non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell’articolo 15 della Convenzione”.

44 Il primo riferimento alla massima ne bis in idem è attribuito a M. T. Cicerone, Laelius,

de amicitia, cap. 22, § 5: «praeposteris enim utimur consiliis et acta agimus, quod vetamur vetere proverbio», laddove il rinvio è all’antico proverbio <<acta agere>>, che corrisponde al nostro adagio “perorare una causa a sentenza pronunziata”.

45 M. PISANI, Il ne bis in idem internazionale e il processo penale italiano, in Studi di diritto

(23)

romano, erano presenti due regole concorrenti: quella della irripetibilità e quella della incontrovertibilità46.

Con la prima regola si precludeva la possibilità di ritornare a decidere di una questione già precedentemente dedotta in giudizio o comunque già decisa. In un testo di Quintiliano47, si esprime questo principio in “bis de eadem re ne sit actio”: solet et illud quaeri, quo referatur quod scriptum est:

“bis de eadem re ne sit actio: id est, hoc “bis” ad actorem an actionem. Haec ex iure obscure.

Gli effetti negativi derivanti da questa prima regola, preclusiva di un secondo giudicato, dipendono da una precedente litis contestatio, o, comunque, da un precedente giudicato, dal momento che dalla litis

contestatio stessa il rapporto sostanziale si sarebbe estinto e sarebbe

divenuto un rapporto ex litis contestatione48.

I giureconsulti romani si resero ben presto conto che, in ipotesi di actio in

personam con intentio in ius concepta e di iudicium legitimum, la litis contestatio

avrebbe dovuto far scattare la c.d. consumazione processuale, esprimente il divieto di riproposizione dell’azione, così che l’attore non aveva più alcun diritto di credito49.

Gaio sosteneva, infatti, che, a seguito della litis contestatio, l’obbligazione civile del debitore si intendeva estinta e novata in un’obbligazione del convenuto di subire la sentenza del giudice50. Dopo la litis contestatio, il                                                                                                                

46 L. VACCA, Diritto romano, tradizione romanistica e formazione del diritto europeo. Giornate di

studio in ricordo di Giovanni Pugliese, Padova, 2008, p. 61.

47 Institutio oratoria liber, VII, cap.6 § 4. 48 L. VACCA, op. cit., pg. 61.

49 A. LOVATO, S. PULIATTI, L. S. MARUOTTI, Diritto privato romano, Torino, 2014,

p. 87.

50 Gai 3.180: Tollitur autem obligatio litis contestatione, si modo legitimo iudicio fuerit actum, nam

tune obligatio quidem principalis dissolvitur, incipit autem reus teneri litiscontestatione […]et hoc <est> quod apud veteres scriptum est, ante litem contestatam dare debitorem oportere, post litem contestatam condemnari, oportere rell.

(24)

convenuto non era più tenuto ex obligatione (in forza, cioè, dell’obbligazione originaria), ma ex litiscontestatione (in forza della litiscontestazione).

L’effetto preclusivo che abbiamo descritto aveva, già in tempi molto antichi, spinto i prudentes ad impegnarsi in un attento studio sulla locuzione eadem res, ad individuare, cioè, quali sono le circostanze in cui si può parlare di una identità della lite, preclusiva appunto di un ulteriore giudizio51.

L’identità di causa, espressa dalla locuzione “eadem res” era riscontrabile quando si riproponeva la stessa formula già utilizzata per questo oggetto, fra le medesime parti o loro successori o aventi causa.

Tra gli effetti conclusivi della litis contestatio, occorre menzionare quelli che derivavano dall’ipotesi di pluris petitio (richiesta eccessiva) da parte dell’attore, qualora quest’ultimo nell’intentio della formula presentava una richiesta eccessiva rispetto a quello che realmente poteva spettargli, a prescindere che esso avesse agito in buona o mala fede52.

Gaio individuava quattro possibilità di pluris petitio53:

a) Re: si verificava quando chiedeva una somma superiore rispetto a

quella che effettivamente gli si doveva, oppure quando sosteneva che gli spettasse un bene o altro simile, invece era spettante solo di una sua parte;

b) Tempore: quando l’attore pretendeva il pagamento o la consegna di

ciò che gli spettava in un tempo precedente all’effettiva scadenza;

c) Loco: quando il creditore chiedeva che l’adempimento della

prestazione avvenisse in un luogo diverso rispetto a quello in cui il debitore era tenuto ad adempiere;

                                                                                                               

51 A. LOVATO, S. PULIATTI, L. S. MARUOTTI, Diritto privato romano, cit., p. 87. 52 Ibidem.

(25)

d) Causa: nei casi in cui vi erano delle obbligazioni alternative o

promesse di prestazioni generiche e il creditore chiedeva al convenuto una specifica prestazione, senza dargli la possibilità di scelta.

Una volta fatta questa richiesta eccessivamente elevata rispetto a quanto effettivamente gli spettava, l’attore non poteva più modificare la sua pretesa, perdendo così, la causa e, conseguentemente, il convenuto veniva assolto: causa cadit, id est rem perdit54.

Venendo meno gli effetti conservativi ed estintivi della liti contestatio, la

pluris petitio non fu mantenuta nelle successive procedure extra ordinem.

La seconda delle dure regole, a cui si faceva riferimento all’inizio del paragrafo, quella della incontrovertibilità, esprimeva il vincolo che il giudice subiva, rispetto al contenuto del giudicato precedente relativo alla stessa res55.

Questo secondo dettame, ci indicava come il giudice fosse quindi obbligato a decidere in maniera conforme al precedente, o quantomeno in maniera non difforme.

Si parla in questo caso di effetti positivi, o pregiudiziali, o normativi, dipendenti da una precedente sentenza56.

Queste due regole, indicanti l’originaria concezione del principio del ne

bis in idem, furono ritenute, per molto tempo, due dettami

complementari, due <<facce della stessa medaglia>>, come sosteneva anche autorevole dottrina57.

In realtà, sono due regole concettualmente diverse, anche se, sempre più spesso, portano a risultati uguali, ma non perennemente.

                                                                                                                54 Gai 4.53.

55 L. VACCA, Diritto romano, tradizione romanistica e formazione del diritto europeo. Giornate di

studio in ricordo di Giovanni Pugliese, cit., p. 61.

56 Ibidem.

(26)

2.1. Segue: la progressiva affermazione del principio a livello internazionale

Nel corso della storia della sua affermazione, appare di tutta evidenza che il principio del ne bis in idem abbia trovato maggiori ambiti di riconoscimento attraverso la strada convenzionale internazionale, piuttosto che attraverso quella degli ordinamenti dei singoli Stati.

Mancavano, da parte di quest’ultimi, veri e propri riconoscimenti nelle loro codificazioni interne, con l’immediata conseguenza che, anche in presenza di un giudicato estero sullo stesso fatto, essi godevano di un’ampia libertà di movimento.

Viceversa, numerosi sono stati i testi pattizi volti a creare questa sorta di vincolo di comportamento per gli Stati che si fossero trovati di fronte ad altri giudicati esteri, ma, ovviamente, i testi stessi necessitavano, in ogni caso, di strumenti nazionali di recepimento, senza i quali non avrebbero esplicato gli effetti voluti58.

Degli anni ’70 ricordiamo la sottoscrizione di due documenti, entrambi in seno al Consiglio d’Europa: la Convenzione europea sulla validità internazionale dei giudicati penali59 e la Convenzione sul trasferimento

delle procedure penali60.

La prima Convenzione dedica al principio del ne bis in idem gli artt. 53 - 55, postulanti l’impossibilità di instaurare un nuovo giudizio a carico della stessa persona riguardante i medesimi fatti, già oggetto di un

                                                                                                               

58 N. GALANTINI, Il principio del ne bis in idem internazionale, cit. p.195, afferma

comunque che “ il tentativo convenzionale non va comunque disprezzato; esso testimonia, in ogni caso, le esigenze attuali del diritto penale internazionale e tende a smuovere i vari Stati dalle tradizionali posizioni di isolamento”.

59 Convenzione sottoscritta all’Aja il 28 maggio 1970 ed entrata in vigore sul piano

internazionale il 26 luglio 1974.

(27)

giudizio penale europeo, dopo che sia stata pronunciata una sentenza definitiva di assoluzione o di condanna.

In particolare, nell’ipotesi di una pronuncia di condanna dell’imputato, l’efficacia preclusiva è subordinata alla c.d. condizione dell’esecuzione, che consiste nell’avvenuta esecuzione della pena comminata.

All’avvenuta esecuzione della pena sono equiparati i casi di pena ancora in corso di esecuzione o pena non espiabile per effetto di un provvedimento di indulgenza o della dichiarazione di prescrizione della stessa.

Solo in questi casi si impedisce un nuovo giudizio sulla stessa questione a carico dello stesso soggetto.

La disciplina prevedeva alcune eccezioni all’applicazione del principio, ad esempio nel caso in cui l’autore del reato, la persona offesa oppure gli interessati lesi dalla condotta criminosa avessero avuto <<carattere pubblico>>, oppure nel caso in cui lo Stato in cui il reato veniva commesso avesse chiesto il trasferimento del procedimento penale. Si aggiunga a questo, poi, la facoltà attribuita agli Stati firmatari, nell’art. 61 comma 1, di apporre una riserva all’adesione a questa parte della Convenzione.

Sull’altro versante, la Convenzione sul trasferimento delle procedure penali, non ratificata dall’Italia, conferiva ad ogni Parte la possibilità di domandare ad un’altra l’esercizio dell’azione penale nei confronti di una determinata persona sospettata in sua vece.

Tale richiesta poteva intervenire in alcune ipotesi espressamente previste: qualora una persona sospettata avesse avuto la sua abituale residenza o fosse stata cittadina dello Stato richiesto; se egli stesse scontando una pena o fosse sottoposto ad altro procedimento penale in quello Stato; se il trasferimento della procedura fosse giustificato nell’interesse di un giusto processo o se l’esecuzione di una condanna nello Stato avesse maggiori possibilità di garantire il reinserimento sociale del condannato.

(28)

Lo Stato non poteva rifiutarsi di dare seguito ad una tale richiesta, tranne che in casi specifici ed, in particolare, qualora ritenesse che il reato avesse carattere politico o che la richiesta fosse fondata su motivi di razza, religione o nazionalità61.

In realtà, più che nell’ambito internazionale, il principio del ne bis in idem ha trovato una più specifica e ampia regolamentazione nel panorama europeo.

Occorre qui richiamare la Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 marzo 1984, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea C104 del 16 aprile 1984.

Questa Risoluzione fu sollecitata da una specifica vicenda, riguardante un cittadino italiano, condannato per lo stesso fatto prima in Germania e poi in patria. Il riferimento è al caso Barletta.

In quella occasione, il Parlamento europeo sollecitò gli Stati membri ad adottare due diverse tipologie di misure volte a dare attuazione al doppio processo: si promosse la ratifica della Convenzioni del Consiglio d’Europa, riguardanti il principio in questione e si invitarono i legislatori nazionali ad abrogare le disposizioni interne con esso incompatibili. Ciononostante, nemmeno questo intervento ufficiale riuscirà a portare le Convenzioni del Consiglio d’Europa ad avere un numero sufficiente di ratifiche e parecchie delle disposizioni interne contrastanti con il principio del doppio processo rimasero al loro posto.

Alla fine degli anni’80, gli Stati membri dell’Unione cominciarono ad aprirsi a modelli di più spiccata integrazione in materia penale, fino a giungere, nel 1987, a sottoscrivere il 25 maggio, a Bruxelles, una Convenzione sull’applicazione del ne bis in idem, ratificata successivamente dall’Italia a seguito della relativa autorizzazione contenuta nella legge 350/1989.

                                                                                                               

(29)

Sebbene la Convenzione di Bruxelles ricalchi, per gran parte, il contenuto della Convenzione del 1970, se ne distingue per alcune peculiarità, come ad esempio un riferimento più generico all’espiazione della pena, parlando di non eseguibilità della sanzione <<secondo la legge dello Stato di condanna>>62.

Questa previsione può considerarsi, quindi, la prima espressione di apertura al mutuo riconoscimento delle legislazioni penali degli Stati membri, sia pur ancora a livello iniziale63.

In tale sede, inoltre, si prevedeva che gli Stati dovessero rendere una dichiarazione all’atto della ratifica, di accettazione e approvazione della Convenzione, e non possono farlo in qualsiasi momento, come invece prevedeva la Convenzione del 197064.

Alla Convenzione di Bruxelles, sono succeduti numerosi documenti pattizi di fonte europea, che hanno consentito al principio del ne bis in

idem di cominciare ad emergere.

2.2 Segue. La svolta di Schengen: la convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen e il suo art. 54 CAAS

Con il passare del tempo, si è fatto sempre più largo l’opinione prevalente che la preclusione da giudicato non fosse norma di diritto internazionale consuetudinario e, conseguentemente, si cercava la sua affermazione sul piano convenzionale.

Occorre ricordare che nell’ambito del Consiglio d’Europa era stata adottata una convenzione, il 28 maggio 1970 all’Aja, resa esecutiva con

                                                                                                                62 Art. 1 Convenzione di Bruxelles.

63 C. AMALFITANO, Conflitto di giurisdizione e riconoscimento delle decisioni penali

nell’Unione europea, cit., p. 947.

(30)

la legge 16 maggio 1977 n. 205, in vigore a livello internazionale dal 26 luglio 1974, concernente la validità internazionale dei giudizi repressivi65.

Il principio del ne bis in idem fu poi oggetto di una convenzione ad hoc tra gli stati membri delle Comunità europee, che venne adottata a Bruxelles il 25 maggio 1987 e resa esecutiva con l. 16 ottobre 1989 n. 350 ed entrata in vigore per l’Italia il 15 gennaio 1990.

Il contenuto di questa Convenzione venne poi trasfuso, quasi per intero, negli artt. 54-58 della Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schenghen.

Ma prima ancora della rivoluzione operata da Schengen, ulteriori richiami al principio si rivengono in due importanti strumenti di cooperazione giudiziaria penale adottate nell’allora esistente terzo pilastro dell’U.E., ovvero la Convenzione del 1995, relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee66 e la Convenzione del

1997 relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle comunità europee o degli stati membri dell’UE67.

La Convenzione di Schengen segna indelebilmente il percorso evolutivo del divieto del doppio processo.

Come già accennato in precedenza, la Convenzione applicativa dell’Accordo di Schengen (C.A.A.S.) è stata sottoscritta il 19 luglio 1990, ed è stata resa esecutiva in Italia con l. 30 settembre 1993, n. 388, ma è entrata in vigore nel nostro ordinamento solamente dal 27 ottobre 1997. L’Accordo di Schengen ha recepito le indicazioni date da alcuni paesi, la Francia, la Germania e tre Paesi del Benelux, che miravano ad una più

                                                                                                               

65 T. RAFARACI, Ne bis in idem e conflitti di giurisdizione in materia penale nello spazio di

libertà sicurezza e giustizia dell’Unione Europea, cit., p. 623.

66 Convenzione adottata a Bruxelles il 26 luglio 1995, resa esecutiva con l. 29

settembre 2000 n. 300 ed entrata in vigore per l’Italia il 17 ottobre 2002.

67 Convenzione adottata a Bruxelles il 26 maggio 1997, resa esecutiva con la l. 29

(31)

stretta collaborazione, in special modo, nei settori dell’immigrazione, della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale ed alla creazione del Sistema di Informazione Schengen (SIS).

Nei tempi immediatamente successivi altri numerosi paesi, membri dell’Unione europea (e non solo) aderirono a questo accordo.

Gli accordi intergovernativi di Schengen del 1985 e del 1990 e l’area Schengen sono stati incorporati nella struttura dell’UE attraverso un Protocollo annesso al Trattato sull’Unione europea (TUE) di Amsterdam68.

Con la Convenzione applicativa dell’Accordo di Schengen il principio del

ne bis in idem diviene un principio generalmente riconosciuto, senza più la

necessità di una sua esplicita previsione all’interno di specifiche convenzioni, che limitavano la sua applicazione solo alle materie che specificamente richiamavano.

Abbiamo già ricordato come in questa Convezione vengano richiamate le disposizioni contenute all’interno della Convenzione tra gli stati membri delle Comunità europee, adottata a Bruxelles il 25 maggio 1987, resa esecutiva con l. 16 ottobre 1989 n. 350 ed entrata in vigore per l’Italia il 15 gennaio 1990.

Difatti, gli artt. 54-58 della Convenzione applicativa dell’Accordo di Schengen riprendono quanto contenuto negli artt. 1-5 della Convenzione del 198769.

L’art. 54 della CAAS così recita: «una persona che sia stata giudicata con

sentenza definitiva in una Parte contraente non può essere sottoposta ad un procedimento penale per i medesimi fatti in un'altra Parte contraente a condizione che, in caso di condanna, la pena sia stata eseguita o sia effettivamente in corso di                                                                                                                

68 J. A. E. VERVAELE, I diritti fondamentali nello spazio europeo di libertà, sicurezza e

giustizia: il principio pretorio del ne bis in idem secondo la Corte di Giustizia, cit., p. 1.

69 Cfr. F. CAPRIOLI – D. VICOLI, Procedura penale dell’esecuzione, Torino, 2011, p.

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esecuzione attualmente o, secondo la legge della Parte contraente di condanna, non possa più essere eseguita»70.

In forza di questa disposizione, pertanto, come osserva attenta dottrina, nel contesto politico-geografico di Schengen, una sentenza definitiva che viene emessa dall’autorità giudiziaria di uno sSato membro gode di un’efficacia preclusiva analoga a quella di una sentenza pronunciata da un giudice nazionale71.

Si giunge, dunque, alla cristallizzazione di un meccanismo che opera automaticamente, attuando l'effetto inibitorio proprio del divieto di bis in

idem, senza che sia necessaria l’instaurazione di una procedura di

riconoscimento della sentenza straniera, anche se non si equipara propriamente il giudicato interno a quello esterno, ma si obbligano piuttosto gli Stati parte della Convenzione ad attribuire alla sentenza estera una determinata efficacia preclusiva, uguale per tutti gli stati. La procedura disciplinata dagli artt. 730 ss. c.p.p. rimane, in ogni caso, condizione sufficiente ma non più necessaria per la realizzazione del principio in esame, che mantiene la sua operatività anche a prescindere da questa.

Occorre inoltre precisare molto brevemente che, qualora la suddetta procedura venga ugualmente attivata, senza che si tenga conto del divieto previsto dall'art. 733 comma 1 lett. g) c.p.p., dando così luogo al riconoscimento della sentenza straniera sebbene in Italia sia pendente un procedimento penale nei confronti della stessa persona per il medesimo fatto, il divieto di bis in idem avrebbe comunque effetto e determinerebbe

                                                                                                               

70 Cfr. R. CALÒ, Ne bis in idem: l’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’accordo di

Schengen tra garanzia dei diritti dell’uomo ed istanze di sovranità nazionale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2008-2, p. 1120.

71 P. TONINI, Lineamenti di diritto processuale penale, XII edizione, Milano, 2015, p.

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