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Il frazionamento dei conti di Pombia e la parabola di nuove dinastie

Genealogia ingonide alternativa:

2.2.3. Il frazionamento dei conti di Pombia e la parabola di nuove dinastie

Seguire in dettaglio le vicende delle diramazioni dei conti di Pombia, che iniziarono a costituirsi con una chiara consapevolezza psicologica della separazione soltanto verso la fine dell’XI secolo, significherebbe scoperchiare un vaso di Pandora di strutture, dinamiche e situazioni necessarie a tratteggiare i secoli XII e XIII, che in questo studio sono stati finora toccati soltanto tangenzialmente a chiusura di cerchi e non ad apertura di nuovi filoni di analisi. Pertanto, ci si concentrerà soprattutto sui momenti di definizione della scissione ancora di XI secolo e sui primi passi delle nuove “creature” dinastiche avvenuti in quello successivo, facendo particolare attenzione a circoscrivere le rispettive aree di diffusione e i nuovi poli di concentrazione signorile.

La divisione avvenne senza dubbio nella seconda metà dell’XI secolo: forse era già in atto al momento della vendita di Adalberto comes del 1050, anche se la plausibilità di questa ipotesi dipende necessariamente dal momento esatto di fondazione di San Nazzaro durante l’episcopato di Riprando (1039-1053), avvenuta in concordia tra tutta la

610 Ad esempio, proprio la fondazione di San Nazzaro sottrasse le decime nelle terre dei conti alla pieve di S. Maria di Biandrate, indebolita anche dall’istituzione della canonica di San Colombano proprio all’interno del

castrum di Biandrate da parte dell’omonima dinastia: G. Ferraris, La pieve di S. Maria di Biandrate, p. 129.

143 discendenza di Uberto Rufo. Dai comites fondatori, indicati tutti come (probabilmente) “di Biandrate” nella sopracitata notitia, si diramarono i nuovi casati: da Adalberto i conti “da Castello”, da Guido, passando per Guido II, i conti del Canavese e dal nipote di Riprando Ottone ̶ figlio di un Uberto II del fu Uberto Rufo deceduto anzitempo ̶ i veri e propri conti di Biandrate612.

Come si è visto dalla notitia di fondazione e dalla successiva evoluzione del rapporto con San Nazzaro, il controllo del castrum direzionale di Biandrate definì il casato principale destinato a portare avanti con maggior intensità la strategia multifocale dei vecchi conti di Pombia; le altre due ramificazioni si ritagliarono delle specifiche aree di influenza, ma intrapresero una traiettoria più marginale e unidirezionale rispetto ai conti di Biandrate. Ciò non impedì anche alle nuove famiglie “laterali”, come si è visto poco prima, di inserirsi nelle realtà cittadine e mantenere parte del prestigio dell’antica stirpe unita: uno dei conti del Canavese, infatti, riuscì a ottenere la cattedra vercellese durante la fase dei vescovi invasori.

La discendenza dei Biandrate dipende quindi da Ottone comes, abiatico di Uberto Rufo e nipote del vescovo Riprando. Lo si ritrova nelle carte novaresi: Il 19 marzo 1075 i coniugi Adalberto di Caltignaga del fu Gisulfo e Imilga del fu Gariardo ̶ genitori di un altro Gisulfo di Caltignaga613 ̶ , provenienti da un ambiente strettamente legato ai conti di Pombia, donarono pro anima del vescovo Oddone alla chiesa di San Giuliano di Gozzano beni acquisiti dai figli del fu Adalberto, già detto «de castello», ai quali erano pervenuti dal comes Ottone614; si trova poi tra i possidenti fondiari a Garbagna, assieme a un Guido

comes probabilmente suo cugino e iniziatore della stirpe canavese, in una cospicua

vendita ad Arnaldo prete e tesoriere della canonica di Santa Maria615. Questi documenti ed altri che verranno chiamati in causa in seguito616 mostrano un ribollire di passaggi di proprietà in atto tra casati ormai già chiaramente divisi: era in atto una spartizione delle sfere di influenze che proseguirà ancora fino alla fine dell’XI secolo; evidenti in tal senso anche gli atti di fondazione del priorato cluniacense di Castelletto Cervo.

612 Andenna, Grandi patrimoni, funzioni pubbliche, pp. 221-225. Sulla vendita di Adalberto vd. in dettaglio

infra, pp. 184 e sgg. Sul testamento di Guido, di cui si parlerà ancora a breve, supra, p. 83.

613 Andenna, L’“ordo” feudale dei “capitanei”, p. 99. 614 BSSS. 77/3, n. 20, pp. 36-37.

615 BSSS. 79, pp. 100-102, n. 240, datato 11 giugno 1077. Infra, pp. 197-200. 616 Infra, cap. 2, paragrafo 3.1.2.

144 Il già citato testamento del comes Guido II, rogato nel più importante castrum di pertinenza di questo ramo della famiglia durante la fase di separazione ̶ Olengo ̶ , inserisce per la prima volta un «fundo castellito», oltre all’alpe di Otro e ad altri beni soprattutto ossolani e valsesiani già comparsi nelle confische post-arduiniche, tra le donazioni a Cluny617. Il fatto che un lignaggio derivato dai Pombia scegliesse di legare il proprio patrimonio all’esperienza riformatrice papale dell’abbazia borgognona, solitamente optata dalle aristocrazie della Marca di Ivrea in funzione contrastiva del crescente potere vescovile filo-imperiale618, e che pressoché negli stessi anni a Vercelli un suo membro si inserisse ̶ con i “cugini” di vecchia data di Biandrate ̶ nel flusso scismatico dei vescovi intrusi enriciani, mostra come lo spregiudicato retaggio politico dei conti di Pombia non si fosse disperso con la scissione.

L’11 gennaio 1087619 i figli di Ottone comes Lanfranco, Alberto, Uberto e Obizzo rinunciavano ad ogni pretesa sui beni trasferiti da Guido a Cluny in vista della dotazione della neonata fondazione satellite biellese. È un dato importante, perché si rivela come una sorta di ufficializzazione dell’avvenuta suddivisione: a differenza di un quarantennio prima, quando la creazione di un nuovo ente ecclesiastico aveva richiesto la partecipazione della stirpe al completo, ora vi si legava un solo ramo passando attraverso il filtro cluniacense ̶ va tenuto presente che non si trattava affatto, in questo caso, della nascita di un “monastero di famiglia”, tanto che la fondazione avvenne per opera dell’abbazia madre borgognona. La nascita di Castelletto Cervo si configurava, in parte, come la risposta del ramo canavese all’egemonizzazione di San Nazzaro da parte dei Biandrate, che si può supporre fosse incipiente o, comunque, prevista a breve: causa ed effetto, come spesso capita per questi secoli, appaiono estremamente sovrapponibili e interscambiabili.

Altrettanto arduo risulta immaginare gli effetti dell’episcopato vercellese dell’“invasore” Baldrico del Canavese, a cui in teoria sarebbe spettata la tutela di San Nazzaro, come da clausola fatta redigere da Riprando: agì in concordia o in competizione

617 Una cartina dettagliata dei beni inseriti nella donazione in: A. Barbero, Il potere pubblico sul territorio di

Castelletto (secoli XI-XV), in Il priorato cluniacense dei santi Pietro e Paolo a Castelletto Cervo: scavi e ricerche, 2006-2014, Sesto Fiorentino, 2015, pp. 109-122: 111.

618 Sereno, op. cit., p. 71. Il collegamento Cluny-Ivrea/Novara è poi piuttosto naturale considerando la zona d’origine e i legami con essa mantenuti non solo dagli Anscarici, ma anche dagli stessi conti di Pombia. 619 BSSS. 79, pp. 127-128.

145 con i “cugini”? Le fonti oscurano completamente i suoi anni, ma a indirizzarci indirettamente verso la prima ipotesi è la stessa gestione di S. Pietro di Castelletto. È evidente, infatti, che l’inserimento del monastero nella rete strutturale cluniacense non permettesse un pieno controllo politico della fondazione, come avveniva a San Nazzaro con i Biandrate620; tuttavia, un documento databile tra 1095 e 1096 in cui Oberto «comes canavesanus» e Ardizzone castellano di Castelletto chiedevano all’abate di Cluny Ugo di Semur di rimuovere il priore della «cella castelleti» a causa dei suoi oltraggiosi misfatti, evidenzia il mantenimento dell’advocatia da parte della stirpe canavesana621. Si tratta però di una prima fase: nella prima metà del XII secolo le donazioni al cenobio non provengono più dai conti canavesani, ma da dinastie differenti come quella aleramica622; l’agganciamento della discendenza di Guido è ormai avvenuto in un’area più occidentale ̶ ed è la stessa attestazione del 1096 a certificarlo ̶ , mentre gli interessi sull’area novarese-valsesiana, per quasi 200 anni dominata dagli antenati, scemavano via via che i Biandrate ne assumevano la completa eredità. A questo punto, va forse rimesso in discussione anche l’obiettivo iniziale del testamento di Guido, dal momento che la previsione sull’egemonizzazione di San Nazzaro da parte dei Biandrate poteva essere facilmente estesa ai territori donati a Cluny, comunque lontani dal Canavese: da qui la necessità della conferma dei cugini nel 1087623. Inoltre, negli stessi giorni (5 marzo 1083) vi era stato anche un altro atto testamentario, questa volta in favore delle canoniche novaresi, sempre per beni lontani dal Canavese e troppo vicini alle aree di influenza degli altri neonati lignaggi per riuscire a mantenere un adeguato controllo624.

È da questo documento che si possono trarre indizi accessori sul “milieu” sociale che gravitava intorno ai conti: la donazione si riferiva, infatti, a beni in Val d’Ossola acquisiti dai coniugi Oddone e Gisla e da Mascaro e Odemario. Questi ultimi due, in particolare, sono nomi che ritornano nelle carte novaresi di questi anni: tralasciando l’Odemario notaio del Sacro Palazzo tra i più utilizzati rogatari del periodo, un salico di nome Mascaro del fu Manfredo vendeva nel 1074 a Cameriano con la moglie Rifulda del fu Wicheramo

620 Provero, Ufficiali regi e poteri signorili, p. 42.

621 BSSS. 79, n. 277, pp. 159-160. G. Andenna, Alcune osservazioni a proposito delle fondazioni cluniacensi in

Piemonte (sec. 11.-13.), Cesena, 1984, p. 49.

622 Barbero, Il potere pubblico sul territorio di Castelletto, p. 110.

623 L’advocatia si trovava però nelle mani dei conti del Canavese ancora nel 1138: Andenna, Alcune

osservazioni, p. 49.

146 beni per 18 soldi a tale Ribaldo del fu Walberto625; tra 1089 e 1090 compaiono Mascaro e Ottone in quanto cugini di una certa Bonadonna del fu Odemario a sua volta madre di un Odemario, che è però longobarda626. È possibile scorgere dei collegamenti tra questi personaggi e i venditori citati da Guido comes, ma l’esiguità del campione documentario impedisce ulteriori approfondimenti sulla possibile coincidenza e anche sulla stessa parentela intercorsa tra i soggetti delle due carte.

Nel frattempo, la prima incontestabile attestazione di «comites blandratenses» è la cosiddetta «charta blandratina» del 5 febbraio 1093, un patto tra Alberto, Guido, il consanguineo Ardizzone e i milites di Biandrate di difesa dei rispettivi beni prediali e beneficiali contro chiunque all’infuori dell’imperatore627. I Biandrate favorirono una sostenuta immigrazione di cavalieri, garantendo loro il passaggio in termini di beneficio vassallatico dei sedimi su cui costruire le nuove residenze all’interno dell’abitato incastellato biandratino e la facoltà di renderli ereditari o anche alienabili in caso di approvazione comitale ̶ mentre gli edifici sorti sui sedimi erano alienabili in qualsiasi momento e senza necessità di intervento dei domini ̶ , oltre al districtum giudiziario sul territorio del castello, affidato ̶ a eccezione dei reati più gravi ̶ a un consorzio di dodici consoli eletti tra gli stessi milites628. Dei medesimi giorni è un accordo con i rustici e il resto degli homines di Biandrate similare per quanto concerne le funzioni giudiziarie, un po’ più coercitivo nella gestione fondiaria, a causa della conferma di vecchi obblighi prestazionali da aggiungere all’affitto annuo della terra tenuta a censo629. Una così marcata permissività si inquadrava nella strategia signorile a diversi livelli dei conti, in cui possibilità di compartecipazione amministrativa erano previste dove l’obiettivo primario consisteva nella fidelizzazione di schiere guerriere: la crescita demografica che interessò la Biandrina ne fu una naturale conseguenza630. A ciò si aggiunge che, a seguito della suddivisione famigliare, gli stessi milites fedeli dei Pombia e sparsi in tutte le zone ove ormai si era consolidato il loro dominatus loci, potevano giocarsi la leva della

625 ASDN - FF - DCC/Q, n. 56. Pergamena molto rovinata e lacunosa. 626 BSSS. 79, pp. 139-140.

627 G. C. Faccio, M. Ranno, I Biscioni 1/2 (BSSS. 146), Torino, 1939, pp. 120-122.

628 G. Andenna, I conti di Biandrate e le città della Lombardia occidentale (secoli XI e XII), in Formazione e

strutture dei ceti dominanti nel medioevo. Marchesi conti e visconti nel regno Italico (secc. IX-XII), Roma,

1996, pp. 57-84: 62-63.

629 Andenna, Andar per castelli, pp. 165-166. Fu imposto ai rustici anche di ospitare nelle loro dimore i militi inviati dai conti.

147 competizione tra i nuovi lignaggi: erano loro, questa volta, a essere cercati, lusingati e favoriti dai seniores e a essere più che mai artefici del proprio destino.

Non v’era comunque solo il potenziamento e la spartizione locale, i Biandrate ragionavano sempre più in termini sovra-regionali e attraverso la lente dei rapporti feudo- vassallatici sia in qualità di seniores631 sia di vassalli, dal momento che lo strumento politico a loro tanto caro dell’acquisizione di sedi episcopali tramite inserimento di un proprio esponente stava perdendo, nel corso del XII secolo, gran parte della consueta efficacia632; più del controllo su una singola diocesi pagava il vassallaggio a diverse curie diocesane e per i conti ciò era vero nei confronti di Vercelli, Novara, Ivrea e Torino, ma soprattutto dell’arcivescovo milanese, verso il quale i primi approcci si erano già registrati poco dopo la fine degli episcopati novaresi targati “da Pombia”633.

I figli del comes Ottone Guido e Alberto, ormai considerati tra i «grandi ed egregi principi di Lombardia»634, seguirono la fallimentare spedizione in Terrasanta organizzata dall’arcivescovo Anselmo di Bovisio tra 1100 e 1101, in modo tale che anche il figlio di Alberto, Guido detto poi “il Grande”, una delle più straordinarie personalità politiche dell’Italia settentrionale di XII secolo, fosse riconosciuto fin dall’infanzia «naturalis in Mediolano civis» e legato alla città da vincoli militari635.

Guido non si accontentava di Milano: stando al racconto di Ottone di Frisinga, il conte sfruttò la bramosia del capoluogo lombardo per provare a impadronirsi di quella che il cronista definisce «civitas non magna»636 di Novara ̶ dal momento che controllava già quasi interamente il territorio del vecchio comitato plumbiense ed era in rapporto vassallatico con il vescovo novarese ̶ e di Pavia: Galliate, Trecate, Momo, Breclema ed altri fino alla Valsesia erano tutti castelli nelle mani di Guido637. Ma ancora più del rapporto con l’arcivescovo milanese, era fondamentale il vincolo vassallatico diretto con l’imperatore, che gli fruttò negli anni diverse conferme, in particolare il diploma del 20

631 Si costituì una sorta di entourage di stirpi capitaneali: un esempio della seconda metà di XII secolo sono i signori di Mongrando: Barbero, Vassalli vescovili e aristocrazia consolare, pp. 252-253; Andenna, I conti di

Biandrate, p. 77.

632 Andenna, I conti di Biandrate, pp. 59-60.

633 Barbero, Vassalli vescovili e aristocrazia consolare, p. 222.; Supra, p. 27. 634 M. Montanari, op. cit., citaz. da p. 71.

635 G. Andenna, La società lombarda e la prima crociata, in Piacenza e la prima crociata, Reggio Emilia, 1995, pp. 67-88; Id., Andenna, I conti di Biandrate, p. 69.

636 DMGH, Scriptores rerum Germanicarum in usum scholarum separatim editi (SS rer. Germ.), 46: Ottonis et

Rahewini Gesta Friderici I. imperatoris, p. 120.

148 febbraio 1156 con cui il Barbarossa gli attribuiva il salvacondotto in «totum comitatum episcopatus Novarie»638.

Dall’assommarsi dei legami con l’arcivescovo milanese, con il Barbarossa e con la parentela acquisita tramite il matrimonio con una sorella dell’aleramico Guglielmo V marchese del Monferrato che comprendeva gli stessi Staufen e i Savoia639, oltre ovviamente alle indubbie qualità personali, Guido traeva l’eccezionale prestigio che lo circondava; ma nella molteplicità di sbocchi, retaggio antichissimo della politica dei Pombia portato al massimo grado dal conte, questa volta le vicende della storia posero una contraddizione insanabile: la rotta di collisione tra Milano e l’Impero, da tempo innescata, costrinse Guido a schierarsi contro la propria città natale, per quanto tentasse ove possibile mediazioni tra le parti in causa che non mettessero a repentaglio la propria posizione politica640. Tuttavia, negli ultimi anni di vita la rottura fu definitiva e, dopo l’iniziale sconfitta milanese, a pagarne le conseguenze fu la sua discendenza: l’istituzione della lega lombarda e l’alleanza anti-comitale di tutte le principali città a cui i Biandrate avevano legato, in momenti diversi, le proprie sorti ̶ Novara, Vercelli, Milano ̶ portarono all’assedio e alla distruzione del castrum di Biandrate nel marzo 1168 e al rovesciamento di tali sorti, tant’è che dieci anni dopo, conclusa la pace di Venezia, i conti «furono costretti a sottomettersi alle varie città su cui Guido aveva tentato di imporsi»641. Incapaci di ricostituire il vasto “esercito” di cavalieri legato al castello avito e persa gran parte della rete vassallatica, i conti di Biandrate non riuscirono più ad arginare l’aggressivo

638 DMGH, DD Ko III, n. 51, pp. 85-87, datato ottobre 1140 ̶ anche se sul diploma sussistono molti dubbi: S. Boesch Gajano, Biandrate, Guido di, in DBI, 10, Roma 1968 (consultato online) ̶ , con la conferma, tra gli altri, delle località e dei castelli di Biandrate, Olengo, Cameri, Cavagliano, Oleggio, Mezzomerico, Revislate, Agrate, Briga, Cureggio, Cavaglio, Briona, Proh, Sizzano, Roccapietra, Seso, Casanova, Lenta, Carpignano, la riva del Ticino da Sesto Calende a Cerano, il comitato dell’Ossola ecc; DD F I, n. 36, pp. 60-62, datato ottobre 1152 con conferma dei beni e poche aggiunte, tra cui regalie e prestazioni fiscali come il fodrum e n. 134, pp. 225-226, datato 20 febbraio 1156. Vd. Andenna, I conti di Biandrate, p. 70.

639 Cfr. Andenna, I conti di Biandrate, pp. 66-67; A. Settia, Ranieri, marchese di Monferrato in DBI, 86, Roma, 2016 (consultato online); Id. Guglielmo V, detto il Vecchio, marchese di Monferrato, in DBI, 60, Roma, 2003 (consultato online). Ranieri marchese del Monferrato aveva sposato Gisla di Borgogna, sorella di papa Callisto II e già vedova di Umberto II di Savoia da cui aveva avuto Amedeo III ̶ primo della dinastia a usare i titoli «comes de Savoya», «Marchio in Ytalia» e «comes Taurinensis» e ad avvicinarsi concretamente al territorio della vecchia Marca arduinica della bisnonna Adelaide di Susa figlia di Ulrico Manfredi II: G. Sergi,

Potere e territorio lungo la strada di Francia. Da Chambéry a Torino fra X e XIII secolo, Napoli, 1981, pp. 144-

152 ̶ e Adelaide poi sposa del re di Francia Luigi VI. Il figlio di Ranieri Guglielmo V ̶ da alcuni, tra cui Andenna, detto III ̶ fu quindi nipote di un papa, fratello uterino di Amedeo III e cognato del re di Francia, ma avendo sposato la sorella dei duchi di Svevia Corrado III futuro imperatore e Federico II padre del Barbarossa, fu anche zio di quest’ultimo. Dunque Guido di Biandrate, in quanto cognato di Guglielmo, si imparentò indirettamente anche con l’imperatore di cui era dilectus.

640 Andenna, I conti di Biandrate, pp. 71-72, 75-76. 641 Ivi, p. 78-79, citaz. da p. 79.

149 espansionismo delle intraprendenti realtà comunali piemontesi642: all’apice della loro grandezza, avevano paradossalmente innescato il meccanismo di segno opposto con la scelta di vincolarsi, tra i molti circuiti di fedeltà in cui erano inseriti, al soggetto politico più potente.

Non resta ora che fornire un breve ritratto dell’ultimo dei lignaggi emerso dalla separazione avvenuta nel terzo quarto dell’XI secolo: i “da Castello”. Sono la famiglia su cui meno ci si è concentrati fino ad ora, ed è abbastanza sorprendente dal momento che assunsero il nome famigliare proprio dal mantenimento dei beni immobili nella vecchia sede distrettuale643, unico ramo a farlo forse fin dai tempi di Adalberto comes, primo «qui dicitur de castello»644: ma, dopotutto, Pombia è sempre rimasta nell’ombra, come da tradizione dei capoluoghi amministrativi castrensi.

Inoltre, la famiglia sembra mantenere il rango comitale soltanto nei diplomi regi ̶ forse un calco della condizione passata o di quella contemporanea dei cugini ̶ , mentre nelle carte private ̶ solitamente più generose nell’attribuzione di titoli aggiuntivi645 ̶ non vengono più citati con la consueta carica, e si reinventano nella dignità capitaneale all’interno della feudalità ecclesiastica, come i domini di Crusinallo a cui erano imparentati: allo stesso modo dei cugini di Biandrate, inoltre, le fedeltà vassallatiche erano rivolte a molteplici episcopati, dal momento che a Novara si aggiungevano Vercelli e Pavia646. La decadenza di Pombia come centro circoscrizionale doveva aver influito sulla dequalificazione nella titolatura di una famiglia che restava comunque piuttosto potente. Per quanto riguarda la sfera di influenza, il diploma del 30 luglio 1152 del Barbarossa per Manfredo, Cavalcasella, Ardizzone figlio di Guglielmo e Crollamonte figlio di Guido «comites de Castello» è piuttosto esplicito nell’indicare l’area più classica del radicamento signorile dei Pombia, ovvero l’alto Novarese e l’Ossola647: vengono confermati, tra gli altri,

642 Queste, memori della potenza e dell’indirizzo politico dei conti di Biandrate, per quanto fossero in competizione tra loro, mantennero un antagonismo congiunto nei confronti del capoluogo della Biandrina, costringendo i conti alla sola opzione del cittadinatico, come si vede dalla pace di Casalino del 1194 tra Novara e Vercelli: BSSS. 124, pp. 36-40.

643 Andenna, Andar per castelli, p. 350.

644 G. Andenna, L’“ordo” feudale dei “capitanei”, p. 100.

645 G. Sergi, Castello, da, in DBI, 21, Roma, 1978 (consultato online). Al contrario una diminutio volontaria sarebbe evento davvero strano che farebbe pensare a una sorta di “effetto Dunning-Kruger” vissuto dalla famiglia o, più probabilmente, a motivazioni politico-documentarie che ci sfuggono.

646 Cfr. G. Andenna, L’“ordo” feudale dei “capitanei”, p. 121, pp. 125-127; Sergi, I confini del potere, p. 373;