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Le Sharing Economy e la concorrenza nell'Unione Europea

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Academic year: 2021

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INDICE

INTRODUZIONE ... 4

CAPITOLO PRIMO INTRODUZIONE ALLE

SHARING ECONOMY

1. La definizione di Sharing Economy ... 6

1.1. Le categorie delle Sharing Economy ... 9

2. Le principali piattaforme ... 14

2.1 In Europa ... 14

2.2 in Italia ... 16

3. I principi fondamentali su cui si basa la Sharing

Economy ... 19

3.1. La fiducia ... 19

3.2. La reputazione ... 24

3.2.1. Il sistema di rating delle piattaforme ... 27

3.3. Un valore inutilizzato è un valore sprecato ... 30

4. Economia dell’accesso vs proprietà... 31

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CAPITOLO SECONDO

PRINCIPALI QUESTIONI DI DIRITTO

1. L’impatto delle Sharing Economy ... 40

2. La necessita’ di una disciplina delle Sharing

Economy ... 44

3. Self-regulation e Sharing Economy ... 49

4. Inquadramento del lavoratore ... 56

4.1 Problemi definitori ... 58

4.2. Conclusioni: soluzioni legislative al problema .... 62

5. Tipi contrattuali nelle Sharing Economy ... 65

CAPITOLO TERZO

LA TUTELA DELLA CONCORRENZA NEL

MERCATO DELLE SHARING ECONOMY

1. I protagonisti dell’economia della condivisione .... 67

1.1. I tradizionali attori del mercato ... 68

1.2. Le piattaforme di intermediazione ... 70

2. La definizione del mercato rilevante nelle Sharing

Economy ... 75

2.1. Il mercato delle piattaforme di intermediazione .. 75

2.1.1. Il mercato del prodotto ... 77

2.1.2. Il mercato geografico... 78

2.2. Il mercato rilevante della fornitura dei prodotti e

servizi ... 80

(3)

3. Digital Single Market Strategy della Commissione

Europea ... 82

4. La posizione dominante delle piattaforme di

Sharing Economy ... 88

4.1. Qual è il rischio di una posizione dominante? .... 93

4.2. Eventuali implicazioni nel controllo delle

concentrazioni ... 97

4.3. Implicazioni per la normativa antitrust e la tutela

dei consumatori ... 101

5. I rapporti tra l’attuale legislazione nazionale e le

nuove piattaforme tecnologiche... 107

6. Le linee guida sulle Sharing Economy della

Commissione Europea ... 109

7. In ambito nazionale: la proposta di legge italiana

legge n. 3564 ... 114

CONCLUSIONI……….121

BIBLIOGRAFIA………126

ATTI E DOCUMENTI………...131

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INTRODUZIONE

La sviluppo nuove tecnologie e loro diffusione ha fatto nascere al contempo un nuovo modello economico che si pone al centro dei dibattiti nazionali e internazionali. Le Sharing Economy ( c.d. economia della condivisione) rappresentano l’aspetto più importante di tale cambiamento, esse si fondano sull’idea di condivisione di beni, servizi e conoscenze.

Tale nuovo modello di economia sta assumendo sempre più importanza a livello globale soprattutto perché è riuscita negli ultimi anni a dare un risposta alla crisi economico-finanziaria e occupazionale.

L’elaborato in particolar modo si concentra sulla questione della disciplina della concorrenza che costituisce un elemento essenziale di tale fenomeno. Deve essere consentito alle imprese di competere a parità di condizioni in tutti gli Stati Membri e, al contempo, devono essere tutelati i consumatori.

Le norme esistenti sono pensate per essere applicate agli operatori del mercato tradizionale e non agli operatori dell’economia della condivisone. E’ per questo necessaria una regolamentazione del settore considerando che, senza di essa, potrebbero crearsi facilmente situazioni di concorrenza sleale tra gli operatori appartenenti ai due modelli di consumo.

Nel primo capitolo verrà data una definizione di piattaforme di Sharing Economy e ci si soffermerà sulle ulteriori varianti rappresentate dall’economia collaborativa o collaborative economy, peer to peer economy ecc.

Nello stesso capitolo vengono invece presentati e analizzati gli elementi innovativi e fondamentali che caratterizzano questo nuovo

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modello economico ovvero, la fiducia, la reputazione e l’accesso ai beni e ai servizi offerti.

Nel secondo capitolo verrà affrontato il problema di una necessità di regolamentazione di queste piattaforme per colmare il vuoto normativa in questo settore. Come verrà spiegato all’inizio del capitolo, questo fenomeno ormai ha assunto una certa rilevanza, sviluppandosi però in una zona grigia normativa e creando delle sfide per le autorità nazionali. Nel capitolo si affronteranno le problematiche normative principali che portano molti autori a sostenere l’ipotesi di self-regulation (o autoregolamentazione). Infine, nell’ultimo capitolo verrà trattata nello specifico la tutela della concorrenza per le piattaforme in questione. Verranno individuati gli attori principali interessati da questo nonché il mercato rilevante per la disciplina. Verrà dato rilievo agli orientamenti espressi dalla Commissione Europea attraverso la comunicazione denominata “Un’agenda europea per l’economia collaborativa” del 2 giugno 2016 e infine verrà fatto cenno al quadro normativo nazionale italiano.

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CAPITOLO PRIMO

INTRODUZIONE ALLE SHARING

ECONOMY

Sommario: 1. La definizione di Sharing Economy 1.1. Le categorie delle Sharing Economy 2. Le Principali Piattaforme 2.1. In Europa 2.2 In Italia 3. I principi fondamentali su cui si basa la Sharing Economy 3.1. La fiducia 3.2. La reputazione 3.3. Un Valore inutilizzato è un valore sprecato 4. Economia dell’accesso vs proprietà 5. Punti di criticità

1. La definizione di Sharing Economy

Le “Sharing Economy” rappresentano sicuramente una delle idee più innovative degli ultimi decenni. Già nel 2011 la rivista americana “The Times” aveva coronato le “Sharing Economy” come una delle dieci idee che cambieranno il mondo sancendo definitivamente quella che è l’importanza di questo fenomeno1 .

Le origini risalgono al 1995 con la fondazione di eBay e Craigslist2,

due mercati per la ricircolazione dei beni che adesso fanno ormai fermamente parte della tradizionale esperienza dei consumatori. Ma si tratta di un mercato in continua espansione ed evoluzione, ci si

1 B.WALSH “Today's Smart Choice: Don't Own. Share”, TIME, 2011 <http://content.time.com/time/specials/packages/article/0,28804,2059521_2 059717_2059710,00.html>

2 J.SCHOR saggio “Debating the Sharing Economy” in Great Transition Iniative (2014) < http://www.greattransition.org/publication/debating-the-sharing-economy>

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aspetta che già entro il 2020 il fatturato di tutte queste piattaforme, come Uber, AirBnb, BlaBlaCar, triplichi fino ad arrivare entro cifre come 20,4 miliardi di dollari ( il fatturato del 2015 è stato di 6,4 miliardi)3 .

Bisogna precisare che la Sharing Economy non è un fenomeno legato solo all'ambito economico ma al contrario sta investendo anche in ambiti relazionali, sociali e organizzativi generando valori, opportunità e cambiamenti.

Come ci dice Rahchel Bootsman4 fornire un'unica definizione di

“Sharing Economy” può risultare difficile in quanto il termine è spesso usato come sinonimo di diversi fenomeni, ad es. Peer-to- Peer Economy, Collaborative Consuption, Collaborative Economy. Potrebbe risultare quindi utile iniziare a chiarificare il significato di questi termini.

Per Collaborative Economy si intende un economia basata sulla costruzione di un network e la partecipazione di una comunità di individui. E’ costruita su una distribuzione del potere della fiducia all’interno delle comunità in opposizione al sistema centralizzato. E’ frequentemente utilizzato anche il termine Collaborative Consuption un modello economico basato sulla condivisione, scambio, commercio, o affitto di prodotti e servizi, privilegiando l’accesso piuttosto che il possesso dei beni. Questo modello non reinventa solo il consumo ma come consumiamo.

Per Sharing Economy ci si riferisce ad un modello di condivisione di risorse sottoutilizzate, dagli spazi alle competenze e abilità a

3 Per precisazione riportiamo qualche numero per capire meglio il fenomeno. AirBnb continua a crescere, ricevendo costantemente nuovi round di finanziamento, arrivando a essere quotata 24 miliardi. Uber ha raggiunto cifre ancora più alte, arrivando a essere valutata 41,2 miliardi di dollari e raccogliendo una disponibilità finanziaria tale da permetterle di proseguire tranquillamente la sua strategia di espansione mondiale, gettando un occhio a servizi paralleli al trasporto delle persone, come il trasporto oggetti. BlaBlaCar ha ottenuto una valutazione di 1,6 miliardi di dollari. 4 E' stata definita il guru della sharing economy, ha coniato la frase "consumo collaborativo".

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pagamento o meno.5 Ad es. Lyft è una piattaforma on-demand che

accoppia normali autisti, studenti, pensionati, genitori che non lavorano ecc. che possono guadagnare qualche soldo extra fornendo passaggi a chi ne ha bisogno.

Ed in ultima analisi si può vedere la definizione di Peer to Peer Economy che è un mercato economico basato sulle relazioni tra le persone che facilitano la condivisione e il commercio diretto di prodotti e servizi basato sulla fiducia creata tra gli individui.

Tutte queste definizioni hanno in comune l’elemento digitale. Infatti i consumatori hanno accesso alle piattaforme di Sharing Economy tramite siti internet o applicazioni su smartphone. Un secondo elemento chiave è l’accoppiamento delle persone. Le piattaforme di Sharing Economy, infatti, si comportano come intermediario tra A, un individuo che possiede un bene sottoutilizzato, e B, un possibile compratore o affittuario di questo bene. La funzione di intermediario nelle piattaforme di sharing economy facilita sia l’identificazione delle parti per una possibile transazione, sia la conclusione della stessa. Le Sharing Economy sono un settore di ampia portata e intersettoriale, che coprono differenti tipi di attività.

Dare un'unica definizione di Sharing Economy, come abbiamo già detto, che riflette tutti gli usi comuni è quasi impossibile. C’è una grade diversità fra tutte le attività, il che è anche dovuto ai differenti confini disegnati dai partecipanti. Ad esempio all’interno del vasto mondo delle economie collaborative troviamo TaskRabbit , un sito di commissioni, invece Mechanical Turk ( un mercato del lavoro online di Amazon) non è incluso; AirBnb è spesso sinonimo di Sharing Economy ma i B&B sono invece lasciati fuori. Lyft una compagnia di servizi di trasporto reclama per esservi compresa, mentre Uber

5 A.MARCHI e E.J. PAREKH “How the sharing economy can make its

case” articolo per McKinsey Quarterly (2015) <http://www.mckinsey.com/business-functions/strategy-and-corporate-finance/our-insights/how-the-sharing-economy-can-make-its-case>

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un'altra compagnia di servizi di trasporto, no. I parchi e le librerie pubbliche quindi non dovrebbero esservi ricomprese?

“Sharing is nothing new. We’ve been sharing our food and homes with others for centuries, but digital platforms have given this a new

lease of life. The sharing economy is transforming the way we live our lives. These platforms have seen the emergence of the everyday

entrepre- neurs. They are the challengers, the innovators and the agitators – constantly seeking to shake up the market by solving other people’s problems. We back them and we want to help them make our

lives easier. The sharing economy is maturing, moving from early adopters to the mainstream, and we in government are committed to

ensuring the UK is the best environment in the world for these entrepreneurs to flourish”6

1.1. Le categorie delle Sharing Economy

Le attività di Sharing Economy si suddividono in 4 categorie principali: circolazione di beni, un incremento dell’utilizzo di beni di consumo durevoli, scambi di servizi e condivisione di attività produttive 7.

Per quanto riguarda la prima categoria di attività le origini risalgono, come dicevamo, agli anni 90 con eBay e Craigslist. Questi due siti sono stati promotori per quasi due decadi di pesanti acquisizione economiche d’importazioni che hanno permesso la proliferazione di oggetti non voluti, sono basati poi su un sofisticato software che

6 M. HANCOK, UK Minister of State for Business, Enterprise and Energy in “Indipendent review of the Sharing Economy, Government Responese” 2015

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riduce il tradizionale elevato costo delle transazioni dei mercati secondari. Nel 2010 moltissimi siti simili sono stati lanciati, come ad es. ThreadUp e Threadflip per l’abbigliamento, un libero scambio di siti come Freecycle e Yerdle, e siti di baratto come Swapstyle.com. Gli scambi online adesso includono un fitto o denso mercato in abbigliamento, libri, giocattoli e un più magro mercato di attrezzatura sportiva, mobili e beni per la casa.

La seconda tipologia di piattaforme facilita l’uso di beni durevoli e altri beni in maniera più intensa. Nelle nazioni ricche, le famiglie comprano prodotti o posseggono proprietà di cui non utilizzano tutta la capacità ( come ad es. stanze degli ospiti o tosa erba). In questo contesto l’innovazione è rappresentata da piattaforme come Zipcar, una compagnia che colloca mezzi in zone strategiche della città e offre un affitto a ore. Dopo la crisi economia del 2009, infatti, affittare beni piuttosto che comprarli è diventato sempre più conveniente e attraente, e sono proliferate simili iniziative. Nel campo dei trasposti, queste includono siti per l’affitto di macchine ( es. Realay Rides), ride sharing ( es. Zimride), ride services ( es. Uber, UberX, Lyft) e bicycle sharing . Nel settore degli alloggi, il grande innovatore è stato Couchsurfing nel 1999, che ha iniziato accoppiando viaggiatori con persone che offrivano stanze o divani gratis.

La terza categoria comprende servizi di scambio, che prende origine con la nascita delle Banche del Tempo ( Time Bank), che negli Stati Uniti ad es. comincia nel 1980, per dare opportunità di lavoro ai disoccupati. Si tratta di comunità locali no profit, basate sul baratto, nella quale determinati servizi sono scambiati sulla base del tempo speso, in base al principio che il tempo di tutti i membri è valutato in maniera uguale. In contrasto con le altre piattaforme, le Banche del Tempo non sono cresciute velocemente.

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Ci sono comunque molte piattaforme di scambio di servizi a pagamento, come TaskRabbit e Zaarly, che accoppiano utenti che hanno bisogno di piccole commissioni con persone in grado di farle al loro posto.

La quarta ed ultima categoria consiste nel focalizzare le attenzioni sul condividere beni o spazi , in modo da consentire la produzione, invece del consumo. Le cooperative ad esempio rappresentano questo sforzo. Iniziative collegate includono ad es. i makerspaces che si basano sulla condivisione di attrezzi e ancora piattaforme educative come Skillshare.com.

La confusione e la difficoltà di dare una definizione univoca del termine è dovuta anche al fatto che, negli ultimi anni, molte aziende o organizzazioni si sono auto dichiarate appartenenti a questa tipologia di imprese per poter godere dei benefici derivanti dalla crescente importanza attribuitagli e dalla crescente accettazione del valore della condivisione da parte dei consumatori.8

La ragione del grande successo di forme di produzione e scambio conosciute con il nome di “sharing economy” è legata al progresso tecnologico degli ultimi anni: internet, sistemi di geolocalizzazione, smartphone, hanno fatto si che si avesse un radicale abbassamento dei costi di comunicazione, di coordinamento e di monitoraggio dei comportamenti ed hanno dato origine a due fenomeni che stanno alla base di molte delle nuove strutture economiche: da un lato, la modalità di fruizione dei beni basate sull’accesso temporaneo e condiviso in alternativa all’acquisto ed al consumo proprietario; dall’altro, la riduzione del ruolo e del numero di intermediari tradizionali, che ha permesso in molti settori di eliminare tanti passaggi della catena di produzione e distribuzione , consentendo la riduzione dei costi e l’incontro degli attori economici privati.9

8 MAINIERI M., “Collaboriamo!”, Hoepli, Milano, 2013 9 In www.collaborativeconsumption.com

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Un altro motivo del boom delle sharing economy è rappresentato dal desiderio di creare nuove connessioni sociali. Molte piattaforme infatti si auto-pubblicizzano come un modo per conoscere nuove persone . E i partecipanti sono spesso spinti da questo desiderio. Bisogna però notare come le attività economiche che rientrano nella Sharing Economy di fatto non siano una novità: la condivisione, il baratto, il prestito, lo scambio, il noleggio hanno rappresentato le prime forme di rapporti economici e hanno sempre costituito una parte integrante del tessuto sociale ed economico .

La grande novità della Sharing Economy è la scala in cui avviene la condivisione e il mezzo utilizzato.

Tutto quello che abbiamo detto finora è sicuramente vero ma quali sono gli elementi che hanno spinto a questo cambiamento?

Due sono gli elementi individuati da R. Botsman : in primo luogo un value shift, ovvero un cambiamento nella sfera dei valori degli individui e poi, come conseguenza implicita, il fatto che si stia iniziando a comprendere che benessere personale e benessere collettivo sono tutt’altro che fenomeni slegati.10

Uno studio di PWC del 2015 stima che i 5 settori chiave delle Sharing Economy ( viaggi, car-sharing, finanza , personale e intrattenimento), hanno il potenziale per aumentare il fatturato globale da circa 15 miliardi di dollari di oggi a circa 335 miliardi entro il 202511.

Nel guardare le singole aziende del settore, non si può evitare di analizzare i due giganti quali Uber e AirBnb, del valore di $ 50 e $ 25 miliardi di dollari rispettivamente. Bisogna riconoscere, tuttavia, che per ogni Uber o AirBnb ci sono migliaia di piccole piattaforme e iniziative che non raggiungono una dimensione che è sufficiente a fornire un reddito a tempo pieno per i loro lavoratori. Ancora più

10R. BOTSMAN R.ROGERS , “What's mine is yours”, Harperbuniess, Londra 2010

11 Studio della PWC, “The Sharing Economy (Consumer Intelligence

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piattaforme non raggiungono mai questa fase o cessano di esistere dopo un breve periodo di tempo.

Dal punto di vista legale e organizzativo, sia organizzazioni a scopo di lucro, cooperative e sia organizzazioni no profit possono rientrare nel fenomeno che stiamo qui descrivendo.12

Un altro modo per ottenere un po’ di chiarezza sul potenziale delle piattaforme di Sharing Economy è quello di riflettere sul futuro del trasporto locale. Qui l'arrivo improvviso di Uber ha costretto molti consumatori così come i politici a riflettere sul futuro della mobilità in città, un futuro caratterizzato dall'arrivo di nuove tecnologie che potrebbero trasformare sostanzialmente il modo in cui usiamo le auto di oggi. Uber non è l'unico giocatore in questo mercato, in quanto vi sono anche servizi di car-sharing come car2go e Cambio, e ride-sharing. La combinazione di queste nuove tecnologie può potenzialmente aumentare l'efficienza delle auto, che oggi trascorrono la maggior parte del loro tempo a “dormire”, piuttosto che circolare. E 'stato stimato che le automobili circolano solo il 4% del tempo di una giornata, di cui la metà viene speso nel traffico.

Se questi sistemi di trasporto si diffondessero in larga scala nelle città possiamo immaginare che si passerebbe ad una società dove le persone che principalmente erano orientate a possedere una propria macchina vorranno ora semplicemente utilizzare una macchina posseduta da altri.

In un futuro più lontano, che potrebbe essere poi non così lontano infatti, questi servizi potrebbero operare su self-driven cars ( auto che si guidano da sole). Un tale cambiamento cosi drastico porterebbe come dato negativo un impatto sui posti di lavoro come molti temono attualmente, sarebbero necessari meno autisti, ma allo stesso tempo, nuovi posti di lavoro potrebbero essere creati nel settore manifatturiero dove più macchine dovrebbero essere prodotte per via

12L. GANSKY, “The mesh: Why the future of business is sharing”, Portfolio/Penguin , New York, 2010

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del fatto che ogni vettura avrà una durata più breve a causa di un uso più intenso.

2. Le principali piattaforme

2.1 In Europa

Si può mappare e misurare l’economia collaborativa guardando alternativamente al lato dell’offerta (piattaforme attive) o al lato della domanda (partecipazione degli utenti).

Dal lato dell’offerta, i principali studi a livello europeo a cui fare riferimento sono “Making Sense of the UK Collaborative Economy” realizzato nel 2014 da Collaborative Lab, Nesta e “The Sharing Economy - sizing the revenue opportunity” realizzato nel 2014 da PwC UK.

In base alle risposte multiple fornite da 120 organizzazioni in merito ai propri ambiti di attività, lo studio “Making Sense of the UK Collaborative Economy” ha evidenziato come settori con la maggior concentrazione di organizzazioni (nell’ordine):

• istruzione e formazione • ricerca

• servizi di business e marketing • trasporto

• tecnologia ed elettronica • lavori

Un altro studio condotto da PwC UK, volto a stimare potenziale economico della Sharing Economy, ha individuato cinque settori di attività differenti:

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• la finanza P2P

• lo scambio di lavori e competenze • l’accoglienza P2P

• il car sharing

• le piattaforme di streaming per audio e video

I diversi risultati nell’individuazione dei principali settori dipendono probabilmente dalle modalità di raccolta dati e dalle diverse finalità degli studi condotti.

Lo studio di Collaborative Lab e Nesta ha poi cercato di delineare alcune ulteriori caratteristiche del fenomeno a livello europeo. Attraverso un questionario online a cui hanno risposto circa 120 soggetti, tra organizzazioni e imprese di diversi Paesi europei, è emerso che le organizzazioni operanti nell’economia collaborativa sono principalmente giovani e utilizzano internet come supporto fondamentale. Inoltre, circa il 50% dei soggetti dichiara di operare a livello internazionale, contro un 23% a livello nazionale e un 27% a livello regionale e locale.

Nello stesso studio si individuano i principali settori nei quali le persone dichiarano di partecipare a meccanismi di economia collaborativa. In particolare, si è concentrato su 8 settori in cui si possono trovare tradizionalmente fenomeni di collaborazione, ed ha chiesto a un campione di duemila persone di indicare se nell’ultimo anno avessero partecipato in qualche modo alla Collaborative Economy, intesa come attività collaborative avvenute tramite l’utilizzo abilitante di internet.

Basandosi su un campione rappresentativo di 2000 soggetti adulti lo studio “Making Sense of the UK Collaborative Economy” ha stimato che le attività̀ di Collaborative Economy maggiormente partecipate su internet riguardano:

• i media

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• i beni e i servizi per le famiglie • la tecnologia e l’elettronica

• gli strumenti e i giochi per bambini • il settore dei trasporti

• il turismo

• i piccoli lavoretti

Sebbene si prenda in considerazione solo la Gran Bretagna e si guardi a un solo anno senza permettere analisi di trend storici, questo studio rappresenta un passo avanti nella mappatura della partecipazione degli utenti alla Collaborative Economy. I risultati mostrano anche che i fenomeni collaborativi si estendono ben oltre l’utilizzo abilitante di internet. Infatti, solo il 25% degli intervistati ha preso parte all’economia collaborativa attraverso l’utilizzo abilitante di internet, mentre circa il 68% afferma di aver effettuato attività collaborative senza esso. Delineando un profilo delle persone che hanno preso parte, si tratta principalmente di soggetti bianchi, in età compresa tra i 25 e i 54 anni, con livelli educativi medio-alti, appartenenti a nuclei familiari numerosi e residenti in aree rurali con accesso a internet.

2.2 in Italia

In Italia, l’economia collaborativa ha generato un movimento eterogeneo che coinvolge associazioni, cittadini, policy makers e imprese. Nel descrivere la realtà italiana si ritrovano le stesse difficoltà metodologiche e concettuali incontrate nel caso della mappatura a livello europeo. Tuttavia, alcuni soggetti hanno realizzato un importante lavoro di catalogazione delle varie esperienze di economia collaborativa nel nostro Paese. Nel 2014 è stata realizzata una prima mappatura condotta da Collaboriamo (Mainieri e Bucci, 2014), che raccoglie le principali piattaforme digitali attive sul territorio italiano nell’ambito del consumo

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collaborativo. Sebbene non abbia pretese di scientificità, questo studio rappresenta un primo importante tassello per comprendere la dimensione del fenomeno in Italia. La mappatura è stata effettuata tramite un questionario inviato a 79 piattaforme italiane e straniere operanti nel territorio italiano, di cui 56 hanno fornito risposte.). Sempre secondo la mappatura di Mainieri e Bucci ,tra le piattaforme studiate vi sono evidenti limiti dimensionali. Il 44% delle piattaforme non supera i mille utenti mensili, il 24% non supera i cinquemila, mentre solo il 19% supera i diecimila e il 7% i cinquantamila.

Inoltre, la mappatura rileva la mancanza di finanziamenti e di una chiara normativa come ulteriori criticità per lo sviluppo futuro di queste iniziative.

La mappatura si è concentrata in particolare sulle piattaforme di consumo collaborativo, integrandole poi anche con il campione di piattaforme di finanza collaborativa mappate Castrataro e Pais.13 Pur

mettendo in luce importanti informazioni su questi due fenomeni, un limite della rilevazione è dato dal fatto che l’unione dei due campioni può portare a una parziale distorsione nell’analisi. Di seguito i risultati dello studio originale sulla finanza collaborativa realizzato da Daniela Castrataro e Ivana Pais (2014) in “Analisi delle Piattaforme Italiane di crowdfunding”, per mettere in evidenza le caratteristiche specifiche di questo settore.

La prima esperienza di crowdfunding in Italia risale al 2005 mentre la diffusione ampia di questo strumento ha avuto luogo solo dopo il 2011.

In aggiunta al consumo collaborativo e alla finanza collaborativa, un ulteriore ambito di interesse è quello della produzione collaborativa, particolarmente vivace nel contesto italiano. In questo campo è stata

13 D. CASTRATARO e I. PAIS “Analisi delle piattaforme italiane di

crowfunding” promosso da Italian Crowfunding Network (2014) <

http://www.slideshare.net/italiancrowdfunding/2014-analisidelle-piattaformeitalianedicrowdfundingcastrataropais>

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condotta una mappatura dalla Fondazione Ivano Barberini che ha contato 246 tra coworking e FabLab in Italia14. La rilevanza del

fenomeno dei makers sembrerebbe confermata anche dai dati proposti da “FabLabs.io” che indicano l’Italia come il terzo Paese al mondo per numero di FabLab, dopo Stati Uniti e Francia. Tuttavia, come per le piattaforme online, anche i dati sui coworking e FabLab devono essere presi con cautela, data la velocità di diffusione del fenomeno. Rispetto alla distribuzione geografica, il nord appare particolarmente vivace (150 spazi) rispetto al centro (59) e al sud (37). Molto interessante è anche la distribuzione rispetto alle dimensioni delle città: più della metà degli spazi si trova in centri urbani con meno di 200.000 persone, mentre solo il 32,5% del totale si trova in città con più di mezzo milione di abitanti. La forma giuridica di questi spazi è un altro elemento interessante, con la S.r.l. scelta nel 34% dei casi18 e l’associazione di promozione sociale nel 22%; solo il 7,7% degli spazi hanno optato per la forma cooperativa (5,1%) e cooperativa sociale (2,6%).

I servizi maggiormente richiesti sono le piattaforme di scambio e baratto , i servizi di alloggio e i servizi di mobilità forniti da altre persone. Sono significative le partecipazioni ad altre piattaforme di mobilità collaborative, di scambio di informazioni e idee e alle piattaforme di crowdfunding.

Queste scelte di comportamento,, appaiono motivate principalmente dalla convenienza economica, dall’innovatività delle risposte proposte, dalle possibilità̀ economiche che generano, dall’aumento

14 Un Fab Lab è una piccola officina che offre servizi personalizzati di fabbricazione digitale. La maggior parte dei Fab Lab utilizza macchine costruite a partire da progetti Open Source che poi vengono modificate per andare incontro alle specifiche esigenze di ciascun laboratorio e ripubblicate come nuovo progetto. Le macchine sono in gran parte costituite da pezzi “stampati” a loro volta da altre macchine dando così vita ad un processo iterativo di replicazione dove “le macchine generano altre macchine” sotto la guida di esperti che condividono le loro idee in modo libero tramite la rete.

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del rispetto per l’ambiente e dalla riduzione dei costi connessi alla proprietà.

Tra i principali ostacoli alla diffusione dell’economia collaborativa non emergono motivazioni molto forti al di là della semplice diffidenza e desiderio di non diffondere i propri dati personali. Circa il 73% del campione dichiara che si sentirebbe incentivato ad usare maggiormente i servizi di economia collaborativa qualora vi fossero chiare regole fiscali e giuridiche.

3. I principi fondamentali su cui si basa la Sharing

Economy

3.1. La fiducia

La fiducia e il capitale di reputazione sono elementi imprescindibili quando si parla di sharing economy. Vediamo infatti che l’economia della condivisione è subordinata ad un elemento immateriale che costituisce il fondamento su cui tutte le operazioni di condivisione si verificano: la fiducia.15 Un sondaggio del 2012 16 ha mostrato come il

67% degli intervistati ha espresso come una delle principali barriere all’utilizzo delle piattaforme di sharing economy proprio i problemi legati alla fiducia. In questo contesto la fiducia è essenziale.

15 H.GARKIFINKEL “La fiducia, una risorsa per coordinare

l’interazione”, Armando editore, Roma,, 2004

16 Sondaggio condotto dalle agenzie Campbell Mithun in collaborazione Carbonview Research “Collaborative Consuption: What Market Need to

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In passato la fonte e lo sviluppo della fiducia del consumatore era responsabilità e compito delle organizzazioni e delle imprese che detenevano gran parte del potere in tale ambito che veniva manifestato attraverso un alto grado di influenza sulle dinamiche di comportamento d'acquisto. Attraverso la pubblicità e le informazioni divulgate dall'impresa, tradizionalmente costruita veniva costruita la fiducia e la fedeltà del consumatore.

Con l'introduzione delle tecnologie digitali la fonte della fiducia non risiede più unicamente a livello aziendale ma nasce dal confronto con l'esperienza diretta di altri consumatori che hanno la possibilità di condividere opinioni e commenti in blog, community e in siti dedicati. Parallelamente diminuiscono il potere dell'influenza della pubblicità e delle informazioni diffuse direttamente dall'impresa. L’interesse accademico per il concetto di fiducia può essere fatto risalire attraverso 50 anni di ricerca. Nonostante spesso il termine della fiducia sia stato usato con molta ambiguità. Vediamo che ad oggi è possibile darne una definizione condivisa dalla maggioranza, la fiducia è stata delineata come un punto cruciale di ordine sociale, consentendo la produttività economica e la stabilità democratica , così come l'integrazione civica , la coesione e l'impegno.

La fiducia è stata definita all'interno di molte orientamenti teorici, come una proprietà del singolo e della collettività, e nel contesto di molte discipline intellettuali, tra cui la psicologia, la sociologia, le scienze politiche, l’economia, l’antropologia, la scienza e la gestione. All'interno di questa abbondanza di concettualizzazioni sono due proprietà emergenti che, insieme, costituiscono una definizione di fiducia: aspettative e rischio. 17 Quando si parla di aspettativa

all’interno del concetto di fiducia ci si riferisce ad una aspettativa di

17H.MASUM e M.TOVEY, “The reputation society: How Online Opinions

are Reshaping the off-line World”, Cambridge,Mit Press Inoformation

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base per quanto riguarda il comportamento di un partener con il quale si interagisce.18

Un rapporto di fiducia è subordinato a due fattori: in primo luogo, che l’altra parte ha buone intenzioni e in secondo luogo, che l’altra parte ha la competenza tecnica per l’attuazione di tali intenzioni.

Vediamo poi che essenzialmente la fiducia deve contenere un secondo elemento che è rappresentato dal rischio. La fiducia è infatti un tipo di aspettativa che allevia il timore che il proprio partner di scambio agirà in modo opportunistico. Dall’altro lato però un rischio di opportunismo deve sempre esistere. L'onnipresenza del rischio nei rapporti di fiducia costituisce il secondo pezzo della definizione di fiducia .

La definizione di fiducia appena data può essere distinta in due ulteriori situazioni concrete. Si identifica una fiducia generale e una particolare. E si tratta di due definizioni che emergono dalla natura della fiducia nel contesto in cui ci troviamo a stringere rapporti con persone che conosciamo bene e nel caso di rapporti con persone che non conosciamo affatto.

Mentre la fiducia particolare incapsula una serie di comportamenti riferibili ad una cerchia di persone ristretta che si trova in una situazione di prossimità sociale, la fiducia in generale invece si riferisce ad una generalità di persone incapsulando cosi un comportamento astratto e ha un ampio raggio che si estende oltre l'ambito sociale immediatamente prossimo a noi per includere anche gli estranei. Tale concetto di fiducia è sicuramente più appropriato quando parliamo di operazioni nell’ambito dell’economia della condivisione.

Nelle sharing economy dove una persona si deve fidare di un estraneo per farli guidare la propria macchina, oppure per farlo stare nel

18 G. MÖLLERIN “Trust beyond risk: the leap of faiht” in Trust: Reason, Routine, Reflexivity cap. 5 Oxford: Elsevier, 2006, ISBN 0-08-044855-0

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proprio appartamento , sono i contesti in cui la fiducia generale si sviluppa.

La crescita delle sharing economy è emblematica di un più ampio movimento globale caratterizzato da una crescente mobilità geografica e sociale che produce diverse interazioni in una varietà di nuovi contesti e incontri regolari con nuovi partner di interazione; come tale, la fiducia generalizzata è molto rilevante nel contesto contemporaneo.

Nella economia della condivisione , la fiducia generalizzata ci collega alle risorse disponibili quando ne abbiamo bisogno , attraverso una rete di fiducia mediata dalla tecnologia. Senza fiducia i membri delle sharing economy non sarebbero in grado di capitalizzare in modo efficiente sul valore latente delle risorse nelle vicinanze.19

Il contesto on line presenta uno scenario unico per quelle che sono le indagini sulla fiducia. Le interazioni on line sono infatti composte da una miscela complessa di attori umani e sistemi tecnologici. Tali interazioni si svolgono attraverso un numero crescente di applicazioni e ambienti virtuali nei quali gli utenti interagiscono sia attraverso i contenuti di queste piattaforme che direttamente tra loro. Quindi molto spesso ci si trova ad interagire con perfetti estranei. Di conseguenza, l'interazione online presenta un contesto completamente nuovo in cui la fiducia deve essere negoziata, senza molti degli antecedenti e indicatori normali.

Con le sue numerose variabili e incognite, Internet può essere visto come un ambiente in cui non si applicano le regole convenzionali e la conoscenza delle esperienze di tutti i giorni, e come tale è percepito come un luogo ad alto rischio , soprattutto per quanto riguarda il commercio elettronico.

Gli utenti devono affrontare molti rischi ad es. per la privacy in quanto le informazioni personali possono finire nelle mani di persone

19H.GREEN, “Trust and the Sharing Economy: A new Business Model”, TrustedAdvisor, 2012

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sbagliate, o rischi finanziari attraverso transazioni con parti inaffidabili.

La fiducia, quindi, è sempre più riconosciuta come un elemento cruciale del successo dell'impresa nel contesto online.

I meccanismi di fiducia e reputazione risultano ancora più necessari se si considera in aggiunta che l'utente è sottoposto ad un rischio superiore della perdita monetaria e l'insoddisfazione: ad potrebbe subire esempio furto, danneggiamento della proprietà condivisa.20

La fiducia è importante per entrambe le transazioni business-to-consumer (B2C) e peer-to-peer (P2P).

Ciò che caratterizza le transazioni è l’asimmetria informativa, il che significa colloquialmente che entrambe le parti non hanno le stesse informazioni. L’asimmetria informativa si manifesta in due diverse parti delle transazioni on-line, vale a dire, l'identità delle parti on-line e la qualità del prodotto. L'asimmetria per quanto riguarda le identità delle parti è caratterizzata da tre aspetti distinti.

In primo luogo, le persone, come abbiamo già detto, si relazionano con persone che non hanno mai incontrato sottoponendosi ad un rischio maggiore di opportunità del venditore. La controparte infatti può facilmente rimanere non pienamente identificata o cambiare la propria identità, che ci porta al secondo punto: l'anonimato. L'anonimato mina fortemente il clima di fiducia .La terza questione è che è spesso difficile associare un'identità online per una sola persona.

Da un altro punto di vista l’asimmetria informativa si verifica in relazione alla qualità del prodotto, derivante dal fatto che il consumatore on-line non ha l'opportunità di vedere e testare i prodotti prima che acquistarli. Inoltre, spesso , l’acquirente si ritrova a pagare prima di ricevere la merce. Questo divario di conoscenze tra

20E. ERT, A. FLEISCHER,N. MAGEN, “Trust and Reputation in the

Sharing Economy, The role of personal photos in Airbnb” Association for

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acquirente e venditore richiede un alto livello di fiducia nel contesto on-line.

3.2. La reputazione

Le nuove tecnologie e in particolare i social media hanno introdotto dei cambiamenti nelle dinamiche sociali e di comunicazione che possono essere ricondotti a due aspetti principali:

-la presentazione del sé;

-la costruzione di un network di relazioni, strettamente collegate al concetto e alle dinamiche di community.

Gli utenti attraverso il Web hanno la possibilità di costruire e rinegoziare continuamente la propria identità a seconda dei vari contesti con cui entrano in contatto.

Il concetto di identità è strettamente collegato a quello di reputazione e fiducia e, a causa della sua potenziale mutevolezza, è sottoposta al rischio di essere messa in discussione in maggior misura poiché la possibile incoerenza comportamentale dell'utente è sottoposta ad un maggior controllo.

Un aspetto cruciale è la percezione dell' autenticità di identità che un soggetto esprime nella rete e, conseguentemente, la fiducia e la nascita della reputazione nei suoi confronti.

L'individuo costruisce la propria identità sia on-line che off-line allo scopo di allinearsi con le aspettative e valori del gruppo di individui o relazioni a cui fa riferimento.21

I social network on-line nascono e si sviluppano in un contesto in cui il tradizionale significato di comunità risulta radicalmente cambiato.

21S. CASTALDO, “Marketing e fiducia”, Bologna, Il mulino strumenti, 2009

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Il problema dello spazio e del tempo in cui si sviluppano le relazioni perde completamente importanza, grazie all'introduzione di tecnologie digitali, passa in secondo piano.

Il focus della relazioni quindi non è più̀ lo spazio e il tempo nei quali avvengono ma è dato dai valori da condividere.22

Dal punto di vista antropologico e sociologico gli essere umani hanno una naturale predisposizione alla reciprocità. Nella dimensione on-line di comunità si parla di reciprocità indiretta; un individuo non ha la certezza di chi assumerà un comportamento reciproco nei suoi confronti, sa solo di trovarsi in una comunità composta da altri individui che ricambieranno il meccanismo di condivisione e baseranno il loro comportamento sul rispetto delle medesime regole e valori.

Un altro fattore importante che permette la regolazione delle relazioni nella Sharing Economy sono i legame deboli. I legami deboli assumono molta importanza poiché instaurano collegamenti tra sconosciuti facendo in modo che le loro opinioni e esperienze siano in grado di influenzare la fiducia e il comportamento di altri utenti. I meccanismi di reputazione on-line hanno la funzione di incoraggiare la collaborazione tra sconosciuti e, nella dimensione di comunità nella quale avvengono le relazioni assume molta importanza, essendo ogni azione resa pubblica, possono influenzare i comportamenti futuri dell'intera comunità.

Le comunità on-line, così come quelle reali, possiedono norme, sanzioni e dinamiche proprie, tuttavia in entrambi le declinazioni uno strumento che ne regola le dinamiche di trasmissione di opinioni e della fiducia e il passaparola.

I meccanismi di reputazione on-line si differenziano da quelli tradizionali basati sul passaparola. Le differenze tra i due sistemi sono le seguenti:

22P. SEARGENT e P. TAGG “The language of social media: identity and

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E' cresciuta la scala in cui avvengono le relazioni e la comunicazione. In secondo luogo l’introduzione di mediatori automatici dei feedback E in fine le nuove sfide introdotte dalle innovazioni tecnologiche Il più grande e il più famoso mercato P2P è rappresentato dalla multinazionale e multimiliardaria società eBay; un sito di aste on line, con centinaia di milioni di milioni di inserzioni in corso in qualsiasi momento. La stessa eBay attribuisce il suo successo al suo sistema di reputazione chiamato “Feedback Forum”, ed è stata probabilmente la prima azienda on-line a diffondere il sistema di reputazione del venditore a punteggio. Questo genere di sistemi di reputazione possono attenuare l’incertezza sulla qualità del prodotto e distillare fiducia nell’acquirente nel confronti del venditore. La quantità è infatti una misura dell’affidabilità di un soggetto calcolata tramite i voti di altri membri che è visibile a tutti i membri della rete. Si sta infatti incominciando a parlare di “capitale reputazionale”. La Sharing Economy sta costruendo un sistema di reputazione a livello globale che è rappresentato dalla storia on-line 23.

Il capitale di reputazione si estenderà fino a dare una visione complessiva che rappresenti un tracciato di tutte le operazioni nelle varie piattaforme.

In altre parole ciò che viene valutato attraverso il capitale di reputazione è "l'integrità̀, la benevolenza e la competenza delle persone che frequentano piattaforme collaborative".

La reputazione e la fiducia stanno acquistando una sempre maggior importanza e probabilmente diventeranno uno dei fattori di maggior influenza e potere per quanto riguarda l'accesso alle forme di Sharing Economy, prendendo il posto del denaro e del potere individuale. Come dice Rachel Bootsman “la reputazione può essere una moneta che diventerà più influente della nostra storia creditizia nel 21°secolo. La reputazione sarà la moneta che dirà che di me ci si può fidare”.24

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Per concludere il discorso sul rapporto che c’è tra la reputazione e la tecnologia si riporta una citazione significativa per capire meglio il fenomeno che stiamo vivendo:

“I believe that we are at the start of a collaborative revolution that will be significant as the industrial revolution. In the 21th century, new trust networks ant the reputation capital the generate,reinvent the way we think about the market,power and personal indentity, in

ways that we can’t even imagine yet”.

3.2.1. Il sistema di rating delle piattaforme

Una novità assoluta, e segno dell'accresciuto potere del consumatore, è la possibilità di lasciare una traccia della propria esperienza, che è liberamente accessibile a chiunque Esistono due sistemi che permettono all’utente di valutare la propria esperienza d’acquisto o di servizio: il sistema di rating e le review.

Attraverso il sistema di rating l'utente ha la possibilità di dare un voto al prodotto o al servizio di cui ha usufruito, solitamente all’utente viene richiesto di attribuire un punteggio da 1 a 5 a determinati attributi prefissati.

Le review invece consistono in commenti, opinioni che riportano esperienze dirette di condivisione.

Assumendo un ruolo centrale di centrale importanza sia a livello di influenza del comportamento d’acquisto sia di creazione delle dinamiche della comunità, il tema della gestione delle review e del sistema di rating diventa di fondamentale importanza per l’impresa.

24 Discorso di Rachel Botsman in occasione del TEDxSydney, “ Il consumo

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Dal punto di vista terminologico si indicherà l’insieme di review e rating con il termine più generale di feedback.

Molti studi empirici riguardo ai meccanismi di valutazione hanno mostrato che i feedback tendono ad essere tendenzialmente positivi e in misura nettamente inferiore negativa. La percentuale superiore di feedback positivi è attribuita principalmente a quattro motivazioni: il comportamento imitativo, ossia la natura positiva delle prime review influenza sottilmente la natura della seguenti; il comportamento "under-reporting. L'utente tende a dimenticare o attribuire meno attenzione ai commenti negativi, nella misura in cui sono scarsi. La terza motivazione è che i consumatori che, a priori, hanno più possibilità di essere soddisfatti da un prodotto, è anche più probabile che lo comprino e che conseguentemente lascino un commento positivo dell'esperienza di acquisto. Infine alcune imprese manipolano le review per dare un'immagine più positiva.25

Molto spesso, l'impresa ha un ruolo di primo piano nell' incoraggiare i consumatori affinché spendano alcuni momenti per scrivere il proprio feedback direttamente sulla pagina aziendale, è considerato un sinonimo di trasparenza il fatto che le imprese li pubblichino e li incoraggino.

Una sezione della piattaforma aziendale può essere espressamente destinata ai feedback, in questo modo si ha un maggior controllo sulle informazioni e opinioni espresse dai consumatori. In alternativa le imprese possono lasciare che i feedback siano pubblicati in atri siti, spesso a questo esclusivamente dedicati.

In accordo con la teoria dei legami deboli, le review sono in grado di influenzare il comportamenti degli altri utenti, anche se la fonte risulta essere sconosciuta.

25AS. ZERV, D. PROSERPIO, J. BYERS, “A first look at on-line

reputation on Airbnb, Where Every Stay is above Average”, Boston

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Seconda tale teoria, sviluppata da Mark Granovetter, la nozione di forza dei legami è costituita dai seguenti fattori: il tempo dedicato al legame, l’intensità emozionale, il grado di intimità e la reciprocità; un legame si definisce forte se coinvolge un alto grado di tutti i fattori esposti. I legami che si sviluppano in una dimensione on-line sono mancanti o scarsi delle caratteristiche che lo definirebbero come forte.

Nella dimensione di comunità i legami deboli assumono una grande importanza e hanno un ruolo centrale nei meccanismi di comunicazione e diffusione delle informazioni e delle opinioni.26

Quando un consumatore deve restringere le possibilità di scelta a due o tre prodotti, l'81% dei consumatori basa la propria decisione su commenti ed opinioni di altri utenti al fine di ottenere una rassicurazione riguardo la correttezza del proprio futuro acquisto. La medesima percentuale di utenti afferma che le review hanno un ruolo centrale nel cambiamento di opinione riguardo all'acquisto di un prodotto.

Come citato sopra la fiducia nella bontà e sincerità degli altri utenti è fondamentale: il 68% degli utenti afferma di fidarsi degli altri consumatori on-line.

Le review rappresentano il primo mezzo che i consumatori decidono di consultare per avvicinarsi al prodotto. Solo in una seconda fase l’utente potrà decidere se avvalersi di fonti aziendali per la raccolta di informazioni per la valutazione del prodotto.

Solo il 7% dei consumatori che effettuano acquisti on-line afferma di non essere solito consultare le review prima di compiere un acquisto o usufruire di un servizio.

Si instaura un circolo di solidarietà e altruismo tra gli utenti del web che sono spinti a proteggere gli altri membri attraverso le opinioni negative; allo stesso modo si genera un sentimento di trasparenza e

26MS. GRANOVETTER, “The strength of weak ties”, American Journal of sociology, Vol.78, Issue 6, 1973

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correttezza che porta gli utenti ad agire in modo corretto nei confronti della comunità virtuale a cui appartiene.

Le review negative hanno un ruolo centrale in quanto la presenza di feedback esclusivamente positivi potrebbe minare la fiducia e la credibilità negli stessi.

Le imprese possono avere un comportamento reattivo o proattivo nei confronti delle review, e possono utilizzarle come mezzo per instaurare un dialogo e relazioni più dirette con i consumatori.27

Il sistema di rating e review è di fondamentale importanza anche in riferimento alla Sharing Economy in quanto consente l’instaurazione dei meccanismi di fiducia che consentono la condivisione e la collaborazione. Rappresentano un mezzo di rassicurazione circa l’affidabilità e la sicurezza del servizio.

La piattaforma AirBnb una volta conclusa la prenotazione invia sia all'ospite sia al proprietario una mail nella quale si richiede ad entrambi di attribuire un voto da 1 a 5 ad alcuni parametri fissi (Pulizia, precisione, ubicazione, comunicazione); inoltre AirBnb incita anche a lasciare un commento scritto dal quale posso meglio trasparire la qualità e la soddisfazione della propria esperienza.

La piattaforma di car sharing BlaBlacar permette sia la guidatore che al passeggero di commentare l'esperienza valutando ad esempio, stile di guida, puntualità e piacevolezza della conversazione.

3.3. Un valore inutilizzato è un valore sprecato

In base ad una prima accezione sharing economy individua un ampio spettro di pratiche dirette ad impiegare la capacità «a riposo» (c.d. idling capacity) di beni auto, attrezzi da lavoro, giocattoli e molti

27A. CHARLESWOTH, “An introduction to social media marketing”, Routledge, New York, 2015

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altri che nell’economia tradizionale sono acquistati e non utilizzati appieno.28

E' sufficiente pensare a tutti gli oggetti che acquistiamo e utilizziamo solo in determinate occasioni o per pochi minuti durante il giorno. Questi prodotti, non utilizzati al massimo delle loro potenzialità̀, comportano in ogni caso dei costi per l'acquisto, per il mantenimento, per le riparazioni e infine i costi che devono essere sostenuti per comprare la nuova versione del prodotto.

Si stima che nel Regno Unito e negli Stati Uniti d'America circa l'80% dei beni posseduti venga utilizzato solo una volta al mese. La Sharing Economy ha lo scopo di favorire lo sfruttamento, il ricollocamento e distribuzione di questa capacità nascosta attraverso l'utilizzo di piattaforme on-line.

La "idling capacity" non è propria solo di prodotti fisici; al contrario anche fattori intangibili come la conoscenza, lo spazio, le capacità possono essere sottoutilizzati ed essere quindi sottoposti ad azioni di riallocazione e ridistribuzione

4. Economia dell’accesso vs proprietà

Nella Sharing Economy assistiamo allo spostamento, per quanto riguarda la fonte di creazione del valore per il consumatore, dal principio del Possesso al principio dell'Accesso

Il ruolo della proprietà privata sta cambiando radicalmente con effetti di straordinaria portata sulla società Per tutta l’era moderna proprietà privata e mercati sono stati sinonimi; anzi, la stessa economia capitalistica è fondata sull’idea di scambio di beni in liberi mercati.

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Come afferma Jeremy Rifkyn nel suo libo “L’era dell’accesso” , la parola mercato si riferiva ad uno spazio fisico in cui venditori e compratori trattavano merci e bestiame. Ma già alla fine del diciottesimo secolo il termine aveva perso ogni legame con qualsiasi riferimento geografico ed era utilizzato per descrivere astrattamente il processo di compravendita di beni.

Il mercato è un elemento importante e pervasivo della nostra vita. Tutti, volenti o nolenti, siamo profondamente condizionati dai suoi umori e dalle sue oscillazioni. La mano invisibile del mercato regola la nostra vita gran parte della quale è dedicata a tentativi di acquistare a poco per rivendere a caro prezzo. Ci è stato insegnato che acquisire a accumulare proprietà è parte integrante del nostro temporaneo passaggio terreno e che, in qualche misura, ciò che siamo riflette ciò che possediamo.

Nella nuova era, i mercati stanno cedendo il passo alle reti, e la proprietà è progressivamente sostituita dall’accesso. Imprese e consumatori cominciano ad abbandonare quello che è il fulcro della vita economica moderna: lo scambio su un mercato di titoli di proprietà fra compratori e venditori.

Questo tipo di scambio , sicuramente uno degli aspetti più importanti del moderno sistema di mercato, cede il passo ad un accesso temporaneo che viene negoziato da client e server operanti in una relazione di rete. Il mercato sopravvive, ma è destinato a giocare un ruolo sempre meno rilevante nelle attività umane.

In un’economia delle reti, è più facile che sia negoziato l’accesso a una proprietà fisica o intellettuale, piuttosto che venga scambiata la proprietà stessa. Cosi, nel processo economico, la proprietà del capitale fisico, un tempo fondamento della civiltà industriale, diventa sempre meno rilevante. E’ il capitale intellettuale la forza dominate, l’elemento più ambito della nuova era. Nelle New Economy infatti sono le idee, i concetti, le immagini, non le cose, i componenti

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fondanti del valore. Ed è necessario sottolineare che il capitale intellettuale raramente viene scambiato; rimane, invece, in possesso del fornitore il quale lo noleggia o ne autorizza ad un uso limitato da parte di terzi.

Se nell’economia di mercato si parlava di venditori e compratori oggi si tende a parlate piuttosto di fornitori e utenti. Molte aziende non vendono più merci ad altre ma si consorziano per mettere in comune le risorse, creando reti allargate fornitore-utente per cogestire le rispettive attività. Anche i consumatori stanno cominciando ad orientarsi verso l’accesso a discapito della proprietà. Mentre i beni durevoli di basso prezzo continueranno a essere scambiati sul mercato, i beni più costosi, come le automobili e le abitazioni rimarranno sempre più spesso di proprietà di un fornitore che ne consentirà un uso temporaneo verso i clienti attraverso accordi di breve locazione di affitto o altre forme di servizio.

Oggi , però, la rapidità dell’innovazione tecnologica , mette in discussione la nozione di possesso. In un mondo di produzioni personalizzate, di continue innovazioni e aggiornamenti costanti, di prodotti con un ciclo di vita sempre più breve, tutto invecchia molto velocemente: in un economia in cui la unica costante è il cambiamento, avere, possedere, accumulare ha sempre meno senso . Il passaggio dal regime di proprietà fondato sull’idea di distribuzione capillare della titolarità dei beni, al regime di accesso, basato sulla garanzia di disponibilità temporanea di beni controllati di fornitori, cambia radicalmente la nozione di potere economico. Dal momento che le nostre istituzioni politiche e le nostre leggi si sono formate in un ambito definiva i rapporti di titolarità, il passaggio della proprietà all’accesso comporta e comporterà, profondi cambiamenti anche nel modo di governare.

Stiamo viaggiando verso una nuova epoca, nella quale una porzione crescente dell’esperienza dell’uomo verrà acquistata attraverso

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l’accesso a reti poliedriche nel cyberspazio. Tali reti elettroniche, nel cui dominio sempre più persone vivranno la maggior parte delle proprie esperienze quotidiane, sono controllate da un numero limitato da potenti multinazionali dei media. Queste posseggono i condotti attraverso cui le persone comunicano fra loro e controllano la parte determinante dei contenuti culturali che costituiscono, a loro volta , l’esperienza a pagamento del mondo post-moderno. Non esiste, nella storia , alcun precedente di un potere cosi vasto sulle comunicazioni umane.

L’assorbimento della sfera culturale in quella economica segnala un cambiamento radicale nelle relazioni umane , con conseguenze devastanti per la civiltà del futuro. Dagli albori della storia ad oggi, la cultura ha sempre avuto la priorità sul mercato. Le persone creano comunità, costruiscono elaborati codici di comportamento, trasmetto significati e valori condivisi, e costruiscono i rapporti di fiducia in forma di capitale sociale. Solo se la fiducia e lo scambio tra gli individui sono ben sviluppati le comunità si dedicano al commercio. La prima cosa che si deve capire di un economia globale basata sulle reti è che essa guida, e simultaneamente è guidata, dalla drammatica accelerazione dell’innovazione tecnologica. Dal momento che, in un ambiente mediato elettronicamente, i processi di produzione, le attrezzature, e i beni e i servizi diventano obsoleti con grande rapidità, nel lungo periodo la proprietà non è più molto allettante, l’accesso alle reti, mentre l’accesso di breve periodo diventa una soluzione adottata sempre piu frequentemente. La velocità dell’innovazione e il ricambio dei prodotti dettano i termini della nuova economia delle reti. Il processo è impegnativo e continuo. 29

I beni materiali, sotto forma di proprietà si stanno riducendo o addirittura vanno del tutto scomparendo a ogni livello e in ogni ambito del sistema capitalistico. Si prendano , per esempio , le scorte

29 J.RIFKIN L'era dell'accesso, La rivoluzione della New Economy Mondadori, Milano, 2000

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un tempo le aziende avevano magazzini giganteschi ; oggi, gli scanner elettronici situati nel punto vendita trasmettono istantaneamente informazioni in tempo reale sui riordini dei clienti in tal modo l’azienda può produrre solo quello che serve e consegnarlo nel minor tempo possibile al rivenditore, senza neppure far transitare il prodotto dal magazzino.

Il commercio elettronico è cresciuto e sta crescendo ad un ritmo sempre più rapido rispetto a quello che avevano previsto anche i suoi più accesi sostenitori.

In quasi tutti i mercati sta avvenendo un ripensamento dei modelli di business che è orientato verso un adattamento alle nuove tendenze dei consumatori e alle nuove tecnologie.

Si possono individuare tre ondate di cambiamenti e innovazioni che hanno scandito il passaggio a un'economia della condivisione e dell'accesso: la prima ondata ha avuto inizio negli anni '90. Avvenimento centrale del decennio, che termina con il nuovo millennio, è stato all'avvento di internet e, conseguentemente, la nascita di un mondo che per la prima volta era realmente interconnesso. La seconda ondata è caratterizzata dalla creazione di una nuova concezione di valore. L'accesso diventa il valore centrale del nuovo modello economico e conseguentemente cambiano anche aspettative e meccanismi di soddisfazione dei bisogni. Potenzialmente qualsiasi persona può diventare fornitore di un bene o servizio una volta eliminata la figura dell'intermediario. AirBnb permette a chiunque di offrire in affitto stanze o appartamenti privati in tutto il mondo; Amazon permette a chiunque di poter diventare un retailer30.

La terza ondata vede Internet e l'economia dell'accesso come motore di una nuova rivoluzione sociale. Il consumatore si trovandosi davanti alla possibilità̀ di scegliere tra la proprietà̀ e l' accesso inizia a

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preferire l' accesso condiviso di beni e servizi, attribuendo una grande importanza al bisogno di socialità̀ al sentimento di comunità̀ che viene soddisfatto attraverso l'interazione con gli altri consumatori. L' "Era dell'accesso" ha creato il terreno adatto per la nascita della Sharing Economy. 31

Nell'era dell'accesso le parole chiave diventano condivisione e collaborazione, piuttosto che competizione; in aggiunta il network in cui si posiziona l'impresa diventa uno dei motivi principali del suo successo, in quanto costituisce l'insieme potenziale delle risorse complementari di cui ha bisogno.

L'aspetto più interessante è che, rispetto alle generazioni precedenti, il consumatore inizia ad attribuire un peso rilevante alla possibilità̀ della condivisione come una via alternativa concreta al possesso.

Percepisce i sacrifici che deve sostenere per acquistare un bene (che verrà inevitabilmente sostituito nel giro di poco tempo con una versione più̀ nuova) come inutili potendo godere del bene attraverso forme di condivisione.

5. Punti di criticità

In conclusione del capitolo pare doveroso riportare anche le principali critiche che la sharing economy vive e il punto di vista di chi si mostra perplesso e incerto nei confronti di questo fenomeno.

I punti critici sono numerosi e variano per tipologia e rilevanza. Si va da problemi di ordine legale, a questioni di etica, passando per problematiche di tipo economico e non solo. Chi si mostra poco convinto dal fenomeno collaborativo si chiede se questo evolverà nel rispetto degli obiettivi dichiarati (maggior trasparenza, giustizia,

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sostenibilità̀) o se invece finirà̀ col prendere le forme del business tradizionale. La sharing economy rappresenterà̀ realmente quell’innovazione perturbante, e sconvolgerà̀ veramente gli equilibri mondiali come sostengono i suoi promotori? E se anche sarà foriera di un cambiamento, sarà̀ questo un miglioramento? Queste sono le domande che affollano la mente degli scettici.

I critici muovono le loro perplessità̀ esattamente lungo le stesse linee che i sostenitori enfatizzano come i punti vincenti della sharing economy. Così sorgono dubbi circa l’effettiva maggior sostenibilità̀ dell’economia collaborativa, come non mancano le incertezze sulla capacità di questa realtà̀ di garantire standard lavorativi opportuni e di avere quell’impatto tanto invocato in termini di capitale umano. Innanzitutto, il fenomeno collaborativo ha luogo in un contesto di vuoto normativo e ciò̀ implica una serie di complicazioni. L’assenza di normative significa incertezza in materia fiscale, ma anche in materia di privacy e di garanzia di standard qualitativi minimi, questo per citare solo alcuni degli esempi più̀ eclatanti.

Oltre al problema legale, ne sussistono anche di tipo etico, non di rado infatti le piattaforme sono accusate di sfruttamento del lavoro nei confronti dei loro utenti e fruitori e rimangono molto forti i dubbi circa una loro presunta accresciuta sostenibilità̀.

Da sottovalutare non è nemmeno l’impatto economico del fenomeno, che riducendo la domanda di molti beni e servizi, genera un abbassamento dei livelli produttivi e un conseguente problema occupazionale. Le perplessità̀ sorgono infine riguardo alla progressiva corporatizzazione delle piattaforme collaborative che, come si è visto, sono oggetto di investimenti sempre maggiori da parte dei venture capitalists. Se infatti una piattaforma deve rispettare l’imperativo di produrre profitti, questo condizionerà̀ le forme con cui avverranno gli scambi al suo interno e quanto i profitti verranno condivisi tra utenti e direzione. Il fatto che le piattaforme con il maggior successo siano

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anche quelle maggiormente supportate dal capitale d’investimento, dovrebbe rappresentare quanto meno un campanello d’allarme che indichi che in fin dei conti queste piattaforme sono molto più̀ integrate nel sistema economico corrente di quanto non si creda. Un’ultima questione aperta e dibattuta riguarda la possibilità di esportare questo modello nelle comunità più povere. Se infatti è vero che spesso nelle fasce sociali più̀ disagiate le pratiche collaborative sono conosciute e applicate, i motivi che le generano sono del tutto diversi da quelli che inducono a condividere nella sharing economy. In primo luogo bisogna ricordare che spesso il possesso è veicolo di status e dunque per una società̀ in via di sviluppo, che sta iniziando a prendere familiarità̀ con l’idea di possedere beni mediamente costosi (come può̀ essere un’automobile), potrebbe rivelarsi più̀ difficile l’idea di accettare di condividere quei beni a cui è legato l’appena guadagnato status sociale..

Se quelli appena elencati sono problemi di ordine macro-sociale, ci sono poi anche aspetti che si rivelano complicati a livello dei singoli. La sharing economy può infatti essere percepita come soverchiante. È difficile immaginare una realtà̀ in cui si possiedano pochi beni fondamentali e in cui molto di ciò che viene utilizzato è condiviso con altre persone. I margini di incertezza riguardo l’effettiva possibilità̀ di avere accesso a tutto il necessario, risultano troppo ampi per molte persone. A ciò si aggiungono fattori di ansia e stress dovuti alla paura di cedere a sconosciuti qualcosa che si è faticato per ottenere, ma anche al timore di “rovinare” qualcosa che si è avuto in prestito. Ci sono poi individui cui fa paura la prospettiva di un internet delle cose in cui tutto è dotato di sensori, collegato, condiviso e capace di informare in tempo reale sull’andamento di qualunque cosa accada. Mentre i fautori di un mondo iperconnesso vedono un potenziale enorme per la riduzione degli sprechi in un futuro del genere, i critici temono di essere spiati, si sentono schiacciati da

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