• Non ci sono risultati.

L'aggressione ai patrimoni di origine illecita negli strumenti di cooperazione giudiziaria penale dell'Unione.

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "L'aggressione ai patrimoni di origine illecita negli strumenti di cooperazione giudiziaria penale dell'Unione."

Copied!
200
0
0

Testo completo

(1)

Ai miei genitori. A mia sorella. Punti fermi nella mia vita.

(2)

I

INDICE

INTRODUZIONE IV

CAPITOLO I

LA LOTTA ALLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA TRANSFRONTALIERA NELL’AMBITO DELLA

COOPERAZIONE GIUDIZIARIA IN MATERIA PENALE E DI POLIZIA DELL’UNIONE EUROPEA.

1. Premessa. » 2

2. Le origini della cooperazione giudiziaria in materia penale

e di polizia. » 7

2.1 Il Trattato di Maastricht. » 10

2.2 Lo Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia: da

Amsterdam a Nizza. » 12

2.3 Le novità del Trattato di Lisbona. » 16 2.4 La geometria variabile dello Spazio penale europeo. » 21 3. La criminalità organizzata transnazionale e l’evoluzione del

fenomeno tra innovazioni tecnologiche e globalizzazione. » 23 4. L’elaborazione della nozione di “criminalità organizzata

transnazionale” nell’Azione comune 98/733/GAI e il suo

superamento con la Decisione Quadro 2008/841/GAI

“relativa alla lotta contro la criminalità organizzata”. » 32 5. Il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni

penali. » 37

6. (segue) Il rapporto tra libera circolazione delle decisioni in

materia penale e fiducia reciproca tra Stati membri. » 42

CAPITOLO II

L’AGGRESSIONE AI PATRIMONI DI ORIGINE ILLECITA QUALE STRUMENTO DI CONTRASTO AL FENOMENO DELLA

CRIMINALITÀ TRANSNAZIONALE: LE MISURE ADOTTATE DALL’UNIONE EUROPEA IN MATERIA DI SEQUESTRO E

CONFISCA.

(3)

II

2. L’Azione comune 98/699/GAI “sul riciclaggio di denaro

e sull’individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di

reato”. » 55

3. La Decisione Quadro 2001/500/GAI “concernente il

riciclaggio di denaro, l’individuazione, il rintrac-ciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli

strumenti e dei proventi di reato”. » 60

4. La Decisione Quadro 2005/212/GAI “relativa alla

confisca di beni, strumenti e proventi di reato”. » 64

5. La Decisione Quadro 2003/577/GAI “relativa alla

esecuzione nell’Unione europea dei provvedimenti di

blocco dei beni o di sequestro probatorio”. » 70

5.1 Il recepimento da parte del legislatore italiano della Decisione Quadro 2003/577/GAI in materia di

sequestro. » 85

6. La Decisione Quadro 2006/783/GAI “relativa

all’applicazione del principio del reciproco

riconoscimento delle decisioni di confisca”. » 95

6.1 Il recepimento da parte del legislatore italiano della Decisione Quadro 2006/783/GAI in materia di

confisca. » 106

7. Cenni alla Decisione Quadro 2007/845/GAI “concernente

la cooperazione tra gli uffici degli Stati membri per il recupero dei beni nel settore del reperimento e dell’identificazione dei proventi di reato o altri beni

connessi”. » 117

CAPITOLO III

MODIFICHE E MIGLIORAMENTI APPORTATI DALLA DIRETTIVA 2014/42/UE E NUOVE PROSPETTIVE PER IL FUTURO AL FINE DI REALIZZARE IL RICONOSCIMENTO

RECIPROCO DI TUTTI I TIPI DI PROVVEDIMENTI IN MATERIA DI CONGELAMENTO E CONFISCA.

1. Premessa. » 123

2. I presupposti e le finalità della “nuova” Direttiva

2014/42/UE: tra garanzie ed efficienza. » 124 3. (segue) L’ambito applicativo e l’oggetto della Direttiva. » 130

3.1 La peculiare modifica dell’istituto della c.d.

“confisca allargata”. » 146

4. (segue) L’attuazione in Italia della Direttiva 2014/42/UE

(4)

III

5. Le nuove prospettive aperte con l’adozione del Regolamento (UE) 2018/1805 “relativo al reciproco

riconoscimento dei provvedimenti di congelamento e di

confisca”. » 159

6. (segue) L’ambito di applicazione e la struttura del

Rego-lamento. » 162

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE 178 BIBLIOGRAFIA 181 RINGRAZIAMENTI 191

(5)

INTRODUZIONE

IV

INTRODUZIONE

La criminalità organizzata ha assunto nel corso degli ultimi anni forme associative sempre più strutturate ed una dimensione transnazionale. Con il termine “transnazionalità” ci si riferisce alla cooperazione che gruppi criminali di diversa nazionalità instaurano fra di loro per gestire più efficacemente determinati mercati criminali. La criminalità organizzata transnazionale, dunque, rappresenta oggi una grave minaccia ai sistemi economici e finanziari di tutti i Paesi e deve pertanto essere contrastata efficacemente a livello europeo e non più solo a livello interno dai singoli Stati. In risposta a tale nuovo scenario, è maturata la consapevolezza della necessità di nuove strategie coordinate sul piano europeo, le quali consentano di rafforzare la cooperazione tra gli Stati membri nell’azione di prevenzione e repressione della criminalità organizzata transfrontaliera. Quindi, a fronte di un fenomeno criminoso che oramai coinvolge la maggior parte degli Stati, un’efficace azione di contrasto richiede che le norme e gli istituti giuridici non siano più disciplinati dai singoli Stati ma vengano stabiliti a livello multilaterale, in una prospettiva tendenzialmente globale. La strategia adottata dall’Unione europea per contrastare il fenomeno della criminalità transfrontaliera ha tra i suoi fondamenti l’idea che per scardinare in modo decisivo le potenzialità delle organizzazioni criminali transnazionali occorra attaccarle colpendo i loro patrimoni. A tal proposito, il sequestro e la confisca dei beni e delle ricchezze sono misure di contrasto indispensabili, in quanto consentono di sottrarre alle organizzazioni criminali le risorse necessarie per sopravvivere e svilupparsi.

(6)

INTRODUZIONE

V

Questa tesi ha ad oggetto proprio l’analisi e lo studio degli strumenti normativi adottati in materia di aggressione ai patrimoni di origine illecita, predisposti in ambito europeo, al fine di prevenire e, soprattutto, contrastare e combattere la criminalità organizzata transnazionale, in una visione di cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri dell’Unione.

L’obiettivo che si prefigge il presente elaborato è proprio quello di ripercorrere in modo ampio e completo le tappe fondamentali che hanno portato all’evoluzione di tali strumenti, con specifico riguardo appunto al contesto europeo e con un’attenzione rivolta anche ai riflessi che gli stessi hanno avuto all’interno del nostro ordinamento giuridico.

Partendo da una breve analisi circa le origini e l’evoluzione della cooperazione giudiziaria in materia penale, il “Capitolo I” affronta il tema della criminalità organizzata transfrontaliera, analizzando il fenomeno a partire dalla sua definizione, studiandone le cause e spiegando la crescita che lo stesso ha avuto anche grazie all’aiuto fornito dalla globalizzazione; il capitolo si chiude citando il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni penali ed evidenziando il rapporto che sussiste tra tale principio e quello di fiducia reciproca tra Stati membri.

Il “capitolo II” si concentra, invece, sulla “prima era” delle riforme normative apportate dal legislatore riguardanti l’aggressione ai patrimoni di origine illecita. L’azione intrapresa in ambito europeo si è sviluppata in due direzioni differenti. Da una parte sono stati adottati quegli atti che avevano la finalità di armonizzare le varie disposizioni all’interno dei diversi Paesi membri: si fa in particolare riferimento alla Decisione Quadro 2001/500/GAI e alla Decisione Quadro 2005/212/GAI; dall’altra

(7)

INTRODUZIONE

VI

parte sono state emanate quelle normative riguardanti il mutuo riconoscimento delle decisioni di sequestro e di confisca: qui il riferimento è alla Decisione Quadro 2003/577/GAI e alla Decisione Quadro 2006/783/GAI. Infine, poiché la progressiva delocalizzazione all’estero degli investimenti illeciti da parte delle organizzazioni criminali ha reso sempre più complessa l’attività di ricerca e individuazione dei beni costituenti il frutto di attività illecita, il capitolo si conclude analizzando la Decisione Quadro 2007/845/GAI, introdotta per facilitare il reperimento più rapido ed efficace possibile dei proventi di reato in tutti i Paesi membri dell’Unione.

Infine, il “Capitolo III” si sofferma sulla “seconda era” di atti normativi – concernenti sempre l’aggressione ai patrimoni di origine illecita – introdotti per modificare, semplificare e rendere più omogenea la disciplina del mutuo riconoscimento delle decisioni di congelamento e confisca. In particolare, verrà dedicato ampio spazio all’analisi della Direttiva 2014/42/UE relativa al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato e, più nel dettaglio, specifica attenzione sarà riservata alla modifica dell’istituto della c.d. “confisca allargata”.

In conclusione, verranno analizzate le modifiche e le novità che saranno attuate da parte del Regolamento (UE) 2018/1805, il quale inizierà ad essere applicato solamente a partire dal 19 dicembre 2020.

(8)

CAPITOLO I

1

CAPITOLO I

La lotta alla criminalità organizzata transfrontaliera nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale e di polizia dell’Unione europea.

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Le origini della cooperazione giudiziaria in materia penale e di polizia. – 2.1 Il Trattato di Maastricht. – 2.2 Lo Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia: da Amsterdam a Nizza. – 2.3 Le novità del Trattato di Lisbona. – 2.4 La geometria variabile dello Spazio penale europeo. – 3. La criminalità organizzata transnazionale e l’evoluzione del fenomeno tra

innovazioni tecnologiche e globalizzazione. – 4. L’elaborazione della nozione

di “criminalità organizzata transnazionale” nell’Azione comune 98/733/GAI e il suo superamento con la Decisione Quadro 2008/841/GAI “relativa alla

lotta contro la criminalità organizzata”. – 5. Il principio del mutuo

riconoscimento delle decisioni penali. – 6. (segue) Il rapporto tra libera circolazione delle decisioni in materia penale e fiducia reciproca tra Stati membri.

(9)

CAPITOLO I

2

1. Premessa.

La storia della cooperazione giudiziaria in materia penale e di polizia è molto complessa. Essa si intreccia profondamente – e quasi si identifica – con la storia che ha portato allo sviluppo dell’Unione europea. È necessario, pertanto, fare qualche accenno introduttivo – molto sinteticamente – alla storia dell’integrazione europea.

Il punto di avvio del processo che ha condotto agli assetti attuali nasce dalla volontà di rafforzare, all’indomani del secondo conflitto mondiale, la cooperazione economica tra gli Stati. Tale processo non poteva che partire dal superamento dell’antica inimicizia tra Francia e Germania. Il presupposto indefettibile per la creazione della cooperazione economica tra gli Stati doveva essere la risoluzione del problema legato all’industria carbosiderurgica. Al fine di scongiurare il sorgere di nuove situazioni patologiche dalla Francia venne proposta un’idea, e cioè la creazione di una “Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio”. Il 9 maggio 1950, l’allora Ministro degli Esteri francese, Robert Schuman, propose di «mettere l’intera produzione del carbone e dell’acciaio francese e tedesco sotto una comune Alta Autorità, nel quadro di un’organizzazione alla quale possono aderire gli altri paesi europei. L’attuazione della proposta getterà le basi dell’unificazione economica e realizzerà i primi concreti strumenti di una federazione europea indispensabili per la salvaguardia della pace»1.

1 BOVA A., “Breve storia dell’integrazione europea”, in GUERINI U. (a cura di), “Il diritto penale dell’Unione europea. La normativa, la dottrina, la

giurisprudenza europea in materia penale e la cooperazione giudiziaria”,

(10)

CAPITOLO I

3

A seguito di tale proposta, il 18 aprile 1951 a Parigi sei Paesi europei firmarono il Trattato istitutivo della “Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio” (CECA)2. La creazione della CECA ha rappresentato senza dubbio un’importante svolta nell’ambito delle forme di collaborazione tra Stati a livello internazionale e, sulla scia della positiva esperienza di tale organizzazione, di lì a poco, gli stessi sei Stati, decisero di ampliare gli ambiti della cooperazione, tanto che il 25 marzo 1957 vennero adottati, entrambi a Roma, due nuovi trattati: uno è il Trattato istitutivo della “Comunità Europea per l’energia atomica” (EURATOM), e l’altro è il Trattato istitutivo della “Comunità economica europea” (CEE). Attraverso queste tre Comunità, formalmente distinte tra loro, prendeva le mosse un disegno unitario, volto principalmente, nella sua prima fase, a dar vita nel territorio dei sei Stati fondatori ad un mercato comune basato sulla libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi, e dei capitali3.

Il primo passo di riforma del sistema si è avuto nel 1985 attraverso il Trattato di Schengen, il quale ha posto le basi per un’abolizione delle frontiere interne; mentre nel 1986, con l’Atto unico europeo, si pensò di trasformare le tre comunità in

2 I sei paesi europei che firmarono il Trattato istitutivo della CECA furono: Germania, Francia, Italia, Belgio, Olanda e Lussemburgo. Il trattato venne concluso per la durata di cinquanta anni. Con la creazione della CECA gli Stati aderenti decidevano di cedere parte della propria sovranità su un determinato settore ad un altro organismo, il quale ne avrebbe gestito in modo autonomo la politica comune. La CECA si è estinta il 23 luglio 2002 in seguito alla mancata proroga del termine di scadenza previsto nel Trattato che l’aveva istituita. 3 La carta vincente di questo nuovo modello d’integrazione era costituita dal mercato unico. La creazione di un mercato comune, all’interno del quale potevano circolare liberamente tutti i fattori di produzione tra i paesi membri, avrebbe consentito in tempi rapidi di creare un’unione economica europea. Tuttavia, i sei paesi delle Comunità evitarono l’immediata instaurazione del mercato comune ed optarono per una sua realizzazione graduale, scaglionata in tre tappe, ognuna delle quali della durata di quattro anni.

(11)

CAPITOLO I

4

un’Unione europea, sviluppando politiche comuni anche in settori non strettamente economici, come la politica estera, la sicurezza e la lotta alla criminalità transfrontaliera. L’Unione europea è stata però istituita solo con il Trattato di Maastricht del 1992, ufficialmente noto come “Trattato sull’Unione europea” (TUE)4, attraverso la nota “struttura a tre Pilastri”5.

Negli anni successivi l’Unione si è allargata e molti eventi ne hanno segnato uno sviluppo crescente: nel 1990 si è giunti alla convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen concernente l’effettiva abolizione delle frontiere, entrata in vigore il 26 marzo 1995 e, nel 1997, è stato sottoscritto il Trattato di Amsterdam, che è entrato in vigore nel 1999. Esso, sempre nel quadro della struttura a pilastri, ha sostituito la cooperazione in materia di “Giustizia e Affari Interni” (GAI) con lo “Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia” (SLSG), nel cui contesto si prevede una competenza diretta dell’Unione a dettare regole minime in materia di armonizzazione penale, un rafforzamento della cooperazione giudiziaria penale e di polizia e l’istituzione di appositi organismi europei per favorirla, come Europol ed Eurojust6.

4 Art. 1 TUE: «Con il presente trattato, le Alte Parti Contraenti istituiscono

tra loro un’Unione europea, in appresso denominata “Unione” […]. L’Unione è fondata sulle Comunità europee, integrate dalle politiche e forme di cooperazione instaurate dal presente trattato. Essa ha il compito di organizzare in modo coerente e solidale le relazioni tra gli Stati membri e tra i loro popoli».

5 Il primo Pilastro, strettamente comunitario, per le materie riservate alla Comunità europea, nella quale si fondevano CEE e CECA; il secondo Pilastro attinente alla cooperazione intergovernativa in materia di politica estera e di sicurezza comune (PESC); il terzo Pilastro era dedicato alla cooperazione intergovernativa in materia di giustizia e affari interni (GAI), comprensivo della cooperazione giudiziaria e di polizia.

6 L’ufficio europeo di polizia (Europol) è un organismo dell’Unione europea che opera nel settore della cooperazione di polizia con il compito di

(12)

CAPITOLO I

5

Infine, a seguito del Trattato di Nizza, adottato nel 2001 ed entrato in vigore nel 2003, e dopo il fallito slancio riformatore del “progetto di Costituzione Europea” del 2004, il Consiglio europeo di Lisbona del 2007 ha approvato il nuovo trattato, il quale, in realtà, risulta composto da due corpi legislativi: il “Trattato sull’Unione europea” (TUE) e il “Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea” (TFUE), che però costituiscono un complesso normativo unitario. Il Trattato di Lisbona, pur non riproponendo l’idea di una Costituzione, ha ridisegnato la struttura dell’Unione, abolendo la struttura a Pilastri creata con il Trattato di Maastricht, fondendo l’Unione e la Comunità in un unico soggetto – l’Unione Europea – e rendendo il “metodo comunitario” metodo di funzionamento non più di un solo Pilastro, ma dell’intera Unione. A ben vedere, dunque, l’Europa delineata dal Trattato di riforma può non essere considerata un “quid minus” rispetto alla Costituzione europea, dato che da quest’ultima vengono tratte la maggior parte delle innovazioni di carattere sostanziale7. Se, con il Trattato di Lisbona e con la caduta dell’Europa a pilastri la politica estera e di sicurezza comune (PESC) continua ad essere ancora soggetta a norme e procedure specifiche, invece le materie dell’ex Terzo Pilastro, cioè lo Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia (SLSG), e con esso la

raccogliere, scambiare ed analizzare le informazioni sulle forme di criminalità transfrontaliera che coinvolgono due o più stati membri.

Il Consiglio dell’Unione europea, con la Decisione 2002/187/GAI, ha istituito Eurojust come organismo sovranazionale dotato di personalità giuridica. Eurojust è un’unità di magistrati, creata al fine di rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità organizzata, nell’ambito di indagini ed azioni penali riguardanti almeno due Stati membri dell’Unione.

7 CALAMIA M. A, VIGIAK V., “Manuale breve diritto dell’Unione

(13)

CAPITOLO I

6

cooperazione giudiziaria in materia penale e di polizia, sono diventate a pieno titolo del diritto dell’Unione8.

A seguito del Trattato di Lisbona, i due poli attorno ai quali si è sviluppata la materia dello SLSG sono rappresentati proprio dalla cooperazione giudiziaria e dal ravvicinamento delle legislazioni nazionali. Parlare di giustizia penale nell’ambito dell’Unione significa parlare di cooperazione: prima di cooperazione intergovernativa, gestita attraverso canali diplomatici; poi, a seguito del Trattato di Lisbona, di una cooperazione giudiziaria in senso proprio, gestita direttamente dalle autorità giudiziarie dei Paesi coinvolti. L’altro profilo, quello dell’armonizzazione delle legislazioni nazionali, era invece rimasto sostanzialmente recessivo, e questo perché giustizia penale e sovranità statuale rappresentavano un binomio indissolubile; nella prima la seconda trovava il suo momento di massima espressione9. Di qui, la riluttanza a concepire intromissioni esterne in questa sfera riservata e la “gelosia” degli Stati nel difendere le loro prerogative sovrane in materia penale.

L’originalità dell’esperienza comunitaria sta proprio in questa sorta di paradosso, che costringe il processo in una condizione per tanti aspetti singolare, per non dire schizofrenica. Da un lato, la volontà, e per certi aspetti anche la necessità, per gli Stati che

8 Per un maggiore approfondimento sul tema si consiglia: ADAM R., TIZZANO A., “Manuale di diritto dell’Unione europea”, Giappichelli Editore, Torino, 2017; CALAMIA M. A., VIGIAK V., “Manuale breve diritto

dell’Unione europea”, Giuffrè Editore, Milano, 2018; GUERINI U. (a cura

di), “Il diritto penale dell’Unione europea. La normativa, la dottrina, la

giurisprudenza europea in materia penale e la cooperazione giudiziaria”,

Giappichelli Editore, Torino, 2008; KOSTORIS R. E. (a cura di), “Manuale di

procedura penale europea”, Giuffrè Editore, Milano, 2015.

9 KOSTORIS R. E., “Diritto europeo e giustizia penale”, in KOSTORIS R. E. (a cura di), “Manuale di procedura penale europea”, cit., pag.3.

(14)

CAPITOLO I

7

l’hanno promossa e che la animano, di mantenere e anzi rafforzare quel processo e la solidarietà che lo sottende; dall’altro lato, la resistenza che essi oppongono alle iniziative volte ad imprimere allo stesso sviluppi tali da superare il punto massimo di compatibilità tra la loro condizione di Stati sovrani e l’integrazione in una più ambiziosa struttura associativa. Proprio in questa dialettica tra lo Stato-nazione, che non intende lasciarsi sopprimere, e la struttura sopranazionale, che vuole invece accentuare la propria connotazione in senso federale, si scandiscono le fasi di un processo necessariamente instabile, in quanto destinato alla continua e difficile ricerca di punti di equilibrio che rischiano di non diventare mai punti di arrivo10.

2. Le origini della cooperazione giudiziaria in materia penale e di polizia.

La cooperazione giudiziaria in materia penale e di polizia, nella quale lo Spazio penale europeo trova la sua concreta identificazione11, ha conosciuto una profonda evoluzione sotto molteplici profili che concernono tanto quello istituzionale e delle procedure decisionali, quanto quello sostanziale.

In origine, la Comunità economica europea non si era direttamente interessata al settore della cooperazione in materia penale. È, infatti, solo a partire dagli anni Settanta del secolo scorso che gli Stati membri della Comunità hanno iniziato ad

10 ADAM R., TIZZANO A., “Manuale di diritto dell’Unione europea”, cit., pag. 6.

11 WEYEMBERGH A., “Storia della cooperazione” in KOSTORIS R. E. (a cura di), “Manuale di procedura penale europea”, cit., pag. 173.

(15)

CAPITOLO I

8

attuare delle iniziative in materia di cooperazione penale. È proprio dalla fine degli anni Settanta in poi che nasce uno spazio giudiziario – o “espace judiciaire”12 – quale completamento dello spazio economico e commerciale creato con il trattato istitutivo della Comunità economica europea. Tale trattato, infatti, prevedeva una norma – l’art. 220, divenuto art.293, abrogato dal Trattato di Lisbona – che conteneva una forma di cooperazione in materia civile. La norma prevedeva l’avvio di negoziati intesi a garantire, a favore dei cittadini degli Stati membri, la semplificazione delle formalità cui erano sottoposti il reciproco riconoscimento e la reciproca esecuzione delle decisioni giudiziarie e delle sentenze arbitrali13.

Proprio a quest’epoca risale la presa di coscienza della portata transnazionale di certe forme di criminalità e, soprattutto, della minaccia terroristica; allora, per far fronte comune contro queste minacce, gli Stati membri della Comunità economica europea crearono per la prima volta delle strutture di cooperazione di natura puramente intergovernativa, sviluppate al di fuori del quadro istituzionale comunitario. Nacque così il “gruppo TREVI”14, il

12 Alla necessità di un “espace judiciaire” si riferiva il Presidente della Repubblica francese Giscard d’Estaing quando, a fronte di fenomeni terroristici che coinvolgevano più Stati, auspicava l’adozione di convenzioni di estradizione automatica, cioè senza formalità, pur nel rispetto di garanzie essenziali (Consiglio europeo di Bruxelles del 5 e 6 dicembre 1977).

13 NASCIBENE B., “Riflessioni sullo Spazio di Libertà, Sicurezza e

Giustizia”, in CAGGIANO G. (a cura di), “Integrazione europea e sovranazionalità”, Cacucci Editore, Bari, 2018, cit., pag. 121.

14 Il “gruppo TREVI” venne costituito a Roma nel 1975 dai ministri dell’Interno soprattutto con lo scopo di sviluppare una cooperazione di polizia, inizialmente per combattere il terrorismo, poi con competenze estese anche alla lotta contro altre forme criminose, il traffico di stupefacenti, l’immigrazione clandestina, la criminalità internazionale, oltre al mantenimento dell’ordine pubblico in generale.

(16)

CAPITOLO I

9

quale ha rappresentato la struttura con cui ha avuto inizio la cooperazione di polizia in seno all’Unione europea.

Nella seconda metà degli anni Ottanta, la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri delle Comunità europee ha conosciuto ulteriori sviluppi in vista della eliminazione dei controlli alle frontiere, per l’attuazione di un mercato interno. Tale obiettivo implicava di evitare che l’eliminazione dei controlli alle frontiere andasse a vantaggio delle organizzazioni criminali e dell’immigrazione clandestina e comportasse un deficit di sicurezza. Per far fronte a tale esigenza vennero adottate delle “misure compensative”15, le quali riguardarono la cooperazione nell’ambito della giustizia e degli affari interni (GAI) in rapporto ai più vari settori, dall’asilo all’immigrazione, dai controlli alle frontiere alla cooperazione giudiziaria in materia civile, per giungere, per quel che ci interessa, alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

Nel frattempo, mentre la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale all’interno delle Comunità europee andava avanti, cinque Stati membri interessati a una più stretta collaborazione – Francia, Belgio, Lussemburgo, Germania e Paesi Bassi – conclusero tra loro i c.d. “accordi di Schengen”16. Anche

15 I lavori condotti tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta per la creazione di tali misure si svolsero al di fuori del quadro comunitario e, pertanto, a livello intergovernativo, attraverso strutture operative dotate di proprie regole particolari, le quali, tuttavia, presentavano alcune caratteristiche comuni. Tra queste strutture di lavoro si ricorda il “gruppo CPE” il quale elaborò cinque convenzioni, la più importante delle quali riguardava l’applicazione del principio del “ne bis in idem”.

16 Quando si fa riferimento agli “accordi di Schengen”, ci si riferisce all’Accordo di Schengen, relativo alla eliminazione graduale dei controlli alle frontiere, del 14 giugno 1985 ed entrato in vigore il 2 marzo 1986, e alla Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen del 19 giugno 1990 ed entrata in vigore il 26 marzo 1995.

(17)

CAPITOLO I

10

tali accordi vennero conclusi al di fuori del quadro istituzionale comunitario e vennero attuati attraverso una cooperazione di natura strettamente intergovernativa. Tali accordi riguardavano essenzialmente il tema dei controlli alle frontiere, tuttavia essi hanno introdotto principi, prassi e precedenti che hanno proiettato la loro influenza su tutto lo Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia.

2.1 Il Trattato di Maastricht.

In seguito al Trattato sull’Unione europea (TUE) adottato a Maastricht il 7 febbraio 1992, ed entrato in vigore il 1° novembre 1993, la struttura della “neonata” Unione17 si articolava in tre Pilastri: il primo, detto anche “Pilastro Comunitario”, disciplinava le materie trasferite alla competenza dell’Unione europea e originariamente contenute nei Trattati istitutivi delle Comunità europee; il secondo Pilastro aveva ad oggetto la “Politica estera e di sicurezza comune” (PESC); infine, il terzo Pilastro, che è quello che interessa a noi, conteneva in sé le varie attività legate alla cooperazione in materia di “Giustizia e affari interni” (GAI), tra le quali era inclusa anche la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. Con la realizzazione della nuova struttura gli Stati avrebbero continuato a seguire il c.d. “sistema comunitario” – cedendo parte della sovranità statale alle istituzioni comunitarie – nelle materie afferenti il primo pilastro;

17 GUERINI U., “Il Terzo Pilastro dell’Unione europea: uno spazio di

libertà, sicurezza e giustizia”, in GUERINI U (a cura di), “Il diritto penale dell’Unione europea. La normativa, la dottrina, la giurisprudenza europea in materia penale e la cooperazione giudiziaria”, cit., pag. 75.

(18)

CAPITOLO I

11

viceversa, nel secondo e nel terzo pilastro gli Stati, restii in quelle materie a rinunciare alla propria sovranità, avrebbero comunque potuto perseguire obiettivi comuni attraverso il c.d. “metodo intergovernativo”, ossia tramite una cooperazione internazionale tra Stati esterna alla Comunità, ma ad essa strettamente collegata18. Pertanto, mentre prima del Trattato di Maastricht la competenza a sviluppare le attività di cooperazione in materia GAI era affidata a una serie di organi diversi, privi di coordinamento tra loro; a seguito del medesimo trattato le attività di cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale vennero specificamente canalizzate nell’ambito del Terzo Pilastro19. Dunque, il Trattato di Maastricht ha previsto per la prima volta, fra gli obiettivi dell’Unione, lo sviluppo di una stretta collaborazione nel settore della giustizia e degli affari interni, dedicando alcune norme – articoli K-K9 – a questa nuova forma di cooperazione, essenzialmente intergovernativa, essendo lasciate alle istituzioni comunitarie competenze assai limitate20.

Alla vigilia della Conferenza intergovernativa che avrebbe portato al Trattato di Amsterdam, i risultati prodotti nell’ambito del Terzo Pilastro dal Trattato di Maastricht vennero giudicati complessivamente deludenti dalle stesse istituzioni comunitarie, dagli Stati membri e dalla dottrina. La cooperazione sviluppata all’epoca rimaneva così, almeno in parte virtuale.

18 CALAMIA M. A., VIGIAK V., “Manuale breve diritto dell’Unione

europea”, cit., pag. 16.

19 WEYWMBERGH A., “Storia della cooperazione”, in KOSTORIS R. E. (a cura di), “Manuale di procedura penale europea”, cit., pag. 177-178. 20 NASCIBENE B., “Riflessioni sullo spazio di libertà, sicurezza e

giustizia”, in CAGGIANO G. (a cura di), “Integrazione europea e sovranazionalità”, cit., pag. 123.

(19)

CAPITOLO I

12

2.2 Lo Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia: da Amsterdam a Nizza.

L’esigenza di una revisione della normativa relativa alla giustizia e agli affari interni era emersa in modo significativo già all’indomani del Trattato di Maastricht e si era in seguito ulteriormente accentuata. In particolare, la prassi applicativa ne aveva messo in luce una serie di limiti e carenze che ne pregiudicavano la concreta efficacia, quali la mancata definizione di chiari obiettivi, il carattere vischioso e contorto delle norme e l’inadeguatezza degli strumenti d’azione21.

A tal proposito, il Trattato di Amsterdam ha rappresentato la prima positiva evoluzione poiché attraverso esso è stato comunitarizzato il settore della giustizia e degli affari interni, ed è stato introdotto un nuovo complesso di norme dedicato ai visti, all’asilo, all’immigrazione e ad altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone. All’interno del TUE, quale materia governata dalla cooperazione intergovernativa, e quindi non comunitarizzata, rimanevano la cooperazione giudiziaria in materia penale e la cooperazione di polizia.

Il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1° maggio 1999, ha rappresentato una tappa importante nel percorso evolutivo del sistema comunitario22, in quanto ha introdotto quattro novità fondamentali nell’ambito della

21 GUERINI U., “Il Terzo Pilastro dell’Unione europea: uno spazio di

libertà, sicurezza e giustizia”, in GUERINI U. (a cura di), “Il diritto penale dell’Unione europea”, cit., pag. 78.

22 CALAMIA M. A., VIGIAK V., “Manuale breve diritto dell’Unione

(20)

CAPITOLO I

13

cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale23. Pertanto, con l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, la cooperazione in materia GAI – e, in particolare, la cooperazione giudiziaria penale e di polizia – non venne più concepita alla stregua di semplici misure compensative dell’eliminazione dei controlli alle frontiere interne, bensì iniziò a favorire la costruzione di uno “Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia”24, che da questo

momento in poi, ha rappresentato un nuovo obiettivo in sé dell’Unione europea. Inoltre, il Trattato di Amsterdam ha scisso la cooperazione in materia GAI, precedentemente raggruppata tutta nel Terzo Pilastro, in due distinti gruppi di materie. Il primo gruppo, comprendente l’asilo, il superamento delle frontiere esterne degli Stati membri, l’immigrazione e la politica verso cittadini dei Paesi terzi, nonché la cooperazione giudiziaria in materia civile, è stato trasferito dal Terzo al Primo Pilastro, ed è stato dunque comunitarizzato. Il secondo gruppo di materie, invece, relative alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, è rimasto invece nel Terzo Pilastro. Pertanto, dopo Amsterdam, la logica intergovernativa continuava a permeare

23 Tali quattro novità erano raffigurate dal fatto che il Trattato di Amsterdam attribuiva un nuovo obiettivo all’Unione europea, e cioè quello di stabilire e mantenere uno Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia; scindeva la materia GAI in due gruppi distinti di materie, riconducendo al Terzo pilastro solo la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale; prevedeva il ricorso alle cooperazioni rafforzate nel quadro istituzionale dell’Unione europea; infine integrava l’acquis di Schengen nel diritto dell’Unione.

24 La nozione di “Spazio” è di fondamentale importanza. In qualche misura essa rappresenta, rispetto ai territori nazionali, ciò che la nozione di cittadinanza dell’Unione europea, introdotta dal Trattato di Maastricht, rappresenta rispetto al concetto di nazionalità interna. Come il concetto di nazionalità dell’Unione europea non ha eliminato il concetto di nazionalità, ma si è aggiunto ad esso per sottolineare l’appartenenza a un’entità politica comune, così il concetto di Spazio non abolisce il concetto di territorio nazionale, ma si aggiunge ad esso per chiarire che i territori nazionali che compongono l’Unione costituiscono un’unità geografica comune.

(21)

CAPITOLO I

14

ancora il Terzo Pilastro, oramai ristretto alla sola cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale.

Dopo il Trattato di Amsterdam, il successivo passo riformatore è stato compiuto attraverso il Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001, ed entrato in vigore il 1° febbraio 2003, il quale, tuttavia, non ha apportato mutamenti di rilievo alla materia inclusa nel Terzo Pilastro, salvo una espressa disposizione concernente la costituzione di Eurojust e la scelta di rendere più agevole il ricorso alle cooperazioni rafforzate nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione.

I programmi di Tampere e de L’Aia hanno, dal canto loro, rappresentato i primi due programmi quinquennali di lavoro adottati dai Capi di Stato e di Governo dei Paesi membri per realizzare lo Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia.

Il Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 ha rappresentato il primo incontro dei Capi di Stato e di Governo dedicato alla materia della giustizia e degli affari interni; all’interno del programma, stilato nell’ambito di tale Consiglio europeo, vennero per la prima volta individuate alcune linee di politica criminale dell’Unione europea, collocate da un lato nel contesto di un’azione diretta a tutelare i valori comuni, i diritti fondamentali dell’uomo, il rispetto dello Stato di diritto e la tutela delle istituzioni democratiche; e, dall’altro lato, all’interno di un’azione congiunta di azioni preventive e repressive25.

25 Proprio la prevenzione della criminalità venne posta al centro del programma, attraverso due distinte modalità d’intervento: un’azione mirata alla introduzione di norme extrapenali che canalizzano le condotte pericolose in procedure amministrative che ne disinnescano la potenzialità lesiva; in secondo luogo, attraverso il potenziamento dei sistemi comunitari di controllo – come Europol ed Eurojust – ed un più efficace coordinamento delle attività di polizia degli Stati membri.

(22)

CAPITOLO I

15

L’innovazione più importante apportata dal Consiglio di Tampere riguarda l’istituzionalizzazione del principio del mutuo riconoscimento – cui verrà dedicata una più specifica trattazione nei paragrafi successivi – che da questo momento in poi è diventato “pietra angolare” della cooperazione giudiziaria sia civile che penale. Le conclusioni di Tampere, infatti, oltre all’invito a dare seguito ad alcune indicazioni del Trattato di Amsterdam, fornirono soprattutto nuove prospettive per la realizzazione di uno Spazio penale europeo. Con esse venne inaugurato un nuovo approccio nella gestione della cooperazione giudiziaria in materia penale in seno all’Unione26, il quale doveva essere basato, appunto, sul principio del mutuo riconoscimento e, come suo corollario, sulla fiducia reciproca tra i vari Stati membri. Dal canto suo, il programma del L’Aia è stato adottato dal Consiglio europeo di Bruxelles del 4 e 5 novembre 2004, ed è subentrato alle conclusioni di Tampere, come programma di lavoro quinquennale in materia di Spazio di Libertà Sicurezza e Giustizia. Tale programma è stato in seguito specificato da un piano di azione, adottato nel giugno 2005. Programma e piano avevano come scopo quello sviluppare ulteriormente la nozione di “Spazio penale europeo”, confermando il rilievo del mutuo riconoscimento e della fiducia reciproca e sancendo, per la prima volta, il principio di disponibilità in materia di cooperazione di polizia27.

26 WEYEMBERGH A., “Storia della cooperazione”, in KOSTORIS R. E. (a cura di), “Manuale di procedura penale europea”, cit., pag. 185.

27 Secondo il principio di disponibilità in materia di cooperazione di polizia, nell’ambito dell’Unione, ogni agente dei servizi di uno Stato membro incaricato dell’applicazione della legge che abbia necessità di disporre di determinate informazioni nell’esercizio delle sue funzioni ha diritto di ottenerle dalle autorità omologhe di un altro Stato membro che le detengano, compatibilmente con le esigenze delle investigazioni in corso presso lo Stato

(23)

CAPITOLO I

16

In conclusione si può dunque affermare che l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam ha segnato un’eccezionale proliferazione delle iniziative nei settori della politica criminale europea e, a maggior ragione, nel campo della cooperazione di polizia e giudiziaria penale.

2.3 Le novità del Trattato di Lisbona.

Il percorso che da Maastricht ha portato a Lisbona, attraverso Amsterdam e Nizza, è stato un lungo cammino che ha visto la realizzazione dello SLSG – nei settori della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale – snodarsi attraverso un cammino irto di difficoltà che, più che ispirarsi alla consueta “politica dei piccoli passi”, ha registrato accelerazioni e finanche veri e propri “salti in avanti”28, nel senso della maggiore

integrazione, e successive battute d’arresto, legate alle continue esitazioni mostrate da alcuni Stati membri circa il valore aggiunto che sarebbe scaturito dall’avere “più Europa” in alcuni settori tradizionalmente legati alla sovranità statale e alle Costituzioni nazionali29. Infatti, lo Spazio europeo di Libertà, Sicurezza e Giustizia è l’area che più di ogni altra, con l’entrata in vigore del

richiesto. Mentre il principio del mutuo riconoscimento mira a garantire la libera circolazione delle decisioni penali, il principio della disponibilità mira a garantire la libera circolazione delle informazioni.

28 CALVANO R., “La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia

penale”, in MANGIAMELI S. (a cura di), “L’ordinamento europeo, Le politiche dell’Unione”, vol. III, Giuffrè Editore, Milano, 2008, cit., pag. 1097.

29 D’AMICO M., “Il principio di legalità in materia penale fra Corte

costituzionale e Corti europee”, in ZANON N. (a cura di), “Le Corti dell’integrazione europea e la Corte costituzionale italiana”, Edizioni

(24)

CAPITOLO I

17

Trattato di Lisbona, è stata sottoposta ai più rilevanti mutamenti sostanziali e procedurali. Pertanto, si può tranquillamente affermare che lo SLSG – specie in relazione alla cooperazione giudiziaria in materia penale e di polizia – entra in un territorio ancora per gran parte da esplorare, contraddistinto da nuove basi giuridiche, nuove fonti del diritto, nuovi processi decisionali e nuovi attori istituzionali30. Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, rappresenta sotto questo profilo un vero e proprio spartiacque nell’azione delle istituzioni in questo settore31. Tale Trattato ha, infatti, introdotto due riforme fondamentali: da un lato, l’eliminazione della Struttura a Pilastri e, di conseguenza, l’abolizione del Terzo Pilastro; da un altro lato, l’abolizione del metodo intergovernativo per la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, che viene assoggettata al metodo comunitario32.

30 TIBERI G., “Le nuove fonti del diritto nella cooperazione giudiziaria in

materia penale dopo il Trattato di Lisbona e il loro impatto sull’ordinamento interno”, in RAFARACI T. (a cura di), “La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale nell’Unione europea dopo il Trattato di Lisbona”, Giuffrè Editore, Milano, 2011, cit., pag. 13.

31 GUILD E., CARRERA S., “The European Union’s Area of Freedom,

Security and Justice ten years on”, in AA.VV, “The area of Freedom, Security and Justice ten years on. Success and future challenges under the Stockholm programme”, Centre for European Policy Studies, Brussels, 2010, cit., pag. 3.

32 Come conseguenza dell’eliminazione della Struttura a Pilastri e, in particolar modo, dell’abolizione del Terzo Pilastro, le disposizioni relative allo SLSG sono state raccolte nel Titolo V del TFUE. Il Titolo V è a sua volta suddiviso in cinque capi, tre dei quali riguardano, in particolare, lo Spazio penale europeo: il primo capo contiene regole comuni; il quarto capo è dedicato alla cooperazione giudiziaria in materia penale; il quinto capo è dedicato alla cooperazione di polizia. L’eliminazione del Terzo Pilastro e l’integrazione della cooperazione di polizia e giudiziaria penale nel Titolo V TFUE hanno comportato, inoltre, l’abbandono per queste materie del metodo intergovernativo e il loro assoggettamento al metodo comunitario. Le conseguenze sono di estremo rilievo e si riassumono nel passaggio, in linea di principio, al regime della codecisione, che implica decisioni a maggioranza qualificata e un ruolo decisionale del Parlamento; nell’applicazione degli strumenti e dei principi comunitari in materia (Regolamenti e Direttive); nell’ampliamento del controllo della Corte di giustizia.

(25)

CAPITOLO I

18

La “comunitarizzazione” della cooperazione in materia penale e di polizia ha aperto a prospettive assai interessanti e di certo fino a poco tempo fa impensabili in un settore nel quale gli Stati avevano sempre gelosamente difeso la propria sovranità, limitando le aperture ad una collaborazione internazionale.

Dopo i lenti e faticosi progressi, il Trattato di Lisbona dedica oramai alla materia una disciplina molto più organica, compiuta e puntuale che contiene tutte le potenzialità per gli auspicati sviluppi, che si stanno in effetti già esprimendo in questi anni sia con l’aggiornamento di molti atti per così dire di “prima generazione”, sia con nuove e più avanzate normative33.

Allo stato, la disciplina dello Spazio di sicurezza si articola su due Capi del Titolo V del TFUE, i quali regolano in modo distinto due settori che in precedenza erano trattati congiuntamente: il “Capo IV”, dedicato alla cooperazione in materia penale; e il “Capo V”, dedicato alla cooperazione di polizia.

Quanto al primo, esso si articola, a sua volta, su tre filoni: il reciproco riconoscimento delle decisioni penali (art. 82 TFUE); il ravvicinamento delle legislazioni penali degli Stati membri (artt. 82 e 83 TFUE); la prevenzione della criminalità (art. 84 TFUE). Bisogna ora, prima di andare avanti, passare ad un breve esame dei tre filoni appena menzionati.

Il primo filone riguarda, come anticipato, il reciproco riconoscimento delle sentenze e delle decisioni giudiziarie in materia penale; obiettivo che l’art.82 TFUE assume addirittura a “fondamento” della cooperazione giudiziaria in materia penale.

33 ADAM R., TIZZANO A., “Manuale di diritto dell’Unione europea”, cit., pag. 558.

(26)

CAPITOLO I

19

Per raggiungere tale obiettivo, il Trattato di Lisbona ha raccolto i frutti di un’elaborazione politica e legislativa che risaliva già alla metà degli anni Novanta. Alla luce di tale elaborazione si è potuto chiarire che il principio in esame riguarda il riconoscimento di qualsiasi tipo di sentenza e di decisione giudiziaria, e che esso comporta tutti gli effetti solitamente connessi a tale riconoscimento, nel senso che la decisione produce, al di fuori dello Stato in cui è stata adottata, gli effetti giuridici stabiliti dal diritto penale di tale Stato, nonché quelli previsti dal diritto penale dello Stato che riconosce la decisione. Più specificamente, il riconoscimento comporta, innanzitutto, l’obbligo di dare piena attuazione alla decisione nello Stato nel quale esso è conferito. Per la relativa regolamentazione il legislatore comunitario, già prima di Lisbona, aveva adottato in materia una serie di misure, tra le quali la più importante, e comunque quella che ha suscitato il maggiore interesse, è la nota Decisione Quadro 2002/584/GAI34. Il secondo filone, sul quale si articola la cooperazione giudiziaria in materia penale nell’Unione, è costituito dal ravvicinamento delle legislazioni penali, sia processuali (art. 82, par. 2, TFUE), sia sostanziali (art. 83 TFUE). Anche se articolata su due distinte disposizioni, questa materia presenta molti aspetti comuni. Infatti, su entrambi i fronti, il legislatore dell’Unione può adottare “norme minime”, nel primo caso, per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie; nel secondo caso, per combattere in maniera

34 Decisione Quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al

“mandato d’arresto europeo” (MAE) e alle procedure di consegna tra Stati.

Tale Decisione Quadro era volta a sostituire nei rapporti tra i vari Stati dell’Unione il tradizionale istituto dell’estradizione con un sistema molto più semplificato e vincolante.

(27)

CAPITOLO I

20

funzionale alcune forme di criminalità transnazionale. Ancora, in entrambi i casi, il legislatore può intervenire solo se le misure progettate siano necessarie ai fini della cooperazione giudiziaria e di polizia e se riguardino «materie penali aventi dimensione transnazionale» (art. 82, par. 2, TFUE), o «sfere di criminalità […] che presentano una dimensione transnazionale» (art.83, par. 1, TFUE).

Infine, il terzo filone della cooperazione giudiziaria in materia penale concerne le misure volte ad «incentivare e sostenere l’azione degli Stati membri nel campo della prevenzione della criminalità, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri» (art. 84 TFUE). Tale previsione istituisce una competenza limitata e parallela dell’Unione, dato che l’Unione medesima può solo incentivare o sostenere l’azione degli Stati membri. In ragione di tale limitazione, le iniziative adottate dall’Unione si sono tradotte in misure di supporto alla ricerca e allo scambio di informazioni sulla prevenzione della criminalità, la più importante delle quali è la Decisione 2009/902/GAI35.

In seguito al Trattato di Lisbona vi è stata l’approvazione di un nuovo programma quinquennale – denominato programma di Stoccolma – adottato dal Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre 2009. Tale nuovo programma è subentrato alle conclusioni di Tampere e al programma de L’Aia, e si è subito rivelato ambizioso per quel che riguarda i meccanismi di cooperazione e il

35 Decisione del Consiglio, del 30 novembre 2009, che istituisce la “Rete

europea di prevenzione della criminalità” (REPC). La REPC ha il compito di

facilitare la cooperazione, i contatti e gli scambi d’informazioni e di esperienze tra gli operatori nel settore della prevenzione della criminalità, e quello di raccogliere, valutare e diffondere le informazioni riguardanti la criminalità.

(28)

CAPITOLO I

21

ravvicinamento delle legislazioni. In particolare, esso ha confermato in via generale l’importanza del principio del riconoscimento reciproco in materia penale, ha previsto un miglioramento degli strumenti esistenti, e ha proposto nuove iniziative per la protezione delle vittime.

In conclusione, bisogna accennare alle “strategic guidelines” per il quinquennio 2015-2020, adottate durante il Consiglio europeo di Ypres, il 26 e il 27 giugno 2014. Esse si discostano dal precedente programma di lavoro pluriennale, sia per quel che riguarda la loro genericità e sinteticità, sia per quanto concerne il loro contenuto assai poco ambizioso. La priorità generale di queste strategic guidelines è rappresentata dall’esigenza di assicurare la trasposizione coerente, la messa in opera effettiva ed il consolidamento degli strumenti giuridici e delle misure esistenti; nondimeno, si prevede anche la necessità di adottare nuove misure soprattutto per rendere più coerente e chiara la legislazione dell’Unione.

2.4 La geometria variabile dello Spazio penale europeo.

L’evoluzione che c’è stata nel corso del tempo ha rafforzato in modo considerevole la cooperazione europea nel settore penale; a questo processo evolutivo, tuttavia, non tutti gli Stati membri hanno deciso di aderire. Per fare fronte a questa evenienza si sono dovute individuare delle “strategie di compromesso”, e si è giunti a due soluzioni differenti: da un lato sono stati concessi regimi di

(29)

CAPITOLO I

22

“opt out”36 ad alcuni Stati; dall’altro lato si è data agli Stati membri la possibilità di bloccare, a determinate condizioni, l’adozione di certi strumenti normativi, compensandola, però, con accresciute possibilità di “cooperazione rafforzata”37.

I regimi di “opt out” riguardano, da una parte, la Danimarca, e dall’altra parte, il Regno Unito e l’Irlanda. Il regime più radicale si riferisce alla Danimarca, la quale continua a rifiutare la comunitarizzazione di tutti i settori coperti dallo SLSG; pertanto, gli strumenti adottati in questi ambiti non le saranno in linea di principio applicabili. La situazione è più complessa per quanto concerne il Regno Unito e l’Irlanda: questi due Paesi beneficiano di un regime “à la carte”38, alla stregua del quale possono

scegliere volta per volta di partecipare ai negoziati sulle proposte

36 Il termine inglese “opt out” può essere tradotto in italiano con il termine

“rinuncia” o “uscita” e, nel contesto che più ci interessa, indica appunto la

rinuncia di un determinato Stato membro ad adottare una certa regola, o un insieme di regole, decise dall’Unione stessa. In linea generale il diritto dell’Unione europea è valido in tutti i Paesi membri dell’Unione medesima, tuttavia alcuni Stati possono rinunciare a partecipare alle strutture comuni in un determinato ambito o settore.

37 La cooperazione rafforzata è una procedura – disciplinata nell’art. 20 TUE e negli artt. 326 ss. del TFUE – che consente ad almeno nove Paesi dell'Unione europea di stabilire un’integrazione o una cooperazione più stretta in una determinata area all'interno delle strutture dell'Unione medesima senza il coinvolgimento di altri Paesi dell'Unione. Tale meccanismo consente a questi Stati di muoversi a velocità differenti e verso obiettivi diversi rispetto a quelli al di fuori delle aree di cooperazione rafforzata. Questa procedura è stata progettata per superare la paralisi che si verifica quando una proposta è bloccata da un singolo paese o da un piccolo gruppo di paesi che non vogliono far parte dell'iniziativa. La cooperazione rafforzata non deve contrastare con gli obiettivi dell’Unione, ma anzi deve essere idonea a promuovere l’integrazione; non può riguardare materie di competenza esclusiva dell’Unione; non può produrre ostacoli agli scambi tra gli Stati membri e, infine, deve avere carattere aperto, nel senso che gli Stati che inizialmente non hanno aderito alla cooperazione rafforzata devono avere la possibilità di essere ammessi in un momento successivo.

38 WEYEMBERGH A., “Storia della cooperazione”, in KOSTORIS R. E. (a cura di), “Manuale di procedura penale europea”, cit., pag. 193.

(30)

CAPITOLO I

23

e sulle iniziative in materia di SLSG, o di accettare le nuove misure adottare in materia.

Queste diverse applicazioni degli strumenti in materia di cooperazione giudiziaria penale rendono molto complesso e difficilmente leggibile l’atteggiarsi concreto dello Spazio penale europeo e rischiano di inficiarne la complessiva coerenza.

3. La criminalità organizzata transnazionale e l’evoluzione del fenomeno tra innovazioni tecnologiche e globalizzazione.

Volgendo ora lo sguardo alle dinamiche assunte dalla moderna criminalità, ci si rende conto come alcune caratteristiche evolutive di essa siano decisamente prevalenti sulle altre quali, ad esempio, l’assunzione di forme associative sempre più strutturate ed una dimensione transnazionale. Infatti, soprattutto nel corso degli ultimi due decenni, la criminalità organizzata ha acquisito un carattere marcatamente transnazionale39. Questa connotazione, tuttavia, attiene non solo al crimine organizzato, ma anche ad altre gravi forme della moderna criminalità.

Con il termine “transnazionalità” si intende alludere alla cooperazione che gruppi criminali di diversa nazionalità instaurano fra di loro per gestire più efficacemente determinati mercati criminali. In dottrina, la criminalità transnazionale è stata definita da alcuni autori come una serie di “attività criminali che

39 PONTI C., “Il diritto internazionale e la criminalità organizzata”, in Osservatorio sulla criminalità organizzata (CROSS), Vol. 1, n. 1, 2015, cit., pag. 23.

(31)

CAPITOLO I

24

si estendono in diversi paesi e che violano le leggi di diversi paesi”40. Pertanto, l’elemento che contribuisce a differenziare la

criminalità transnazionale da quella nazionale risiede nel fatto che la prima viola le leggi penali di diverse giurisdizioni mentre la seconda si limita a violare la legislazione di un singolo Stato41. Proprio per questo motivo i termini “transnazionale” e “organizzato” vengono utilizzati in maniera intercambiabile per specificare la genericità della parola crimine. Nonostante ciò la criminalità transnazionale esiste sia come fenomeno oggettivo, e quindi misurabile sulla base di dati, sia come costruzione soggettiva, quindi percepita diversamente da Stato a Stato, da regione a regione, da persona a persona42. Infatti, quello che per una determinata legislazione nazionale costituisce reato, non è detto che lo sia anche per altre legislazioni; inoltre, la percezione individuale può essere molto diversa, come il grado di accettazione, e dunque anche la legittimazione del fenomeno. Un'altra caratteristica della criminalità transnazionale risiede – come anticipato – nel suo forte elemento organizzativo. Infatti, per portare a termine delle operazioni che vadano al di là dei confini nazionali e per rendere minimo il rischio di essere catturati, i gruppi criminali transnazionali devono introdurre una disciplina ferrea, un elemento organizzativo flessibile e devono dotarsi di conoscenze tecnologiche avanzate.

40 PAVONE M., “La definizione del crimine transnazionale”, 16 maggio 2006, articolo reperibile su sito www.altalex.com., cit., pag. 2.

41 SAVONA E. U., “Processi di globalizzazione e criminalità organizzata

transnazionale”. Relazione presentata al convegno: “La questione criminale nella società globale”, Napoli, 10-12 dicembre 1998, cit., pag. 2.

42 ZABYELINA Y., “Routledge handbook of transnational organised

(32)

CAPITOLO I

25

Per dar conto delle connotazioni transnazionali che ha assunto la criminalità moderna sono state proposte diverse classificazioni dei reati43; tuttavia, nonostante tali classificazioni, è possibile reperire una precisa base positiva concernente la categoria del “delitto transnazionale”, alla luce della sua definizione normativa contenuta nell’articolo 3 della Convenzione delle Nazioni Unite sul crimine organizzato transnazionale (c.d. “Convenzione di Palermo”)44. Tale Convenzione, difatti, ha cristallizzato la

nozione di “criminalità organizzata transnazionale” in uno strumento giuridico multilaterale, che costituisce una base minima comune per la cooperazione giudiziaria penale, anche nei rapporti con quei Paesi che nel passato si erano in qualche modo sottratti ad ogni collaborazione inter-statuale a fini di repressione delle più gravi forme di criminalità45. All’interno di tale Convenzione è stata accolta una nozione estremamente ampia di delitto transnazionale; infatti, ai sensi dell’art.3 comma 2, «un reato è di natura

43 Secondo una di queste classificazioni – formulata da LAUDATI A. durante il Convegno “Costituzione europea, valori, principi, istituzioni, sistemi

giuridici” – è possibile distinguere i reati, ed in particolare i delitti, in: “delitti nazionali”, per i quali tanto la condotta quanto l’evento del reato si realizzano

nel territorio di un solo Stato; “delitti internazionali”, per i quali, pur avvenendo la loro consumazione interamente sul territorio di uno Stato, gli effetti giuridici o materiali si espandono sul territorio di altri Stati; “delitti

transnazionali”, espressione con la quale è possibile riferirsi a quei crimini per

i quali, sia la condotta che l’evento si realizzano, contestualmente, sul territorio di più Stati.

44 La Convenzione di Palermo è stata adottata formalmente dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la Ris.55/25 del 15 novembre 2000, insieme a due Protocolli addizionali per la prevenzione, repressione e punizione della tratta di persone, in particolare donne e bambini (Protocollo Tratta) e contro il traffico illecito di migranti via terra, mare e aria (Protocollo Migranti). Il Protocollo contro la produzione e il traffico illeciti di armi da fuoco, loro parti e componenti, e munizioni (Protocollo Armi da fuoco) è stato adottato dall’Assemblea generale con la Ris.55/255 del 31 maggio 2001. La Convenzione di Palermo è entrata in vigore il 29 settembre 2003.

45 ROSI E., “Crimine organizzato transnazionale” in MARANDOLA A. (a cura di), “Cooperazione giudiziaria penale”, Giuffrè Editore, Milano, 2018, cit., pag. 405.

(33)

CAPITOLO I

26

transnazionale se: a) è commesso in più di uno Stato; b) è commesso in uno Stato, ma una parte sostanziale della sua preparazione, pianificazione, direzione o controllo avviene in un altro Stato: c) è commesso in uno Stato, ma in esso è implicato un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato; d) è commesso in uno Stato, ma ha effetti sostanziali in un altro Stato»46.

Tale disposizione indica i requisiti che consentono di considerare come transnazionale una fattispecie incriminatrice del nostro sistema penale. Si tratta di indicazioni specifiche che trasformano una determinata figura di reato – punito con una pena edittale superiore a quattro anni di reclusione – nella corrispondente fattispecie incriminatrice transnazionale; si tratta, dunque, di un notevole passo in avanti nella direzione del controllo della criminalità e dei fenomeni criminosi internazionali divenuti, negli ultimi anni, molto rilevanti47.

Concentrandoci ora sulle cause che hanno portato la criminalità ad uno sviluppo in senso transfrontaliero, si può subito notare come la dimensione transnazionale del crimine affondi le proprie radici in primo luogo nella natura delle cose oggetto dei mercati criminali48. Tali mercati – gestiti dai gruppi criminali – non riguardano più, o soltanto, beni immobili – come ad esempio agricoltura, edilizia, appalti di opere pubbliche – ma, in misura crescente, anche “cose mobili”: dai tabacchi alle armi, dalle sostanze stupefacenti ai rifiuti tossici, fino agli esseri umani,

46 Articolo 3, comma 2, della Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale.

47 PAVONE M, “La definizione del crimine transnazionale”, cit., pag. 1. 48 SPIEZIA F., “Crimine transnazionale e procedure di cooperazione

(34)

CAPITOLO I

27

oggetto di immigrazione clandestina o di tratta a fini di sfruttamento lavorativo o sessuale49. Si tratta, come è facile notare, di situazioni diverse che pongono problemi differenti nell’individuazione di efficaci strategie preventive e repressive; queste situazioni presentano, tuttavia, tratti comuni. Difatti, tutti gli affari criminali si sviluppano ed esistono a certe condizioni: ad esempio, se esiste una domanda di beni e servizi illegali, se non è pienamente soddisfatta la domanda di beni legali, se esistono un alto livello di disoccupazione e altre fonti di esclusione tali da fornire le basi per una devianza sociale e, infine, se i funzionari burocratici e di polizia non sono adeguatamente formati e retribuiti50.

Pertanto, la criminalità transnazionale si prospetta, per un verso, dal punto di vista organizzativo, come un’impresa e, quindi, nei termini di un’attività economica finalizzante al profitto; per un altro verso, occorre ricordare che il fondamento operativo della criminalità transnazionale in forma di impresa è, per l’appunto, dato dall’esistenza di un mercato illegale. E questo trova la sua origine in un divieto normativo, in una criminalizzazione, alla quale le attività criminose transnazionali risultano connesse in termini funzionali51. Il perseguimento dei nuovi obiettivi criminali e, dunque, la “mobilità delle cose” oggetto dei traffici – spostate

49 VIGNA P. L., tavola rotonda sulla “criminalità transnazionale e

cooperazione internazionale in materia penale”, in “Crimine transnazionale fra esperienze europee e risposte penali globali”. Atti del III Convegno

Internazionale promosso dal Centro Studi Giuridici “Francesco Carrara”. Lucca, 24-25 maggio 2002, Giuffrè Editore, Milano, 2005, cit., pag. 444. 50 FIJNAUT C., PAOLI L., “Organised crime in Europe: concepts, patterns

and control policies in the European Union and beyond”, Springer

International Publishing, Dordecht, 2004, cit., pag. 30.

51 PADOVANI T., tavola rotonda sulla “criminalità transnazionale e

cooperazione internazionale in materia penale”, in “Crimine transnazionale fra esperienze europee e risposte penali globali”, cit. pag., 432.

(35)

CAPITOLO I

28

dai Paesi di produzione a quelli di destinazione, passando attraverso i c.d. Paesi ponte – ha provocato il sorgere ed il consolidarsi di sinergie tra gruppi operanti in vari Stati, dando così luogo alla transnazionalità che caratterizza la moderna criminalità. La transnazionalità del crimine organizzato, dunque, non costituisce più solo un aspetto particolare ed eccezionale, sia pure importante, del fenomeno della criminalità organizzata; ma, ormai, il carattere transnazionale connota di sé, in modo ordinario, ogni importante attività criminale organizzata52.

L’evoluzione della criminalità organizzata transnazionale è parte di quel fenomeno di trasformazione inaugurato dalla “terza era di globalizzazione”, quella, cioè, iniziata dopo la caduta del muro di Berlino53. Negli ultimi decenni, infatti, quel fenomeno conosciuto come “globalizzazione” ha avuto un’accelerazione che – soprattutto a partire dagli anni Ottanta del Novecento – ha investito gran parte della nostra vita sociale. Si tratta, evidentemente, di cambiamenti profondi indotti dalle nuove tecnologie, il cui impatto ha radicalmente cambiato la struttura della nostra società ed il modo di vivere, con conseguenze ed effetti anche sul mondo criminale e sulle sue articolazioni54. Il processo di globalizzazione ha, difatti, progressivamente allargato le opportunità non solo per le imprese legali ma anche per la criminalità transnazionale, creando nuovi affari e nuovi mercati non solo nel mondo legale, ma anche in quello criminale55,

52 SPIEZIA F., “Crimine transnazionale e procedure di cooperazione

giudiziaria”, cit., pag. 3.

53 DANZI F., “Criminalità transnazionale, governance e fattispecie di

reato”, 3 aprile 2005, articolo reperibile sul sito www.europeanaffairs.it. 54 SPIEZIA F., “Crimine transnazionale e procedure di cooperazione

giudiziaria”, cit., pag. 7.

55 Il professor SAVONA E. U., nella sua relazione “Processi di

Riferimenti

Documenti correlati

112 Cost., il tema della obbligatorietà dell’azione penale è ancora attuale alla luce dell’emergere di profili di discrezionalità nella operatività degli uffici di Procura dove

“esterni” al giudicato stesso», e la nuova dimensione funzionale, per cui la revisione è volta a «porre rimedio, oltre i limiti del giudicato (considerati tradizionalmente

Al fine di evidenziare meglio lo scenario innovativo che fa da sfondo alla de- strutturazione della legalità penale è opportuno impostare l’indagine alla luce del duplice profilo

La Corte costituzionale , per molti anni, si è infatti mostrata restia ad entrare nel merito di siffatte questioni di costituzionalità, dichiarandone l’inammissibilità per

l’altro ispirato, invece, all’elemento (ontologicamente ambivalente) della gravità delle violazioni potenziali, sembra che la Corte manifesti preferenza per il secondo, nonostante

321 c.p.p., il Procuratore della Repubblica che riceva la ri- chiesta di riconoscimento del provvedimento di blocco o di sequestro a fini di confisca, pre- senta le proprie richieste

17 del Trattato di Lisbona (L'Unione rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del

[r]