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Lumellogno nel XII secolo: verso il dominato

Capitolo 1: All’ombra di Sant’Agabio

1.2.4. Lumellogno nel XII secolo: verso il dominato

Dopo un solo anno dalla vendita dei diritti spettanti a Cavalli Regis, la Chiesa novarese ottenne la conferma imperiale del teloneo ̶ questa volta intero ̶ sulla villa di Lumellogno372, mentre il districtum fu completato dai canonici proprio sotto l’episcopato di Walberto di Pombia, fratello di Riccardo, quando questi concesse loro i propri diritti su di esso373: essendo imparentato con il venditore del distretto dipendente da Cavalli Regis ed essendo allo stesso tempo il successore nella carica dell’acquirente, Walberto

369 ASDN - FF - DCC/A, n. 8; Motta, op. cit., p. 235.

370 ASDN - Archivio Capitolare (AC) - Ministreria del Foglio, Carte Antiche, n. 1. Il documento purtroppo è lacero e in alcuni punti illeggibile. Il problema principale dell’identificazione sorge dal fatto che la corticella è detta «infra civitate novaria», tuttavia il discorso di M. Motta sul valore di «infra» nelle carte novaresi a cui rimando nella nota precedente può venire in soccorso.

371 Una carta molto interessante del capitolo di Gozzano, su cui si dovrà tornare a pp. 217-218, registra una vendita di Walberto, prete della chiesa di San Giuliano di Gozzano, del fu Walberto detto Wazo di Agrate a Giovanni prete del fu Stefano di Masserano (nel biellese) dell’alpe detta «rodunda» in Val Mastallone presso Varallo, per un totale di 300 iugeri in cambio di quindici lire; tra le confinanze, accanto a terra di San Giulio d’Orta si trovano anche possessi di Riccardo e Waldrada: M. Boni, Le carte del capitolo di Gozzano:

1002-1300 (BSSS. 77/3), Pinerolo, 1916, n. 2, pp. 10-12.

372 DMGH, DD H II, n. 306, p. 384.

373 BSSS. 79, p. 9. Si tratta di un transunto segnalato dal Gabotto in relazione al documento n. 182 del 1039 in cui Walberto restituiva ai canonici di San Giulio d’Orta le curtes di Agrate (presso Pombia) e Barazzola, le quali erano state per la prima volta donate il 29 luglio 962 da Ottone I quando questi aveva restituito l’isola alla Chiesa novarese in conseguenza dell’assedio e della sconfitta di Berengario II (BSSS. 78, n. 54, pp. 79- 81): il problema è che, per quanto interessanti siano le informazioni trasmesseci dal transunto ̶ come quella sul districtum di Lumellogno ̶ , esso non ha nulla a che vedere con il documento a cui il Gabotto lo collega. Pertanto non si può avere la certezza che anch’esso si riferisca ad azioni datate al 1039, seppure i termini dell’episcopato di Walberto lo rendano per forza di cose sincrono o quasi.

85 coniugava le due anime dell’atto giuridico del 1013, e ciò rende difficile stabilire se il distretto in questione fosse la stessa parte di cui era entrato in possesso il vescovo Pietro oppure una rimanenza delle prerogative in loco dei conti di Pombia. Certo, poiché due giorni dopo l’acquisto il vescovo Pietro aveva donato teloneo e distretto ai canonici e nel transunto non viene utilizzare il verbo “restituire” ma quello “concedere”, si potrebbe essere tentati di valorizzare la seconda ipotesi374 e pensare quindi che i conti di Pombia non avessero ancora allentato del tutto la loro presa su Lumellogno ai tempi di re Arduino, ma l’instabile terminologia giuridica altomedievale non è prova su cui fare eccessivo affidamento: e, d’altronde, l’ambiguità interpretativa è perfettamente in linea con l’atmosfera che, a posteriori, riusciamo a cogliere dell’episcopato di Walberto, specialmente se si considerano i quasi coevi diplomi delle “confische” come quello del 10 giugno 1025375.

Comunque sia, di pari passo con i diritti signorili, l’accrescimento fondiario dei canonici proseguiva spedito a Lumellogno, riempiendo i vuoti della vecchia curtis sparsa carolingia: ciò permetteva la costituzione di benefici grazie a cui ampliare le clientele armate dell’episcopio376, le quali non sempre seguivano come marionette le strategie del capitolo, ma erano anche in grado di instaurare una dialettica conflittuale, provando ad arrogarsi in via definitiva i diritti di cui erano beneficiari.

Questo avvenne soprattutto per i milites più importanti, nonostante ̶ o proprio perché ̶ talvolta fossero legati da stretti vincoli parentali con gli stessi canonici: è il caso di Walfredo, proveniente dalla famiglia dell’arcidiacono Bruningo, che cercò senza successo di ampliare il proprio beneficio a un bosco detto «meleto» pertinente alla curtis di Lumellogno377, venendo costretto il 2 novembre 1017 a fare «refutationem» davanti ai canonici capeggiati dallo stesso Bruningo ora visdomino del vescovo, come ci racconta il breve378 che fornisce un’altra istantanea della composizione di parte del capitolo. La presenza dei milites dotati di beneficio, rischiosi per via delle fondate o pretese

374 Di questo avviso anche Andenna, Formazione, strutture e processi, p. 135. In tal modo verrebbe smentita l’allegazione del causidico dei canonici di Santa Maria per un processo del 1202 concernente il possesso dell’honor e districtus su Lumellogno. In esso si suggeriva come, già con la donazione del vescovo Pietro del 1013, la canonica fosse entrata in possesso dell’intero distretto e questo perché il vescovo era allora conte su tutta la diocesi: BSSS. 80, pp. 296-299. Naturalmente, sappiamo bene che l’affermazione sulle prerogative vescovili a quell’altezza cronologica non ha fondamento.

375 Supra, p. 25.

376 Andenna, Andar per castelli, p. 116.

377 Keller, Signori e vassalli, pp. 225-227; Andenna, Andar per castelli, p. 116. 378 ASDN - FF - DCC/J, n. 8.

86 rivendicazioni che potevano addurre, fu estirpata a metà del XII secolo, quando la signoria territoriale divenne a tutti gli effetti incontestabile grazie ai privilegi papali di Innocenzo II379 ed Eugenio III380: a questa altezza cronologica si situano retrocessioni di feudi rimborsate dal capitolo o dal vescovo di comune accordo coi canonici381.

L’obiettivo, coltivato da lungo tempo e per i primi secoli perseguito solo in ambito fondiario, era il controllo totale del territorio periurbano di Lumellogno, con poteri fiscali e giurisdizionali sugli abitanti, livellati alla condizione di rustici costretti a giurare il «salvamentum loci»382: un classico esempio di dominato ecclesiastico. L’interesse così vivo e pressante, accelerato alla giusta maturazione dei tempi dopo una lunga e paziente accumulazione, ben si inquadrava nella strategia economica del capitolo novarese variabile a seconda della morfologia del luogo, della tipologia di produzione del surplus e della previsione di rendita: mentre per luoghi come Pagliate, si è visto, si mantenne un interesse scostante e intermittente di natura prevalentemente fondiaria, dove invece la produzione cerealicola e vitivinicola dava adito a prelievi decimali e poi signorili più consistenti, come a Lumellogno, si cercò l’iter più rapido possibile per estendere la soggezione e soffocare ogni spazio di libera attività politica, almeno fino a metà Duecento383: la nomina di un gastaldo e il controllo delle elezioni dei consoli nel nascente piccolo comune erano da leggere proprio in tal senso384.

Questo andamento, tuttavia, non fu accettato senza colpo ferire da chiunque: cives novaresi detenevano in libertà terre affittate a massari, e un controllo giurisdizionale compatto dell’areale di Lumellogno sarebbe stata una catastrofe economica per chi aveva investito molto in loco. Sorsero così tre grandi controversie, la prima delle quali immediatamente successiva alla seconda bolla papale di conferma del distretto: in essa, i fratelli della famiglia ̶ forse proprio originari di Novara ̶ “da Lumellogno”, Lanfranco e Ugo Migacia, contestavano la districtio canonicale su tutto il territorio di Lumellogno, in particolare sui loro beni nel caso in cui avessero trasferito la residenza nel vico; il vescovo sostenne le ragioni del capitolo e ribadì nella sentenza l’integrità del dominato locale385. La conseguenza per i domini da Lumellogno nelle generazioni successive fu che alcuni di

379 BSSS. 79, n. 319, pp. 209-211, con datazione errata 1133, anziché 1132. 380 BSSS. 79, n. 332, pp. 227-228, datato 15 luglio 1148.

381 Andenna, Formazione, strutture, processi, p. 137. 382 Ivi, pp. 138-142.

383 G. Andenna, Dal regime curtense al regime signorile e feudale, p. 250. 384 Andenna, Formazione, strutture, processi, p. 142.

87 loro, perso il controllo giuridico su rustici e massari, preferirono tagliare di netto i ponti, alienando ai canonici tutti i loro allodi nell’area386.

Con il secondo e terzo processo, si affrontarono rispettivamente le questioni della superiorità dell’autorità territoriale di banno posseduta dai canonici rispetto a quella semplicemente fondiaria tra padroni e lavoratori sottoposti e dell’origine della iurisdictio capitolare, dal momento che il banno legato al publicum non poteva avere origine privatistica come invece era questo il caso387; l’approvazione del districtum, in effetti, era avvenuta fino a quel momento solo mediante documenti papali, mancava una legittimazione pubblica laica: da qui l’artificio del causidico di evocare ipotetici poteri comitali del vescovo mantenuti sin dall’epoca della vendita di Riccardo e Waldrada.

Il radicamento precoce e ininterrotto della canonica su Lumellogno mostrato dai

munimina confluiti nei fondi archivistici del capitolo restituisce un’immagine quasi

antitetica della situazione di Pagliate, dove in teoria vi sarebbe stato un altrettanto ampio spazio d’azione per l’ente ecclesiastico: tale scarto di interesse e potenzialità è in linea con la possibile, originaria appartenenza della curtis di Lumellogno al circuito redistributivo della corona in epoca carolingia. Comunque sia, le due diverse situazioni costituiscono un esempio particolarmente efficace di come la condivisione di un medesimo ambiente potesse comunque condurre a esigenze e risposte contrapposte: ciò ha reso i due “case studies” perfetti per un capitolo bivalve impostato sul confronto.

386 BSSS. 80, n. 461-465, pp. 1-7.

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