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I principi affermati in altre sentenze della Corte europea e gli effetti nel settore tributario

Meritano anche un accenno i risvolti che il principio del ne bis in idem può avere in relazione ai reati tributari, tenuto conto anche degli interventi compiuti dalla Corte europea in questo specifico settore. Il 20 maggio 2014 la Corte europea, nel caso Nikänen c. Finalndia261, ha

condannato lo Stato finlandese per violazione del principio del ne bis in

idem di cui all'art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione in relazione al

doppio binario sanzionatorio, penale-amministrativo, presente nella legislazione tributaria finlandese.

Quindi, a pochi mesi dalla sentenza Grande Stevens, la Corte europea torna ad esprimersi su tale principio, seppur in materia tributaria, anche se, occorre sottolineare che, sul piano delle affermazioni di principio, tale decisione non avrà i risvolti che ha avuto la Grande Stevens, in quanto si limita a richiamare solamente orientamenti giurisprudenziali già affermati.

Ben altra rilevanza assumono, invece, le parole della Corte se si prendono in considerazione i possibili riflessi interni della pronuncia, con i quali ogni ordinamento nazionale dovrà fare i conti.

Ciò ancora di più se si osserva questa vicenda dalla prospettiva italiana,

                                                                                                                260 Idem, p. 6.

261 Corte europea dei diritti dell’uomo, Quarta Sezione, sent. 20 maggio 2014,

dove, solo 5 giorni prima, la Corte di Cassazione262 aveva escluso che il

concorso tra sanzioni amministrative e penali previste in caso di omesso versamento di ritenute potesse costituire una violazione del principio del

ne bis in idem fissato dalla Convenzione.

Si tratta di un orientamento assolutamente in linea con quanto già affermato un anno fa dalle Sezioni unite263.

A complicare ancora di più la situazione, vi è la già citata sentenza Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson, secondo la quale una combinazione di sanzioni amministrative e penali per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA è (astrattamente) compatibile con il principio del ne bis in idem sancito dall'art 4 del Protocollo n. 7 della CEDU e dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, salvo che la sanzione amministrativa non debba essere (in concreto) ritenuta di natura penale all'esito di una valutazione rimessa al giudice nazionale264.

Brevemente, il sig. Nikänen, accusato di aver ricevuto senza poi averli dichiarati, poco più di 30.000 euro, era stato condannato a pagare una sanzione amministrativa di 1.700 euro.

Per gli stessi fatti era stato altresì celebrato un processo penale per frode fiscale, all’esito del quale il ricorrente era stato condannato a 10 mesi di reclusione e al pagamento di una multa. Il sig. Nikänen lamenta la violazione dell’art. 4 del Protocollo n.7 CEDU, statuente il divieto di esse giudicati o puniti due volte in ambito penale, assumendo quindi che la condanna al pagamento di 1.700 euro, anche se qualificata come amministrativa dal diritto interno, sarebbe, invece, una sanzione di natura

                                                                                                               

262 Sent. 8 aprile - 15 maggio 2014, n. 20266.

263 M. DOVA, Ne bis in idem in materia tributaria: prove tecniche di dialogo tra legislatori e

giudici nazionali e sovranazionali, 2014, in www.penalecontemporaneo.it, p. 1-2.

penalistica265.

La Corte, per stabilire se la sanzione abbia o meno natura penale, si attiene alla propria giurisprudenza, orami consolidata.

Il riferimento principale è ai richiamati criteri Engel266, ma anche ad un

altro precedente della Corte, una sentenza della Grande Camera, del 23 novembre 2006, Jussila c. Finlandia, ric. n. 73053/01, nel quale aveva riconosciuto la natura penale della sovrattassa imposta in via amministrativa dall'ordinamento finlandese.

In quest'ultimo caso, la Corte aveva dato rilievo determinante alla natura dell'infrazione, affermando che la sovrattassa non costituisce un semplice risarcimento dei danni, bensì una vera e propria sanzione penale con finalità sia preventive che repressive.

Per cui, tornando al caso che stiamo esaminando, alla luce di questi principi appena richiamati, la Corte conclude affermando che i procedimenti che comportano l’imposizione di una sovrattassa devono essere considerati penali anche i fini dell’applicazione dell’art. 4 del Protocollo n. 7 CEDU267.

Sebbene la giurisprudenza e il legislatore finlandesi abbiano già posto rimedio alla violazione, introducendo meccanismi di coordinamento tra procedimento amministrativo e penale, la Corte ritiene che, nel caso di specie, lo Stato finlandese abbia violato il principio del ne bis in idem. Vediamo adesso i possibili riflessi che questa decisione potrebbe avere nell’ordinamento italiano.

Prendiamo le mosse dalla già citata sentenza della Corte di Cassazione dell’8 aprile 2014, n. 20266, che ha valutato un’analoga questione.

In questo caso l’imputato era stato assolto in primo grado dal reato di

                                                                                                               

265 A. PISAPIA, P. F. POLI, CEDU, Pillole di maggio, 2014, p. 1. 266 Infra 3.1.

267 M. DOVA, Ne bis in idem in materia tributaria: prove tecniche di dialogo tra legislatori e

omesso versamento delle ritenute e la sentenza era stata impugnata per

saltum dal PG.

Il difensore dell’imputato sosteneva che il suo assistito fosse già stato sanzionato per la stessa violazione della disciplina fiscale ai sensi dell’illecito amministrativo di cui all’art. 13 de d.lgs. 471/1997, per cui l’eventuale condanna anche per il reato avrebbe comportato una violazione del principio del ne bis in idem, così come delineato dalla sentenza della Corte europea Grande Stevens, poiché l’omesso versamento sarebbe stato punito come illecito amministrativo e penale. La Corte di Cassazione decide, invece, respingendo la tesi della violazione del principio in esame, e lo fa sulla base di due ragioni:

a) la sanzione amministrativa tributaria non può essere considerata una sanzione avente natura penale: questo primo argomento utilizzato per escludere la violazione del principio del ne bis in idem fa riferimento alla già menzionata sentenza Fransson della Corte di Giustizia dell'Unione Europea: nel ritenere astrattamente compatibile, con il principio del ne bis

in idem, il doppio binario sanzionatorio amministrativo - penale in

materia tributaria, a condizione che la sanzione amministrativa non abbia in concreto natura penale, la Corte di Cassazione ritiene che la qualificazione della natura amministrativa delle sanzioni tributarie previste per l'omesso versamento di ritenute regga al vaglio dei criteri Engel;

b) l'omesso versamento-illecito amministrativo e l'omesso versamento- illecito penale, essendo caratterizzati da elementi costitutivi parzialmente divergenti, non sarebbero in rapporto di specialità, bensì di progressione illecita con la conseguenza che al trasgressore dovrebbero essere applicate entrambe le sanzioni.

Anche escludendo il rapporto di specialità, è comunque necessario soddisfare l’esigenza di giustizia che, proprio nei casi di progressione illecita, trova risposta nel principio del ne bis in idem.

Sul punto, non può che condividersi l'orientamento della Cassazione che le Sezioni unite del 2013 hanno respinto. Come si legge nelle motivazioni nel caso Germani268, dove si dice che “appare invece esservi, in realtà,

una sostanziale identità tra la condotta prevista e punita in via amministrativa dal D.Lgs. n. 671 del 1997, art. 13 e la condotta prevista quale penalmente rilevante dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 bis. Entrambe le condotte concernono il puro omesso versamento delle medesime somme mentre appare irrilevante, per valutare l'identità della condotta posta in essere dall'agente, sia il fatto che da un lato si puniscono gli omessi versamenti delle ritenute mensilmente operate e dall'altro quelli delle ritenute operate nel corso dell'intero anno; sia il fatto che differente sarebbe il termine di versamento. Non sembra invero esservi una sostanziale ed effettiva differenza di condotta fra l'omesso versamento del tutto e la somma degli omessi versamenti delle porzioni del tutto. Il comportamento illecito tenuto dal soggetto è, in effetti, il medesimo; e tanto le sanzioni amministrative tanto la sanzione penale hanno ad oggetto la stessa condotta omissiva (il mancato versamento all'erario) rivolta sul medesimo oggetto materiale (le ritenute certificate). Parimenti irrilevante è la diversità dei termini di adempimento prevista dalle due norme, perché l'enucleazione di due differenti termini di versamento non può influire, a livello penalistico, sulla fisionomia di una fattispecie penale e sul disvalore della stessa. Si tratta di un dato estrinseco che non incide sulla condotta omissiva dell'agente, se non nel senso di sanzionare il termine di rilevanza giuridica”269.

La Finlandia è stata poi nuovamente condannata per la violazione del ne

bis in idem in relazione al doppio binario penale-amministrativo previsto

in materia tributaria, con la sentenza del 10 febbraio 2015, Kiiveri c.

                                                                                                               

268 Cass., sez. III, 8 febbraio 2012, dep. 16 maggio 2012, n. 18757.

269 M. DOVA, Ne bis in idem in materia tributaria: prove tecniche di dialogo tra legislatori e

Finlandia270.

Si tratta ormai di un orientamento consolidato della Corte Europea, non tanto in relazione alla nozione di matière pénale, i cui criteri di identificazione sono i medesimi da quasi quarant'anni, quanto piuttosto in riferimento al concetto di medesimo fatto.

Con il mutamento di indirizzo del 2009, in occasione della sentenza

Zolotukhin c. Russia, la Corte, per valutare se le due sanzioni di natura

penale avessero ad oggetto il medesimo fatto, ha abbandonato ogni riferimento alla fattispecie incriminatrice.

Non si fa riferimento al tipo legale per il giudizio sul ne bis in idem di cui all’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, bensì all’identicità materiale e naturalistica del fatto. Poco importa, dunque, che le fattispecie si differenzino dal punto di vista della tipicità: quello che conta, per ritenere violato il divieto, è che l'effetto si risolva nella doppia punizione del medesimo fatto concreto271.

Il sig. Kiiveri, socio e amministratore di una società a responsabilità limitata, è stato condannato nel procedimento tributario a pagare sanzioni amministrative pecuniarie per aver falsamente dichiarato i propri redditi e per aver pagato "in nero" i dipendenti. Per gli stessi fatti, il ricorrente è stato altresì condannato, in sede penale, per frode fiscale e per non aver regolarmente tenuto la contabilità.

La Corte ritiene che il fatto di aver inviato una dichiarazione dei redditi non corrispondente al vero sia sostanzialmente diverso da quello di aver tenuto irregolarmente le scritture contabili. Si tratta, secondo la Corte, di due condotte autonome e indipendenti: colui che non ha tenuto regolarmente le scritture contabili può successivamente inviare una

                                                                                                               

270 Corte europea dei diritti dell’uomo, Quarta Sezione, sent. 10 febbraio 2015, Kiiveri

c. Finlandia.

271 M. DOVA, Ne bis in idem e reati tributari: nuova condanna della Finlandia e prima

dichiarazione dei redditi corretta, fornendo informazioni sufficientemente precise e correggendo le informazioni registrate nelle scritture contabili.

Per questa ragione, il reato che incrimina l'irregolare tenuta delle scritture contabili è sufficientemente distinto dall'illecito amministrativo concernente la dichiarazione dei redditi. Essendo diversi i fatti, non potrà considerarsi violato in questo caso il divieto del ne bis in idem272.

Inoltre, non avendo presentato ricorso nei termini stabiliti, il ricorrente ha esaurito le possibilità di opporsi alla doppia incriminazione per il medesimo fatto, dissolvendo i rimedi interni273.

Sempre in materia tributaria, occorre richiamare la sentenza della Corte europea Lucky Dev. C. Svezia, del 27 novembre 2014, a pochi mesi dalla sentenza Nikänen c. Finlandia.

Si condannava la Svezia per violazione del divieto di ne bis in idem di cui all'art. 4 Protocollo n. 7 della CEDU in relazione al doppio binario penale-amministrativo previsto dal legislatore svedese in materia tributaria.

Nel 2005, l'Agenzia delle entrate svedese ha contestato alla sig.ra Lucky Dev di non aver dichiarato redditi pari a circa 83.000 euro e di aver evaso l'IVA per un ammontare pari a circa 41.000 euro. Per queste violazioni la sig.ra Lucky Dev è stata condannata a pagare, rispettivamente, sovrattasse del 40% e del 20%.

Nello stesso anno e per i medesimi fatti è iniziato un procedimento penale, che ha condannato la signora Lucky Dev ad una pena condizionalmente sospesa con l’obbligo di prestare 160 ore di lavoro di pubblica utilità per non aver correttamente tenuto le scritture contabili, mentre è stata assolta in relazione al reato di frode fiscale derivante dalla

                                                                                                                272 V. § 35 della sentenza.

273 M. DOVA, Ne bis in idem e reati tributari: nuova condanna della Finlandia e prima

mancata dichiarazione dei propri redditi e dall'evasione dell'IVA.

I due procedimenti hanno proceduto parallelamente, quello penale è divenuto definitivo nel gennaio del 2009, quello amministrativo nell’ottobre dello stesso anno.

La signora Lucky Dev adì la Corte, quest’ultima prima valutò le motivazioni del governo svedese per le quali avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il ricorso:

a) la ricorrente non aveva esaurito le vie di ricorso interne, avendo rinunciato a proporre appello nei confronti della condanna penale pronunciata dalla Corte distrettuale;

b) la violazione del principio del ne bis in idem non era mai stata in precedenza sollevata dalla ricorrente dinanzi alle autorità nazionali;

c) il caso sottoposto all'esame della Corte EDU si è concluso, sul versante penale, l'8 gennaio 2009, ossia un mese prima della sentenza sul caso Sergey Zolotukhin c. Russia del 10 febbraio 2009, che ha imposto un revirement alla giurisprudenza della Corte EDU in tema di ne bis in

idem;

d) nel 2004 la Corte EDU aveva dichiarato inammissibile il ricorso proposto nel caso Rosenquist c. Svezia, con il quale si lamentava la violazione del divieto di ne bis in idem in relazione al doppio binario penale-amministrativo previsto dalla legislazione svedese in materia tributaria, in quanto la Corte europea rilevava le profonde differenze tra l'illecito penale e quello amministrativo non solo in relazione agli elementi costitutivi, ma anche in riferimento agli scopi perseguiti: mentre per l'integrazione del reato è richiesto il dolo intenzionale o la colpa grave, l'illecito amministrativo non prevede tale connotazione del profilo psicologico ed ha il fine di garantire che i contribuenti adempiano al fondamentale dovere di fornire al fisco informazioni approfondite e

accurate per gli accertamenti tributari274.

Per respingere nel caso ora in esame le eccezioni del Governo svedese, la Corte, dopo aver ribadito la necessità che le vie di ricorso interne siano accessibili ed effettive, osserva che la ricorrente non avrebbe avuto alcuna possibilità di vedersi accolta l'eccezione fondata sulla violazione del ne bis in idem da parte delle autorità nazionali, stante l'esistenza di un concorde orientamento giurisprudenziale che, fino al 2013, ha costantemente ribadito la legittimità convenzionale del doppio binario penale-amministrativo in materia tributaria275.

Dopo aver respinto le eccezioni del Governo svedese sull'ammissibilità del ricorso, la Corte passa all'esame di merito della violazione.

Dopo aver risolto la questione della possibilità di applicare anche a questo caso il revirement giurisprudenziale espresso nella sentenza Zolotukhin c. Russia in senso negativo, ovvero nel senso che questo caso vada deciso alla lue dell’attuale giurisprudenza della Corte, la Corte stessa passa in rassegna i consueti quattro aspetti da verificare per stabilire se, nel caso di specie, vi sia stata una violazione del divieto di ne bis in idem: a) se la sanzione amministrativa avesse natura penale;

b) se i fatti di rilevanza penale per i quali la ricorrente è stata perseguita in sede penale siano gli stessi per i quali è stata imposta la sovrattassa; c) se sia stata pronunciata una sentenza definitiva;

d) se ci sia stata una duplicazione di procedimenti.

In relazione al primo punto, la Corte afferma con forza che la sanzione amministrativa ha natura penale, non solo perché tale questione non è stata messa in discussione neppure dallo stesso governo svedese, ma soprattutto perché ormai tale questione è affermata definitivamente ed in maniera inconfutabile dalla giurisprudenza della Corte.

                                                                                                               

274 M. DOVA, Ne bis in idem e reati tributari: una questione ormai ineludibile, 2014, p. 3. 275 Ibidem.

Quanto al secondo punto, secondo la Corte, porre l'accento sulla fattispecie astratta rischia di indebolire la garanzia di cui all'art. 4, Protocollo. n. 7 della Convenzione; per cui il punto di riferimento deve essere il fatto concreto, non l'astratta previsione legislativa.

Si vede, quindi, come si tratta di un criterio profondamente diverso da quello individuato dal più risalente indirizzo giurisprudenziale della Corte europea che, come avvenuto nel caso Rosenquist c. Svezia del 2004, faceva riferimento alla differenza tra elementi costitutivi della fattispecie penale rispetto a quella amministrativa, con specifico riferimento al diverso criterio d'imputazione soggettiva richiesto dai due divieti276.

La Corte ha ritenuto, nel caso di specie, che il procedimento tributario e quello penale, i quali si riferiscono al medesimo periodo temporale e allo stesso ammontare, dovessero essere considerati come idem factum ai sensi dell'art. 4, Protocollo n. 7 CEDU.

Al contrario, la Corte ha stabilito che il reato contestato per l'irregolarità delle scritture contabili fosse sufficientemente distinto dal fatto per il quale era stata applicata la sovrattassa.

Per quanto concerne il terzo aspetto, la Corte ha ribadito che lo scopo dell'art. 4 Protocollo n. 7 CEDU è di vietare l'inizio di un nuovo procedimento quando è stata pronunciata una sentenza definitiva, ossia una decisione per la quale le parti hanno esaurito tutti i mezzi di impugnazione ordinari. Secondo la Corte, la sentenza definitiva nel caso

Lucky Dev deve essere individuata nell'assoluzione pronunciata, in

relazione al reato di frode fiscale, dalla Corte distrettuale il 16 dicembre 2008, che è divenuta definitiva il successivo 8 gennaio 2009.

Per quanto, infine, attiene la verifica della duplicazione dei procedimenti, la Corte ha ribadito che l'art. 4 Protocollo. n. 7 CEDU non preclude la contemporanea apertura e celebrazione di procedimenti paralleli per lo

                                                                                                                276 Idem, p.4.

stesso fatto, bensì il fatto che uno dei procedimenti non venga interrotto nel momento in cui l'altro è divenuto definitivo.

Una volta verificata la sussistenza di tutti i presupposti richiesti dall'art. 4, Protocollo n. 7 CEDU, la Corte ha condannato la Svezia per violazione del divieto di ne bis in idem, poiché il procedimento amministrativo, invece di essere interrotto dopo che la sentenza penale era divenuta definitiva, aveva continuato il proprio corso277.

Nel 2013 la Corte suprema svedese, in composizione plenaria, si è conformata alla giurisprudenza della Corte europea, riconoscendo l'incompatibilità, con l'art. 4 Protocollo. n. 7 della Convenzione, del doppio binario penale-amministrativo previsto, in materia tributaria, per l'IVA, l'imposta sui redditi, le ritenute contributive e altri simili pagamenti.

All'esito di questa ricostruzione, è facile immaginare quali travolgenti ricadute potrebbero abbattersi sull'ordinamento italiano alla luce della giurisprudenza della Corte europea sul doppio binario penale- amministrativo in materia tributaria. Ricadute che saranno ancora più incisive di quelle prodotte dalla sentenza Grande Stevens c. Italia, poiché i procedimenti in materia tributaria sono assai più numerosi.

Le difficoltà di porre rimedio, come avvenuto in Svezia, agli effetti prodotti dall'illegittimità del doppio binario non possono che accumularsi nel tempo a causa del costante diniego da parte della giurisprudenza, che pure avrebbe gli strumenti interpretativi per limitare le ricadute delle scelte del legislatore278.

Le sentenze della CEDU, in ordine di tempo, ribadiscono un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato con specifico riguardo alla materia tributaria, e ciò sembra imporre un profondo ripensamento

                                                                                                                277 Ibidem.

della soluzione interpretativa adottata dalla Corte di Cassazione che, al contrario, esclude senza, qualsiasi, dubbio di legittimità dell'analoga duplicazione penale-amministrativa presente nell'ordinamento italiano279. 4. Verso un nuovo intervento della Corte di Giustizia dell’Unione Europea

Recentemente, la Corte Ue è stata sollecitata ad interessarsi nuovamente del doppio binario sanzionatorio amministrativo–penale, utilizzato come misura di contrasto delle infrazioni tributarie.

Le peculiarità del caso concreto rispetto a quelli precedentemente portati innanzi alla Corte obbligheranno – con ogni probabilità - quest’ultima a scendere nel merito della questione, aprendo nuovi scenari sconosciuti fino a questo momento280.

Il caso de quo (causa C-217/15) ha visto come imputato il Sig. Massimo Orsi, a cui è stato contestato l’omesso versamento dell’IVA, in un ordinamento, il nostro, dove l’infrazione tributaria, come sappiamo, genera la segnalazione alla Procura competente con conseguente apertura di procedimento penale a carico dell’inadempiente.

Il soggetto in questione, pur avendo dichiarato di dover corrispondere allo Stato a titolo di IVA la somma di euro 1.014.288,00 per l’annualità 2011, non effettuava il pagamento nei termini di legge.

L’Agenzia delle Entrate provvedeva, pertanto, alla segnalazione alla Procura della Repubblica, a cui seguiva il provvedimento di sequestro