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L’impronta femminile di un articolato nucleo di possident

Capitolo 1: All’ombra di Sant’Agabio

1.1.2. L’impronta femminile di un articolato nucleo di possident

Uno dei caratteri più notevoli della società di Pagliate, assolutamente unico nel contesto del Piemonte nordorientale altomedievale e forse non solo, è la profonda impronta femminile nel background economico locale. L’ampia seconda parte del paragrafo sarà dedicata a un ben documentato gruppo parentale che identifica in modo lampante questa peculiarità: è però esempio non esclusivo di un vero e proprio trend che si sviluppa in senso diacronico in particolare tra seconda metà di X secolo e prima metà dell’XI. La stragrande maggioranza degli atti localizzati a Pagliate in questo arco cronologico segue infatti uno schema ricorrente: una coppia di coniugi longobardi che vendeva beni a terzi sempre di nazione longobarda. Nel caso in cui fosse mancato uno dei due coniugi, questi era quasi sempre il marito e non solo per la minore aspettativa di vita, reale fino a un certo punto in una società pre-industriale mediamente caratterizzata da un alto numero di parti. Se invece il soggetto della vendita era unico, era più probabile che appartenesse al genere femminile, ma non erano escluse nemmeno donne acquirenti. Oltre i tre quarti del computo totale delle carte conservate per questa “stagione” di compravendita fondiaria riconducono a interventi femminili nella duplice veste o di acquirenti o venditrici: si procederà a una rassegna generica delle più significative.

Nell’ottobre del 981 Ingeltrude di Lumellogno vedova di Malgherio diventa usufruttuaria dei beni venduti «per accepto precio» ad Alberto prete, ovvero un sedime, una vigna e due campi a metà strada tra Lumellogno e Pagliate, con la clausola che alla sua morte passino «in iure et potestatem» ai figli Dodone, Alberto e Malgherio150: l’assenza della cifra di acquisto lo segnala come prestito dissimulato da vendita, con un ecclesiastico in funzione di tramite “fittizio” secondo un modello ben noto alla storiografia151.

150 DCC - FF - DCC/F, n. 4.

151 C. Violante, Per lo studio dei prestiti dissimulati in territorio milanese (secoli X-XI), in Studi in onore di A.

Fanfani, Milano, 1962, pp. 643-735: 678-681. Per la pratica messa in atto dall’importante famiglia dei “da

Besate”, di cui si parlerà successivamente, vd: Violante, L’immaginario e il reale, pp. 110-111. Sulle operazioni finanziarie nascoste da perifrasi giuridiche nella pratica documentarie: F. Bougard, La justice

dans le royaume d’Italie de la fin du VIIIe siècle au début du XIe siècle, Roma, 1995, pp. 328-329. Uno dei

43 Pochi mesi più tardi, nel maggio 982, i coniugi di Lumellogno Aza del fu Anzoaldo ed Ermenaldo vendettero a Gismundo del fu Gauso di Pagliate un campo dal significativo nome «a cerreto contra publico», indicante con ogni probabilità la vicinanza a terra fiscale di un luogo ̶ «cerreto» ̶ che tornerà anche nei decenni successivi tra le carte di Pagliate e che dava un’indicazione, assieme ad altri toponimi come «strepedo», «noxedo», «sancto petro in silva» di come persino una zona limitanea alle mura cittadine fosse circondata tra X e XI secolo da una sorta di continuum boschivo; gli stessi coniugi tornarono in una successiva vendita del 25 ottobre 1007, con l’aggiunta specificazione della parentela di Ermenaldo, qui detto figlio di Bono con cui ottennero 35 soldi per una vigna a Lumellogno confinante con terra di un certo Gaudenzio152.

Nel gennaio 994153 Ambrogio del fu Unvaldo e Burga del fu Soavelino, sempre coniugi longobardi a cui si aggiunsero i tutori legali della donna, cedettero ai fratelli Leuperto e Cuniberto del fu Vencio un sedime con viti e meleti in luogo presso Pagliate detto «a pasquario» in cambio di 20 soldi.

Nel marzo 996 i coniugi Seneverga e Donneverto di Pagliate vendono a Lupa figlia di Domino una pecia di campo presso l’abitato dello stesso paese per 6 soldi; Donneverto ricompare nelle confinanze della grande permuta del 29 marzo 1000 in luoghi di Pagliate come «noxedo», «a muro», «a ponte» e presso vie pubbliche154.

Nel marzo del 1008 Rodolinda del fu Grosso, con l’assenso del figlio e mundoaldo Cuniberto, vendette a Boniperto prete del fu Costabile la quarta parte di tutti i beni in Pagliate pervenutile per mano di «vivencius qui fuit quondam dominicus» in cambio di 20 soldi, ricevendoli di nuovo in usufrutto con la clausola che alla sua morte sarebbero passati «in iure et potestatem» di Cuniberto del fu Vivenzio e Lupa del fu Domenico, probabilmente entrambi imparentati al «vivencius qui fuit quondam dominicus», con la possibilità di riconoscere una relazione tra questa Lupa e l’acquirente della vendita del 996155. Alcuni interventi di modifica occorsi alla pergamena con entrambi gli atti fanno luce sulla tipologia dell’operazione: nell’atto di vendita a Boniperto prete, infatti, è inserito nel testo, all’altezza della tipica sanctio con pena dupla, un lapsus non emendato

Manfredi II del 1021: Sergi, Una grande circoscrizione, p. 664. Per il caso specifico della carta dell’ottobre 981 vd: Andenna, Andar per castelli, p. 121.

152 BSSS. 78, n. 90, pp. 151-152; ASDN - FF - DCC/Q, n. 44. 153 ASDN - FF - DCC/Q, n. 17.

154 ASDN - FF - DCC/Q, n. 19; ASDN - FF - Documentarium Capitulare (DCC/J), n. 5.

44 riguardante il nome dell’acquirente ̶ Warnemperto ̶ e già il «presbiter» apposto a Boniperto156 era in sopralinea scritto da altra mano157 e altro inchiostro; nel secondo atto si trova in sopralinea la specificazione giuridica dell’«usufructuario nomine»158 e l’intera riga di testo che segnala i futuri beneficiari ̶ «et potestatem Cuniberti filius vivencii et Iuvani filia dominici» ̶ è scritta su rasura da altra mano e con inchiostro diverso, come già era successo nel 996 per «luva filia domni» e tutti i successivi riferimenti che la riguardavano nel testo. Come se non bastasse, anche nel secondo atto lo stesso nome del prete acquirente ̶ Boniperto ̶ è riscritto su una correzione159 e non corrisponde alla sottoscrizione autografa che recita «ego boniprando presbiter in anc cartula ordinacionis a me facta subscripsi»160.

L’analisi lascia presupporre una modifica avvenuta in più fasi sull’originale e suggerisce l’estrema fluidità delle dinamiche di prestito, a cui certamente anche questa carta può riferirsi, e soprattutto dei soggetti a cui era vincolata la formalità giuridica: si deve immaginare, infatti, che l’atto originale prevedesse una vendita di Rodolinda a Warnemperto prete161 con conseguente usufrutto e che, in un secondo momento, l’atto sia stato recuperato e modificato per adattarlo a un nuovo prestito dissimulato da vendita162, forse per nuove sopraggiunte necessità economiche della donna e sicuramente per far rientrare i beni nel circuito da cui erano usciti, cioè nella disponibilità degli eredi del primo venditore (Vivenzio); con la riga cancellata per far spazio proprio ai loro nomi e quindi con la competizione sul possesso dei beni successivo alla morte della donna doveva avere a che fare la sottoscrizione autografa di Boniprando prete, che non si può ritenere aggiunta successiva per non privare il secondo atto del relativo autore giuridico. In questa operazione ancora una volta gli ecclesiastici apparivano in qualità di tramiti, come si nota dalla facilità di sostituzione dei due preti, e soprattutto le donne

156 Che, in più, è scritto con due forme diverse: «bonneperti» all’inizio e «boninperti» dopo, entrambe sicuramente frutto di rimaneggiamenti attuati per poter applicare il nuovo nome.

157 BSSS. 78, n. 125, p. 209.

158 Solo in uno dei due riferimenti, nel primo pare originale.

159 La parte finale «-perto» sembra originale, mentre «-boni» è stato aggiunto cercando di riempire, distanziando tra loro le lettere, lo spazio lasciato da una leggera rasura.

160 Nelle sottoscrizioni di entrambi gli atti compaiono membri dei “figli di Restone”, di cui si parlerà a breve, e il rogatario stesso risulta essere scriptor impiegato per le vendite dissimulate da Walperga del fu Restone. 161 La questione se anch’egli fosse o meno prete è controversa perché, se è vero che il primo «presbiter» del primo atto è scritto in sopralinea, nelle successive parti di testo in cui Warnemperto è stato corretto in Boniperto, il nome è seguito dall’apposizione apparentemente non interpolata della carica ecclesiastica. 162 Infatti, anche la cifra di soldi indicata nel primo atto ha degli elementi testuali che la rendono sospettabile di interpolazione.

45 come soggetti indiscussi, dal momento che il possesso effettivo dei beni era rimasto per tutto il tempo nelle mani di Rodolinda e sarebbe passato in seguito a Lupa.

L’ultimo documento da segnalare è la vendita del luglio del 1018 di Pietro del fu Oddone, vivente a legge romana, a Lea del fu Walperto di una pecia di arativo in zona «a muro» presso il vico di Pagliate al prezzo di 10 soldi d’argento.

Circa negli anni di quest’ultimo atto si situa il nucleo documentario più consistente163 e originale dell’XI secolo di Pagliate, strettamente connesso al gruppo famigliare a cui si è accennato a inizio paragrafo e di cui si tenterà di ricostruire una genealogia che non è mai stata abbozzata dalla storiografia per le difficoltà di inquadramento dei personaggi in questione. Difficoltà che sono perfettamente evidenziate dall’esordio delle principali figure femminili del gruppo.

Il 5 aprile 1016 i coniugi longobardi Giovanni del fu Restone e Maria del fu Anseverto (o Angiverto) vendettero a Walperga del fu Restaldo due pecie, rispettivamente di vigna e arativo agricolo prospiciente a un pascolo, situate a Pagliate, in cambio di 8 soldi d’argento tratti dal faderfio della donna164. Nel febbraio 1017 i coniugi longobardi Anzoaldo del fu Oterio e Alberga del fu Bonaldo vendettero a Walperga del fu Restone due pecie di arativo poste nel territorio di Pagliate in cambio di 14 soldi d’argento165. Nel 1019 ̶ datazione ipotizzata dal Gabotto166 ̶ i coniugi longobardi Gaudenzio del fu Restone e Rotrude del fu Algerio vendettero a Walperga della fu Bona una pecia di arativo posta a Pagliate in cambio di 5 soldi d’argento tratti dal faderfio della donna. I tre atti ebbero luogo naturalmente a Pagliate.

Si ha subito l’impressione di avere di fronte una sorprendente miscela di apparenti contraddizioni e allo stesso tempo una struttura schematica e ricorsiva precisa nelle

163 Quantitativamente significativo in relazione ad un vicus così piccolo, sicuramente per circostanze di conservazione documentaria legata ai rapporti intessuti dal gruppo con gli enti ecclesiastici novaresi. 164 ASDN - FF - Documentario di Persone Estere con alcune Carte riguardanti la Città di Novara (DCC/Q), n. 24. Il testo presenta modifiche e riscritture su rasura, l’accenno al federfio è inscritto tra due righe di testo senza tracce di ulteriori interventi. Sul verso è presente un regesto in note tachigrafiche.

165 ASDN - FF - DCC/Q, n. 25. Purtroppo questa pergamena, a differenza della precedente, si presenta molto rovinata e sbiadita, con guasti che anche l’utilizzo della lampada di Wood fatica a dipanare. Alcune integrazioni all’edizione della BSSS, però, sono possibili, relativamente alle confinanze della prima pecia di terreno: per quanto riguarda la sua ubicazione, ad esempio, Gabotto sostiene la presenza di un guasto irreparabile, ma in realtà è abbastanza agevole anche in assenza dei raggi ultravioletti la lettura del toponimo «viniali», già attestato in altre carte coeve riguardanti Pagliate; vi è poi un’indicazione soprascritta al guasto successivo, quello della prima confinanza, che riporta la dizione «uncauna» o «uticauna» (più probabile la prima ipotesi) e forse si riferisce a un sito adiacente.

166 ASDN - FF - DCC/Q, n. 31. La pergamena infatti ha un guasto proprio all’altezza della datatio; come la precedente si rivela sbiadita e illeggibile in alcuni punti, oltre a presentare segni di raschiature volontarie sopra le quali non è stato aggiunto nuovo testo.

46 dinamiche famigliari ed economiche. Tra le contraddizioni più stridenti, che è necessario dirimere in un’ottica di analisi complessiva del gruppo, una delle prime riguarda la figura di Walperga: quante donne si celano dietro a questo nome? Per dare una risposta bisogna partire dalle attestazioni successive di tutte e tre le possibili Walperga e poi confrontare i dati più significativi e le ricorrenze delle carte, tenendo ben presente che in un primo momento si correrà il rischio di confondere ancora di più un quadro senza dubbio già molto complesso.

Il 30 aprile 1022 si ripeté l’azione giuridica del 1016, con i coniugi Giovanni e Maria che vendettero, stante come nel precedente documento l’approvazione dei tutori legali della donna ovvero il marito in qualità di mundoaldo e il fratello e nipote di lei, entrambi di nome Martino, a Walperga del fu Restaldo un’altra pecia di arativo in un’area di Pagliate che ritornerà spesso nelle compravendite di XI secolo ̶ «locus ubi dicitur strepedo» ̶ e che confina con «terra de eredes quondam Bonaldi»; stranamente, non viene indicato alcun prezzo di vendita, ma vi è solo un accenno a «finitum precium» e «suprascripto argento»167. I due coniugi tornarono due anni più tardi, il 26 febbraio 1024, vendendo questa volta a Walperga della fu Bona una pecia di prato in luogo detto «Ingrebio» al prezzo di 5 soldi nuovamente tratti dal faderfio in dote alla donna168. Ancora a Walperga del fu Restaldo nel novembre del 1030 venne poi venduta da altri due coniugi longobardi, Lorenzo del fu Boniperto e Alguda del fu Prandone, una vigna in luogo «viniali»169 in cambio di 12 soldi d’argento. Quando sembrava che la dicitura «vualperga filia quondam restoni» fosse un hapax documentario, forse dovuto a una svista del notaio che aveva scambiato i nomi Restone e Restaldo170, complice il non troppo variegato stock onomastico di Pagliate, ecco ricomparire la terza Walperga, figlia appunto del fu Restone, acquirente il 23 marzo 1032 di quattro appezzamenti agricoli in cambio di «papiencis solidos decem», una delle due valute monetarie circolanti nel Novarese di inizio millennio171. Si tratta del primo documento della serie rogato non a Pagliate ma a Novara,

167 ASDN - FF - DCC/Q, n. 27. Sul verso è presente un regesto dettagliato dell’atto; l’assenza del dato numerico non è provocata da guasti o lacune della pergamena, ma sembra non essere stato proprio previsto nel testo originale.

168 ASDN - FF - DCC/Q, n. 28. La pergamena è sbiadita nella parte superiore e leggermente guasta in quella inferiore. L’utilizzo della lampada di Wood consente però, in questo caso, una lettura completa dell’atto. 169 Supra, vd. nota 165.

170 Dà l’impressione di pensarlo Gabotto che aggiunge un (sic) accanto a «Valperga del fu Restone» nel regesto della carta CLXXI datata 23 marzo 1032.

171 L’altra è quella milanese, ad esempio in ASDN - FF - DCC/L, n. 24 e n. 25. Vd. Olivieri, Per la storia della

47 il che si spiega probabilmente in virtù della posizione sociale del venditore, un chierico di nome Ansprando che doveva essere collegato alla sede vescovile e canonica cattedrale172. Malgrado ciò, la sua provenienza ̶ «filio quondam martini de vico paliade» ̶ e l’ubicazione dell’oggetto della vendita ̶ «loco et fundo paliade», con una significativa specificazione per uno degli appezzamenti che «iacet allocus ubi rollolle bonnaldi dicitur» ̶ sono tipiche del contesto sociale in analisi.

Con il 1032 si concludono le attestazioni del nome Walperga, ma non certo la raccolta documentaria collegabile al suo gruppo parentale. Già, ma gruppo o gruppi? Una o più donne? La rassegna di carte associate al nome Walperga ha, come previsto, aumentato il numero di interrogativi, almeno a una prima sommaria regestazione.

Ricapitolando, dal 1016 al 1032 vengono indicate nelle pergamene di Pagliate quelle che sembrano tre Walperga di legge longobarda legate a tre diverse filiazioni, le quali agiscono sempre in qualità di acquirenti e mai di venditrici: per tre volte il nome si riferisce alla figlia del defunto Restaldo, per due alla figlia del quondam Restone e in altre due a quella della quondam Bona. La prima diversificazione si ha quindi tra le prime due, indicate per discendenza paterna e la terza per via materna: circostanza non comune, nel pieno Medioevo, ancora di più per una donna di legge longobarda che necessitava, è risaputo, di tutori legali maschili lungo tutto il corso della sua vita. Un primo input onomastico e giuridico suggerirebbe, in linea col Gabotto, di considerare la differenza tra Restaldo e Restone frutto di sviste dello scriptor, oppure forme grafiche di uno stesso nome173: perché, infatti, la Walperga della fu Bona avrebbe dovuto essere citata seguendo la linea materna, se quella paterna fosse stata conosciuta e già impiegata? Il tipico caso di identificazione per filiazione materna si aveva, nel Medioevo, a seguito dell’impossibilità di riconoscimento di quella paterna, o per difficoltà pratiche di individuazione, o per l’impaccio legato alla sua posizione, ad esempio, di ecclesiastico, oppure qualora la linea femminile sopravanzasse per importanza quella maschile. Tuttavia ciò non basta a dare una risposta certa in un senso o nell’altro, vanno aggiunti

172 ASDN - FF - DCC/Q, n. 35. La pergamena è lacera proprio all’altezza del nome «walperga filia quondam restonni» e raschiata in altri punti, ma la lettura non ne viene comunque inficiata. Nell’edizione BSSS.78, Gabotto regesta erroneamente in Vespolate l’oggetto della vendita.

173 Come accade per il canonico Raginfredo e Ranfredo e le sue due diverse sottoscrizioni nella seconda metà dell’XI secolo, infra, pp. 195-196. «Resto/Restonis» potrebbe essere infatti la forma abbreviata di un antroponimo composto da due elementi onomastici: «Rest»+«hald».

48 altri tasselli, tra i quali non si può purtroppo annoverare uno dei più decisivi, quello paleografico, vista la totale assenza di sottoscrizioni autografe per i membri del gruppo. Soprattutto, c’è qualcosa di molto concreto, e forse decisivo, a legare la Walperga della fu Bona e quella del fu Restaldo: l’accenno al faderfio, dote parentale concessa alle spose longobarde, da cui sono state tratte, in ben tre dei cinque atti in cui compaiono le due, le risorse economiche per la compravendita fondiaria. Un faderfio dipendeva per forza di cose da un matrimonio e si dà il caso che la documentazione venga in nostro soccorso in tal senso: nella carta del 1022, peculiare per la mancata indicazione del prezzo, oltre ai tutori legali di Maria del fu Anseverto, venne esplicitato per la prima volta anche per Walperga del fu Restaldo «consensu angelberti viro et mundoaldo meo». Sappiamo dunque il nome del marito di una delle Walperga e la relazione giuridica per cui si è definito il faderfio: cosa si può dire di questo Angelberto? È un nome che, in effetti, ricorre spesso nelle carte di Pagliate della prima metà di XI secolo: nella prima vendita in cui compare Walperga della fu Bona, un Angelberto era finitimo174 dell’appezzamento che si trovava in «valle», luogo che ritorna nel 1032 ̶ vendita a Walperga del fu Restone ̶ per l’ubicazione di un altro campo; nella vendita del 1030 a Walperga del fu Restaldo, la sottoscrizione di un Angelberto apre degli interrogativi stringenti, dal momento che avrebbe dovuto essere indicato esplicitamente come marito e mundoaldo della donna; la sottoscrizione si trova accanto al signum manus di un tale Anzoaldo, del quale certo viene abbastanza spontaneo l’accostamento con il venditore del 1017 a Walperga del fu Restone, sposato con Alberga del fu Bonaldo.

Il nome Angelberto, poi, comparve ancora dopo il terminus post quem della scomparsa delle Walperga: il 19 gennaio 1034 i coniugi Gisalberto del fu Orso e Rotruda del fu Ambrogio vendettero ad Angelberto del fu Restone una pecia di campo arabile e una di prato confinanti con terra già in suo possesso, in cambio di un soldo d’argento175; nel febbraio 1040, Giovanni del fu Angelberto vendette ad Angelberto del fu Restone una

174 E forse anche nelle sottoscrizioni col nome Ingelberto: non si può escludere che si tratti di una persona diversa, ma il fatto di trovarsi sulla stessa riga di sottoscrittori dai nomi Gaudenzio e Domenico può essere significativo, vedasi le pagine appena seguenti.

175 ASDN - FF - DCC/Q, n. 40. La pergamena è ben leggibile nonostante l’inchiostro di colore molto tenue; purtroppo questo non si può dire per il verso, dove compaiono 16 righe di testo mano sincrona, di cui si riescono a carpire, proprio per via dell’inchiostro, soltanto poche parole, comunque sufficienti a differenziarlo dall’atto giuridico: non si tratta quindi di un regesto. Sul recto sono visibili diverse riscritture, in particolare «angelbertus filio quondam restoni» è riscritto calcando l’inchiostro su quello che sembra essere un precedente «angelbertus», a indicare forse la necessità di evidenziare al meglio l’importante nome dell’acquirente che si stava sbiadendo.

49 vigna confinante con terra dello iudex Odemario in cambio di 2 soldi pavesi176; infine, il 22