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Gli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione: il problema dei diritti di proprietà intellettuale

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DI PISA

DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN GIURISPRUDENZA

Gli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo ed innovazione: il problema

dei diritti di proprietà intellettuale

Relatrice

Ch.ma Prof.ssa Michela Passalacqua

Candidato

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“Nell'oggi cammina già il domani”

(S. T. COLERIDGE)

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Indice

Introduzione...IV

CAPITOLO I

I diritti di proprietà intellettuale e i contratti pubblici

1. Premessa...1 2. I diritti di proprietà intellettuale: freno o motore di crescita e sviluppo?...4 3. La gestione dei diritti di proprietà intellettuale nei contratti pubblici: due approcci antitetici...11 4. Diversi modelli di gestione a confronto: qualche esempio nel panorama internazionale...22 5. La gestione dei diritti di proprietà intellettuale nell'ordinamento europeo: una scelta libera?...35

CAPITOLO II

La disciplina europea sugli aiuti di stato

1. Caratteri generali ed evoluzione della disciplina: dallo State aid control alla

State aid policy...42

2. I requisiti ex art. 107(1) TFUE nell'elaborazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia. Focus sul c.d. principio dell'operatore economico di mercato...47 2.1 Impiego di risorse statali...47 2.2 Natura di “impresa” del beneficiario...49 2.3 Vantaggio economico. Il criterio dell'operatore economico di mercato

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...50 2.4 Selettività...61 2.5 Incidenza anti-concorrenziale sugli scambi tra Stati membri...66 3. I criteri di compatibilità degli aiuti di stato: l'art. 107(3) TFUE e l'approccio di Commissione e Corte di Giustizia...67

CAPITOLO III

Gli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo ed innovazione: l'approccio delle istituzioni europee all'allocazione dei diritti di

proprietà intellettuale

1. Considerazioni preliminari: l'evoluzione del quadro delle fonti e la comunicazione della Commissione...77 2. I requisiti ex art. 107(1) TFUE nel contesto degli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo ed innovazione...84

2.1 Gli appalti pubblici di servizi di ricerca e sviluppo: le procedure di aggiudicazione aperte e l'art. 107(1) TFUE ...86 2.2 Gli “altri” appalti di R&S...95 2.3 Ricerca contrattuale e collaborazione tra imprese ed organismi di ricerca...101 3. La valutazione di compatibilità degli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo ed innovazione...103

3.1 La comunicazione della Commissione ed i criteri di valutazione ex art. 107(3) TFUE...103 3.2 La prassi applicativa e le decisioni della Commissione...110 4. I diritti di proprietà intellettuale negli aiuti a favore di ricerca, sviluppo ed innovazione: un quadro incompleto...116

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Conclusioni...124 Bibliografia...128

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Introduzione

Ricerca, sviluppo ed innovazione rappresentano priorità fondamentali per il futuro dell'Europa, tanto che la stessa Commissione europea vi ha identificato il “cardine della strategia dell'UE per favorire la crescita e creare

occupazione”, nonché per poter competere con successo con gli Stati Uniti e

con i numerosi Paesi emergenti.

Nei settori “della ricerca, dello sviluppo tecnologico e dello spazio”, l'Unione Europea ha, ai sensi dell'art. 4, par. 3 TFUE, una competenza di carattere concorrente, ossia può definire ed attuare programmi, salve restando le prerogative degli Stati membri. Su tale base giuridica, è stato adottato il piano per la ricerca 2014-2020, noto come Horizon2020, il quale ha previsto lo stanziamento, nell'ambito del bilancio dell'UE, di quasi 80 miliardi di euro allo scopo di finanziare progetti di ricerca e sviluppo. Analogamente, per il periodo dal 2021 al 2027, è in corso di elaborazione, da parte della Commissione europea, il programma quadro FP9, destinato a subentrare ad Horizon2020.

Per costruire un'efficace politica europea in materia di ricerca, sviluppo ed innovazione, tuttavia, l'impegno delle istituzioni dell'UE, seppur certamente apprezzabile, non può essere considerato di per sé bastevole: le dimensioni relativamente ridotte del bilancio dell'Unione, insieme al descritto riparto di competenze, infatti, non sono tali da garantire risorse sufficienti per realizzare un intervento realmente efficace.

Pertanto, assume un'importanza decisiva il ruolo degli Stati membri, i quali, come emerge anche dai documenti preparatori di FP9, sono chiamati ad un intervento diretto per sostenere ed incentivare l'innovazione, in un'ottica di “leale cooperazione” (art. 4, par. 3 TUE) con le istituzioni dell'Unione.

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Allo stesso tempo, tuttavia, il diritto dell'Unione Europea pone alcune limitazioni rispetto all'intervento statale nell'economia, alle quali anche le politiche pubbliche in materia di ricerca, sviluppo ed innovazione devono necessariamente conformarsi: gli artt. 107-109 TFUE, infatti, prevedono forti limitazioni agli aiuti statali a favore delle imprese, che sono ammessi solo a determinate condizioni.

La disciplina è finalizzata a tutelare la concorrenza nell'ambito del mercato unico europeo, evitando le distorsioni che potrebbero derivare dal sostegno pubblico a favore di “talune imprese o talune produzioni”. Nonostante ciò, tuttavia, le norme del trattato non hanno la ratio di vietare tout court qualunque forma di intervento pubblico, poiché consentono alla Commissione europea di autorizzare alcune categorie di aiuti, qualora ricorrano determinate condizioni.

Tale facoltà, a seguito dell'evoluzione dell'integrazione europea e dell'arricchimento degli scopi perseguiti dalle istituzioni dell'Unione, è stata spesso utilizzata per orientare le politiche nazionali verso obiettivi di interesse comune, al punto che, come si vedrà più avanti, c'è chi ha parlato di una vera e propria “politica industriale” promossa dalla Commissione europea.

Il presente lavoro, allora, tratterà del regime applicabile agli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo ed innovazione, alla luce di quanto previsto dalle norme dei Trattati europei in materia di concorrenza. Ci si focalizzerà, in particolare, sul problema della ripartizione dei diritti di proprietà intellettuale sui risultati delle attività di ricerca, sviluppo ed innovazione finanziate e/o sostenute dall'intervento statale. Rispetto a tale questione, infatti, la prassi riscontrabile a livello internazionale mostra l'adozione di soluzioni assai diverse tra loro: in alcuni casi i diritti sono attribuiti al soggetto pubblico, in altri ai contraenti privati; in questa seconda

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ipotesi, talvolta è richiesto al privato di concedere, a certe condizioni, un diritto d'accesso ai risultati all'ente pubblico oppure a soggetti terzi.

È evidente che si tratta di una problematica di notevole rilevanza, in quanto, come affermato dalla scienza economica, l'allocazione dei diritti di proprietà intellettuale può incidere sull'effettivo impatto delle politiche pubbliche in materia di ricerca, sviluppo ed innovazione, toccando il delicato bilanciamento tra l'incentivazione delle imprese beneficiarie degli aiuti e l'interesse generale.

Pertanto, si indagherà sui limiti che il diritto europeo degli aiuti di Stato può porre rispetto alle scelte allocative compiute dalle autorità statali in materia di proprietà intellettuale, verificando in quali termini tali scelte possano incidere sui giudizi di esistenza e di compatibilità degli aiuti, previsti rispettivamente dal primo e dal terzo paragrafo dell'art. 107 TFUE.

Il lavoro prende in considerazione le diverse forme di sostegno pubblico, ponendo, però, particolare attenzione al public procurement, il quale rappresenta una leva fondamentale per incoraggiare lo sviluppo di soluzioni innovative da parte delle imprese.

Il primo capitolo introduce al tema della gestione dei diritti di proprietà intellettuale nei contratti pubblici lato sensu intesi, non limitandosi ai soli appalti pubblici, ma considerando anche altri strumenti legali. Fatta una breve premessa sul dibattito economico relativo ai diritti di proprietà intellettuale in quanto tali, si illustreranno, da un punto di vista tanto teorico quanto pratico, vantaggi e svantaggi delle diverse opzioni allocative configurabili, traendo spunto dalle esperienze di organizzazioni internazionali come ESA e NATO.

Il secondo capitolo, invece, offre una panoramica d'insieme sulla disciplina degli aiuti di Stato e sulle relative evoluzioni giurisprudenziali, sia rispetto alla nozione di aiuto di Stato ex art. 107(1) TFUE, sia rispetto alla

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valutazione di compatibilità degli aiuti compiuta dalla Commissione.

Infine, il terzo capitolo è dedicato al rapporto tra gestione dei diritti di proprietà intellettuale e diritto europeo degli aiuti di Stato: si cercherà, infatti, di ricostruire il quadro regolatorio applicabile alle scelte allocative delle autorità nazionali in tema di diritti di proprietà intellettuale, sia nell'ambito degli appalti pubblici sia rispetto ad altre misure di sostegno a ricerca, sviluppo ed innovazione. In questa sede, si offrirà, ove possibile, anche qualche spunto de jure condendo, al fine di superare alcune criticità riscontrabili nella disciplina oggi vigente.

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CAPITOLO I

I diritti di proprietà intellettuale e i contratti pubblici

1. Premessa

La nozione di public procurement, che può essere correttamente tradotta in italiano con l'espressione “contratti pubblici”, identifica, a livello internazionale1, il procedimento attraverso il quale la Pubblica

Amministrazione acquisisce beni o servizi. Si tratta di un'attività di grande rilievo ed impatto economico, in quanto, secondo le stime dell'OCSE, rappresenta il 12% del PIL ed il 29% della spesa pubblica nazionale dei Paesi membri2.

Alla luce dei dati in questione, dunque, non appare sorprendente la circostanza che l'80% degli Stati OCSE sostenga l'utilizzo dei contratti pubblici quale strumento per favorire l'innovazione e le attività di ricerca e sviluppo: in particolare, è stata coniata a livello internazionale l'espressione

“public procurement for innovation”, definita come “ogni processo di affidamento di contratti pubblici volto a stimolare l'innovazione attraverso ricerca e sviluppo ed attraverso la diffusione sul mercato di prodotti e servizi innovativi”3.

1 L'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) riporta la seguente definizione: “Public procurement refers to the purchase by governments and state-owned enterprises of goods, services and works”, consultabile al link http://www.oecd.org/gov/public-procurement/; una definizione analoga è data dalla Commissione Europea, come è possibile verificare sulla pagina dedicata al public procurement dalla Direzione Generale Mercato Interno, Industrie, PMI, https://ec.europa.eu/growth/single-market/public-procurement_it.

2 OCSE, Public Procurement for Innovation: Good Practices and Strategies, OCSE Public Governance Reviews, Parigi, OECD Parigi, 2017, http://www.keepeek.com/Digital-Asset-

Management/oecd/governance/public-procurement-for-innovation_9789264265820-en#.WdcztPkjFaQ#page4, p. 16.

3 OCSE, Public Procurement for Innovation: Good Practices and Strategies, cit., p. 17: “any kind of public procurement practice (pre-commercial or commercial) that is intended to stimulate innovation through research and development and the market uptake of innovative products and services”.

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In tale contesto, appare evidente come i contratti pubblici siano utilizzati con il duplice scopo di ottenere beni o servizi e di stimolare l'innovazione, secondo uno schema caratterizzato dal concorso tra l'obiettivo primario – cioè l'acquisizione di utilità da sfruttare nell'attività dell'Amministrazione – ed un obiettivo secondario di policy4.

Un siffatto utilizzo dei contratti pubblici, benché senz'altro apprezzabile in chiave di sostegno all'innovazione, comporta, tuttavia, una parziale eterogenesi dei fini, che tende ad intaccare la concezione del

procurement quale strumento di acquisizione di beni e servizi destinati a

soddisfare le necessità dell'Amministrazione: in particolare, nonostante la terminologia OCSE lo definisca quale obiettivo secondario, può accadere che l'incentivo all'innovazione assuma, in concreto, un peso specifico decisamente preponderante, ai fini della scelta, compiuta dall'Amministrazione, di impiegare risorse pubbliche in una determinata maniera.

In tale prospettiva, allora, la distinzione rispetto all'attribuzione di sovvenzioni5 e altri contributi finanziari volti ad incentivare l'innovazione,

tende ad assumere, nella pratica, contorni piuttosto sfumati, poiché in entrambi i casi si ha l'attribuzione di risorse pubbliche a soggetti privati al fine di favorire l'innovazione.

4 OCSE, Recommendation on Public Procurement, Parigi, OCSE Parigi, 2015, http://www.oecd.org/gov/public-procurement/recommendation/OECD-Recommendation-on-Public-Procurement.pdf, p. 6, dove gli obiettivi secondari di policy sono definiti come “a variety of objectives such as sustainable green growth, the development of small and medium-sized enterprises, innovation, standards for responsible business conduct or broader industrial policy objectives, which governments increasingly pursue through use of procurement as a policy lever, in addition to the primary procurement objective”.

5 Peraltro, mette conto sottolineare che la stessa nozione di sovvenzione è sicuramente piuttosto incerta ed alquanto discussa in dottrina. Al riguardo, è presente una letteratura piuttosto ampia tra cui è possibile segnalare, ex multis, G. PERICU, Le sovvenzioni come strumento di azione amministrativa, Milano, Giuffré, 1967; E. CROCI, G. PERICU, voce Sovvenzioni (diritto amministrativo), in Enc. Dir., XLIII, Milano, Treccani, 1990, pp. 243 ss.; A. AMORTH, I contributi pecuniari concessi dallo Stato ad enti pubblici e privati, in Studi Urbinati, 1931, p. 97.

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Nonostante ciò, deve precisarsi che gli appalti pubblici – così come gli altri schemi legali riconducibili alla sfera del public procurement – presentano un tratto peculiare che può distinguerli dalle altre forme di dazione di risorse pubbliche: in particolare, si tratta di contratti sinallagmatici, in cui il pagamento di un prezzo costituisce il corrispettivo di una prestazione eseguita direttamente a favore dell'Amministrazione contraente. In sostanza, dunque, l'attività finanziata attraverso il public procurement produce dei risultati – beni e/o servizi – che appartengono, di regola, all'Amministrazione stessa.

Al di là di tale peculiarità, tuttavia, alla luce del grande rilievo pratico della menzionata finalità di incentivo, sono, in ogni caso, evidenti le affinità, dal punto di vista pratico, tra i contratti pubblici per l'innovazione e altri strumenti legali che, pur con differente forma giuridica, sono parimenti impiegati per il medesimo scopo, cioè supportare l'innovazione mediante il trasferimento di risorse pubbliche. Non è, ad esempio, un caso che molti programmi pubblici di sostegno all'innovazione vedano, spesso, un concorso tra attività di public procurement e l'attribuzione di premi, agevolazioni o sovvenzioni.

Per tali ragioni, dunque, nel presente capitolo così come nei successivi, si prenderanno in considerazione anche strumenti legali diversi dai contratti pubblici in senso stretto. In tutti i casi di specie, infatti, si ha lo svolgimento di attività di ricerca e sviluppo e comunque a contenuto innovativo finanziate attraverso fondi pubblici, grazie alle quali si dovrebbero, auspicabilmente, produrre dei risultati apprezzabili in termini di progresso scientifico e tecnologico oppure l'implementazione di prodotti innovativi. Ebbene, tali attività sono, tipicamente, idonee a generare diritti di proprietà intellettuale, l'allocazione dei quali sarà discussa in questo capitolo.

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proprietà intellettuale, si darà succintamente conto della discussione tuttora in corso tra gli economisti circa gli effetti che tale istituto comporta.

Nel secondo e nel terzo paragrafo, invece, si illustreranno le diverse opzioni possibili rispetto al trattamento dei diritti di proprietà intellettuale, prima a livello teorico e poi a livello pratico, riportando alcuni esempi tratti dalla prassi delle organizzazioni internazionali.

Infine, nel quarto paragrafo, si rifletterà sulla possibilità di individuare, nell'ordinamento europeo ed in quello italiano, dei limiti alla discrezionalità dell'Amministrazione in materia di allocazione dei diritti di proprietà intellettuale.

2. I diritti di proprietà intellettuale: freno o motore di crescita e sviluppo?

La nozione stessa di proprietà intellettuale ha, da sempre, suscitato vivaci dibattiti, come può agevolmente intuirsi dall'ossimorico contrasto tra il sostantivo proprietà, che evoca una dimensione materiale e storicamente legata alla terra, e l'aggettivo intellettuale, che, invece, attiene alla sfera del pensiero e dello spirito, in una prospettiva dominata dall'astrazione.

In un quadro caratterizzato da notevoli controversie già sul piano teorico, allora, non stupisce il fatto che l'effettiva configurazione dei diritti di proprietà intellettuale a livello di diritto positivo appaia piuttosto complessa ed articolata, con significative divergenze tra le esperienze registrate nei diversi ordinamenti.

Nonostante ciò, è comunque possibile definire un nucleo essenziale di elementi che costituiscono il minimo comun denominatore dei diritti di proprietà intellettuale a livello internazionale. In primo luogo, per quanto riguarda l'oggetto, la Convenzione di Stoccolma definisce i diritti di

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proprietà intellettuale come “i diritti inerenti all'attività intellettuale svolta in

campo industriale, scientifico, letterario o artistico”, dove sono specificamente

individuati, tra l'altro, i diritti relativi a “invenzioni” e “scoperte scientifiche”6.

In secondo luogo, si può osservare come, in estrema sintesi, il titolare dei diritti di proprietà intellettuale vanti, da un lato, il diritto “morale” di essere riconosciuto quale autore dell'attività intellettuale svolta e, dall'altro, un diritto di esclusiva più o meno ampio, consistente nella facoltà di impedire, entro certi limiti, ai terzi di utilizzare o sfruttare l'opera del suo ingegno.

I diritti di proprietà intellettuale possono assumere diverse forme che, per ragioni di brevità7, verranno qui semplicemente enumerate: in

particolare è necessario menzionare i brevetti, che tutelano le invenzioni, i

copyright, che tutelano i lavori artistici e letterari, oltre ai marchi, i segni

distintivi e i disegni industriali. Inoltre, spesso si include nell'ambito della proprietà intellettuale anche il know how, che, pur essendo una nozione dai confini non del tutto definiti, ha nella prassi commerciale un'importanza di grande rilievo.

Definito un quadro, seppur sommario, dei caratteri fondamentali dei diritti di proprietà intellettuale, bisogna, ora, interrogarsi sui fondamenti di tali diritti, specie dal punto di vista economico: la teoria economica tradizionale, in particolare, considera la conoscenza un bene pubblico, cioè

6 Convenzione di Stoccolma (trattato istitutivo della Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale), 14.07.1967, Art. 2 (viii): dove i diritti di proprietà intellettuale sono definiti come i diritti relativi a: “alle opere letterarie, artistiche e scientifiche, alle interpretazioni degli artisti interpreti e alle esecuzioni degli artisti esecutori, ai fonogrammi e alle emissioni di radiodiffusione, alle invenzioni in tutti i campi dell’attività umana, alle scoperte scientifiche, ai disegni e modelli industriali, ai marchi di fabbrica, di commercio e di servizio, ai nomi commerciali e alle denominazioni commerciali, alla protezione contro la concorrenza sleale; e tutti gli altri diritti inerenti all’attività intellettuale nei campi industriale, scientifico, letterario e artistico”.

7 Per una panoramica d'insieme sui caratteri generali delle diverse forme che la proprietà intellettuale può assumere, cfr.World Intellectual Property Organisation (WIPO), WIPO Intellectual Property Handbook: Policy, Law and Use, 2004, cap. 2, al link http://www.wipo.int/about-ip/en/iprm/.

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non rivale e non esclusivo. La conoscenza sarebbe un bene non rivale perché “l'uso che ne fa un individuo non impedisce a un altro di usare lo stesso bene”; non esclusivo, perché “non si può facilmente impedire ad un individuo di fruir[ne]”8.

Tale qualificazione si basa sulla (postulata) sostanziale inappropriabilità9

della conoscenza: si ritiene, infatti, che, una volta fatta una scoperta o elaborata un'idea, la stessa possa essere facilmente riprodotta e/o sfruttata da soggetti diversi dall'ideatore, il quale, di conseguenza, non potrebbe trarre un adeguato vantaggio economico dalla propria attività creativa o di ricerca.

In un contesto siffatto, secondo i dettami dell'economia classica, il mercato tenderebbe a produrre il bene pubblico conoscenza in quantità insufficienti, poiché per l'individuo risulterebbe più efficiente comportarsi da free rider, fruendo dei vantaggi derivanti dalla produzione del bene pubblico – che, come ricordato, è non rivale e non escludibile – senza partecipare alle relative spese10.

L'esistenza dei diritti di proprietà intellettuale, pertanto, si giustifica, secondo la teoria economica tradizionale, in virtù della necessità di risolvere il fallimento di mercato determinato dalla natura di bene pubblico della conoscenza. La proprietà intellettuale, infatti, garantendo al titolare un diritto di esclusiva, rende la conoscenza un bene escludibile, rafforzando gli incentivi a investire in innovazione, attraverso la creazione di un regime di monopolio legale che aumenta le aspettative di profitto11.

8 T. COWEN, A. TABARROK, Principi di economia, Bologna, Zanichelli, 2011, p. 261, dove è manualisticamente illustrata la teoria economica dei beni pubblici. Cfr. anche M. PASSALACQUA, Economia del sapere: ricerca, istruzione e formazione, in M. GIUSTI, E. BANI (a cura di), Complementi di diritto dell'economia, Milanofiori Assago, Cedam, 2013, p. 202. 9 M. A. LEMELEY, Ex ante versus ex post justifications for intellectual property, in Berkeley Public Law and Legal Theory Research Paper Series, n° 144, 2011, p. 1.

10 T. COWEN, A. TABARROK, Principi di economia, cit., p. 262. Per una interessante disamina del problema dei beni pubblici, cfr. G. HARDIN, The Tragedy of the Commons, in Science, CLXII, n° 3859, 1968 pp. 1243-1248.

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Alla luce di quanto esposto, dunque, possiamo affermare che i diritti di proprietà intellettuale si giustificano, generalmente, in quanto incentivo all'innovazione e alla creatività.

Sebbene la prospettazione di cui sopra sia largamente accettata a livello internazionale e costituisca un importante criterio ispiratore delle politiche dell'Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale12,

l'effettivo impatto dei diritti di proprietà intellettuale sull'innovazione e sul sistema economico è questione assai discussa e controversa.

Una prima forte critica mossa contro la tutela della proprietà intellettuale – e, in special modo, contro il sistema dei brevetti – riguarda la limitazione della concorrenza13. Come sopra esposto, infatti, i diritti di

proprietà intellettuale comportano, seppur per un tempo limitato, la creazione di un monopolio legale che, secondo l'impostazione dell'economia classica, comporta una riduzione del benessere sociale e, di conseguenza, un costo per la collettività.

Si tratta, invero, di un problema di cui hanno piena contezza anche i

Print Office, 1958, p. 21; M. A. LEMELEY, Ex ante versus ex post justifications for intellectual property, cit., p. 1; T. G. FIELD, Fundamentals of Intellectual Property: Cases and Materials, Concord, University of New Hampshire, 2012.

12 World Intellectual Property Organisation (WIPO), WIPO Intellectual Property Handbook: Policy, Law and Use, cit., cap. 1, par. 1: “Intellectual property, very broadly, means the legal rights which result from intellectual activity in the industrial, scientific, literary and artistic fields. Countries have laws to protect intellectual property for two main reasons. One is to give statutory expression to the moral and economic rights of creators in their creations and the rights of the public in access to those creations. The second is to promote, as a deliberate act of Government policy, creativity and the dissemination and application of its results and to encourage fair trading which would contribute to economic and social development.”.

13 M. BOLDRIN, D. LEVINE, The Case Against Patents, in Journal of Economic Perspectives, XXVII, 2013, p. 7: “There is little doubt that providing a monopoly as a reward for innovation increases the incentive to innovate. There is equally little doubt that granting a monopoly for any reason has the many ill consequences we associate with monopoly power—the most important and overlooked of which is the strong incentive of a government-granted monopolist to engage in further political rent seeking to preserve and expand its monopoly or, for those who do not yet have a monopoly, to try to obtain one” ; M. BOLDRIN, D. LEVINE, Against Intellectual Monopoly, 2005, non coperto da copyright e reperibile gratuitamente al link http://levine.sscnet.ucla.edu/general/intellectual/against.htm, cap. 5, p. 4.

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sostenitori dell'efficacia positiva dei diritti di proprietà intellettuale sull'innovazione, tanto che i brevetti attribuiscono il monopolio per uno

spatium temporis limitato, la cui estensione ha subito e subisce variazioni a

seconda dei momenti storici e dei diversi ordinamenti, in ragione della necessità di trovare un adeguato bilanciamento tra l'effetto positivo di incentivo all'innovazione e l'effetto negativo di restrizione della concorrenza.

In secondo luogo, i critici del sistema dei brevetti e della proprietà intellettuale mettono in luce come la previsione di tali tutele legali per le invenzioni rischi, di fatto, di limitare la c.d. “innovazione a cascata”, cioè l'insieme di quelle invenzioni o scoperte scientifiche che costituiscono lo sviluppo di una invenzione precedente già brevettata – circostanza quanto mai frequente, dato l'andamento che tendenzialmente caratterizza la dinamica evolutiva del progresso scientifico e tecnologico. In tali situazioni, evidentemente, si crea il rischio, almeno a livello potenziale, di un contenzioso tra inventori, idoneo a cagionare effetti di disincentivo rispetto all'innovazione14.

Si tratta di una critica non unanimemente condivisa, dato che alcuni economisti, al contrario, ritengono che l'esistenza dei dritti di proprietà intellettuale sia uno strumento per garantire un miglior sviluppo delle invenzioni e delle idee innovative15. Peraltro, l'effettiva incidenza della

14 M. BOLDRIN, D. LEVINE, The Case Against Patents, cit., p. 7: “the existence of a large number of monopolies created by past patent grants reduces the incentives for current innovation because current innovators are subject to constant legal action and licensing demands from earlier patent holders”. 15 E. W. KITCH, The Nature and Function of the Patent System, in The Journal of Law & Economics, XX, n. 2, pp. 265-290, in cui l'autore paragona i diritti di proprietà intellettuale ai diritti di proprietà in senso classico applicati ai terreni, ritenendo che l'attribuzione di tali diritti spinga il titolare a fare un uso maggiormente efficiente dell'asset, tangibile o meno, su cui vanta il diritto in questione. A tale approccio si può trovare, peraltro, una replica in M. BOLDRIN, D. LEVINE, Against Intellectual Monopoly, cit., cap. 5, p. 4, ove si distingue tra una “proprietà buona” (quale quella su un terreno) ed una “proprietà cattiva”, quale la proprietà intellettuale, in funzione degli effetti anticoncorrenziali prodotti.

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problematica in questione dipende, in realtà, dalla concreta configurazione delle norme in materia di tutela brevettuale: meno tali norme sono chiare e stringenti, più è facile assistere ad un aumento del relativo contenzioso.

In aggiunta a quanto illustrato finora, vi sono, poi, alcuni economisti che, oltre ad evidenziare i potenziali effetti negativi dei diritti di proprietà intellettuale, mettono in discussione gli effetti positivi di cui i medesimi sono accreditati. In particolare, vi è chi sottolinea come la natura di bene pubblico normalmente attribuita alla conoscenza sia quanto meno controversa16, atteso che copiare idee innovative altrui non sempre è

operazione così rapida e semplice, ragion per cui l'incentivo ad innovare potrebbe sussistere indipendentemente dalla tutela dei diritti di proprietà intellettuale.

In tal senso, allora, può essere interessante sottolineare che diversi studi hanno messo in luce come spesso l'esistenza della tutela brevettuale non abbia un ruolo decisivo ai fini della decisione, da parte dalle imprese private, di investire fondi in attività di ricerca e sviluppo o di implementare e commercializzare determinate invenzioni.

Da tali studi17, che sono stati effettuati principalmente mediante

interviste a manager e responsabili ricerca e sviluppo di aziende private, è emerso che, spesso, al di fuori dei settori chimici e farmaceutici, le invenzioni brevettate sarebbero state sviluppate anche in assenza di diritti di proprietà intellettuale.

A favore della tesi in questione, infatti, si deve rilevare che, nella pratica, i vantaggi competitivi derivanti dall'innovazione vanno ben al di là

16 R. P. MERGES, P. S. MENELL, M. A. LEMELEY, Intellectual Property in the New Technological Age, Aspen, 2017 (ult. ed.).

17 Ex multis, E. MANSFIELD, How Rapidly Does Industrial Technology Leaks Out, in Journal of Industrial Economics,, XXXIV, issue 2, 1958, pp. 217-223; R. LEVIN et al., Appropriating the Returns from Industrial Research and Development, in Brooking Papers on Economic Activity, 1987, 3, pp. 783 ss; A. ARUNDEL – I. KABLA, What percentage of innovations are patented? Empirical estimates for European firms, in Research Policy, 1998, 27, pp. 127 ss.

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dei soli diritti di proprietà intellettuale: in particolare, è stato osservato come gli investimenti in ricerca e sviluppo, pur producendo esternalità positive, siano però comunque in grado di determinare un ritorno positivo per l'impresa investitrice, grazie ai c.d. “first mover advantages”, i quali possono consentire all'impresa che per prima effettui un determinato step innovativo di acquisire una posizione di vantaggio sul mercato18.

Esposte per sommi capi alcune delle più importanti critiche al sistema dei brevetti e dei diritti di proprietà intellettuale, bisogna, tuttavia, chiarire che la maggior parte della comunità accademica è comunque contraria all'ipotesi di una possibile abolizione degli istituti in questione: oltre ad esservi una letteratura piuttosto cospicua19 tendente a ribadire gli effetti di

incentivo all'innovazione illustrati in apertura del paragrafo, anche gli studiosi più critici verso la proprietà intellettuale riconoscono le difficoltà di superare tali forme di tutela, specie considerando che, in un mondo globalizzato ed interconnesso20, la presenza di diversi livelli di tutela della

proprietà intellettuale potrebbe comportare degli effetti distorsivi, potenzialmente assai pregiudizievoli verso gli Stati autori di una eventuale abolizione.

Alla luce del quadro appena delineato, dunque, possiamo osservare che la proprietà intellettuale si presenta, nel complesso, come un istituto piuttosto controverso, idoneo a produrre sia effetti positivi sia effetti negativi: se, senza dubbio, non è questa la sede per dare una valutazione comparativa dell'impatto complessivo dei diritti di proprietà intellettuale,

18 N. ROSENBERG, Why do firms do basic research (with their own money)?, in Research Policy, Aprile 1990, Vol. 19, issue 2, p. 167.

19 Cfr., ex multis, C. MACLEOD, Defending the Patent System in C. MACLEOD, Heroes of Innovation, Cambridge, Cambridge University Press, 2007; C. GREEENHALGH, M. ROGERS, Innovation, Intellectual Property, and Economic Growth, Princeton, Princeton University Press, 2010; A. B. JAFFE, M. TRAJTENBERG, Patents, citations & innovations : a window on the knowledge economy, Londra, MIT Press, 2002.

20 M. PASSALACQUA, Economia del sapere: ricerca, istruzione e innovazione, cit., p. 207, ove si affronta la questione dei rapporti tra tutela della proprietà intellettuale e globalizzazione.

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tale “ambivalenza” è però un tratto che era necessario sottolineare e di cui si terrà conto nel prosieguo del lavoro, nell'illustrazione e nell'analisi delle diverse opzioni allocative dei diritti di proprietà intellettuale nei contratti pubblici.

3. La gestione dei diritti di proprietà intellettuale nei contratti pubblici: due approcci antitetici

Dopo aver dato conto del dibattito economico intorno agli effetti della proprietà intellettuale, si deve ora affrontare il tema centrale del presente capitolo, ossia le diverse opzioni che l'Amministrazione contraente può scegliere per l'allocazione dei diritti di proprietà intellettuale nei contratti pubblici: in particolare, il punto cruciale è decidere come debbano ripartirsi quei diritti di proprietà intellettuale derivanti da un'attività svolta da un contraente privato e finanziata dall'Amministrazione. Tale problema, come si è evidenziato in precedenza, si pone sia nel public procurement sia in caso di altre politiche pubbliche di finanziamento dell'innovazione.

Si tratta di una questione che, a ben vedere, può determinare ripercussioni di grande rilievo sull'efficacia delle politiche per l'innovazione messe in atto attraverso contratti pubblici ed altre forme di finanziamento, ma che, almeno fino ad ora, non ha ricevuto grande attenzione né nella formazione dei funzionari pubblici addetti alle attività di procurement né da parte della dottrina giuridica21. Per quanto riguarda la letteratura economica,

invece, vi è stato un dibattito alquanto articolato22 sugli impatti derivanti

dalla brevettazione dei risultati della ricerca finanziata da fondi pubblici,

21 OCSE, Public Procurement for Innovation: Good Practices and Strategies, cit., p. 71: “according to the analysis presented (…), most countries do not seem to place major focus on addressing IPR when conducting procurement”.

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specie rispetto al noto Bayh Dole Act23, mentre si è dato minor rilievo

all'allocazione dei diritti di proprietà intellettuale nell'ambito del public

procurement.

Chiarita la rilevanza del tema, si procederà, in primo luogo, ad analizzare, mettendone in luce vantaggi e svantaggi, quelli che sono, a livello teorico, i due opposti approcci alla gestione dei diritti di proprietà intellettuale nei contratti pubblici: da una parte, l'allocazione dei diritti in questione in capo all'Amministrazione, dall'altra l'attribuzione dei medesimi al contraente privato24.

L'intestazione dei diritti di proprietà intellettuale ai privati costituisce per gli stessi, senza alcun dubbio, un incentivo a partecipare ai bandi finanziati dalla PA e ad investire su ricerca ed innovazione, con la prospettiva non solo di venire remunerati per l'attività svolta, ma anche di potersi appropriare dei risultati raggiunti25. Viceversa, l'attribuzione dei

diritti di proprietà intellettuale all'Amministrazione contraente potrebbe far venir meno o comunque intaccare seriamente l'interesse26, da parte delle

aziende private, ad investire nello sviluppo di soluzioni innovative ricercate

23 Su cui si approfondirà maggiormente nel corso del presente paragrafo.

24 Deve, in realtà, precisarsi che il contraente della PA non sempre è un soggetto stricto sensu privato, dato che può avvenire che appalti pubblici siano affidati a società in mano pubblica oppure che siano erogati fondi in favore di soggetti quali enti pubblici di ricerca o università. Ai fini del presente lavoro, pertanto, l'espressione contraente privato va intesa in senso lato, cioè come volta ad identificare la controparte della PA contraente.

25 Procurement of Innovation Platform, Introduction to intellectual property rights in Public Procurement for Innovation, reperibile al link https://www.innovation-procurement.org/fileadmin/editor-content/Guides/Intellect_Property_Rights_guide-final.pdf, p. 3.

26J. EDLER, H. CAMERON, M. HAJHASHEM, The Intersection of Intellectual Property Rights and Innovation Policy Making – a Literature Review, 2015, paper preparato dal Manchester Institute of Innovation Research per l'Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (WIPO), http://www.wipo.int/edocs/pubdocs/en/wipo_report_ip_inn.pdf, pp. 50-51, ove si menziona anche il lavoro di J. RIGBY, Review of Pre-commercial Procurement Approaches, NESTA (National National Endowment for Science, Technology and the Arts) Working paper n° 13/14, Novembre 2013, nell'ambito del Compendium of Evidence on the Effectiveness of Innovation Policy Intervention, reperibile al link

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dalla PA mediante lo strumento dei contratti pubblici.

Quale ulteriore – e, in un certo senso, complementare – vantaggio deve, inoltre, rilevarsi come la possibilità, per le imprese private, di ottenere una remunerazione anche tramite lo sfruttamento esclusivo dei diritti di proprietà intellettuale sia idonea a comportare una riduzione dei costi sostenuti dall'Amministrazione. Essa, infatti, potrebbe evitare di dover pagare per i diritti di proprietà intellettuale, il cui sfruttamento, peraltro, potrebbe essere fuori dalle possibilità e/o dagli effettivi interessi dell'Amministrazione stessa27.

A fronte dei menzionati vantaggi, tuttavia, l'attribuzione dei diritti di proprietà intellettuale al contraente privato presenta anche alcuni profili di criticità: in primo luogo, devono sicuramente evidenziarsi quelli che sono i principali effetti negativi tipici della proprietà intellettuale28, ossia la

restrizione della concorrenza e la limitazione dell'innovazione a cascata. Come è evidente, infatti, l'intestazione di tali diritti ad imprese private ne comporterebbe una gestione tendenzialmente ispirata ad una logica di massimizzazione del profitto del titolare, la quale, come si è detto nel paragrafo precedente, comporta, sotto alcuni profili, dei pregiudizi per l'interesse generale.

Inoltre, è qui interessante riportare la peculiare problematica sottolineata dalla guida pratica per la gestione dei diritti di proprietà intellettuale nei contratti pubblici elaborata dalla “Procurement of Innovation

Platform”. Si tratta, nella specie, del c.d. “effetto blocco”, a causa del quale

l'Amministrazione rischia, lasciando in toto i diritti di proprietà intellettuale al contraente privato, di rimanere eccessivamente dipendente e vincolata allo

27 Procurement of Innovation Platform, Introduction to intellectual property rights in Public Procurement for Innovation, cit., p. 3: “If a public authority retains the Intellectual Property Rights (…) It can also result in a public authority paying too much for intellectual property rights that it does not (or cannot) exploit”.

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stesso.

Ciò può verificarsi perché, nel contesto del public procurement, la PA “finanzia” il soggetto privato acquistando dallo stesso beni o servizi che intende utilizzare nelle proprie attività. Ebbene, può avvenire che, nel successivo svolgimento di tali attività, l'Amministrazione abbia delle necessità che collidono con i diritti vantati dal contraente privato.

È ora opportuno, per dare maggiore concretezza alla riflessione, citare l'esempio proposto dalla guida di cui sopra, cioè un appalto pubblico per lo sviluppo e la costruzione di un sistema di controllo del traffico marittimo, in cui l'interfaccia tra il modulo radar ed il resto del sistema era garantita da un apposito software sviluppato ad hoc dall'impresa appaltatrice: nel caso di specie, l'Amministrazione aveva lasciato tutti i diritti di proprietà intellettuale al contraente privato. Di conseguenza, quando, in un momento successivo, aveva avuto necessità di rimpiazzare il sistema, si era dovuta nuovamente rivolgere alla stessa impresa, senza la possibilità di effettuare una nuova selezione competitiva29.

Al di là del caso appena menzionato, problemi analoghi possono porsi ogniqualvolta l'Amministrazione intenda promuovere un nuovo bando per sostituire o sviluppare una tecnologia fornita dal contraente privato, oppure quando intenda apportarvi modifiche o adattamenti che richiedono di accedere al know how impiegato per sviluppare la tecnologia in questione.

Illustrati i principali vantaggi e svantaggi dell'attribuzione dei diritti di

29 Procurement of Innovation Platform, Introduction to intellectual property rights in Public Procurement for Innovation, cit., p. 3: “In the original tender for this marine traffic control system, the contracting authority did not work out specific conditions with respect to ownership and administration of intellectual property rights. Although the public authority could claim ownership of intellectual property rights, there were no clear and complete specifications regarding the data — communication-interface between the radarmodule and the rest of the system developed and delivered to the public authority. So when preparing the tender for replacement of the radar-module, the public authority was not able to provide the required interface specifications necessary to integrate the radar within the existing marine vessel traffic control system. This resulted in the public authority being forced to involve the original supplier”.

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proprietà intellettuale ai contraenti privati, bisogna, ora, prendere in esame l'opposta opzione allocativa, consistente, cioè, nella permanenza dei diritti di proprietà intellettuale in capo all'Amministrazione.

Si tratta di una scelta che, senza dubbio, è idonea a colmare alcuni dei

deficit che si sono evidenziati in precedenza: in particolare, è chiaro che non

potrà profilarsi il rischio di un “effetto blocco”, poiché l'Amministrazione ottiene la titolarità dei diritti di proprietà intellettuale e, dunque, non rischia in alcun modo di rimanere vincolata alle imprese private.

L'opzione allocativa in questione, inoltre, è funzionale a prevenire gli effetti pregiudizievoli tipicamente connessi all'attribuzione dei diritti di proprietà intellettuale alle imprese private. Se, infatti, l'Amministrazione riesce a gestire i diritti in questione in maniera oculata ed ispirata all'interesse pubblico, ad esempio concedendo licenze a chi ne faccia richiesta a condizioni favorevoli, può evitare sia la restrizione della concorrenza sia la limitazione dell'innovazione a cascata30.

In aggiunta, data la crescente importanza di un approccio “di sistema” all'innovazione, la titolarità dei diritti di proprietà intellettuale può senz'altro facilitare l'Amministrazione nella sua attività di coordinamento dei diversi attori coinvolti e di definizione di obiettivi strategici in tema di ricerca e sviluppo31.

Nonostante ciò, però, l'attribuzione dei diritti di proprietà intellettuale all'Amministrazione presenta, inevitabilmente, anche svantaggi uguali e contrari ai vantaggi derivanti dalla scelta allocativa di segno opposto: in particolare, è evidente che l'impossibilità di ottenere i diritti sui risultati raggiunti comporta una riduzione degli incentivi per le imprese private e,

30 J. EDLER, H. CAMERON, M. HAJHASHEM, The Intersection of Intellectual Property Rights and Innovation Policy Making, cit., p. 51.

31 J. EDLER, H. CAMERON, M. HAJHASHEM, The Intersection of Intellectual Property Rights and Innovation Policy Making, cit., p. 51.

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contemporaneamente, il rischio di un aumento dei costi sostenuti dall'Amministrazione32.

Dal quadro finora esposto, si può, dunque, concludere che entrambi gli approcci “estremi”, consistenti, cioè, nell'attribuire in toto i diritti di proprietà intellettuale ad una delle parti, sono idonei a cagionare anche effetti negativi, il cui impatto pratico può arrivare ad essere estremamente significativo e pregiudizievole.

Non è, pertanto, sorprendente che la già menzionata “Procurement of

Innovation Platform” suggerisca33, quale soluzione ottimale, una forma di

“divisione” dei diritti di proprietà intellettuale, secondo due possibili varianti, entrambe accomunate dall'attribuzione della titolarità dei diritti al contraente privato, ma con due diversi tipi di temperamento: in particolare, secondo un primo schema, a fronte dei diritti del contraente privato, all'Amministrazione verrebbe riservata una licenza gratuita e non esclusiva, per poter usufruire della proprietà intellettuale nelle proprie successive attività, evitando così il rischio di un “effetto blocco”.

Un secondo approccio, invece, si basa sulla previsione di un meccanismo di “licenza aperta” con royalties, grazie al quale l'Amministrazione ha, oltre ad una licenza d'uso non esclusiva, anche facoltà di concedere sotto-licenze ad altri soggetti, salvo il pagamento delle royalties al contraente privato titolare della proprietà intellettuale.

Entrambi gli approcci, come può notarsi, sono principalmente volti a contrastare l'effetto blocco: mediante la licenza aperta, in particolare, si vuole consentire all'Amministrazione di dare corso a successive selezioni aperte, senza essere necessariamente vincolata al contraente privato titolare

32 Procurement of Innovation Platform, Introduction to intellectual property rights in Public Procurement for Innovation, cit., p. 3.

33 Procurement of Innovation Platform, Introduction to intellectual property rights in Public Procurement for Innovation, cit., p. 8.

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dei diritti di proprietà intellettuale, salva la contropartita derivante dalla necessità di sostenere il costo delle royalties.

In entrambi i casi, comunque, si tratta di soluzioni palesemente non esenti da criticità: se la licenza aperta va incontro al già menzionato problema di costi, la licenza gratuita non esclusiva, d'altra parte, rischia di non eliminare del tutto il rischio di un effetto blocco, poiché non prevede, almeno di default, la possibilità di dare sotto-licenze. Essa può, invece, avere grande importanza, poiché sono molte le attività per le quali le Amministrazioni tendono a fare ricorso agli appalti pubblici, con conseguente necessità di rivolgersi a un soggetto terzo che, evidentemente, non potrebbe giovarsi della licenza data all'Amministrazione.

Alla luce dei diversi modelli illustrati, si può agevolmente osservare che non esiste alcuna “formula magica” per la gestione dei diritti di proprietà intellettuale: tutti gli approcci, compresi, almeno in parte, quelli intermedi, presentano aspetti sia positivi sia negativi. A fronte di ciò, allora, diviene decisiva una approfondita valutazione del caso concreto, in funzione delle necessità della PA e degli obiettivi, sia primari sia secondari34, nella

specie perseguiti dalla stessa: è evidente che, a tal fine, diventa assolutamente determinante la formazione35 dei funzionari pubblici a ciò

preposti, rispetto alla quale incide – inevitabilmente – in negativo la scarsa attenzione dedicata a tale tema, già segnalata nel precedente paragrafo.

Peraltro, è importante precisare che la realtà operativa è, necessariamente, assai più complessa e ricca di varianti rispetto ai modelli teorici esposti finora, in ragione della vasta gamma di problemi ed esigenze concrete che possono presentarsi nella specifica attività delle singole Amministrazioni.

34 Cfr. supra, parte iniziale del capitolo I.

35 J. EDLER, H. CAMERON, M. HAJHASHEM, The Intersection of Intellectual Property Rights and Innovation Policy Making, cit., p. 50.

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A tal proposito, un primo elemento di complessità, di cui è opportuno fare cenno in questa sede, è dato dalla presenza dei c.d. “background

Intellectual Property Rights”36, ossia della proprietà intellettuale e del know how

preesistente di una delle parti – tipicamente il contraente privato – o comunque sviluppato dalla stessa fuori dal contratto pubblico interessato: in tal caso, normalmente, si lascia la titolarità del background al soggetto che l'ha generato, senza attribuire alla controparte alcuna licenza o diritto di accesso.

Terminata la disamina dei principali modelli di allocazione dei diritti di proprietà intellettuale nei contratti pubblici, bisogna ora prendere in considerazione, per le ragioni già esposte all'inizio del presente capitolo, anche le ipotesi in cui l'innovazione sia sostenuta attraverso sovvenzioni e altri strumenti di supporto diversi dal public procurement, secondo uno schema inquadrabile, da un punto di vista economico, come misura dal lato della domanda37.

In tal caso, le scelte allocative astrattamente configurabili sono le medesime di cui sopra, ma con una importante differenza: al contrario di quanto accade per i contratti pubblici, qui l'Amministrazione non intende acquisire beni o servizi da utilizzare ai fini delle proprie attività, ragion per cui l'output dell'attività finanziata non è, di regola, destinato ad appartenere alla PA finanziatrice.

Da tale rilevante differenza consegue che, al di fuori del public

procurement, non può configurarsi alcun “effetto blocco”

dell'Amministrazione, poiché la stessa non ha, a ben vedere, in alcun modo necessità di accedere ai diritti di proprietà intellettuale.

Le considerazioni già svolte riguardo ai contratti pubblici, pertanto,

36 Procurement of Innovation Platform, Introduction to intellectual property rights in Public Procurement for Innovation, cit., p. 4.

37 J. EDLER, H. CAMERON, M. HAJHASHEM, The Intersection of Intellectual Property Rights and Innovation Policy Making, cit., p. 8.

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vanno sottoposte agli adattamenti resi necessari dalla peculiarità appena menzionata, quindi l'attribuzione dei diritti di proprietà intellettuale al beneficiario della sovvenzione o del finanziamento appare, quanto meno

prima facie, di gran lunga la scelta più ragionevole: venuto meno l'effetto

blocco, infatti, gli unici profili di criticità derivano dagli effetti negativi tipici della proprietà intellettuale, ossia la restrizione della concorrenza e la limitazione dell'innovazione a cascata. Si tratta, tuttavia, di problemi che possono essere efficacemente contrastati con strumenti quali la previsione di una licenza non esclusiva a favore dell'Amministrazione e/o di una licenza obbligatoria a condizioni eque a favore dei terzi38.

Per converso, invece, l'attribuzione dei diritti di proprietà intellettuale all'Amministrazione che concede il finanziamento sconta una non piena coerenza logica con lo schema negoziale scelto, in base al quale la PA si limiterebbe a finanziare lo svolgimento di una determinata attività per ragioni di policy, senza, tuttavia – a differenza di quanto accade con i contratti pubblici propriamente intesi – appropriarsi dei relativi risultati.

In secondo luogo, tale scelta allocativa pare idonea a ridurre l'effetto incentivo, soprattutto con riguardo alle piccole e medie imprese, le quali perderebbero la prospettiva di poter sfruttare appieno i risultati della propria attività innovativa39.

È importante, peraltro, sottolineare che, sul tema dei diritti di proprietà intellettuale relativi ai risultati della ricerca finanziata da fondi

38 Si tratta, ad esempio, della soluzione accolta con riguardo ai grants erogati dalla Commissione Europea nell'ambito del programma di sostegno all'innovazione Horizon2020, su cui cfr. amplius par. 1.3.

39 J. EDLER, H. CAMERON, M. HAJHASHEM, The Intersection of Intellectual Property Rights and Innovation Policy Making, cit., p. 11, dove sono menzionati anche i contributi di A. LEIPONEN, A. BYMA, 2009 If You Cannot Block, You Better Run: Small Firms, Cooperative Innovation, and Appropriation Strategies., in Research Policy, 2009, 38, pp. 1478–1488; E. A. STUART, D. B. RUBIN, Best Practices in Quasi-Experimental Designs: Matching Methods for Causal Inference, in J. OSBORNE (a cura di), Best Practices in Quantitative Social Science, Thousand Oaks, Sage Publications, cap. 11, 2007, pp. 155-176.

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pubblici, c'è stato un ampio dibattito tra gli economisti, specialmente negli Stati Uniti d'America, dove, nel 1980, ebbe luogo una importante riforma grazie al noto Bayh Dole Act.

Prima del 1980, infatti, mancava, negli USA, una disciplina organica relativa al trattamento dei diritti di proprietà intellettuale sui risultati delle attività di ricerca e sviluppo finanziate dallo Stato: tale questione era lasciata alla discrezionalità delle singole agenzie federali che, normalmente, sceglievano di tenere per sé la titolarità dei risultati in questione.

Il Bayh Dole Act, invece, stabilì la regola per cui università, organizzazioni no profit e piccole imprese destinatarie di fondi pubblici potevano scegliere di ottenere i diritti sui risultati40 e brevettarli, a

condizione di trasmettere all'agenzia finanziatrice le informazioni relative ai risultati raggiunti entro un tempo ragionevole.

Tale riforma, secondo quanto affermato da molti economisti, ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo dell'industria high tech statunitense, poiché ha consentito, rispetto, ad esempio, a quanto avvenuto in Europa, un più efficace trasferimento tecnologico, cioè un più efficace passaggio dalla ricerca di base condotta nelle università e nei laboratori pubblici all'applicazione alle relative applicazioni industriali e commerciali.

Deve, tuttavia, precisarsi che il Bayh Dole Act ha ricevuto anche critiche

40 Sul punto vi è una letteratura piuttosto ampia, specie con riferimento agli effetti del Bayh Dole Act. Si segnalano, ex multis, J. THURSBY, R. JENSEN, M. THURSBY, Objectives, Characteristics and Outcomes of University Licensing: A Survey of Major U.S. Universities, in Journal of Technology Transfer, vol. 26, issue 1-2, 2001, pp. 59-72; K. TORNQUIST, K. LINCOLN, Out of the Ivory Tower: Characteristics of Institutions Meeting the Research Needs of Industry in Journal of Higher Education, vol. 65, issue 5, 1994, pp. 523-539; B. CARLSSON, A.-C- FRIDH, Technology Transfer in United States Universities: A Survey and Statistical Analysis, in Journal of Evolutionary Economics, 12, 2002, pp. 199-232; D.C. MOWERY, B. N. SAMPAT, R. R. NELSON, A. A. ZIEDONIS, The Growth of Patenting and Licensing by U.S. Universities: An Assessment of the Effects of the Bayh-Dole Act of 1980, in Research Policy, vol. 30, issue 1, 2001, pp. 99-119; D.C. MOWERY, B. N. SAMPAT, The Bayh-Dole Act of 1980 and University–Industry Technology Transfer: A Model for Other OECD Governments?, in The Journal of Technology Transfer, vol. 30, issue 1-2, 2004, pp. 115-127.

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piuttosto severe, sotto almeno due profili: in primo luogo, numerosi studi, pur non condannando la riforma in sé, contestano che tale approccio alla proprietà intellettuale abbia avuto un ruolo di rilievo nel (tendenziale) primato tecnologico dell'industria USA, il quale sarebbe, invece, il prodotto di maggiori e migliori investimenti in ricerca e sviluppo, piuttosto che di un più efficace trasferimento tecnologico.

In secondo luogo, vi è anche chi ha criticato il Bayh Dole Act, definendolo un freno per la diffusione della conoscenza e per l'effettivo progresso dell'innovazione e dello sviluppo economico: si tratta, evidentemente, di obiezioni riconducibili al movimento di critica nei confronti della proprietà intellettuale, imperniate principalmente sugli effetti negativi derivanti dall'attribuzione di un “monopolio intellettuale”, di cui si è già trattato nel paragrafo precedente41.

Alla luce di questa succinta illustrazione del dibattito intorno al Bayh

Dole Act, si può facilmente comprendere come, anche rispetto a sovvenzioni

e altri strumenti di finanziamento, benché l'attribuzione dei diritti di proprietà intellettuale al beneficiario dei fondi erogati appaia, prima facie, maggiormente ragionevole, vi sono, in realtà, delle criticità tali per cui non si può, nemmeno in questo caso, determinare una scelta allocativa corretta a

priori, essendovi profili vantaggiosi e svantaggiosi a fronte di ciascuna delle

diverse opzioni a disposizione dell'Amministrazione.

Fino a questo punto, l'illustrazione dei diversi approcci alla proprietà intellettuale si è mantenuta su un piano prettamente teorico, individuando i diversi regimi astrattamente configurabili e mettendone in luce i principali vantaggi e svantaggi, sulla base delle considerazioni svolte, a livello generale, da economisti e organizzazioni internazionali.

È, allora, giunto il momento di introdurre nella trattazione esempi

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pratici tratti dal panorama internazionale, al fine di analizzare i modelli di gestione concretamente adottati e le strategie impiegate per fronteggiare le principali criticità poste dalle diverse scelte allocative.

4. Diversi modelli di gestione a confronto: qualche esempio nel panorama internazionale

Nel presente paragrafo si metteranno in luce alcuni esempi pratici di gestione della proprietà intellettuale nei contratti pubblici, per toccare con mano quali siano le scelte in concreto compiute tra le diverse opzioni allocative che si sono illustrate a livello teorico nel paragrafo precedente.

Ci si concentrerà, in particolare, sulle organizzazioni internazionali, le quali, essendo fondamentalmente libere dai vincoli posti dal diritto antitrust e da altre legislazioni tipicamente nazionali, hanno maggiore libertà di determinare le proprie politiche di gestione in funzione degli scopi perseguiti. Le due organizzazioni che verranno prese in esame sono, in primo luogo, l'Agenzia Spaziale Europea (ESA) e l'Organizzazione del Trattato Nord Atlantico (NATO).

Premesso ciò, si deve, ora, procedere all'analisi degli approcci adottati dalle singole organizzazioni adesso elencate, a cominciare dall'Agenzia Spaziale Europea, che – è possibile anticiparlo già adesso – ha una politica basata, almeno in generale, sull'attribuzione dei diritti di proprietà intellettuale ai contraenti privati.

L'Agenzia Spaziale Europea (ESA) è un'organizzazione internazionale istituita dalla Convenzione di Parigi del 1975 ed ha, quali Stati membri42, i

42 Gli Stati membri dell'ESA sono “Austria, Belgio, Republica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Ungheria, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Portogallo, Romania, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito. La Slovenia è un Membro Associato. Il Canada partecipa ad alcuni progetti in base ad un accordo di cooperazione. Bulgaria, Cipro, Malta, Lituania e Slovacchia hanno accordi di cooperazione con l'ESA. Si è in fase di

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principali Paesi del continente europeo.

Nonostante ciò, tuttavia, deve precisarsi che, sebbene vi sia una tendenziale coincidenza degli Stati membri, l'ESA è un soggetto nettamente distinto dall'Unione Europea, in quanto organizzazione internazionale autonoma istituita da uno specifico e differente trattato: non esiste, pertanto, alcuna dipendenza dell'Agenzia dalle istituzioni UE, con la necessaria conseguenza che alle attività condotte dall'ESA non si applica il diritto comunitario.

Peraltro, è opportuno precisare che la reciproca indipendenza di ESA ed UE non esclude, ipso facto, la possibilità che le due istituzioni possano collaborare e dare vita a programmi comuni, come sta, ad esempio, accadendo per il progetto Galileo43, cofinanziato e cogestito dall'ESA e da

un'apposita agenzia istituita dalla Commissione europea. Programmi di tal genere, tuttavia, sono disciplinati da regole comuni, redatte d'intesa da ESA e Commissione europea, secondo lo schema che si addice ad una collaborazione tra soggetti distinti e reciprocamente autonomi.

Secondo quanto disposto dalla Convenzione di Parigi del 1975, l'Agenzia Spaziale Europea ha lo scopo di promuovere la collaborazione tra gli Stati membri nel settore della ricerca spaziale e delle relative applicazioni tecnologiche, attraverso la definizione di una vera e propria politica spaziale europea, da perseguire mediante il coordinamento delle politiche nazionali nel settore spaziale, oltre che tramite l'attivazione di programmi direttamente gestiti dall'Agenzia44.

In tale quadro, è molto importante sottolineare come, tra gli obiettivi perseguiti dall'ESA, rivesta un ruolo di primissimo piano la politica

discussione per quanto riguarda la Croazia.”. Cfr. sito istituzionale dell'ESA, al link http://www.esa.int/About_Us/Welcome_to_ESA/What_is_ESA.

43 Si tratta di un progetto finalizzato allo sviluppo di un nuovo e più moderno sistema di navigazione satellitare, al fine di rimpiazzare il GPS.

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industriale, la quale, oltre ad essere espressamente menzionata quale strumento per l'implementazione della politica spaziale europea di cui sopra, si vede dedicato l'intero Art. VII della Convenzione, in cui si prevede che l'attività dell'Agenzia debba essere indirizzata a rafforzare e valorizzare l'industria spaziale europea, migliorandone la competitività.

Deve, inoltre, richiamarsi l'attenzione su quanto disposto dalla lett. c) dell'Art. VII, cioè che “[la politica industriale dell'Agenzia è indirizzata ad]

assicurare che tutti gli Stati membri partecipino in maniera equa, avuto riguardo alla loro contribuzione finanziaria, all'implementazione del programma spaziale europeo e del relativo sviluppo delle tecnologie spaziali; in particolare l'Agenzia deve, per lo svolgimento dei suoi programmi, nella massima misura possibile, dare preferenza alle industrie presenti in tutti gli Stati membri, le quali devono avere le massime opportunità di partecipare al lavoro di interesse tecnologico svolto dall'Agenzia”.

Dalle disposizioni fin qui menzionate, possiamo, allora, delineare i principi fondamentali cui si ispira il funzionamento dell'ESA, la quale, in buona sostanza, raccoglie fondi dagli Stati membri e, successivamente, li investe in programmi nei quali sono coinvolte le imprese che operano nel settore spaziale all'interno degli Stati membri medesimi.

Le attività dell'Agenzia, dunque, si basano sul c.d. “principio del ritorno geografico”, in base al quale i finanziamenti erogati da ogni Stato membro all'ESA devono essere – in senso lato ed in linea tendenziale – restituiti attraverso commesse date alle aziende dello Stato in questione nell'ambito dei programmi promossi dall'ESA.

Nel meccanismo appena delineato, come può facilmente evincersi, ha un ruolo di assoluta centralità l'attività di procurement svolta dall'Agenzia: data la specifica missione di politica industriale che la caratterizza, infatti, l'ESA opera principalmente mediante l'affidamento di contratti ed appalti ad aziende private.

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Passando alla disamina della disciplina cui, nell'ordinamento dell'Agenzia, il procurement è assoggettato, vi sono due documenti che, più di tutti, devono essere presi in considerazione, cioè le Procurement Regulations45 e

le General Clauses and Conditions (GCC)46. Nella specie, le Procurement

Regulations hanno ad oggetto il procedimento da seguire per l'affidamento e l'eventuale modifica di contratti da parte dell'ESA, mentre le seconde hanno un focus maggiormente legato all'aspetto sostanziale, cioè alle regole che sovrintendono allo svolgimento del rapporto contrattuale, e contengono una parte interamente dedicata al regime dei diritti di proprietà intellettuale.

Alla luce della breve ricognizione delle fonti appena condotta, è, ora, opportuno prendere in esame le più rilevanti disposizioni che le GCC dedicano ai diritti di proprietà intellettuale.

Al riguardo, è fondamentale fare riferimento alla Clausola 3947, che

costituisce la pietra d'angolo dell'approccio ESA alla gestione dei diritti di proprietà intellettuale48: in particolare, essa prevede, quale regola generale

soggetta ad alcune limitate eccezioni, che i diritti di proprietà intellettuale debbano essere attribuiti al contraente privato.

45 ESA Procurement Regulations and Implementing Instructions, reperibili sul sito istituzionale dell'ESA al link https://download.esa.int/docs/LEX-L/Contracts/ESA-REG-001,rev4.pdf.

46 ESA General Clauses and Conditions (GCC), Reperibili sul sito istituzionale dell'ESA al link https://esamultimedia.esa.int/docs/LEX-L/Contracts/ESA_REG_002_rev2_new_Annex1_revised.pdf.

47 ESA GCC, CLAUSE 39: OWNERSHIP OF INTELLECTUAL PROPERTY RIGHTS 39.1 “The Contractor shall own all Intellectual Property Rights and have the right to apply for and to own any Registered Intellectual Property Rights arising from work performed under the Contract”.

48 Peraltro, è bene richiamare l'attenzione sulla notevole ampiezza della nozione di diritti di proprietà intellettuale accolta nell'ambito delle GCC: “Intellectual Property Rights means means all Registered Intellectual Property Rights, and all unregistered intellectual property rights granted by law without the need for registration with an authority or office including all rights in information, data, blueprints, plans, diagrams, models, formulae and specifications together with all copyright, unregistered trade marks, design rights, data base rights, topography rights, know how and trade secrets or equivalent rights or rights of action anywhere in the world”.

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