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segue: le considerazioni in diritto: il doppio binario sanzionatorio

2. La sentenza Grande Stevens e altri vs Italia: le premesse fattuali Il 4 marzo 2014 la Corte Europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha

2.1 segue: le considerazioni in diritto: il doppio binario sanzionatorio

La Seconda Sezione della Corte EDU è intervenuta con la sentenza del 4 marzo 2014, individuando, come accennato all’inizio, nel sistema legislativo italiano, in materia di abusi di mercato, una violazione del diritto all’equo processo (art. 6, § 1, CEDU) e del diritto a non essere giudicati o puniti due volte (art. 4, Protocollo n. 7)211.

Partendo dal primo problema, ovvero dal primo principio violato, la Corte ha rilevato che effettivamente c’erano stati taluni problemi nel procedimento amministrativo sanzionatorio che si era svolto di fronte alla CONSOB, non conforme alle esigenze di equità e imparzialità oggettiva sancite dall’art. 6 § 1, CEDU.

Anzitutto la Corte sostiene che realmente, come eccepivano i ricorrenti, non è stato rispettato il contraddittorio, la sanzione è stata inflitta sulla                                                                                                                

210 Corte Europea dei diritti dell’uomo, sez. II, Grande Stevens e altri c. Italia, (ricorsi n.

18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10), sentenza Strasburgo 4 marzo 2014, punti 1-52.

211 A. DE AMICIS, Aula Magna, 23 giugno 2014 , Ne bis in idem e “doppio binario”

sanzionatorio: prime riflessioni sugli effetti della sentenza “Grande Stevens” nell’ordinamento italiano, in atti dell’incontro di studio, Il principio del ne bis in idem tra giurisprudenza europea e diritto interno (sentenza Corte EDU del 4 marzo 2014, Grande Stevens c. Italia), Aula Magna, 23 giugno 2014, p. 2.

base di un rapporto non comunicato ai ricorrenti e, in aggiunta a questo, è mancata un’udienza pubblica, considerata indispensabile per varie esigenze, a partire dal rischio di vedersi applicata una pena troppo severa. Inoltre la Corte rileva che le indagini erano state affidate ad organi sì diversi dalla CONSOB, ma comunque dipendenti dalla stessa212.

Quanto al secondo problema, la Corte ha osservato che sia di fronte alla CONSOB che in sede penale, ai ricorrenti era stata contestata una unica e medesima condotta, posta in essere dalla stessa persona e nella stessa data, a norma, rispettivamente, degli artt. 185 e 187-ter T.u.i.f., riguardanti entrambi la manipolazione del mercato, con la conseguenza che l’azione penale riguardava un secondo illecito, scaturito da fatti identici a quelli dai quali era scaturita la prima condanna definitiva. Passata in giudicato la decisione sull’illecito amministrativo ex art. 187-ter e rilevata la presenza del giudicato penale, avente ad oggetto la stessa accusa ex art. 185, la Corte EDU, richiamando la propria giurisprudenza, afferma che non è rilevante se gli elementi costitutivi del fatto tipizzato dalle due norme siano o meno identici, bensì solo se i fatti ascritti ai ricorrenti dinanzi alla CONSOB e dinanzi ai giudici penali “fossero riconducibili alla stessa condotta”213.

Seguendo questo ragionamento se ne ricava che l’azione penale riguardava un secondo illecito basato su fatti identici a quello che aveva motivato la prima condanna definitiva, e ciò basta per ritenere violato l’art. 4 del Protocollo n. 7214.

Si può affermare, quindi, che venne violato il principio del ne bis in idem. La Corte di Strasburgo arriva a questa conclusione prendendo le mosse                                                                                                                

212 Ibidem.

213 Corte Europea dei diritti dell’uomo, sez. II, sent. 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri

contro Italia, cit., § 224.

214 F. D’ALESSANDRO, Regolatori del mercato, enforcement e sistema penale, Torino, 2014,

dall’analisi delle sanzioni amministrative per prime inflitte ai ricorrenti: i giudici di tale Corte ritennero, infatti, che nel procedimento innanzi alla CONSOB, identificato come procedimento amministrativo, le pene che vennero inflitte erano in realtà vere e proprie sanzioni penali, principalmente in ragione del loro considerevole rigore, severità, il loro ammontare nonché le loro ripercussioni sugli interessi del condannato, ma anche per le sanzioni accessorie collegate215.

Riconoscendo la natura penale delle sanzioni della CONSOB, i giudici europei hanno espresso la necessità dell’osservanza delle garanzie che l’art. 6 CEDU riserva ai processi penali.

Da ciò, quindi, ne consegue necessariamente la valutazione della Corte circa la riferibilità delle sanzioni comminate nel processo amministrativo ai medesimi fatti oggetto del successivo procedimento penale; una volta risolta positivamente la questione, occorre riconoscere la violazione del principio di cui all’art. 4 del Protocollo n. 7.

In conseguenza di queste violazioni, la Corte europea ha statuito che lo Stato convenuto deve fare in modo che i nuovi procedimenti penali avviati contro i ricorrenti in violazione dell’art. 4 del Protocollo n.7 e ancora pendenti, nei confronti dei sigg. Gabetti e Grande Stevens, vengano chiusi nel più breve tempo possibile216.

Inoltre i giudici di Strasburgo condannarono l'Italia a versare a ciascun ricorrente diecimila euro per il danno morale, e quarantamila euro, congiuntamente, per le spese.

Possiamo concludere, quindi, che la Corte europea, con questa sentenza del 4 marzo 2014, ha all'unanimità riscontrato la violazione dell'art. 6 §1 della CEDU, ossia del diritto a un equo processo in un termine

                                                                                                               

215 Cfr. i punti 97, 98 e 99 della sentenza in esame, v. Considerazioni sul principio del ne bis

in idem nella recente giurisprudenza europea: la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia, cit., p. 3.

ragionevole, e dell'art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, ossia del diritto a non essere giudicati o puniti due volte, così accogliendo in parte le doglianze dei ricorrenti.

Alla luce di tutto ciò, è possibile affermare che, anche se il procedimento innanzi alla CONSOB è amministrativo, le sanzioni inflitte possono essere considerate a tutti gli effetti come penali, anziché appunto amministrative, considerata la loro natura repressiva, l’eccessiva severità delle stesse oltre che per le loro ripercussioni sugli interessi del condannato.

Pertanto, quello che viene definito come “doppio binario”, usato per configurare il reato e l’illecito amministrativo per i medesimi fatti, previsto dagli artt. 184 ss. TUF, viola il principio del ne bis in idem.

I giudici di Strasburgo hanno ritenuto non sufficiente la garanzia costituita dal c.d. principio di specialità217 previsto dalla legge 689/1981

al fine di evitare che un medesimo fatto sia punito due volte.

Infatti, come il presente caso dimostra, il sistema italiano non proibisce l’apertura di una procedura penale in idem dopo l’adozione di una decisione definitiva di condanna per infrazioni “amministrative”, ma di fatto penali, da parte della giurisdizione competente.

Secondo la Corte di Strasburgo, dunque, la CEDU osta a misure di doppia sanzione, amministrativa e penale. Tuttavia, si noti come tale estensione della sfera applicativa del ne bis in idem non opera in via generale, ma solo nelle ipotesi in cui la procedura amministrativa sfoci in un provvedimento particolarmente afflittivo e la decisione sia divenuta

                                                                                                               

217 Tale principio si applica quando due infrazioni condividono gli stessi elementi

costitutivi fondamentali ma una delle due ha una portata più ristretta in ragione di una precisazione o di un’aggiunta ai fatti dell’infrazione, caso in cui l’infrazione “speciale” prevale.

definitiva218.

A tal proposito, la Corte ritiene prevalente la sostanza delle sanzioni sulla loro forma: la reale natura delle misure sanzionatorie previste negli ordinamenti nazionali viene apprezzata alla luce delle loro concrete peculiarità e conseguenze e non in forza della mera qualificazione giuridica ad esse riconosciuta219.

In particolare, la Corte, in una pronuncia risalente, la “Engel e altri c. Paesi Bassi”, 8 giugno 1976, § 82, serie A n. 22, ha enucleato i c.d. Criteri di Engel che fungono da parametri idonei a rivelare la sostanziale essenza penale di un determinato provvedimento:

1. la qualificazione giuridica della misura; 2. la natura della misura;

3. la natura e il grado di severità della sanzione.

Questi criteri sono considerati criteri alternativi, anziché cumulativi, nel senso che, affinché si possa parlare di accusa in materia penale, basta che il reato in causa sia di natura «penale» rispetto alla Convenzione, o abbia esposto l'interessato a una sanzione che, per natura e livello di gravità, rientri in linea generale nell’ambito della materia penale220.

Nella sentenza Grande Stevens, anzitutto, la Corte ha rilevato che, secondo il criterio della qualificazione giuridica formale dell’illecito, le manipolazioni del mercato imputate ai ricorrenti nel procedimento di fronte alla CONSOB, non costituiscono un illecito penale essendo

                                                                                                               

218 M. FIDELBO, Il principio del ne bis in idem e la sentenza “Grande Stevens”: pronuncia

europea e riflessioni nazionali, cit., p. 3.

219 S. MONTALDO, L’ambito di applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione

europea e il principio del ne bis in idem, in Diritti umani e diritto internazionale, vol. 7, 2013, n. 2, p. 579 ss.

220 Corte di Cassazione, Ufficio del Ruolo del Massimario, Considerazioni sul principio del

ne bis in idem nella recente giurisprudenza europea: la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia, rel. 35/2014, p. 4.

punite con una sanzione qualificata come “amministrativa” dall’art. 187 ter del d.lgs. 58/1998221.

La Corte europea, sul punto, assicura che la qualificazione formale non è da ritenersi decisiva ai fini dell’applicabilità dell’art. 6 della CEDU, in quanto le indicazioni che fornisce il diritto interno hanno un valore relativo; piuttosto, in ragione dell’importo elevato delle sanzioni pecuniarie che sono state inflitte ai ricorrenti, i giudici di Strasburgo ritengono che quelle inflitte nel procedimento di fronte alla CONSOB sono da ritenere, a causa della loro severità, rientranti nella materia penale, specificando come il “carattere penale” di un procedimento sia subordinato al grado di gravità della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata222 e non alla gravità della sanzione alla fine in

concreto inflitta223.

È vero che nel caso di specie le sanzioni non sono state applicate nel loro ammontare massimo, in quanto la Corte d'Appello di Torino ha ridotto alcune ammende inflitte dalla CONSOB224, ma tuttavia, il carattere penale di un procedimento è subordinato al grado di gravità della sanzione di cui è a priori passibile la persona interessata225 e non alla gravità della sanzione alla fine inflitta. Per di più, nel caso di specie i ricorrenti sono stati sanzionati con ammende variabili tra 500.000 e                                                                                                                

221 L’art. 187 ter del D.lgs. n. 58/1998 prevede come massimo edittale della sanzione

amministrativa pecuniaria il limite di cinque milioni di euro, cui si accompagna per gli esponenti aziendali la perdita temporanea dei requisiti di onorabilità, e, relativamente alle società quotate in borsa, la temporanea incapacità di assumere incarichi di direzione, amministrazione e controllo.

222 Cfr. pronuncia Engel e altri c. Paesi Bassi”, 8 giugno 1976.

223 Corte di Cassazione, Ufficio del Ruolo del Massimario, Considerazioni sul principio del

ne bis in idem nella recente giurisprudenza europea: la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia, op.cit.

224 V. § 30 della sent. Grande Stevens e altri contro Italia. 225 V. Sentenza Engel, cit. § 82.

3.000.000 euro, e a Gabetti, Grande Stevens e Marrone è stata inflitta l’interdizione dall’amministrare, dirigere o controllare delle società quotate in borsa per un tempo compreso tra due e quattro mesi226. Quest'ultima sanzione era tale da ledere il credito delle persone interessate e le ammende erano, visto il loro ammontare, di una severità che comportava per gli interessati conseguenze patrimoniali importanti227.

Alla luce di quanto è stato esposto e tenuto conto dell'importo elevato delle sanzioni pecuniarie inflitte e di quelle di cui erano passibili i ricorrenti, la Corte ritiene che le sanzioni in causa rientrino, per la loro severità, nell’ambito della materia penale228.

Si afferma, pertanto, che vi è stata violazione dell’articolo 6 § 1 della Convenzione e dell’articolo 4 del Protocollo n. 7, e contestualmente si intima lo Stato convenuto a fare in modo che i nuovi procedimenti penali avviati contro i ricorrenti in violazione dell’articolo 4 del Protocollo n. 7 e ancora pendenti, alla data delle ultime informazioni ricevute, nei confronti dei sigg. Gabetti e Grande Stevens, vengano chiusi nel più breve tempo possibile.

Lo Stato convenuto sarà tenuto a versare, entro tre mesi a decorrenti dalla data in cui la sentenza diverrà definitiva conformemente all’articolo 44 § 2 della Convenzione, diecimila euro, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta, a ciascun ricorrente per il danno morale e quarantamila euro, più l’importo eventualmente dovuto a titolo di imposta dai ricorrenti, a questi ultimi congiuntamente per le spese.

A decorrere dalla scadenza e fino al versamento tali importi dovranno essere maggiorati di un interesse semplice a un tasso equivalente a quello delle operazioni di rifinanziamento marginale della Banca centrale                                                                                                                

226 V. § 25-26 e 30-31 sent. Grande Stevens e altri contro Italia. 227 Ivi, par. 98.

europea maggiorato di tre punti percentuali229.

L’8 luglio 2014 la cancelleria della Corte Europea ha comunicato230 che un panel di cinque giudici ha rigettato la richiesta di rinvio alla Grande Camera formulata dal governo italiano contro sentenza Grande Stevens c. Italia, che diviene così definitiva ai sensi dell'art. 43 CEDU231. 2.2 segue: i riferimenti compiuti alla sentenza Aklagaren c. Akerberg Fransson della Corte di giustizia

La sentenza Grande Stevens c. Italia menziona a più riprese le argomentazioni contenute nella pronuncia della Corte di Giustizia europea Åklagaren c. Hans Åkerberg Fransson in materia di imposta sul valore aggiunto 232.

La Corte di giustizia dell’Unione europea ha avuto modo di precisare che, in virtù del principio del ne bis in idem, uno Stato può imporre una doppia sanzione, fiscale e penale per gli stessi fatti solo a condizione che la prima sanzione non sia di natura penale233.

Con la sentenza del 26 febbraio 2013, la Corte di Giustizia si è pronunciata su una questione pregiudiziale posta da un giudice svedese. Tale questione aveva ad oggetto l’interpretazione e la portata del principio del ne bis in idem sancito dall’art. 50 della Carta dei diritti                                                                                                                

229 Corte Europea dei diritti dell’uomo, sez. II, Grande Stevens e altri c. Italia, (ricorsi n.

18640/10, 18647/10, 18663/10, 18668/10 e 18698/10), sentenza Strasburgo 4 marzo 2014, cit.

230 Comunicato stampa n. 203 dell’8 luglio 2014.

231 F. VIGANÒ, Ne bis in idem: la sentenza Grande Stevens è ora definitiva, 2014, p. 1. 232 Sentenza Corte di giustizia dell’Unione europea, Grande sezione, 26 febbraio 2013,

causa C-617/10, Aklagaren c. Hans Akerberg Fransson.

233 Corte di Cassazione, Ufficio del Ruolo del Massimario, Considerazioni. sul principio del

ne bis in idem nella recente giurisprudenza europea: la sentenza 4 marzo 2014, Grande Stevens e altri contro Italia, cit., p. 15.

fondamentali e dall’art. 4 del Protocollo n. 7 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Brevemente, questi erano i fatti all’origine della decisione: mediante un rinvio sollevato ex art. 267 TFUE, il tribunale di primo grado di Haparanda, in Svezia, chiedeva se l’azione penale avviata nei confronti del sig. Åkerberg Fransson per l’imputazione di frode fiscale aggravata per gli esercizi fiscali 2004 e 2005 a fronte delle false indicazioni che egli aveva prodotto, doveva essere considerata inammissibile per il fatto che il soggetto era già stato sanzionato, per i medesimi fatti, con una sovrattassa applicata dall’amministrazione tributaria e che, nelle more, era divenuta definitiva.

Il giudice s’interrogava poi, anche, sulla compatibilità della prassi giudiziaria svedese consistente nel subordinare l’obbligo di disapplicare le disposizioni interne in contrasto con i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU e dalla Carta alla condizione che tale contrasto risulti chiaramente dalle norme e dalla giurisprudenza europea.

Tale prassi trova il proprio fondamento nell’applicazione conforme proposta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea al fine di garantire l’applicazione delle norme del diritto sovranazionale234.

Anzitutto, si è voluto precisare che l’obbligo del rispetto dei diritti fondamentali dell’Unione, e, quindi, anche i principi enunciati dalla CEDU, grava sugli Stati membri solo quando essi agiscono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione stessa; per cui la tutela offerta dalla Carta ha valenza limitata all’ambito del diritto dell’Unione.

Nel caso di specie, avente ad oggetto l’applicazione di sovrattasse e l’instaurazione di un procedimento penale collegate a violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, la Corte individua un nesso                                                                                                                

234 M. PIAZZA, Il principio del ne bis in idem nella sentenza CGUE Aklagaren/Akerberg,

diretto tra la riscossione del tributo e la messa a disposizione nel bilancio dell’UE delle corrispondenti risorse ai sensi della direttiva 2006/112 del Consiglio del 28 novembre 2006 e dell’art. 325 TFUE.

Di diverso avviso era, invece, l’Avvocato Generale Villalòn.

La mera presenza di una disciplina europea in materia di IVA non era sufficiente, secondo l’Avvocato Generale, ad espropriare i singoli Stati del potere di sanzionare in modo autonomo le violazioni in materia fiscale e di valutarne la conformità ai principi fondamentali di matrice nazionale235.

Tuttavia la Corte dichiara la propria competenza.

La Corte si limita a prendere in considerazione il principio del ne bis in idem in relazione all’art. 50 della Carta di Nizza, sulla base anche di quello che era stato affermato nella sentenza in esame dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, che aveva statuito tre principi fondamentali: a) l'applicabilità del diritto dell’Unione implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta; b) l'articolo 50 di quest'ultima (che garantisce il principio del ne bis in idem) presuppone che le misure adottate a carico di un imputato assumano carattere penale; c) per valutare la natura penale delle sanzioni fiscali, occorre tener conto della qualificazione della sanzione nel diritto interno, della natura dell’illecito e del grado di severità della sanzione che rischia di subire l'interessato236. Il problema sorge dalla diversa portata della tutela convenzionale rispetto a quella offerta dalla Carta di Nizza dal momento che la giurisprudenza di Strasburgo, dopo alcune prime incertezze, è giunta ad affermare che il principio di ne bis in idem sancito nel protocollo n. 7 osta a provvedimenti che infliggono una duplice sanzione, amministrativa e penale, per gli stessi fatti, impedendo di avviare un secondo procedimento quando la                                                                                                                

235 Idem, p. 2.

236 Considerazioni. sul principio del ne bis in idem nella recente giurisprudenza europea: la sentenza

prima sanzione sia divenuta definitiva.

La Corte, omettendo di esaminare la questione, ha dichiarato che l’unico parametro rilevante era rappresentato dall’art. 50 della Carta e ha stabilito che il principio di ne bis in idem ivi espresso “non osta a che uno Stato membro imponga, per le medesime violazioni di obblighi dichiarativi in materia di IVA, una sanzione tributaria e successivamente una sanzione penale”.

Spetterà al giudice del rinvio, secondo quanto stabilito dalla stessa Corte, valutare alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza europea, la natura penale della prima sanzione e l’effettività delle modalità previste per evitare un effetto punitivo eccessivo237.

Infine, per quanto riguarda la questione sollevata in relazione alla Carta di Nizza, la Corte ribadisce che, in caso di contrasto tra le disposizioni nazionali e quelle di diritto dell’Unione il giudice dello Stato membro deve disapplicare le norme interne. Tale potere non può essere limitato alla condizione che il contrasto risulti chiaramente dal tenore della norma della Carta dal momento che, con l’introduzione di tale limite, si ostacolerebbe l’esercizio dei poteri di interpretazione e disapplicazione che il diritto dell’Unione attribuisce agli organi giurisdizionali nazionali. In conclusione, la Corte, ribadendo la propria incompetenza ad esprimere pareri consultivi su questioni generali o teoriche, ha dichiarato irricevibile la questione relativa all’opportunità di prevedere una legislazione che autorizza il cumulo di sovrattasse e sanzioni penali inflitte dallo stesso giudice, sulla base della circostanza che tale normativa non era applicabile alla controversia principale238.

                                                                                                               

237 M. PIAZZA, Il principio del ne bis in idem nella sentenza CGUE Aklagaren/Akerberg,

cit., p. 3.