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Spettro sociale e luoghi nodali del Piemonte Orientale (secoli X-XI)

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Academic year: 2021

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PISA

DIPARTIMENTO DI CIVILTÀ E FORME DEL SAPERE

Corso di laurea magistrale in Storia e Civiltà

Spettro sociale e luoghi nodali del Piemonte

Orientale (secoli X-XI)

RELATORE: Chiar.mo Prof. Simone M. Collavini

CANDIDATO: Loris Motta

MATRICOLA: 568694

ANNO ACCADEMICO 2019/2020

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Indice

Introduzione: Marca d’Ivrea e Piemonte Orientale

I. L’oggetto: delimitazioni geografiche e cronologiche………..p. 7 II.1. I soggetti: due città, quattro canoniche………..p. 11 II.2. I soggetti: vescovi temuti………..p. 18 III.3. Il contesto: uno scudo per il “ventre molle”………..p. 28

Capitolo 1: all’ombra di Sant’Agabio

1.1. Pagliate

1.1.1. Ombre tra passato e presente………..p. 35 1.1.2. L’impronta femminile di un articolato nucleo di possidenti……….p. 42 1.1.3. I legami con il monastero di San Lorenzo………..p. 57 1.1.4. L’inserimento dei domini “da Monticello”………p. 60

1.2. Lumellogno

1.2.1. Una lente focale sul territorio………p. 64 1.2.2. Dal seguito anscarico a un precoce radicamento locale: Gariardo di Fontaneto..p. 68 1.2.3. Cavalli Regis: una corticella al centro di uno smisurato patrimonio………p. 77 1.2.4. Lumellogno nel XII secolo: verso il dominato……….p. 84

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4 Capitolo 2: Terre di “frontiera”

2.1. Bulgaria:

2.1.1. Raccogliere un’eredità longobarda……….p. 88 2.1.2. Il diploma ritrovato……….p. 99 2.1.3. Aupaldo e la “prima” curia vassallatica gaudenziana………p. 121 2.1.4. Confini fluidi: Cameri e Galliate……….p. 127

2.2. Biandrina:

2.2.1. Un concetto geografico dimenticato e una questione storica controversa………p. 134 2.2.2. Una nuova casa: la fondazione di San Nazzaro………..p. 137 2.2.3. Il frazionamento dei conti di Pombia e la parabola di nuove dinastie………p. 142 2.2.4. Le signorie di fiume: i Casalvolone e le loro ramificazioni……….p. 151

Capitolo 3: gli snodi del potere:

3.1. Mosezzo

3.1.1. Un magnete per i proceres del regno………p. 157 3.1.2. Un circuito di castra tra Biandrina e Bulgaria……….p. 179 3.1.3. Leadership canonicale……….p. 194 3.1.4. Mosezzo nel XII secolo: l’appiattimento della gerarchia……….p. 200

3.2. Caresana

3.1.1. Dare ordine al caos: una complessa vicenda politica……….p. 204 3.1.2. Il lungo “viaggio” di Rodrado: la mobilità indiretta dei luoghi di potere…………..p. 220 3.1.3. L’epopea di Arduino e la “miccia” Caresana……….p. 227 3.1.4. Dare ordine al caos 2: il centro direzionale di un ambiente ostile………p. 238

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5 Conclusioni: Novara e Vercelli……….p. 244

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Abbreviazioni

AC = Archivio Capitolare di Vercelli

ASDN = Archivio Storico-Diocesano di Novara BSBS = Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino BSSS = Biblioteca della Società Storica Subalpina BSV = Bollettino Storico Vercellese

ChLA = Chartae Latinae Antiquiores DBI = Dizionario Biografico degli Italiani

DMGH = Digital Monumenta Germaniae Historica HPM = Historiae Patriae Monumenta

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Introduzione: Marca d’Ivrea e Piemonte orientale

I. L’oggetto: delimitazioni geografiche e cronologiche

Un territorio evolve nel tempo. È una banalità, ma l’immagine mentale che abbiamo dell’ambiente circostante, soprattutto se legato a noi sin dall’infanzia, attecchisce in assenza di profondità storica. Tendiamo a concepirlo come quasi immutabile, retrodatando fenomeni che non sono affatto così risalenti e trascurando l’impatto dell’azione umana in favore dell’impercettibile mutamento naturale1.

Così, un’ipotetica inquadratura a campo lunghissimo datata mille e più anni or sono sulle vaste piane a confine tra gli attuali Piemonte orientale e Lombardia occidentale, lungo una bisettrice che dai laghi glaciali cinti dalle Alpi scenda fino a Novara per poi allargare lo sguardo ai due lati verso Vercelli e la capitale del Regnum Pavia, catturerebbe un paesaggio contraddistinto da una monotonia visiva e dall’azione dei medesimi elementi naturali declinate in modo del tutto differente rispetto ad oggi: all’odierno susseguirsi di risaie, radure, addirittura savane simil-africane2, che favorisce un’impressione amplificata di prossimità alle vette innevate dell’orizzonte, si avvicenderebbe un polmone verde di selve continue3 solo limitatamente districate dal sistema viario di origine romana4, all’interno del quale grandi fiumi come il Ticino e la

1 Dal punto di vista della “stratigrafia” braudeliana, il facile ancoraggio di questo quarto e ultimo piano storico alla percezione umana sarebbe favorito dalla sua lunghissima durata, cfr. F. Braudel, Histoire et

Sciences sociales: la longue durée, in «Annales: économies, sociétés, civilisations», vol. 13, n. 4, 1958, pp.

725-753.

2 Per quanto sorprendente, è l’habitat delle baragge ̶ termine già ampiamente noto alla toponomastica della documentazione altomedievale novarese ̶ diffuse tra Alto Novarese, Alto Vercellese e soprattutto Biellese, tra le quali il più evocativo esempio di tale rischioso parallelo transcontinentale si ritrova nel “Baraggione di Candelo-Cossato” al centro della Riserva Naturale Orientata delle Baragge.

3 Delle quali oggi sopravvive soltanto il Bosco delle Sorti della Partecipanza di Trino, cfr. R. Rao, Il villaggio

scomparso di Gazzo e il suo territorio: contributo allo studio degli insediamenti abbandonati, Vercelli, 2011,

p. 41 e A. Settia, Nelle foreste del Re: le corti “Auriola”, “Gardina” e “Sulcia” dal IX al XII secolo, in Vercelli nel

secolo XII. Atti del Quarto Congresso Storico Vercellese, Vercelli, 2006, pp. 353-410: p. 390. Per le vicende di

XIII secolo da cui deriva il nome del bosco cfr. S. Borla, La partecipanza dei boschi di Trino, Trino, 1975, e F. Crosio, La partecipanza di Trino e il bosco delle sorti, Trino, 1976.

4 Le principali strade di epoca romana erano la via delle Gallie Laumellum-Augusta Praetoria, la

Mediolanum-Eporedia che attraversava Vercelli e la Ticinum-Taurinis costeggiante la riva sinistra del Po: G.

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8 Sesia ̶ oggi decisivi nella coltivazione intensiva del riso5 ̶ costituivano sì la via di comunicazione più rapida, ma contribuivano a rendere difficoltoso il controllo umano del territorio, generando con la loro natura alluvionale vaste lame acquitrinose, momentanei affioramenti insulari e ampie fasce di greti golenali e gerbidi6.

Enormi foreste quasi impenetrabili e paludi malsane costituivano i due lembi di una cerniera ambientale serrata tutt’attorno agli insediamenti umani: era in realtà una condizione comune al paesaggio e alla società altomedievale, che non impediva alle genti locali di adattarsi all’asprezza del territorio non solo riuscendo a recuperare superfici coltivabili, ma anche volgendo a proprio vantaggio le risorse che quegli stessi ambienti offrivano, maturando una spiccata vocazione silvo-pastorale e una particolare attenzione per le vie della transumanza7. Condizione comune che, tuttavia, assumeva sfumature del tutto peculiari tra Novarese e Vercellese, dove si era costretti a razionalizzare una terra “in equilibrio con l’acqua”8: la scarsa resa cerealicola comune fino all’Ottocento, infatti, era provocata da fattori di segno opposto, dal momento che la frequenza esondativa, già di per sé dannosa, non mitigava un’aridità di fondo del suolo perifluviale9. Questa sorta di ossimoro morfologico aveva stimolato la resilienza della popolazione e l’aveva incanalata verso una “specificità fluviale”10.

In questo studio, analizzerò le dinamiche socio-politiche alla base di un’area compresa tra Sesia e Ticino e racchiusa in un perimetro immaginario paragonabile a un trapezio scaleno, quasi isoscele, che ha i suoi angoli a sud di Vercelli e a ovest rispettivamente di Novara e Pavia; una fascia territoriale intermedia tra i grandi centri

destra della Sesia. Il caso di Rado, in Castrum Radi. Studi e ricerche sulla struttura materiale di un castello di pianura dell’alto Vercellese, Vercelli, 1990, pp. 1-26: 4.

5 Prodotto agricolo principale delle province di Vercelli, Novara e Pavia, si è diffuso in realtà solo a partire dal XVII secolo: Rao, op. cit., p. 140.

6 “Gerbidi” è un termine diffusissimo negli atti privati piemontesi alto e basso medievali, indicante brughiere generalmente lasciate all’incolto su terreni di origine fluvio-glaciale: F. Panero, Boschi e foreste

nel Piemonte medievale: problemi di documentazione, in Il bosco nel Medioevo, Bologna, 1990, pp. 143-148.

Sulla natura alluvionale soprattutto della Sesia e sulla coincidenza tra l’odierno tragitto del suo corso e quello altomedievale: Rao, op. cit., pp. 30-35 e G. Ferraris, La Sesia e i confini orientali della diocesi di

Vercelli, in I paesaggi fluviali della Sesia fra storia e archeologia: territori, insediamenti, rappresentazioni,

Sesto Fiorentino, 2016, pp. 75-95: 80-91.

7 R. Rao, Abitare, costruire e gestire uno spazio fluviale: signori, villaggi e beni comuni lungo la Sesia tra

Medioevo ed età moderna, in I paesaggi fluviali della Sesia fra storia e archeologia: territori, insediamenti, rappresentazioni, Sesto Fiorentino, 2016, pp. 13-30.

8 F. Saggioro, Paesaggi in equilibrio: uomo e acqua nella Pianura Padana Centrale tra IV e IX secolo, in «Antiquité tardive: revue internazionale d’histoire et d’archéologie», 20, 2012, pp. 47-67.

9 Rao, Abitare, costruire e gestire uno spazio fluviale, p. 26. 10 Ivi, p. 13.

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9 politici e religiosi sopracitati e l’enorme complesso di foreste regie che si estendeva fino alle più importanti curtes fiscali dell’Italia settentrionale, i palatia costituenti «l’ossature économique du regnum»11 che cingevano a corona la capitale e proseguivano fino all’Oltrepò: intermedia perché, a differenza dell’«unica grande selva»12 adibita a riserva di caccia dei sovrani, l’area presa in esame esibiva uno scenario interessato da una più intensa attività antropica.

Non si tratta di una zona inesplorata dalla ricerca storica ̶ avvertenza tutto sommato valida per qualunque luogo della Marca d’Ivrea altomedievale ̶ , è piuttosto un interessantissimo coacervo di nessi etnico-sociali e sperimentazioni politico-economiche, un brodo di coltura particolarmente vivace dei secoli a cavallo del Mille, periodo in cui, non a caso, comparve il “figlio prediletto” della storia di questa stretta striscia di mondo: Arduino di Ivrea. La vicenda di quest’ultimo, la vicinanza della capitale e di Milano hanno fatto sì che l’area in questione sia stata lungamente indagata dall’erudizione ottocentesca e primo-novecentesca e dai più influenti studiosi di storia pre-comunale emersi nella seconda metà del XX secolo13. Tuttavia, proprio a causa della lunga esposizione sotto i riflettori dell’interesse scientifico, proseguita fino almeno agli anni '80, gli assetti della Marca d’Ivrea, e in particolar modo di alcune aree come il Novarese, il Vigevanasco o la Lomellina ̶ meglio va per il Vercellese ̶ non sono state rilette da contributi recenti che tenessero conto delle ultime acquisizioni della ricerca storica su tematiche fondamentali per questi secoli, come invece è avvenuto per altre regioni italiane14.

Non potendo occuparmi, per i limiti dell’oggetto in questione, della Marca nell’interezza della sua estensione circoscrizionale ̶ neppure della sua seconda

11 F. Bougard, Les palais royaux et impériaux de l’Italie carolingienne et ottonienne, in Palais royaux et

princiers au Moyen Âge, Le Mans, 1996, pp. 181-196, citaz. da p. 194.

12 F. Panero, Comuni e borghi franchi nel Piemonte medievale, Bologna, 1988, citaz. da p. 23, anche se riferita a un ambito geografico leggermente più circoscritto, ovvero le foreste dalla Dora Baltea alla Sesia; cfr. id., Una signoria vescovile nel cuore dell’impero: funzioni pubbliche, diritti signorili e proprietà della

Chiesa di Vercelli dall’età tardo carolingia all’età sveva, Vercelli, 2004, pp. 10-11.

13 Su tutti H. Keller, Adelsherrschaft und städtische Gesellschaft in Oberitalien 9. bis 12 Jahrhundert, Tubinga, 1979, tradotto in Signori e vassalli nell’Italia delle città (sec. IX-XII), Torino, 1995, specificamente alle pp. 219-268 e C. Violante, L’immaginario e il reale. I “da Besate” una stirpe feudale e “vescovile” nella

genealogia di Anselmo il Peripatetico e nei documenti, in Nobiltà e chiesa del medioevo e altri saggi. Scritti in onore di Gerd G. Tellenbach, Roma, 1993, pp. 97-157.

14 Penso ad esempio agli studi sulle basi fiscali, le strutture dell’aristocrazia e le pratiche giuridico-documentarie in Toscana, Emilia Romagna e Veneto di, tra gli altri, François Bougard, Simone Maria Collavini, Paolo Tomei, Giacomo Vignodelli, Alessio Fiore, Tiziana Lazzari, Maria Elena Cortese, Andrea Castagnetti.

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10 emanazione, ormai ridimensionata, corrispondente grosso modo al Piemonte orientale15 ̶ ho scelto di approfondire quelli che ritengo, ciascuno per una sua natura specifica, gli snodi centrali e specifici della trama insediativa, catalizzatori di esperienze sociali ed evoluzioni territoriali esemplari dei mutamenti che avvennero su larga scala nell’Italia centro-settentrionale lungo l’arco cronologico che separa l’età post-carolingia dal mutamento signorile16.

Va aggiunto un altro aspetto della struttura analitica: per ciascuno dei capitoli seguenti verrà esaminato un binomio di località tra loro interconnesse, secondo un gradiente scalare rivolto sempre più in alto nella gerarchia sociale. Per iniziare la coppia Pagliate-Lumellogno, fin dalle origini legata alle sorti del Capitolo cattedrale di Santa Maria anche per la contiguità spaziale con la città ̶ al centro della pianura novarese, sono gli unici due punti a non costituire dei vertici del trapezio immaginario di cui si è accennato ̶ , ma non priva di legami con quelle frange aristocratiche costituenti il nuovo tipo di elite da cui il partito arduinico trasse la spinta propulsiva più decisa. A seguire Bulgaria e Biandrina, due “aree di frontiera” impropriamente dette ̶ dove il termine ha lo scopo di sottolineare ancora una volta l’instabilità dell’ecosistema fluviale e una certa fluidità dei confini diocesano-circoscrizionali ̶ in cui si radicarono più a fondo che nella prima coppia le stesse e altre pedine chiave del seguito arduinico. Infine, l’ultimo “Giano bifronte” individua la coppia di poli gravitazionali delle più alte sfere aristocratiche di X e XI secolo, Mosezzo e Caresana, nella traiettoria di lunga durata che li vede declinare o reinventarsi nel corso del XII. I parametri cronologici della trattazione sconfineranno all’indietro o in avanti rispetto ai due secoli (X-XI) pilastro per le successive sperimentazioni sociali, politiche, economiche, religiose e ambientali bassomedievali allo scopo di stimare con maggior cognizione di causa il valore intrinseco di un determinato luogo per le tappe evolutive del territorio circostante.

Fatta questa premessa, necessaria a definire la ratio soggiacente nelle prossime pagine alle categorie di tempo e soprattutto spazio, un secondo passaggio obbligato che precederà la discesa nella realtà concreta e documentata dei luoghi sarà la contestualizzazione dei soggetti estensori di quelle impronte del passato ̶ le fonti scritte ̶ da cui estrapolare un’immagine più chiara possibile della società nel suo insieme.

15 Infra, pp. 29 e sgg.

16 A. Fiore, Il mutamento signorile. Assetti di potere e comunicazione politica nelle campagne dell’Italia

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II.1. I soggetti: due città, quattro canoniche

Paolo Cammarosano ha da tempo messo in guardia sull’egemonia della tradizione ecclesiastica nella conservazione documentaria, fenomeno che rischia spesso e volentieri di alterare la percezione dello studioso sul livello qualitativo e quantitativo di determinati fenomeni, dando risalto eccessivo ad alcuni soggetti a scapito di altri funzionalmente taciuti dalle fonti interrogate17: tuttavia, per l’alto Medioevo si tratta di un pericolo che è anche passaggio obbligato, dato il carattere della documentazione, omogenea in tutta Europa nella sua penuria rispetto ai secoli successivi. Per tale ragione è necessario

17 P. Cammarosano, Italia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte, Roma, 2011, pp. 39-112. Un esempio recente di tale fenomeno, riguardante le “regole del gioco” vigenti tra natura delle fonti e tipologia delle risorse che davano impulso alla loro produzione si trova in S. M. Collavini, P. Tomei, Beni fiscali e

“scritturazione”. Nuove proposte sui contesti di rilascio e falsificazione di D O. III. 269 per il monastero di S. Ponziano di Lucca, in Originale-Fälschungen-Kopien. Kaiser-und Königsurkunden, pp. 205-216.

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12 individuare brevi direttrici cronologiche e tipologiche volte a caratterizzare i soggetti con cui si sono rapportate tutte le frange sociali che presenterò nei prossimi capitoli, e che hanno dato alla luce la base documentaria a cui farò maggior riferimento: i capitoli cattedrali.

La storiografia ha già messo in luce anche la particolarità di una situazione cittadina costretta ad assorbire due corpi canonicali in competizione, appartenenti istituzionalmente al medesimo capitolo cittadino, seppur afferenti a chiese di riferimento diverse e tra loro in contrasto per la definizione di ecclesia matrix, oppure semplicemente espressioni di due diversi enti ecclesiastici18. Novara e Vercelli appartengono senz’altro a questa categoria e in particolare alla prima esemplificazione, tanto che per i secoli qui presi in esame risulta spesso arduo stabilire se un determinato atto di donazione o vendita fosse rivolto esclusivamente a una specifica canonica o al capitolo cattedrale nel suo insieme: ciò è particolarmente vero per Vercelli, dove nel X secolo non si era ancora giunti a una distinzione patrimoniale tra le canoniche19, giuridicamente costituenti un «unico capitolo complessivo»20. Il percorso per realizzarla fu caratterizzato da ostacoli e ripensamenti ancora lungo tutto il XII.

Delle due articolazioni che costituivano il capitolo21 una viveva all’ombra dell’altra e la sua storia è caratterizzata per lo più da subalternità; fatto inusuale se si considera che le cattedrali dedicate alla Vergine vengono identificate spesso e volentieri nell’ecclesia

matrix cittadina, come a Novara. In effetti, proprio come in questa città, la basilica di S.

Maria Maggiore, di origine costantiniana, si trovava inserita nel circuito murario della

civitas, mentre S. Eusebio, sorta circa mezzo secolo più tardi sulla tomba del protovescovo

e successivo patrono cittadino, era stata eretta al di fuori: tuttavia, l’ammirazione che il fondatore della prima diocesi piemontese suscitava nelle sempre più copiose affluenze di pellegrini era tale che, già a inizio X secolo, gli ecclesiastici di S. Eusebio avevano sopravanzato per importanza i fratres di S. Maria Maggiore22.

18 I. Musajo Somma, Maior Pars Canonicorum. L’elezione del vescovo piacentino Fulco (1210), in «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», 1, 2003, pp. 29-52: 32-33.

19 G. Vignodelli, Prima di Leone. Originali e copie di diplomi regi e imperiali nell’Archivio Capitolare di

Vercelli, in Originale-Fälschungen-Kopien. Kaiser-und Königsurkunden, pp. 53-80: 62.

20 H. Dormeier, Capitolo del Duomo, vescovi e memoria a Vercelli (secc. X-XIII), in «Bollettino storico vercellese», 65, 2005, pp. 19-59, citaz. da p. 44.

21 G. G. Merlo, I canonici dei capitoli cattedrali, in Vercelli nel secolo XII. Atti del Quarto Congresso Storico Vercellese, Vercelli, 2006, pp. 23-36: 24.

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13 È allo stesso Eusebio che si deve ascrivere la più antica pratica di vita communis nel clero cittadino occidentale, sebbene rimanga un quesito irrisolto se già in epoca tardoantica i due segmenti costituissero un’unità giuridica23. A questo punto di partenza e all’immediato successo politico e devozionale del complesso eusebiano extramuraneo si lega la progressiva irrilevanza di S. Maria, manifestata concretamente nel numero inferiore di membri del capitolo24. L’ambiguità testuale di donazioni e diplomi che da un certo punto in poi smisero di indicare esplicitamente il riferimento a entrambe le chiese, prediligendo la sola intitolazione a S. Eusebio25, permise ai canonici eusebiani di rivendicare diritti dei quali con ogni probabilità non avevano beneficio esclusivo, se si considera che, ancora in pieno XII secolo, non vi era alcuna concreta divisione patrimoniale dei beni dei due capitoli e altrettanto confusa era la distinzione tra pertinenze capitolari e della mensa vescovile26.

Fu alla metà del secolo che il capitolo minore di S. Maria Maggiore, con la ricostruzione della basilica27 danneggiata a seguito del violentissimo terremoto del 1117 e il ritorno a vita comune precedente a quello del capitolo maggiore28, cercò di riaffermare diritti in primo luogo su Caresana e di sperimentare una prima indipendenza patrimoniale dall’ingombrante vicino, acuendo la tensione già esistente tra fine XI e prima metà di XII secolo a seguito dei contrasti tra lo stesso capitolo di sant’Eusebio e i vescovi. Il riconoscimento e la “messa per iscritto” dei diritti del capitolo minore portò a una decisa intromissione papale nella risoluzione dei conflitti locali29, anche se ci si può azzardare a

23 Ivi, p. 43.

24 Già a metà X secolo erano solo 8 rispetto ai 22 “eusebiani”, cfr. Dormeier, op. cit., p. 46 e G. Ferraris, La

vita comune nelle canoniche di S. Eusebio e di S. Maria di Vercelli nel sec. XII, in «Rivista di Storia della Chiesa

in Italia», 17, 1963, pp. 365-394, p. 381. Sicuramente triplicati dagli eusebiani (8 su 32) risultavano nel XII secolo, cfr. C. Violante, Ricerche sulle istituzioni ecclesiastiche dell’Italia centro-settentrionale nel Medioevo, Palermo, 1986, pp. 93-95 e G. Ferraris, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli dal sec. X al

sec. XIV, Vercelli, 1995, pp. 1-13.

25 Il riferimento documentario a colui che era unanimemente riconosciuto come il fondatore della chiesa cittadina o della diocesi non indicava necessariamente la basilica a lui intitolata. Novara è un esempio ancora più precoce in tal senso: M. Motta, Novara medioevale. Problemi di topografia urbana tra fonti

scritte e documentazione archeologica, in «Memorie dell’istituto lombardo-Accademia di scienze e lettere.

Classe di lettere scienze morali e storiche», 38, 1987, pp. 173-348: 222. 26 Vignodelli, op. cit., p. 38.

27 L. Minghetti Rondoni, La consacrazione della basilica di Santa Maria Maggiore di Vercelli, in «Bollettino storico vercellese», 34, 1990, pp. 5-12.

28 Vignodelli, op. cit., p. 36, p. 56. Come le vicende di Caresana poi mostreranno meglio, l’XI secolo era stato contraddistinto da una forte rilassatezza della norma canonica nella città eusebiana: Dormeier, op. cit., pp. 46-47.

29 M. P. Alberzoni, Vercelli e il papato, in Vercelli nel secolo XII. Atti del Quarto Congresso Storico Vercellese, Vercelli, 2006, pp. 79-136: 91-94.

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14 dire che per S. Maria Maggiore ne valse la pena, almeno momentaneamente, non solo in quanto ottenne sentenze favorevoli, ma anche perché ̶ e certo non è un caso ̶ proprio a questi anni (1150) si attribuisce la prima attestazione di una gestione autonoma del patrimonio30.

Tuttavia, la questione si protrasse ancora molto a lungo, tra nuove controversie e vecchi ripensamenti: nel 1175, infatti, dopo che nel ventennio precedente si erano accumulate sentenze confermate dalla Santa Sede, il legato papale riferiva che «autem attendentes scandala et dispendia que a longis temporibus utraque predictorum ecclesiarum ex dissonancia provisorum et rectorum in eis manencium pertulit et comoda que ex tali comunione consequi poterit dignum duximus inpertiri favorem et per singulos articolo eius tenorem membratim distinctum nostre postmodum auctoritatis consumacione munire»31. La riunificazione venne minata alla base appena due anni più tardi dall’annullamento della comunione dei beni definito da Manfredo preposito della canonica eusebiana e Rufino maggiore del capitolo minore, i quali si impegnavano a rifondere i debiti reciproci e a riservare a S. Maria Maggiore la sesta parte dei proventi della compravendita terriera dell’ultimo trentennio e la quarta parte «de fructibus vero terrarum», ma anche la quarta parte delle spese accumulate nello stesso lasso di tempo32. Negli anni successivi si assistette alla spartizione dei beni e delle terre di pertinenza del capitolo, talvolta di comune accordo altrimenti a seguito di nuovi arbitrati, eppure nel 1224 i canonici di nuovo tornavano a chiedere al vescovo Ugolino da Sesso di far redigere «in publicam formam» una copia autentica della sentenza del 1175.

La condizione della doppia canonica novarese di Santa Maria e San Gaudenzio, all’apparenza paragonabile a quella vercellese, in realtà se ne differenziava sotto molteplici aspetti, a partire dai rapporti di forza: a Novara, infatti, l’ecclesia matrix rimase sempre la basilica intramuranea intitolata alla Vergine. Malgrado la convinzione di Violante di individuare in Novara uno degli esempi di trasferimento della cattedrale da una chiesa suburbana ad una cittadina33 ̶ senza la traslazione delle spoglie del primo vescovo Gaudenzio, si badi ̶ , la presenza del battistero di V secolo all’interno delle mura

30 D. Arnoldi, G. C. Faccio, F. Gabotto, G. Rocchi, Le carte dell’archivio capitolare di Vercelli. 1, Vercelli, 1912, BSSS. 70, n. 151, p. 186.

31 D. Arnoldi, Le carte dello archivio arcivescovile di Vercelli, Pinerolo, 1917, BSSS. 85, n. 8, p. 222.

32 D. Arnoldi, G. C. Faccio, F. Gabotto, G. Rocchi, Le carte dell’archivio capitolare di Vercelli. 2, Pinerolo, 1914, BSSS. 71, n. 356, pp. 52-54.

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15 suggerisce di dare meno peso alla scelta dei vescovi di età longobarda di farsi inumare presso la tomba di Gaudenzio, fenomeno che può spiegarsi tranquillamente come calco imitativo delle confinanti esperienze di Eusebio e Ambrogio, e di rivalutare il racconto della Vita Sancti Gaudentii34, la quale già segnalava una netta distinzione tra cattedrale e basilica di San Gaudenzio35. Così, non essendo paragonabile l’influenza del ricordo di Eusebio rispetto a quello di Gaudenzio36, la cattedrale mariana mantenne lungo tutta l’epoca medievale una superiorità patrimoniale di fondo: a ben vedere siamo all’esatto opposto della chiesa eusebiana, anche se va detto che lo status di San Gaudenzio rimase sempre nettamente superiore a quello del capitolo minore vercellese, riuscendo a ritagliarsi ancora per lunghi tratti dei secoli XII-XIII interessanti riserve fondiarie in aree dal passato florido come la stessa Mosezzo.

Viene ora da domandarsi se le due canoniche costituissero in età altomedievale un’unità giuridico-economica come accadeva a Vercelli.

Innanzitutto, occorre osservare che la precocità dell’azione di Eusebio non si riscontra a Novara, dove si dovette attendere l’età carolingia per il diffondersi della vita comunitaria: è alla riorganizzazione complessiva del vescovo supponide Adalgiso che si deve probabilmente ricondurre la costituzione di entrambe le canoniche, da considerare ancora un’unica istituzione durante la seconda metà del IX secolo37. La situazione doveva mutare a fine secolo, con la chiesa cattedrale che muoveva un altro passo verso la preminenza cittadina: oltre a ospitare la sede vescovile intramuranea e a vantare il titolo di matrice, recuperò parzialmente lo svantaggio devozionale nei confronti della sepoltura

34 Che, di per sé, non può essere considerata attendibile dal punto di vista storico: scritta forse nel secolo VIII, venne poi riscritta e pesantemente manipolata durante l’XI, F. Cognasso, G. Andenna, Storia di Novara, Novara, 1992, p. 47.

35 Motta, op. cit., pp. 221-222.

36 L’intitolazione al fondatore della diocesi, infatti, è molto più tarda e vede come terminus ante quem l’841, quando la basilica viene definita “Ecclesia beatissimorum Apostolorum in honore Sancti Gaudentii”, C. Salsotto, Le più antiche carte dell’archivio di S. Gaudenzio di Novara: sec. 9.-11., Torino, 1937 (BSSS. 77/1), p. 5. La probabilità che la chiesa, nota prima semplicemente come Basilica Apostolorum, assuma il nuovo titolo proprio durante l’episcopato di Adalgiso, è discussa in G. Andenna, La diocesi di Novara in età

carolingia e postcarolingia, in Storia religiosa della Lombardia. Complementi. 2. Diocesi di Novara, a cura di

L. Vaccaro, D. Tuniz, Brescia, 2007, pp. 53-82, p. 53.

37 Andenna, La diocesi di Novara, p. 61. Sulle origini famigliari del vescovo Adalgiso cfr. H. Keller, Signori e

vassalli, p. 241; G. Andenna, La diocesi di Novara, p. 56; T. Lazzari, Una mamma carolingia e una moglie supponide: percorsi femminili di legittimazione epotere nel regno italico, in “C’era una volta un re…” Aspetti e momenti della regalità, Bologna, 2005, pp. 41-57: 42-49 e 57 per una tavola genealogica della schiatta

supponide. Una tavola ancora più aggiornata si trova in F. Bougard, Les Supponides: échec à la reine, in Les

élites au haut Moyen Âge. Crises et renouvellements, Turnhout, 2006, pp. pp. 381-402. Sul ruolo giocato

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16 di Gaudenzio facendo traslare, forse durante l’episcopato di Cadulto38, le reliquie del secondo vescovo novarese, Agabio, dall’horatorium omonimo.

In tale atmosfera, l’ambiguità delle doppie dedicazioni dei diplomi di X secolo, indicanti più che altro la sede novarese in senso lato, viene dissipata dal confronto con gli atti privati, più precisi nel conferimento di diritti e possessi all’una o all’altra canonica39, lasciando intendere cioè che la situazione patrimoniale della chiesa novarese fosse meglio definita di quella vercellese già a cavallo del nuovo millennio: le due canoniche, organizzate separatamente, avrebbero operato una spartizione dei redditi e dei beni immobiliari, favorevole per i due terzi alla matrice, in caso di donazioni in comune genericamente assegnate alla chiesa novarese; proporzione numerica che, certo non casualmente, si riproponeva nel numero dei canonici, doppi per il claustrum mariano40. Questa precoce separazione patrimoniale permise alla canonica più debole di sopravvivere a lungo termine. Infatti, pur ripercorrendo la storia di XI e XII secolo dei capitoli novaresi le medesime tappe di quella vercellese ̶ da un rilassamento delle regole di vita comune nella prima metà dell’XI alla lunga lotta tra capitoli sedata dall’ingerenza pontificia e alle presunte mire egemoniche del capitolo maggiore41 durante il XII ̶ , il capitolo di San Gaudenzio mantenne la sua specificità senza mai correre il rischio di essere fagocitato.

Per quanto concerne l’aspetto documentario dei due ambienti ecclesiastici cittadini, oggi la basilica di Santa Maria Maggiore non esiste più e l’Archivio Capitolare di Vercelli collegato al Duomo di Sant’Eusebio presenta una collezione pergamenacea dalle dinamiche cronologiche molto diverse rispetto ai fondi novaresi: i soli 65 atti raccolti fino a fine XI secolo, infatti, decuplicano nel secolo successivo, con un’impennata particolare nell’ultimo quarto. Al contrario, la progressione numerica degli archivi novaresi è molto più omogenea, con l’Archivio Capitolare di Santa Maria, la cui collezione riguardante i secoli altomedievali è una delle più profonde di tutto il Piemonte, che passa da 280 a circa 730 pergamene, mentre a San Gaudenzio da 27 a 9342. Non è facile chiarire la natura di

38 La fonte, ripresa da Hlawitschka, è la Vita Agabii; Motta, op. cit., p. 240.

39 Cfr. Cognasso, op. cit. , p. 99; Motta, op. cit., p. 239; Andenna, La diocesi di Novara, p. 68. 40 Cfr. Cognasso, op. cit., pp. 100-104; Motta, op. cit., p. 245.

41 Cognasso, op. cit., p. 107.

42 Per le pergamene di XII secolo conviene affidarsi a P. Milani, Le pergamene dell’Archivio di san Gaudenzio

di Novara (secoli XII-XIII), Milano, 2008-2009. Sulla storia dell’archivio: A. Temporelli, Storia dell’archivio capitolare: basilica di S. Gaudenzio: proposte di studio della biblioteca capitolare di Dorino Tuniz, Novara,

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17 questa difformità evolutiva, se di tipo accidentale ̶ un fattore, anche se piuttosto inflazionato già in epoca coeva43, si potrebbe riscontrare nelle invasioni ungare di inizio X secolo in cui persero la vita, tra gli altri, i presuli Liutwardo e Ragemberto ̶ , o strutturale ̶ forse la diversa conformazione del patrimonio eusebiano ̶ , ma va da sé che, per quanto la documentazione vercellese risulti particolarmente interessante soprattutto per le più alte sfere sociali ̶ lo si vedrà per Caresana ̶ , quella novarese fornisca una cornice di studio molto più ampia e dettagliata dei secoli in questione: a titolo esemplificativo, i documenti novaresi raccolti nel Fondo Frasconi44 permettono istantanee sulla composizione dello stesso capitolo cattedrale già dai primordi dell’XI secolo, con lunghe liste di membri nelle sottoscrizioni che, a Vercelli, non è possibile osservare fino a XII inoltrato.

Durante la preparazione di questo studio, ho preso visione diretta della maggior parte delle pergamene antecedenti il 1100 negli archivi capitolari di Novara (capitolo di Santa Maria) e Vercelli per un totale di circa 300 pergamene e di esse indicherò d’ora in avanti la loro collocazione archivistica, mentre per le carte non ancora osservate in originale e per tutte quelle di XII secolo, farò affidamento alle edizioni della Biblioteca della Società Storica Subalpina (BSSS), edizioni che comprendono anche i fondi capitolari di San Gaudenzio, Gozzano, Orta San Giulio, Casale Monferrato, Biella, Ivrea, Tortona, quelli dell’Archivio Arcivescovile di Vercelli, del Museo Civico di Novara, del monastero vercellese di Muleggio e dell’abbazia di San Genuario di Lucedio per un totale complessivo di circa 2000 documenti.

43 Tipiche le richieste di diplomi per la conferma di quei diritti, le cui attestazioni erano andate in fiamme o perdute durante le devastazioni magiare, come in BSSS. 70, n. 4, p. 1. Va tenuto ben presente che una tale situazione costituiva terreno fertile per la proliferazione di falsi o interpolazioni: un ritornello come quello dell’invasione barbarica, talvolta, poteva evolvere nella “tempesta perfetta” per un restyling delle riserve patrimoniali di un ente ecclesiastico.

44 Sull’operazione archivistica effettuata dal “Muratori novarese” per le carte di Santa Maria: P. G. Longo, A. L. Stoppa, Carlo Francesco Frasconi. Erudito, Paleografo, Storico (1754-1836). Atti del Convegno, Novara, 1991 e P. G. Longo, Tra archivi e storia: l’erudito novarese Carlo Francesco Frasconi (1754-1836), in «Quaderni storici», 93, 1996, pp. 683-708.

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II.2. I soggetti: vescovi temuti

La storia dell’età medievale nelle due principali città del Piemonte orientale è fortemente indirizzata, com’è noto, dall’operato dei loro presuli imperiali, tra i più influenti di tutto il regno. Con essi dovettero fare i conti non soltanto le autorità pubbliche laiche, ma ovviamente anche gli stessi vertici capitolari e non si deve credere ̶ lo si è già accennato nel precedente paragrafo ̶ che le due (o meglio, tre) anime del clero cittadino si muovessero sempre all’unisono. Da essi e dall’evoluzione dei rapporti con gli altri corpi sociali laici ed ecclesiastici spesso dipesero le sorti della corona e veri e propri “turning points” evenemenziali, come mostrano le vicissitudini di re Arduino. Risulta perciò indispensabile, allo scopo di meglio inquadrare gli inputs della documentazione riferiti alle successioni episcopali, riassumere in brevi cenni una cronotassi congiunta delle due cattedre che tenga conto dei principali indirizzi socio-politici vescovili.

Si è già parlato incidentalmente delle origini della diffusione del cristianesimo nel Piemonte orientale, perciò non sarà necessario ripercorrere le fasi dei vescovati tardoantichi nelle neonate diocesi, così come è stata ricordata la fondamentale pianificazione di Adalgiso, autentico demiurgo delle canoniche novaresi la cui memoria, non a caso, verrà perpetuata a lungo45 nelle vesti del vescovo più importante della storia diocesana dai tempi dei promotori della fede Gaudenzio, Agabio e Lorenzo. Vale solo la pena aggiungere come, circa negli stessi anni in cui Adalgiso teneva la sede novarese, agisse a Vercelli un presule non certo insignificante: quel Notingo, figlio del conte svevo e funzionario di Ludovico il Pio Erlefrido, che assieme al padre fondò il monastero di Hirsau46 e il cui ricordo in terra piemontese rimase legato a un famoso ponte47

45 Archivio Storico-Diocesano di Novara (ASDN) - Fondo Frasconi (FF) - Documentari del Capitolo Cattedrale (DCC) – Documentario delle Donazioni fatte alla Chiesa ed al Capitolo Novarese (DCC/F), n. 15, datato 1015. 46 Cfr. G. Andenna, Notingo, in Dizionario Biografico degli italiani (DBI), 78, Roma, 2013 (consultato online) e G. Gandino, La potenza dei vescovi di Vercelli e i primordi del comune, in Dalla res publica al comune.

Uomini, istituzioni, pietre dal XII al XIII secolo, Verona, 2016, pp. 99-110: 101.

47 Settia ha convincentemente ipotizzato che tale ponte sia da identificare nei resti romani riportati alla luce sulle sponde della Sesia tra Mantie e Motta de’ Conti ̶ vicinissime a Caresana dove, come si vedrà, sorgeva in questi secoli un importante porto fluviale con riscossione del pedaggio pubblico ̶ e non, secondo la tradizione erudita accettata ancora da Andenna (Notingo), in un ipotetico ponte sul Po presso Pontestura: A. Settia, La Sesia, il Po e il “Ponte di Notingo”, in I paesaggi fluviali della Sesia tra storia e archeologia:

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19 confermato tra i possessi della chiesa eusebiana nel fondamentale diploma di Carlo il Grosso dell’88248, sul quale furono abilmente rimodellate molte delle pretese territoriali del vescovo Leone49.

Il fortissimo legame con la corte imperiale dei vescovi novaresi e vercellesi è perfettamente intuibile già da questi anni: Notingo seguì l’esercito di Ludovico il Pio impegnato ad affrontare le armate di Ludovico il Germanico, mentre Adalgiso sfruttò la sede vacante eusebiana per strappare l’abbazia di San Michele di Lucedio grazie a un diploma concesso da Lotario50. Punto nodale del complesso forestale regio di cui si è parlato51, il monastero era da antichissima data sottoposto alla giurisdizione dell’episcopio vercellese52 e si trovava molto distante dai confini diocesani novaresi: l’abilità di procacciarsi in territorio “rivale” un’exclave di tale entità, dal patrimonio costituito in gran parte di beni fiscali, e di mantenerla anche dopo il ritorno dell’autorità episcopale in quel di Vercelli, dimostrano l’ascendente di cui godette il potente supponide53. Il legame tra vescovi “piemontesi” e imperatori carolingi e post-carolingi era destinato a incrementare.

Notingo non è nome di poco conto durante il secondo e terzo quarto di IX secolo: non si hanno notizie di parentele con il figlio di Erlefrido, ma è certo che a distanza di circa un trentennio, un presule omonimo sieda sulla cattedra gaudenziana. Le fonti illuminano il suo episcopato di una luce fosca: se infatti nell’877 un diploma di Carlomanno gli garantiva la conferma dei beni della Chiesa novarese, appena due anni più tardi papa Giovanni VIII intimava al presule la restituzione dei beni sottratti all’imperatrice

48 DMGH, Diplomata Karl III (DD Ka III), n. 54, pp. 92-94. 49 Panero, Una signoria vescovile, pp. 28-29.

50 DMGH, Diplomata Lothar I. und Lothar II. (DD Lo I/Lo II), n. 41, pp. 127-129. All’abbazia si aggiunse l’intitolazione a San Genuario in occasione della collocazione delle sue reliquie in quegli stessi anni: Settia,

Nelle foreste del re, pp. 371-375. Notingo non rientrò più a Vercelli, ma fu spostato a Verona in sostituzione

del defunto Ratoldo: vd. Andenna, Notingo.

51 P. Cancian, L’abbazia di S. Genuario di Lucedio e le sue pergamene, Torino, 1976, pp. 5-11.

52 Il diploma di età longobarda (datato 707), rimaneggiato tre secoli più tardi ma dal contenuto attendibile secondo C. Bruhl, con cui il monastero appena fondato da Gauderis veniva donato alla Chiesa eusebiana è conservato nell’ Archivio Capitolare di Vercelli (AC), Diplomi, cartella 1, n. I.

53 Cancian, op. cit., pp. 15-16. L’attribuzione alla cattedra novarese esistette fino al principio del secolo successivo, dopodiché per un trentennio si alternarono diplomi a favore dell’una o dell’altra chiesa, in un’altercatio di cui non è possibile intuire l’esito se non indirettamente attraverso le conferme ottoniane alla Chiesa di Vercelli, dalla cui giurisdizione l’abbazia e la sua silva non vennero più sottratte, cfr. Ivi, pp. 17-18. Di sicuro ottenne via via sempre più importanza, nel dirimere la questione, una progressiva concezione territoriale del diritto ecclesiastico e dell’omogeneità dei confini diocesani: Andenna, La diocesi di Novara, p. 69.

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20 Angelberga, vedova di Ludovico II il Giovane e protetta di Carlomanno54. Della vicenda sorprende, tra le altre cose, la provenienza dell’imperatrice dalla medesima Sippe del più onorato tra i predecessori di Notingo: in un certo senso, era stata sfidata anche la sua memoria.

Non conosciamo i beni a cui il pontefice si riferisce, ma è probabile che ne facessero parte l’abbazia di Massino nel comitato di Stazzona55 e la curtis fiscale di Trecate in quello di Bulgaria, parte delle numerose dotazioni con cui Ludovico II aveva rimpinguato la riserva demaniale della regina56, redatta poi nel cosiddetto “testamento” del marzo 877 in occasione della fondazione del monastero piacentino di San Sisto57.

In realtà, è probabile che Notingo avesse seguito fino in fondo le direttive politiche del suo imperatore, in perfetta coincidenza con la tradizione novarese e vercellese: i rapporti tra Carlo il Grosso e Angelberga, in teoria alleati, erano infatti tutt’altro che idilliaci e l’imperatrice aveva lamentato più volte spoliazioni del proprio tesoro avvenute per mano del successore di Carlomanno, chiedendo l’intervento del papa58. Le tensioni erano culminate con l’esilio di Angelberga nel monastero di Zurzach, di poco successivo alla discesa in Italia dell’arcicancelliere Liutwardo e alla sua elezione a presule di Vercelli; allo stesso torno di tempo (ottobre 879-febbraio 880) è databile la morte di Notingo, di cui non si conoscono le circostanze59.

La coincidenza cronologica è senz’altro impressionante, ma non vi sono prove tangibili, al di là di una fama sinistra ̶ e molto parziale ̶ che accompagnava Liutwardo, «plus quam imperator ab omnibus honorabatur et timebatur»60, per immaginare un nesso tra i due eventi, soprattutto supponendo ̶ e non c’è motivo di dubitarne se si considera il precedente diploma di Carlomanno ̶ la fedeltà di Notingo alla dinastia teutonica. Ben più probabile è invece la correlazione tra l’incoronazione di Carlo in Italia,

54 F. Gabotto, A. Lizier, A. Leone, G. B. Morandi, O. Scarzello, Le carte dello Archivio Capitolare di Santa

Maria di Novara, Vol. 1: 729-1034, Torino, 1913, BSSS. 78, n. 11-12, pp. 14-16; F. Bougard, Engelberga, imperatrice, in DBI, 42, Roma, 1993 (consultato online).

55 Andenna, La diocesi di Novara, p. 65.

56 Andenna identifica Trecate come parte del morgengabe seguito alle nozze: G. Andenna, Le radici storiche

dell’oltreticino: sec. (10-15.), Galliate, 1984, p. 12.

57 R. Cimino, Angelberga: il monastero di San Sisto di Piacenza e il corso del fiume Po, in «Reti Medievali. Rivista», 13, 2012, pp. 141-162: 150-152; A. Colombo, Cartario di Vigevano e del suo comitato, Vigevano, 1933, BSSS. 128, n. 3, pp. 5-8.

58 Cimino, op. cit., pp. 148-150; Bougard, Engelberga.

59 Cfr. Bougard, Engelberga; I. Scaravelli, Liutvardo, in DBI, 65, Roma 2005 (consultato online); Panero, Una

signoria vescovile, p. 24; Andenna, La diocesi di Novara, p. 65.

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21 l’arrivo di Liutwardo a Vercelli e l’esilio di Angelberga, della quale l’imperatore temeva, a ragione, una probabile alleanza con Bosone di Provenza61.

Due anni più tardi, Liutwardo ebbe un ruolo fondamentale nella missione di riappacificazione tra i due voluta da Giovanni VIII, il quale riteneva l’arcicancelliere, ora anche arcicappellano, non soltanto «interlocutore privilegiato per le grandi questioni che in quel periodo coinvolgevano la chiesa di Roma» ma anche un uomo dotato «della capacità di azione che sembra mancare a Carlo il Grosso»62. L’esito della mediazione del presule portò di nuovo a ricadute documentarie strettamente connesse: il diploma di conferma emanato nell’aprile 882 in favore di San Sisto63 sanciva il riavvicinamento ad Angelberga e seguiva di un solo mese quello già citato per la chiesa di Vercelli che dava avvio alla signoria immunitaria sul territorio64, tra i cui beni fu inserita proprio la curtis di Trecate.

Vi è di più: al seguito di Liutwardo, al rientro dall’odierna Svizzera, giungeva a Novara ad assumere la carica episcopale suo fratello Cadulto. Due fratelli di origine alamanna65, provenienti da Reichenau, ora controllavano le due diocesi del Piemonte nordorientale, un unicum solo parzialmente replicato a inizio XIII secolo, quando a breve distanza l’uno dall’altro assunsero la carica Ugolino da Sesso a Vercelli e Gerardo da Sesso a Novara. Qual era il significato della discesa di Cadulto? Le fonti non lo esplicitano, ma la cronologia è ancora una volta traccia palese: la curtis di Trecate passò a Liutwardo in concomitanza all’arrivo a Novara del fratello66, riproducendo una situazione per certi versi paragonabile all’exclave novarese a Lucedio di metà IX secolo. In realtà, non è da escludere che lo stesso Cadulto partecipasse a una quota dei proventi della curtis, sebbene il presule fosse già stato comunque ricompensato con la curtis Erichinga (o Erchingen), oggi corrispondente a Langdorf frazione di Frauenfeld nel Canton Turgovia, destinata a rientrare nel circuito patrimoniale dell’abbazia di Reichenau alla sua morte67. Del resto, la

curtis di Trecate non venne riconfermata in nessun diploma per la Chiesa di Vercelli,

61 Cimino, op. cit., p. 154; Bougard, Engelberga.

62 G. Gandino, Contemplare l’ordine: intellettuali e potenti dell’alto Medioevo, Napoli, 2004, citaz. da pp. 68-70.

63 DMGH, DD Ka III, n. 56, pp. 95-97.

64 Panero, Una signoria vescovile, p. 35; Gandino, La potenza dei vescovi di Vercelli, p. 102.

65 E. Hlawitschka, Franken, Alemannen, Bayern und Burgunder in Oberitalien (774-962), Friburgo in Brisgovia, 1960, p. 32.

66 Panero, Una signoria vescovile, p. 32.

67 Cfr. E. Hlawitschka, Cadolto, in DBI, 16, Roma, 1973 (consultato online); DMGH, DD Ka III, p. 356; BSSS. 78, n. 14, pp. 18-20.

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22 neppure nelle ampie liste di beni interpolate dal vescovo Leone68, segno che il passaggio sancito nell’882 non fu che un interludio forse già terminato con la repentina caduta in disgrazia di Liutwardo69, avvenuta poco prima della deposizione del “suo” imperatore70. In sintesi, l’avvicendamento di Trecate ed Erchingen coinvolgeva l’ente monastico dove entrambi i fratelli avevano iniziato la carriera ecclesiastica e aveva lo scopo di ricompensare, nel caso di Liutwardo, il suo ruolo di vero e proprio mastice politico del regno, in quello di Cadulto l’accettazione della chiamata del fratello. L’interesse di Liutwardo a un progetto di radicamento nella Chiesa eusebiana ̶ Trecate è solo una piccola parte dell’immensa concessione di Carlo il Grosso ̶ è confermato pienamente dalla venuta di Cadulto: nessuno meglio di un consanguineo poteva svolgere un fidato compito di supplenza alle lunghe assenze cui era indotto Liutwardo per il prestigio internazionale di cui godeva71; si è visto con Adalgiso e Notingo quanto potessero essere rischiose le vacanze episcopali. Che quindi un personaggio del calibro di Liutwardo, attraverso un’inesauribile vivacità politico-diplomatica, basata sulla capillare rete di contatti con corona ed elite aristocratiche laiche e religiose e su forti legami famigliari, provasse a costituire un potentato episcopale ante litteram proprio tra Vercellese e Novarese dà la misura di quanto preziose e ambite fossero le due diocesi.

Lasciando da parte le complesse vicende carolingie di IX secolo in cui si intravede un contatto continuo tra i due episcopati, il X secolo si caratterizza invece per una più netta separazione degli ambiti e anche per un ridimensionamento degli orizzonti dei vescovi, sicuramente dovuto all’instabilità delle vicende politiche e alla loro regionalizzazione: rispetto al passato erano venuti meno i legami con una corte imperiale di respiro internazionale.

Certo, il ruolo dei vescovi risultava ancora decisivo nello scacchiere politico e nel favorire la chiamata di un re straniero oppure legittimando l’affermazione di un “italico”: è il caso degli importanti presuli novaresi Garibaldo e Daiberto (o Dagiberto). Il primo, posto sulla cattedra con ogni probabilità da Lamberto del quale riconosceva ancora il potere nell’898, passò alla sua morte tra le fila di Ludovico III di Provenza figlio di Bosone

68 Panero, Una signoria vescovile, p. 32.

69 Se si presta fede a Tristano Calco, la curtis sarebbe entrata in un momento imprecisato nella disponibilità della dinastia marchionale anscarica e Corrado Conone l’avrebbe donata tra 989 e 990, poco prima della morte, alla Chiesa milanese presieduta dal vescovo Landolfo di Carcano: T. Calchi, Mediolanensis Historiae

Patriae libri XX, Mediolani, 1628, p. 68.

70 Gandino, Contemplare l’ordine, p. 73. 71 Ivi, p. 72.

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23 diventandone «missus domni regis», per poi riuscire dopo appena pochi mesi a ottenere la carica di arcicancelliere dal nuovo re Berengario72. Il secondo, proveniente dal clero pavese e protagonista di uno degli episcopati più lunghi della storia della diocesi, inizialmente sostenne il ritorno di Ludovico III a Pavia, ma alla vittoria definitiva di Berengario non poté far altro che seguire l’esempio del marchio Adalberto di Ivrea e la sostanziale accettazione della situazione è confermata dalla complessa operazione documentaria di cui si rese protagonista, facendo redigere il celebre rotolo dei diplomi della cattedrale73. A indicare la fluidità degli equilibri politici e una certa rilassatezza nelle dinamiche di fedeltà, senza dubbio favorita dalla mancanza di punti di riferimento stabili, sono gli ulteriori voltafaccia del presule ̶ nonché dei vertici anscarici e del suo entourage ̶ prima in appoggio di Rodolfo II, poi di Ugo di Arles74.

Per quanto fosse impossibile per un presule altomedievale estraniarsi dagli sviluppi politici locali e regionali, la maggiore preoccupazione dei vescovi di X secolo fu quella di ampliare, un pezzo alla volta, il patrimonio fondiario ecclesiastico attraverso acquisizioni nella diocesi e soprattutto nella fascia circostante la città, suddividendo in parte i proventi tra i capitoli cattedrali. Non approfondirò qui gli elementi distintivi di altri episcopati fondamentali del secolo, come quelli di Aupaldo a Novara e Attone e Ingone per Vercelli, poiché si accennerà ad essi ̶ in maniera sostanziosa per il primo di loro75 ̶ nei capitoli successivi. Qui giova ricordare lo spessore non soltanto politico, ma anche e soprattutto culturale di Attone di Vercelli, vero “maître à penser” del regnum assieme a Liutprando di Cremona e Raterio di Verona: la sua opera più enigmatica, il Perpendiculum, è stata di recente riesaminata in dettaglio, sovvertendo di netto alcune errate conclusioni e mostrandone una concezione del mondo, dal punto di vista politico e religioso, di estrema finezza intellettuale76. Allo stesso modo, lascerò ai capitoli successivi77 le vicende degli

72 ASDN - FF - Documentarium Ecclesiarum (DCC/L), n. 2; Documentario episcopale della Santa Chiesa Novarese. Parte I (DCC/A), n. 6. Andenna, La diocesi di Novara, p. 67-69; riguardo all’arcicancellierato di Garibaldo per re Berengario, vi sono dei dubbi sull’autenticità dell’unico documento in cui è presente l’attestazione: ivi p. 80.

73 ASDN - FF - DCC/A, n. 2. Sulla tecnica materiale e le ragioni politiche dietro alla sua nascita: B. Rosenwein,

The Family Politics of Berengar I, King of Italy (888-924), in «Speculum», 71, 1996, pp. 247-289: 281-289;

sulla provenienza di Daiberto: Keller, Signori e vassalli, p. 228. 74 Andenna, La diocesi di Novara, pp. 73-74.

75 Infra cap. 2, paragrafo 2.1.3.

76 G. Vignodelli, Il filo a piombo: il Perpendiculum di Attone di Vercelli e la storia politica del regno italico, Spoleto, 2011. Tra le errate conclusioni ad esempio il fatto che Attone appoggiasse Ugo di Arles e risultasse profondamente ostile a Berengario II, come si legge in Panero, Una signoria vescovile, p. 50: è vero l’esatto

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24 arcinoti presuli che affrontarono Arduino in un sanguinoso conflitto, Pietro e Leone di Vercelli ̶ con gli intermezzi di Ranfredo e Adalberto ̶ , Pietro di Novara e Warmondo di Ivrea, tappa fondamentale del radicamento territoriale del potere temporale vescovile. Non resta dunque che concludere questa schematica e incompleta cronotassi congiunta, volta a riassumere una sorta di rassegna tipologica dei parametri socio-politici su cui fondavano la loro preminenza i vescovi novaresi e vercellesi, con le esperienze di XI e inizio XII secolo. Esse portarono a compimento il processo di localizzazione dell’estrazione sociale dei presuli, con il passaggio iniziato durante il X secolo da esponenti per lo più stranieri ̶ “tedeschi” su tutti ̶ ad altri “domestici”, nativi delle diocesi di cui si apprestavano a diventare il vertice e membri delle dinastie comitali, poi capitaneali, ormai egemoni del territorio grazie alle loro immense signorie fondiarie. È ciò che accadde a Novara con i successori del vescovo Pietro, tratti direttamente dalla famiglia più influente dell’area, i conti di Pombia. Dopo la sconfitta di Arduino, infatti, i conti di Pombia ̶ legati al re italico da un’alleanza strettissima78 ̶ , si erano visti sottrarre formalmente l’autorità sul loro stesso comitato79 in quella che avrebbe dovuto essere la trasformazione di Novara in centro circoscrizionale sotto un «episcopus et comes», come era avvenuto a Vercelli con Leone80. La situazione è però più complessa e il fatto che membri dei “da Pombia” venissero ancora citati in qualità di comites e, nello specifico di Guido, «huius comitatu plumbiense»81, certifica che nella realtà pratica la misura di Corrado II dovette avere scarso successo o che fosse semplicemente di facciata82: infatti, è probabile che i conti fossero giunti alla cessazione delle ostilità nei confronti del vescovo Pietro di Novara ̶ a differenza di quanto avvenne con Leone di Vercelli ̶ dopo aver ottenuto la garanzia del mantenimento dell’ufficio pubblico, ormai dinastizzato, e l’entrata nel capitolo cattedrale per uno dei loro membri83. Costui,

opposto. Sul pensiero di Attone vd. anche: G. Gandino, L’imperfezione della società in due lettere di Attone

di Vercelli, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 86, 1988, pp. 5-37.

77 Cfr. cap. 3, paragrafI 3.2.1 e 3.2.3.

78 Cfr. cap. 1, 2 e 3, paragrafI 1.2.3, 2.2.2, 2.2.3 e 3.2.3. 79 DMGH, Diplomata Konrad II (DD Ko II), n. 38, pp. 40-42.

80 M. Montanari, Comunità, città e signoria vescovile: fra Piemonte e Lombardia nei secoli XII-XIII, in Lo

spazio politico locale in età medievale, moderna e contemporanea, Alessandria, 2007, pp. 69-78: 70; G.

Sergi, I confini del potere, Torino, 1995, pp. 29-30.

81 L. A. Muratori, Antiquitates italicae medii aevi, II, Mediolani, 1739, p. 271.

82 G. Andenna, Grandi patrimoni, funzioni pubbliche e famiglie su di un territorio: il “comitatus plumbiensis”

e i suoi conti dal IX all’XI secolo, in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel medioevo. Marchesi conti e visconti nel regno Italico (secoli IX-XII), Roma, 1988, pp. 201-228: 220.

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25 Walberto fratello dell’Uberto “Volpe Rossa” nemico giurato di Leone di Vercelli e zio del Guido comes sopracitato, succedette proprio a Pietro alla carica episcopale84.

A questo punto, i conti ottennero il controllo su entrambi i vertici politici del territorio, quello laico e quello ecclesiastico, ma non è facile individuare quale sia stata la causa e quale l’effetto di tale condizione: se l’ufficio di Guido avesse ancora valore circoscrizionale solo in virtù del rapporto di consanguineità col vescovo, che ne era detentore legale per disposizione imperiale, o se al contrario sia stato il vescovo a essere “posto in cattedra” dai conti suoi parenti e egemoni del territorio in un momento di distensione con le sfere ecclesiastiche dovuta alla revoca del comitato dalla giurisdizione episcopale, sempre che tale concessione fosse mai entrata effettivamente in funzione85. In pratica, la questione è quale esercizio di potere abbia condotto all’altro.

I due intrecci non si escludono per forza di cose: la strategia di infiltrazione della stirpe in tutte le alte sfere sociali dell’epoca ̶ pratica standard per le aristocrazie in ascesa ̶ è lapalissiana e non si può certo immaginare che i due poli di potere agissero senza coordinamento; a prescindere dall’autorità, se laica o ecclesiastica, a cui andò concretamente attribuita la reggenza del comitato tra 1025 e 1034, l’interesse dei Pombia per la conservazione delle prerogative pubbliche non è in discussione: i conti di Pombia rappresentavano in tal senso un perfetto esempio di dinastia funzionariale86. Essi agivano su più piani, sfruttando tutte le leve di cui disponevano per mantenere il controllo sul comitato: dal ricucito rapporto con l’impero87 alla gestione patrimoniale in chiave politica fino, appunto, alla carriera ecclesiastica. Quest’ultima, alla metà dell’XI secolo, era una carta vincente e la cattedra novarese rimase nelle loro mani per un ventennio.

A succedere a Walberto fu infatti un altro suo nipote, Riprando, figura che racchiude egregiamente le diverse anime di un vescovo novarese o vercellese altomedievale: parte integrante del piano d’azione famigliare, come si vedrà per la fondazione di San Nazzaro Sesia88, era al contempo un fedelissimo della cappella imperiale, un fervente riformatore

84 ASDN - Archivio Capitolare (AC) - Ministreria del Foglio, Carte Antiche, n. 1; BSSS. 70, n. 36, p. 44.

85 Cfr. Sergi, I confini del potere, pp. 365-366; id., Movimento signorile e affermazione ecclesiastica nel

contesto distrettuale di Pombia e Novara fra X e XI secolo, in «Studi medievali», Ser. 3, 16, 1975, pp.

153-206: 187; G. Andenna, Andar per castelli. Da Novara tutto intorno, Torino, 1982, p. 349.

86 L. Provero, Ufficiali regi e poteri signorili (secoli X-XIII), in Borgofranco di Seso 1247-1997. I tempi lunghi

del territorio medievale di Borgosesia. Atti del convegno, Torino, 1999, pp. 37-50, di cui pp. 38-41.

87 Come si vedrà nel recupero dei beni sottratti da sanzione imperiale per l’appoggio ad Arduino, infra pp. 83-84 e p. 224.

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26 antisimoniaco e il senior di una «fitta schiera vassallatica»89. In breve, davvero «splendor orbis, dux Novariensium»90. Il prestigio di cui godeva Riprando, soprattutto a corte, suggeriva non soltanto le sue indubbie qualità personali, ma anche il successo della versatile intraprendenza dei Pombia, che aveva permesso loro di mantenere l’egemonia sul Novarese in un momento storico delicatissimo.

La progressione della dinastia era tuttavia destinata a subire una battuta d’arresto col vescovo successivo, il collega di Riprando alla cappella imperiale Oddone. La natura dei contrasti che portarono anche a Novara un fatto di sangue paragonabile all’assassinio nella cattedrale di Pietro di Vercelli, ovvero l’omicidio dell’advocatus Ecclesiae da parte di vassalli dei Pombia91, si dovette con ogni probabilità al fatto che Oddone fu il primo vescovo straniero in città dopo lungo tempo: la situazione era cambiata molto rispetto al secolo precedente, e Oddone dovette forse prendere troppo alla lettera le vecchie disposizioni imperiali che affidavano ai vescovi il controllo temporale sul comitato92, come dimostra l’importanza che stava assumendo la figura dell’advocatus. In retrospettiva, questo ragionamento e il successivo diploma del 106093, che per la prima volta riconfermava ufficialmente il comitato di Pombia all’autorità vescovile, rafforzano la convinzione che il controllo del comitato non fosse mai uscito dalla disponibilità dei conti, se non nel decennio tra la sconfitta di Arduino e il diploma del 1025; successivamente, seguendo l’antico esempio di Liutwardo, i Pombia avevano intuito che l’unico modo per evitare l’intralcio della competizione vescovile fosse risolvere il problema alla radice, appropriandosi anche di quella carica.

Dopo il fatto di sangue, nuovi vescovi imperiali arrivarono in città sino alla fine del secolo, ma si registrò anche una crescente influenza della Chiesa milanese, rimasta fino ad allora in disparte nella storia ecclesiastica novarese, se si eccettua la parentesi di Aupaldo; e non è certo un caso che i conti di Biandrate, successori dei Pombia, volgessero lo sguardo di rimando alla città ambrosiana94.

89 Cfr. G. Andenna, L’“ordo” feudale dei “capitanei”: Novara (secoli XI-XII), in La vassallità maggiore del

regno italico, Roma, 2001, pp. 95-128, citaz. da p. 118; id., La diocesi di Novara, p. 94.

90 DMGH, Scriptores, Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum separatim editi (SS rer. Germ.), 65. Benzo von Alba, Ad Heinricum IV. Imperatorem libri VII, citaz. da p. 362.

91 Andenna, L’“ordo” feudale, p. 118.

92 N. D’Acunto, I vescovi del sinodo di Fontaneto (1057), in Fontaneto – Una storia millenaria: monastero,

concilio metropolitico, residenza viscontea. Atti dei convegni di Fontaneto d’Agogna, settembre 2007,

giugno 2008, Novara, 2009, pp. 273-278, p. 275.

93 DMGH, Diplomata Heinrich IV. 1: 1056-1076 (DD H IV), n. 63, pp. 82-84. 94 Andenna, La diocesi di Novara, p. 101.

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27 Per quanto riguarda i vescovi vercellesi di XI secolo, si registra molto più ritardata l’acquisizione dell’episcopio da parte delle famiglie che dominavano la geografia fondiaria della regione, ma come da tradizione eusebiana il passaggio avvenne in maniera molto più rapida e traumatica che a Novara: fu il momento dei cosiddetti vescovi “intrusi”95 tra 1094 e 1121. Fu l’apice di un secolo che, dal dopo Leone, era stato caratterizzato a Vercelli da lunghi e tumultuosi episcopati presieduti da filo-imperiali di origine italica e grande fervore anti-riformatore96.

La parentesi dei vescovi aderenti allo scisma enriciano e anti-gregoriano risulta particolarmente interessante se letta in parallelo agli equilibri novaresi, dal momento che la metà dei sei presuli in questione è strettamente legata alle successive ramificazioni dei conti di Pombia97; e non sorprende che le fonti ci suggeriscano ombre sulla loro gestione patrimoniale della diocesi98: tale riferimento combacia perfettamente con la tendenza a infiltrazioni strategiche e spregiudicate da parte dei conti in ambiti e ambienti nuovi. E, se dopo il delitto dell’advocatus99, vi era per loro ormai terra bruciata nell’episcopio novarese, Milano e Vercelli offrivano nuove, stimolanti possibilità.

95 D. Arnoldi, G. C. Faccio, F. Gabotto, G. Rocchi, Le carte dell’archivio capitolare di Vercelli. 2, Pinerolo, 1914, BSSS. 71, n. 272, p. 153; L. Minghetti Rondoni, Riflessi della riforma gregoriana nella diocesi eusebiana

alla vigilia del Concordato di Worms: i vescovi scismatici (1094-1121), in «Bollettino storico vercellese», 40,

1993, pp. 43-55.

96 L. Minghetti Rondoni, Riflessi della Riforma gregoriana, p. 43. L’unico a instaurare un rapporto instabile e talvolta conflittuale con l’Impero fu Arderico, il successore di Leone: Panero, Una signoria vescovile, p. 107. 97 G. Ferraris, Il vescovo e la carità: Guala Bondoni tra esperienze religiose ed opere assistenziali, in Vercelli

nel secolo XII. Atti del Quarto Congresso Storico Vercellese, Vercelli, 2006, pp. 37-62: 38. Si parla di rami

diretti, come nel caso dei conti di Biandrate e conti del Canavese, e rami probabilmente collaterali, come gli stessi “da Caltignaga”: infra, pp. 74-76 e pp. 144-145. Un sesto vescovo è stato aggiunto solo di recente: A. Barbero, Un vescovo vercellese finora sconosciuto: Guido da Caltignaga (inizio XII secolo), in «Bollettino storico vercellese», 32, 61, 2003, pp. 5-7.

98 Minghetti Rondoni, Riflessi della Riforma gregoriana, p. 46.

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