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Capitolo 2: Terre di “frontiera”

2.1.2. Il diploma ritrovato

Anche per un’epoca come l’alto Medioevo, in cui escludendo la produzione ecclesiastica la scrittura era incorsa in una forte svalutazione del proprio ruolo e che non può certo competere con i periodi più tardi o anche con alcuni precedenti per quantità di testimonianze lasciate ai posteri, bisogna comunque immaginare che i residui documentari giunti sino a noi non siano altro che la leggera increspatura generata sulla superficie dell’acqua dal passaggio di un mastodontico leviatano nelle profondità marine: molto è andato perso, moltissimo è e sarà per sempre irrecuperabile.

Eppure, talvolta avvengono riscoperte impronosticabili che aiutano a sciogliere “impasse” scientifiche, o concorrono a crearne di nuove. È ciò che è successo con il diploma D O. I. 371, prisma insostituibile per valutare gruppi eminenti e sfumature sociali della Bulgaria di X secolo e il loro legame con il Piemonte orientale e altre aree dell’Italia padana.

100 La tradizione editoriale di questo documento non tramandava né l’originale né copie manoscritte coeve o di qualche secolo successivo. Quando Emil von Ottenthal fu incaricato da Theodor von Sickel di allestire l’edizione del diploma per i Monumenta Germaniae Historica437, trovò come base documentaria soltanto due copie a stampa tratte da opere di eruditi: quella del monaco cistercense Ferdinando Ughelli, noto interpolatore di antigrafi che dichiarava di pubblicare una copia presente in un manoscritto della Biblioteca Vaticana in realtà irrintracciabile, e il frate minore Ireneo Affò, che sosteneva di aver potuto consultare l’originale nell’archivio vescovile di Parma, al tempo dell’edizione tedesca però deperdito438; a questi si aggiungeva l’edizione BSSS del Gabotto, che indicava di seguire il modello dell’Affò ̶ già preferito dall’Ottenthal ̶ e di una copia di XIX secolo conservata nell’archivio novarese439.

Tuttavia l’originale, come anticipato, fu sorprendentemente ritrovato intorno al 1925, nientedimeno che a San Pietroburgo all’Accademia Russa delle Scienze dell’Unione Sovietica. Sergej Anninskij, a cui si deve la prima edizione critica del testo originale, non fu in grado di trovare altre informazioni sullo strano percorso intrapreso dal documento, se non la certezza che nella precedente registrazione dei documenti dell’Accademia, avvenuta a fine XIX secolo, il diploma non fosse censito440. Dal momento che Affò dichiarava di leggere l’originale a Parma nel 1792, vi era una finestra temporale possibile per il viaggio in Russia ̶ diretto o con tappe intermedie ̶ di circa un secolo.

Disponendo ora del diploma originale, si possono valutare facilmente gli errori di copia dei testimoni e provare a chiarire i molti interrogativi storici che il documento pone o rivalutare precedenti interpretazioni. Sorprendentemente, malgrado il ritrovamento non rimase a lungo ignoto, la medievistica tedesca e quella italiana hanno ignorato la prima edizione critica dell’originale, a differenza di quanto ad esempio accaduto per un gruppo di carte cremonesi conservate nel medesimo fondo sovietico441: la recentissima edizione di Antonella Ghignoli, sulla quale qui ci si baserà, risulta essere solamente la

437 DMGH, DD O I, n. 371, pp. 508-510.

438 A. Ghignoli, Tradizione e critica del testo, una variante documentaria: il diploma di Ottone I per il fedele

Ingo (D O. I. 371), in Sit liber gratus, quem servulus est operatus. Studi in onore di Alessandro Pratesi per il suo 90° compleanno, Città del Vaticano, 2012, pp. 231-247: 234-235.

439 BSSS. 78, n. 65, pp. 102-104.

440 Ghignoli, op. cit., p. 237. La prima edizione dell’originale è: S. A. Anninskij, Diplom Ottona I v Kollekcij

Akademii nauk USSR, in Vspomogatel’nye Istoričeskie Diszipliny. Sbornik Statej, Mosca-San Pietroburgo,

1937, pp. 141-160.

101 seconda a quasi un secolo dalla riscoperta442. Veniamo quindi all’analisi del contenuto e al gran numero di “finestre” socio-politiche che aprirà.

Il 18 (o 15) aprile 969, a Cassano in Calabria, dove si trovava per una campagna anti- bizantina, Ottone I, su intercessione di Uberto vescovo di Parma e arcicancelliere, confermò a Ingone «nostro dilecto fideli» e ai suoi figli Uberto, Ribaldo e Oberto/Obberto i possessi «infra regnum Italicum», suddivisi in un gran numero di comitati elencati in quest’ordine: Bulgaria, Lomello, Pombia443, Milano, Ivrea444, Pavia, Piacenza, Parma. Di questi possessi, che vennero dotati di immunità, ve ne sono alcuni poi esplicitati in quanto nucleo fondante del patrimonio famigliare: «cortem scilicet de Bercleto, cortem de Ceretano, cortem de Villanova cum castro super se habente, cortem de Gravalona cum castro Cassiolo et Treblado, cortem de Marinasco, cortem de Neutri445 cum castro Vicogiboin, et villam Sazago, seu infra civitatem Novariensem | cortem de Veratelmi446 cum castro super se habente, et in Parmense cortem de Tortoliano simul cum castro, cortem de Staderiano cum castro et vico Ferdulfi cum castro necnon ceteras res et praedia, que infra praetaxatos comitatus adiacent cum omnibus adiacentiis et pertinentiis suis»447.

È chiaro che se recuperiamo la proposta di comitato bulgariense incentrato sull’area Gravellona-Vigevano, questa lista assume un significato notevole: a partire da Bercledo, erroneamente considerato in un primo momento Berceto nel parmense e invece prossimo a Vigevano448, poi Cerano, Villanova, Gravellona Lomellina, Cassolnovo, Vigevano, Sozzago e forse anche le non meglio identificate località Treblado, Marinasco, Neutri distano tra loro un massimo di 25 chilometri. Si trattava di un vero e proprio

442 Ivi, pp. 245-247.

443 Il comune «plumbiensi», mal interpretato addirittura in Piombino da G. Campagna in Vassalli, famiglie e

poteri a Parma e nel territorio (secoli X-XII), Università di Milano, 2013, p. 205. Nella stessa pagina indica la

Bulgaria come comitato di Bulgaro/Borgovercelli. 444 Non certo Invorio: supra, p. 34.

445 Cfr. «Neura» nell’edizione BSSS, «Neviri» in quella MGH. Mentre alcuni presero spunto per vedere in «Neura» una variante di «veura», spesso indicata come il borgo Veveri nella zona nord-orientale di Novara, A. Colombo, partendo dall’edizione del Gabotto, ipotizzò lo scambio di lettere “n” e “v” per costruire, ancora una volta, un’etimologia attorno a Venticolonne: «venco» come base di «vencolumne».

446 Cfr. «Veratelino» nell’edizione BSSS, «Verictelim» in quella MGH. È importante segnalarlo perché risulterà una differenza di non poco conto rispetto all’originale.

447 Ghignoli, op. cit., p. 246. «Nove complessi curtensi, sette castelli e tre villaggi»: Andenna, Andar per

castelli, p. 76.

448 Più precisamente tra Vigevano e Gambolò, nella frazione Sforzesca: Andenna, Andar per castelli, pp. 113- 114. Ancora oggi a tre chilometri da questa frazione vigevanese ve ne è un’altra di Gambolò detta Belcreda, dove tra le altre cose sono state rinvenute recentemente sepolture longobarde. La curtis di Bercledo si trovava perciò con ottimo margine di probabilità o in una di queste due località o a metà strada tra di esse.

102 potentato immunitario “ingonide” nella Bulgaria di X secolo, con numerosi castelli molto vicini tra loro a dare seguito, almeno a questa altezza cronologica, alla tradizionale immagine di un comitato castrense con funzioni prevalentemente difensive449.

La raccolta di carte dell’archivio capitolare novarese permette di seguire un nucleo famigliare ingonide nel corso di oltre mezzo secolo, pur suscitando alcune perplessità dal punto di vista genealogico e dei rapporti istituzionali. È necessario procedere con una dettagliata rassegna.

La comparsa documentale di tale gruppo longobardo avviene con l’ennesimo affrancamento di un servo, in questo caso inserito anche nella carriera ecclesiastica: nel marzo 939, i fratelli Alberico ̶ che si segnalava per una buona capacità scrittoria ̶ e Ingone «filii bone memorie» di Uberto di Gravellona resero il chierico Giovanni «liberum et absolutum ab homni vinculum vel iugum servitutis pro mercedem et remedium anime nostre fulfreal et amundo» dotandolo del consueto peculium presso il «quadrubio» di Novara450, atto simbolico prescritto da un editto di re Liutprando per lasciare all’uomo appena liberato facoltà di scelta su quale delle quattro direzioni imboccare451.

Non è l’unica attestazione dei due fratelli, anche se enumerarle con precisione si rivelerà un compito più complesso e ambiguo del previsto. Ingone del fu Uberto di Gravellona, dopo aver già effettuato la manomissione a Novara, emerge nuovamente come figura di spessore non soltanto tra Bulgaria e Vigevanasco ma anche nel cuore del territorio novarese: sottoscrisse, infatti, la cospicua vendita di Ildegarda di Goffredo «de loco asingo»452 a Pagliate e, tre anni dopo (febbraio 949), una permuta del vescovo Rodolfo con un salico di Proh ̶ dieci chilometri a ovest di Caltignaga ̶ rogata nella domus episcopale, dove intervenne anche un suo vassallo di nome Adelberto453: tra vassalli e figure ecclesiastiche di natali servili, perciò, la figura di Ingone si dimostra attrattiva per un variegato pulviscolo sociale. Quanto ad Alberico, non si hanno informazioni altrettanto esplicite riguardo a suoi altri interventi, ma ciò può essere dovuto sia all’opacità onomastica e terminologica che ruota intorno a microcosmi socio-famigliari come questo e sulla quale ci si concentrerà a breve, sia alla diversa natura delle fonti cui fanno

449 La Bulgaria non risulta quindi adatta alla proposizione ̶ probabilmente valida per altre aree ̶ secondo cui «l’esistenza di più castelli in un breve spazio diventa superflua e uno di essi può essere condannato all’abbandono»: Settia, Castelli e villaggi, p. 294.

450 Supra, p. 57.

451 ASDN - FF - DCC/Q, n. 5. 452 Supra, pp. 38-39. 453 ASDN - FF - DCC/L, n. 3.

103 riferimento le possibili nuove manifestazioni del soggetto. Un Alberico compare, infatti, tra gli astanti del fondamentale placito di Mosezzo del settembre 962, ma forse si è in grado di ricostruire un collegamento anteriore e di ancor maggior prestigio454.

A tal proposito, il placito e ostensio chartae pavese del 13 aprile 945 fu il primo atto pubblico a sancire il ritorno in grande stile di Berengario II dopo il “colpo di stato” di Pasqua ai danni di re Ugo: si trattava della ricompensa di un fedele vassallo del marchio con la curtis di Wilzacara «comitatu mutinensi» ̶ un tempo appartenente al fisco regio e situata presso l’odierno San Cesario sul Panaro ̶ per aver difeso dall’ultimo assedio di Ugo il vescovo Guido di Modena ̶ deus ex machina del rinnovato appoggio dei grandi del regno alla causa anscarica. Vi parteciparono le figure politiche più eminenti di quel determinato spaziotempo, tra cui gli homines novi iniziatori delle grandi dinastie ̶ Aleramo, Oberto, Arduino comites ̶ e parenti dei protagonisti del placito di Mosezzo: si parla quindi di quadri di altissima politica regionale e internazionale455. Si possono trarre informazioni altrettanto interessanti anche dai partecipanti di un livello appena inferiore: compaiono infatti un Ingone probabilmente456 di Casterno (a circa 25 chilometri da Gravellona e Vigevano) e soprattutto un Alberico «filius quondam Uberti de loco ubi Valle Ratelmi dicitur»457.

Va qui aperta un’importante parentesi: infatti, leggendo il diploma “riassuntivo” del patrimonio del fidelis imperiale Ingone, il passo «seu infra civitatem Novariensem | cortem de Veratelmi cum castro super se habente» è stato oggetto di grande dibattito, ancor di più in passato dove, in assenza dell’autografo e di edizioni critiche relative si

454 Supra, p. 40; infra, p. 183. In documenti pubblici di questo tipo, di rado vengono fornite informazioni parentali su astanti e testimoni, anche in casi di altissimo lignaggio: le specificazioni sono limitate ad autori e destinatari, salvo eccezioni.

455 Manaresi, I placiti del Regnum Italiae, I, n. 144, pp. 551-557, in particolare p. 552 Infra, cap. 3, paragrafo 3.1.1. Il ritorno di Berengario è descritto da Liutprando: Antapodosis, ed. P. Chiesa, pp. 350-353. Sui protagonisti e l’oggetto dell’azione giuridica in sé: Vignodelli, Prima di Leone, p. 64; Id., Il filo a piombo, pp. 133-134 e p. 291. Il vescovo Guido in particolare potrebbe essere il destinatario del Perpendiculum di Attone da Vercell.

456 Prima di Alberico e subito dopo la lista di «notarii sacri palacii», vi è una riga intermedia che elenca: «Teudaldus, Ingo et Amelbertus, Adelberius, Aldo germanis de loco Casterno». Difficile dire se sono davvero tutti fratelli o solo gli ultimi e la congiunzione «et» si presta a equivoci per quanto riguarda Ingone. Sarebbe, nel caso, un altro gruppo riconducibile all’antroponimo Ingone in area lombarda occidentale, e già un terzo è stato individuato a Trivolzio, al confine tra comitato pavese e bulgariense: C. Violante, La società milanese

nell’età precomunale, Bari, 1953, pp. 154-159.

457 Poiché dalle sfumature linguistiche dipende molto della comprensione storica a questa altezza cronologica, l’accostamento agli Ingonidi di tale figura potrebbe essere compromesso nel caso in cui l’indicazione «ex genere Francorum», indicata in fondo alla lista di nominativi, si riferisse a tutti quanti i precedenti e non soltanto all’ultimo, «Aldulfus», il quale a onor del vero è anticipato dalla congiunzione disgiuntiva «seu»: la professio legis della famiglia era, infatti, longobarda.

104 leggeva «veratelino» o «verictelim», omettendo la barra verticale indicante l’accapo dell’originale. Ciò per lungo tempo ha fatto pensare al possesso da parte di Ingone, il quale come si è visto e si vedrà ancora meglio a breve era molto inserito nel contesto sociale novarese, di una curtis cum castro interna alla città, un prestigio noto ad esempio per i conti di Pombia458. Dall’originale, però, si è avuta conferma che la dicitura corretta è «veratelmi», davvero simile al «valle ratelmi» del placito pavese del 945, di cui pare essere una crasi. «Valle Ratelmi» o «Veratelmi», in effetti, risulta in un inventario di fine X secolo tra i possessi dell’abbazia nonantolana459 e passato nel XII secolo al monastero pavese di San Pietro in Ciel d’Oro, elencato negli estimi tra Canevino e Volpara: si trovava quindi nella pieve di Stadera ̶ dov’era presente la curtis omonima del diploma, nonché la chiesa di S. Damiano «de Veratelmo» ̶ presso l’alta val Tidone, vicino a Nibbiano e Trebecco460. Insomma, al confine tra Pavia e Piacenza, luoghi che meglio si legano al territorio e ai personaggi presi in considerazione nel placito del 945, ma che nello stesso tempo non si allontanano per nulla dalle sfere di influenza emerse dal diploma del 969, dove i comitati di Pavia, Piacenza e Parma sono assolutamente presenti.

La definizione dell’ubicazione di «veratelmo» permette di meglio inquadrare la logica classificatoria del diploma, dal momento che vengono presentati i possessi principali seguendo l’ordine superiore dei comitati elencati, ove questi comitati ne contengano: il nucleo centrale e probabilmente originario è la Bulgaria, a cui seguono possessi nel comitato di Pombia, dove l’interesse per il Novarese era certamente elevato, e si arriva al secondo polo di radicamento, ovvero Piacentino e Parmense. Per quanto riguarda l’«infra

458 Cfr. Andenna, Per un censimento dei castelli, p. 314; Andenna, Andar per castelli, p. 77, dove sembra identificarlo in resti di muratura altomedievale sopra a quelli delle mura di cinta romane; Motta, op. cit., pp. 234-237: è proprio da qui che parte il discorso su «infra» nelle carte novaresi, in questo caso con la quasi certezza che «infra civitatem» indicasse una curtis cittadina. L’autrice prova quindi a localizzarla nell’assetto topografico novarese, escludendo il «castellum canonicorum» citato durante il XIII secolo, e tenta di ampliare, con molta prudenza, la proposta di G. Andenna; alla nota 228 presenta altri esempi, oltre a quello citato dei conti di Pombia, di corti private cittadine a Novara. Per la curtis cittadina dei “da Pombia” vd.

supra, pp. 83-84.

459 «In valle ratelmi curte I, quam petrus episcopus per libellum detinet, unde exeunt solidos VI», riferendosi probabilmente al vescovo pavese Pietro III: G. Tiraboschi, Storia dell’augusta badia di S. Silvestro di

Nonantola opera, 2, Modena, 1785, p. 128.

460 A. Settia, Il distretto pavese nell’età comunale: la creazione di un territorio, in Storia di Pavia III: Dal libero

comune alla fine del principato indipendente 1024-1535. 1: Società, istituzioni, religione nelle età del Comune e della Signoria, Pavia, 1992, pp. 117-171: 139-140. Che «Valle Ratelmi» indicasse proprio il nome

dell’intera valle all’epoca? In ogni caso, ancora l’11 febbraio 1159 il Barbarossa confermava al monastero pavese di S. Pietro in Ciel d’Oro beni «in verratelmo» prossimi al castello di Nebbiolo nella valle Schizzola (Oltrepò Pavese) e alla val Trebbia, entrambe confinanti alle valli Staffora e Tidone: DMGH, DD F I, n. 258, p. 60.

105 civitatem Novariensem»461, più che immaginare delle pertinenze della villa di Sozzago interne a Novara462, si può semplicemente presumere che ci si riferisse alle «omnes res» indicate all’inizio del lungo periodo descrittivo del diploma, beni non specificati probabilmente corrispondenti a edifici residenziali, come il sempre maggior inserimento degli Ingonidi nella curia vassallatica del vescovo Aupaldo induce a supporre.

Passando alle attestazioni relative alla seconda metà del X secolo, è dell’agosto 951 una permuta del vescovo Rodolfo con Amalberto prete e decano della chiesa di San Gaudenzio per beni a Novara e Cameri che suggerisce come per quanto riguarda gli Ingonidi si sia di fronte a più linee agnatizie tra loro articolate, anche se ricostruire in che modo e secondo quali criteri patrimoniali risulterà più insidioso del previsto: nelle sottoscrizioni, infatti, compaiono contemporaneamente un Ingone del fu Uberto/Auberto e un Uberto del fu Ratchis di Bercledo463.

Subito dopo il diploma al fidelis Ingone che aveva seguito l’imperatore nella campagna bellica in Italia meridionale, il 2 settembre 969 il vescovo Aupaldo permutò a Novara con il suddiacono Teuperto figlio di Rastaldo di Casaleggio per terra ivi locata e a sottoscrivere comparvero assieme Ingone e Oberto (Odberto)464 padre e figlio, detti esplicitamente di Novara e vassalli del vescovo465.

Nel maggio del 973466, alla permuta rogata a Novara di Aupaldo con il diacono bulgariense Aifredo (Agifredo) del fu Pietro di Cassiolo (Cassolnovo) per beni a Novara e Romentino ̶ altro paese al confine tra comitati di Pombia e Bulgaria ̶ , partecipò Ingone di Bercledo «filius bone memorie» Uberto sempre come vassallo del dominus Aupaldo; due mesi più tardi, Aupaldo diede a livello a un cives novarese un prato in Sant’Agabio e ancora sottoscrisse Ingone di Novara del fu Uberto467.

Nuovi protagonisti emergono nel documento successivo, del settembre 975468: il vescovo Aupaldo permutò con Arderico di Novara «filius bone memorie» di Anselmo469 di

461 Nonostante «Neutri» non sia stato identificato, la difformità rispetto a «neura»/«veura» rende improponibile immaginare una curtis a Veveri da cui avrebbe dovuto dipendere il castrum di Vigevano, secondo l’ipotesi del Cavanna funzionale a sostenere l’appartenenza di Novara al comitato bulgariense. 462 Settia, Gariardo “de castro fontaneto”, p. 19.

463 BSSS. 77/2, n. 4, pp. 5-7.

464 Le varianti grafiche in questo specifico caso potrebbero dimostrarsi rilevanti al fine delle identificazioni. 465 ASDN - FF - DCC/A, n. 13.

466 BSSS. 77/2, n. 6, pp. 7-9.

467 ASDN - FF - DCC/A, n. 15, datato luglio 973. 468 ASDN - FF - DCC/L, n. 10.

106 Milano, il quale si distingueva per un’ottima capacità scrittoria come già si nota nelle sottoscrizioni della carta del 2 settembre 969 dove per la prima volta era comparso. Arderico ottenne una pecia di terra in iure della basilica pievana di Santa Maria costruita «infra castro gravelona», la quale era «sub regimine et potestate» dell’episcopio novarese. La pecia si trovava «in loco et fundo gravelona et reiacet prope castro ipsius arderici commutatore», lasciando anche qui intendere la vicinanza di due diversi castelli e indicando la confinanza a settentrione con un Ingone; in cambio, Aupaldo riceveva da Arderico un prato con «buscalia superabente» presso un ontaneto a Gravellona, sempre non lontano dal «castrum arderici» e confinante con «heredes quondam huberti de loco berclido».

La rassegna di X secolo sulle attestazioni dei membri del gruppo parentale ingonide è ancora lunga: nel giugno 976, una permuta tra Aupaldo e Walperto di Cerano, luogo emerso nel diploma del 969 per la presenza di una curtis nella disponibilità di Ingone ed eredi, vede confinante in una pecia presso la «via trecadina» proprio un Ingone, mentre per un’altra compare l’altrettanto importante attestazione di Manfredo comes470. Nella permuta vescovile del marzo 980 per terra presso il castello di Castano ̶ verosimilmente nel Seprio ̶ e vicina ad altra del demanio regio, compare di nuovo Ingone di Bercledo «filio bone memorie» Uberto471. Nell’ottobre dell’anno successivo, Adamo prete di Novara del fu Pietro acquistò da Ingone del fu Uberto di Bercledo la proprietà eminente di beni tra Vigevano e la sua circonvicinia ̶ Venticolonne, Cubruri e Grecona ̶ , lasciandoli in usufrutto al figlio di Ingone Uberto, a sua moglie Liutgarda e a loro eventuali eredi, con la clausola che in assenza di discendenza sarebbero stati definitivamente incamerati dalla canonica di Santa Maria472. Si ritorna così all’oramai nota donazione alla canonica del 985, dove oltre ai membri del capitolo sono schierati anche i principali vassalli episcopali e tra

469 Gabotto riporta «homins[dei qui] fuit de civitate mediolani», interpretato come Omodeo o talora semplicemente come «uomo che fu di Milano», anche se non si capisce perché non si sarebbe dovuto specificare il nome. In realtà, l’originale è lacero per un lungo tratto del margine superiore destro e non vi è possibilità di ricostruzioni precise. Tuttavia, come già segnalava Keller ̶ Signori e vassalli, p. 254 ̶ l’originale