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L’interpretazione giurisprudenziale del ne bis in idem precedentemente all’entrata in vigore della Convenzione d

L’interpretazione giurisprudenziale del ne bis in idem nella giurisprudenza italiana successivamente all’entrata in vigore della Convenzione di Schengen. – 3. Esempi di applicazione del ne bis in idem: la sentenza Walz Gordon + 2, GUP Milano, 6 luglio 2011. 4. Questioni aperte: in particolare sulla possibilità di rinnovare un processo già celebrato in un paese non aderente al Trattato di Schengen nei confronti di un imputato straniero per fatti di reato commessi nel territorio italiano.

1. L’interpretazione giurisprudenziale del ne bis in idem precedentemente all’entrata in vigore della Convenzione di Schengen

Come sostenuto nei paragrafi precedenti, l’accettazione del principio del

ne bis in idem da parte dei singoli ordinamenti nazionali e, quindi, il suo

riconoscimento e la sua applicazione interna nei singoli Stati, sono stati oggetto di un lungo e lento percorso di affermazione.

Questa lentezza caratterizzante tutto il cammino verso l’identificazione del principio come valore nazionale, si è ripercossa, poi, inevitabilmente, anche nelle concezioni espresse dalla giurisprudenza italiana.

Il discrimen determinante il passaggio da un rifiuto pressoché totale della giurisprudenza italiana verso il principio del ne bis in idem, ad un accoglimento di tale principio, è costituito dall’entrata in vigore della Convenzione applicativa dell’Accordo di Schengen, nel 1990.

Prima di tale momento, per lungo tempo, si è sostenuto che l’art. 11 c.p.287 non fosse in contrasto con l’art. 10 della Costituzione288: il

principio in esso contenuto non era da considerarsi espressione di una norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta e quindi la mancata osservanza del principio del ne bis in idem non comportava violazione dell’art. 10 della Costituzione.

Sul punto, possiamo richiamare tre sentenze della Consulta, che si sono espresse proprio in tal senso.

Cronologicamente, la prima sentenza era quella della Corte Costituzionale n° 48 del 1967, la seconda la n°1 del 1973 e, per finire, la 69 del 1976289.

Queste sentenze, da un punto di vista fattuale, si occupavano tutte di reati di omicidio, rapina e altri reati connessi, commessi da cittadini italiani in territorio straniero o da cittadini stranieri in territorio italiano. La Corte ha scartato prontamente ciascuna delle argomentazioni del giudice rimettente: il riconoscimento del divieto di sottoporre una persona a doppio giudizio a livello interno non implica che questo debba operare anche in relazione a un giudicato straniero. Ancora, il fatto che alcuni trattati internazionali stabiliscano che il giudicato straniero avrà rilievo negli ordinamenti interni prova, al contrario, che, in mancanza di

                                                                                                               

287 Art. 11 c.p.: “Nel caso indicato nell'articolo 6, il cittadino o lo straniero è giudicato nello Stato,

anche se sia stato giudicato all'estero. Nei casi indicati negli articoli 7, 8, 9 e 10, il cittadino o lo straniero, che sia stato giudicato all'estero, è giudicato nuovamente nello Stato, qualora il ministro della giustizia ne faccia richiesta”.

288 Art. 10 Cost.: “L'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto

internazionale generalmente riconosciute”.

289 Cfr. Corte Cost., 12 aprile 1967, n. 48, in Foro it., 1967, I, p. 1120; Corte Cost., 25

gennaio 1973, n. 1, in Foro it., 1973, I, p. 617; Corte Cost., 25 marzo 1976, n. 69, in Foro it., 1976, I, p. 1451.

una previsione positiva alla quale gli Stati decidano di vincolarsi, tale regola non opera in via generale nei rapporti internazionali.

In queste pronunce la Corte Costituzionale si è espressa, appunto, nel senso dell’affermazione della legittimità costituzionale dell’art. 11 c.p., non ritenendosi sussistente un principio di ne bis in idem internazionale290.

In realtà, la Corte Costituzionale, pur sostenendo la non contrarietà dell’art. 11 c.p. rispetto all’art. 10 della Costituzione, ha, comunque, lasciato aperto uno spiraglio, auspicando un’epoca in cui il principio del

ne bis in idem sarebbe riconosciuto quale norma di diritto internazionale

generalmente riconosciuta, caratterizzata da un’armonizzazione delle singole discipline interne dei singoli Stati in tal senso e dalla comune efficacia delle decisioni giudiziarie291.

In epoca più recente, nel 1997, a pochi mesi dall’entrata in vigore nel nostro ordinamento della Convenzione Applicativa dell’Accordo di Schengen, la Corte Costituzionale ha registrato un’apertura in tale direzione: si è occupata, previamente, di dichiarare infondata la questione di legittimità costituzionale che era stata sollevate in relazione agli artt. 1 e 2 della legge 300/1963292 di ratifica e esecuzione della Convenzione                                                                                                                

290 C. M. PAOLUCCI, Cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, Torino, 2011,

p.721.

291 Così fu sostenuto proprio nella sentenza 48/1967: “(...) si può auspicare per il futuro

l'avvento di una forma talmente progredita di società̀ di Stati da rendere possibile, almeno per i fondamentali rapporti della vita, una certa unità di disciplina giuridica e con essa una unità, e una comune efficacia, di decisioni giudiziarie”.

292 Art. 1: “Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare la Convenzione

europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957”; art. 2: “Piena ed intera esecuzione è data alla Convenzione di cui all’articolo precedente a decorrere dalla sua entrata in vigore, in conformità all’art. 29 della Convenzione stessa. La presente legge, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella Raccolta ufficiale delle leggi e dei

europea di estradizione, e, poi, ha affermato che il principio ne bis in idem, «pur non essendo ancora assurto a regola di diritto internazionale generale (…) né essendo accolto senza riserve nelle Convenzioni internazionali che ad esso si riferiscono (…), è tuttavia principio tendenziale cui si ispira oggi l’ordinamento internazionale, e risponde del resto ad evidenti ragioni di garanzia del singolo di fronte alle concorrenti potestà punitive degli Stati»293.

Quest’ultima pronuncia attribuisce al divieto di bis in idem natura, se non di principio generale di diritto internazionale, almeno di principio tendenziale cui si ispira l’ordinamento internazionale per garantire il singolo individuo dalle potestà punitive di più Stati.

2. L’interpretazione giurisprudenziale del ne bis in idem nella